È all’incirca dal Black Friday che medito di esternare la mia inettitudine in fatto di shopping. E, a saldi inoltrati, mi sento finalmente pronta. Perché sì, ho un problema. Nulla di paragonabile, per gravità e rilevanza, a un incombente conflitto nucleare o al recente abbassamento della copertura vaccinale, ma comunque un problema, una fonte di disagio e di fondati sentimenti d’inferiorità evoluzionistica.
Non sono capace di gestire gli sconti.
Ecco.
Pur rendendomi perfettamente conto che gran parte delle mie difficoltà derivino da una tara personale, sono anche convinta che comprarsi delle cose in santa pace stia diventando sempre più arduo.
Ma procediamo con ordine.
All’alba dei tempi, i posti dove fare acquisti erano relativamente pochi. E, per la proprietà transitiva, anche la mole di iniziative promozionali in cui potevi imbatterti non era particolarmente ingente. Anche i canali comunicativi capaci di convogliare fino a te una notizia tipo “I saldi cominciano il 6 di gennaio” o “Rinnovo locali! -30% dall’1 al 5” erano scarsi – e quasi sempre privi di approcci mirati. Scoprivi un po’ per caso, magari da un cartellone del Trony, che i tostapane erano in offerta così come scoprivi, passando nella via principale della tua città, che gli sconti sulle scarpe che ti piacevano erano lì lì per iniziare. Insomma, la faccenda era gestibile. Due grandi periodoni di saldi sostanziosi e sconti estemporanei (piuttosto rari) in cui potevi imbatterti di tanto in tanto. Comprare a prezzo pieno era normale, trovare il modo di incamerare l’articolo X pagandolo di meno era spesso un colpo di culo di cui vantarsi anche un po’.
E fin qui ce la potevo fare anch’io.
Poi hanno “inventato” gli outlet.
E lo shopping online.
E le newsletter.
E gli alert via SMS.
E i programmi-fedeltà con le tessere a punti.
E gli sconti personalizzati basati sui programmi-fedeltà con le tessere a punti.
E i saldi privati.
E le svendite segrete a cui puoi accedere solo se hai un cugino nella Massoneria.
E le private-week per i clienti VIP.
E i pre-saldi.
E i saldi-flash prima dei saldi-saldi.
E gli “ULTERIORI RIBASSI!” a saldi già cominciati.
E lo sconto solo online su una specifica categoria di prodotto.
E lo sconto solo online a scaglioni progressivi con spese di spedizione incluse.
E i coupon.
E i coupon da aggiungere agli sconti già in corso applicando il codice MENOMILLEMILAPERCENTO al checkout.
E il coupon che ti regalano per il primo acquisto.
E il coupon “Francesca, ci sei mancata, torna a trovarci! Ecco qua un regalo per te”.
E il coupon che ti elargiscono quando ti iscrivi alla newsletter.
E il coupon che ti aggiudichi se riesci a far iscrivere alla newsletter anche le tue amiche.
E il codice-sconto che screenshotti dalle Stories di una tizia su Instagram.
E i gli outlet virtuali.
E gli outlet virtuali con assortimento a rotazione e conto a rovescia per la promozione settimanale.
E il Black Friday.
E il Cyber Monday.
E le offerte pre-Natalizie.
E lo sconto speciale per il tuo compleanno.
E che ansia, perbacco.
Ebbene, qual è l’effetto – almeno su di me – di questo proliferare di occasioni promozionali e di comunicazioni perfettamente personalizzate che ci informano nei momenti più disparati delle nostre vite della relativa convenienza di un potenziale acquisto in un limitato lasso temporale?
La paralisi.
Il congelamento.
L’immobilità assoluta.
Io mi blocco e basta. Come un opossum in mezzo all’autostrada.
Perché ormai sento il dovere di non comprare più niente a prezzo pieno. È diventato quasi obbligatorio. Ma per ragioni d’autostima, all’incirca.
Cos’è, l’unica cretina che non usufruisce dell’onnipresente convenienza che il progresso tecnologico-commerciale ha messo a nostra disposizione sono io?
Giammai!
Perché è così che finisce.
Ti senti imbecille a comprare qualcosa se non c’è uno sconto. E, dopo un po’, ti senti imbecille anche a comprare qualcosa con poco sconto. E, parzialmente, hai ragione.
