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Che la saga di Blackwater possa saldamente militare in un campionato a parte credo sia ormai assodato, anche se viene spontaneo e istintivo perseverare nel paragone o comporre una specie di mappa di gradimento della McDowell-produzione. Ora, Katie non è Gli aghi d’oro – per nostra fortuna – ma non è nemmeno un miracolo. Di buono ha il ritmo, una certa inventiva – anche se molto orchestrata – e il consueto centro di gravità femminile che ribalta un po’ i rapporti di forza “tradizionali”.

Si parte da una piccola cittadina del New Jersey, dove le Drax – madre e figlia – cercano di arrivare a fine mese tra fatiche inenarrabili e ben poche speranze d’ascesa sociale. Sono in balia del padrone di casa – il consueto RICCO SENZA CUORE DEL PAESE – e cercano di gestire la loro indigenza con dignità. Arriva, a un certo punto, la lettera del nonno invalido – che ha fondamentalmente disconosciuto la figlia quando s’è sposata con uno che lui riteneva un cialtrone -, padrone di una florida fattoria. È prigioniero di questi Slape, parenti acquisiti che lo tengono prigioniero in attesa che crepi per spazzolargli via tutti i soldi che ha da parte. Philo Drax, la nipote, parte per soccorrerlo… e da lì cominceranno i guai.

I tre Slape sono dei delinquenti sociopatici a conduzione matriarcale che si rapportano al mondo con bestiale disinvoltura. Sanguinari, illetterati e gretti, esistono in una dimensione tutta loro e non temono né il biasimo del mondo civilizzato né eventuali castighi giuridici (o divini). Sono avversari agghiaccianti e imprevedibili, proprio perché non pensano come membri funzionali della società e la infestano come parassiti. Punta di diamante della combriccola è Katie, una ragazza dell’età della nostra assennata e “buona” Philo Drax. Katie è dotata di sconvolgenti poteri divinatori e ama molto prendere la gente a martellate – con gran gusto di McDowell, che le fa fare roba francamente irripetibile.

Il romanzo segue Philo nel suo tentativo di riequilibrare la bilancia della giustizia e ci accompagna anche alla scoperta dell’abisso che separa le classi sociali dell’America del tempo, dalle cittadine industriali a New York, grande metropoli tritacarne che dispensa fortune e immense sciagure. 
Non è male, secondo me. Ma non è nemmeno un capolavoro di acume… e penso dipenda dagli Slape. Cosa ci insegnano le storie dei serial killer? Quelle più interessanti – per quanto nefaste – obbediscono a un “progetto”, a una motivazione di fondo, a un’idea. Gli Slape non possono contare su nulla di tutto questo. Sono un male puro, quasi casuale, esagerato e forse anche ridicolo. Posso accettare di essere presa a martellate… ma mi devi dire perché.

[Il romanzo è in liberia per Neri Pozza nella traduzione di Elena Cantoni, accompagnato dal consueto (e sontuoso) trattamento grafico di Pedro Oyarbide, ma potete anche trovarlo in versione audio su Storytel, con la voce di Antonella Civale. Vi ricordo sempre che a nostra disposizione ci sono 30 giorni di collaudo gratuito offerti da Storytel. Il periodo di prova si può attivare qui.]

Gli studi che tentano di mappare il funzionamento dei nostri cervelli o anche solo di descrivere la “mente” o la nostra capacità di reagire al mondo e di muoverci su piani che aggiungono creatività, immaginazione e sentimento alla mera dimensione del reale sono numerosissimi, multidisciplinari, intricati. La carne al fuoco è tanta, ma su un assioma si tende a concordare: abbiamo capito parecchie cose, ma il cervello è ancora un mistero. Abbiamo scalfito la punta dell’iceberg, ma l’ignoto resta inconcepibilmente vasto.

Di cosa siamo davvero capaci? La mente “sa” qualcosa che sfugge alla nostra stessa consapevolezza? È possibile che alcune persone siano in contatto più diretto con queste ipotetiche “sacche” cognitive misteriose che ci permetterebbero di sbloccare chissà quale forma di conoscenza? Le coincidenze esistono e basta o ci sono cervelli portentosi che sanno unire i puntini e vedere quel che ancora non c’è? Non ci è dato saperlo e non lo sa nemmeno Sam Knight, che con Ufficio premonizioni – in libreria per Mondadori Strade Blu con la traduzione di Doriana Comerlatiricostruisce la parabola professionale di un giovane psichiatra britannico e delle sue ricerche (insolite per gli anni Sessanta/Settanta come potrebbero risultarlo anche ai giorni nostri) al confine tra scienza, ragione e paranormale. Ambizioso e desideroso di affrancarsi dalla casa di cura – anche se sarebbe qua davvero più corretto usare il termine “manicomio”, con tutte le tetre accezioni che si tira dietro – in cui prestava servizio, John Barker comincia a interessarsi al tema della precognizione dopo il terrificante disastro di Aberfan – un cumulo di detriti minerari collassa e seppellisce una cittadina del Galles. La tragedia aveva delle cause spiegabili, ma meno spiegabili parevano essere i tanti presagi di sventura che qua e là per il paese erano stati “registrati”, con riferimenti precisi e circostanziati. CHE QUESTA GENTE ABBIA VISTO IL FUTURO? Riflettiamoci meglio, pensa Barker, strutturiamoci per mappare l’operato di questi presunti veggenti e per capire quanto spesso i fatti daranno loro ragione.

Insieme a un giornalista scientifico – che poi diventerà una voce celebre nel documentare il programma spaziale – Barker “apre” una casella postale per raccogliere premonizioni e si appoggia a una redattrice per catalogare e verificare quel che arriva. L’Ufficio Premonizioni abita una zona grigissima, a cavallo tra sensazionalismo, curiosità morbosa, mitomania e autentico interesse scientifico e, nella sua stramba ambiguità attira innumerevoli ciarlatani ma anche una manciata di “veggenti” che sembrano sapere il fatto loro con inquietante accuratezza.

E quindi? E quindi niente, mi vien da dire, perché Knight è un eccezionale catalogatore di informazioni ed è molto bravo a mappare fatti e a mettere in fila con dovizia di particolari una storia vera (e corale) fatta di numerosi stimoli e anime… ma finisce lì. Proprio quando l’abisso dell’inconoscibile potrebbe irretirci davvero finiamo un po’ in una palude compilatoria e smettiamo di farci domande. Non si tratta di prendere le parti – scienza o chiaroveggenza? FIGHT! – ma forse di metterla solo giù con un piglio più vispo, curioso, “vivo”. Forse esiste una via di mezzo tra una puntata di Mistero e il rigore implacabile della mia commercialista e sarebbe stato avvincentissimo percorrerla… ma forse è presto. Si sa, non usiamo ancora il nostro cervello al 100%.