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Bridgerton

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Francesca Sgorbati Bosi è la Lady Whistledown che meritiamo. Priva delle menate che affliggono il clan Bridgerton e dunque totalmente trasversale e generosissima nel distribuire stoccate e succosi retroscena, per Guida pettegola al Settecento inglese – in libreria per Sellerio ha setacciato con successo cronache mondane, missive e documenti storici per assemblare l’unico genere di compendio che riesco davvero ad assimilare: il mosaico aneddotico che, tessera dopo tessera, sa descrivere un’intera società, un “clima” culturale, la quotidianità che scorre e si ingarbuglia.

Dalla prostituzuone alle ipocrisie coniugali, dai re folli all’ubriachezza molesta, dalla moda ai duelli, quello che scandalizza o esce dai ranghi del decoro è sempre prezioso: indagare la trasgressione è uno dei numerosi modi per tracciare i confini di un sistema di valori e di potere, per leggere una società e radicare l’indagine storica nella sporcizia – ben lontana dall’irrilevanza – che si scopa di malavoglia sotto ai tappeti.

Procedendo per episodi, casi emblematici e stravaganze, Sgorbati Bossi utilizza il “piccolo” per costruire un universo intero, stratificando fatti minuti e aggiungendo contesto per guidarci con paziente divertimento.
Non sono una buona portinaia, in questo secolo… ma forse sarei stata una terrificante zabetta settecentesca. Un piccolo gioiello di curiosità e malignerie liberatorie – tanto tempo è passato… e possiamo finalmente donarci un po’ di cattiveria.

Il primo approccio con Georgette Heyer ha prodotto del sano svago e, come molti miei esperimenti, è passato per Storytel – lì lo trovate letto da Claudia Cassani, ma potete anche reperirlo nel catalogo Astoria. Heyer è nata nel 1902 ed è scomparsa negli anni Settanta, lasciandoci una nutrita eredità letteraria che probabilmente verrà saccheggiata a scopi televisivi quando anche l’ultimo rampollo del Bridgerton-verso convolerà a (giuste?) nozze. I suoi libri più fortunati sono ambientati nei salotti buoni dell’Inghilterra regency e, come vuole il canone, son pieni di signore linguacciute, nobiluomini che tornano inzaccherati dalla caccia e cameriere a cui affidare confidenze potenzialmente indecorose. Tutto questo è presente in Una donna di classe? Decisamente sì. E con un discreto piglio.

In questo caso specifico, ci trasferiamo a Bath insieme alla signorina Wychwood che, ricca sfondata e stufa marcia di sorbirsi cognata, nipotini e un fratello maggiore che la tratta con asfissiante paternalismo, decide di fare i bagagli e traslocare nella dimora cittadina di famiglia. Per non destare scandalo – CIELO, UNA VENTINOVENNE NON ANCORA MARITATA CHE VIVE SOLA! – le appioppano una cugina pedantissima come dama di compagnia, ma l’allegra brigata è destinata ad allargarsi. Lungo la strada per Bath, infatti, Lady Wychwood si imbatte in una carrozza in panne (espressione non adatta all’epoca, ma rende l’idea) e si sorprenderà più che disposta ad assistere i passeggeri appiedati, una ragazza in fuga e il suo riluttante accompagnatore…

Lady Wychwood troverà l’amore o finirà per cavarsela più che bene anche da “zitella”? Quante signore cadranno vittima di letali infreddature? Come si annoda una cravatta? Perché si offendono tutti con così tanta facilità? Mi sono divertita? Direi di sì, anche se a tratti è estremamente ridondante – quante volte dobbiamo ricapitolare una disavventura o un legame di parentela? Mille, forse. Nonostante certe lungaggini, però, è un libro piacevolmente arguto e trito al punto giusto da risultare rassicurante. A Bath non c’è l’Esselunga, ma all’inesorabile “marriage plot” non si scappa.