Perché, quando ti compri un mascara usufruendo dello sconto del 20% garantito dalla tua preziosa tessera fedeltà, due giorni dopo ti fanno sapere che l’intero assortimento – sia online che nei negozi – è in promozione al -25%. Ma tu il mascara l’hai appena comprato, maledizione. E la discrepanza di prezzo è minima, va bene, ma è sufficiente a farti incazzare.
Ti senti poco razionale, poco preparata, in balia dei forze che sfuggono al tuo controllo.
Ma è anche vero che non puoi dedicare ogni tua energia a mappare con un foglio Excel le fluttuazioni degli sconti sui tuoi store preferiti, nel vano tentativo di elaborare un modello predittivo che ti assicuri di poter usufruire in maniera infallibile del miglior ribasso possibile sul prodotto X nel periodo Y, in assoluto. E non potrai fare a meno di pensare che, da qualche parte negli angoli più remoti dell’Internet – o in una bottega sperduta di Guastalla, perché manco dei negozi fisici riesci a dimenticarti -, ci sia un posto che vende quello che vuoi tu a un prezzo ancor più conveniente rispetto ai quello che sei riuscita a stanare durante le tue estenuanti ricerche online. E nel frattempo continuano ad arrivarti messaggini, avvisini, newsletterine con le scritte lampeggianti, tweet funzionalissimi pieni di link cliccabili e svariati FRANCESCA CI SEI MANCATA. Ma senza un ordine, senza una struttura. All’improvviso. Le promozioni possono assalirti in ogni momento. E se vai a vedere, se approfondisci, è pure peggio. Guardi una roba su Amazon? Ti soffermi su una borsa su Yoox? Vai un po’ in giro su Asos? Per i dieci giorni successivi i banner di ogni possibile sito che visiterai si trasformeranno in una sorta di reliquiario delle occasioni perdute, riproponendoti per sempre quello che hai analizzato ma, lì per lì, non hai comprato.
Perché era disdicevolmente a prezzo pieno.
O perché non era abbastanza scontato.
O perché, con tutto quello che c’è da vedere, valutare e soppesare – a fronte di risorse che perseverano nell’essere tristemente scarse -, non riesci più a governare una tale complessità d’offerta e, alla fin fine, non decidi e basta.
Sono diventata una vecchia signora convinta che ci sia sempre qualcuno in agguato pronta a truffarla? Perché non riesco più godermi un acquisto che mi pare quasi oculato senza essere assalita da quella raggelante sensazione di fregatura – che arriva solitamente un millisecondo dopo aver schiacciato su PAGA? Ecco, ho preso il rossetto. Ma ci scommetto le rotule che domani m’arriva un bel CIAO FRANCESCA DA OGGI UN BEL -70%! Ma così, a caso. Senza una logica, un motivo.
E molto spesso succede davvero. Non sempre, per fortuna. Ma con una frequenza sufficiente a minare le mie già vacillanti certezze.
Perché un conto è comprare volontariamente un capo della nuova collezione anche se a mezzo metro di distanza ci sono montagne di vestiti in saldo. Un conto è cadere vittima di un’imboscata, quando per di più hai già speso dei soldi.
C’è una soluzione?
Dobbiamo forse tornare a un’economia di pura sussistenza, cucendoci le vesti per nostro conto e rattoppando le suole bucate del nostro unico paio di scarpe fino alla fine dei tempi? O magari metterci in coda davanti a un negozio per 14 ore perché COMPAGNI, OGGI HANNO I CALZINI, SONO TUTTI UGUALI E COSTANO DUE RUBLI – MA CI SONO come nell’Unione Sovietica?
Io non lo so.
Ci adatteremo, immagino.
Probabilmente impareremo a filtrare e a ignorare – sia le comunicazioni brandizzate che le comunicazioni provenienti da quelle amiche che magicamente riescono sempre e solo a fare affaroni (CIOÈ NON PUOI CAPIRE, COSTAVA DUECENTONOVANTANOVE EURO VIRGOLA NOVANTANOVE EURO MA L’HO PAGATO VENTIDUE, CON SPEDE DI SPEDIZIONE EXPRESS INCLUSE!) – e ci rassegneremo placidamente all’esistenza di un margine d’errore inevitabile. O forse completeremo il cerchio. Disorientati fino alla paralisi dalle offerte e dall’intricato mondo degli sconti, ritroveremo la pace e la serenità del prezzo pieno. Il romanticismo perduto di un acquisto lineare e semplice. Quando ci pare. Quando qualcosa ci serve veramente. Quando qualcosa ci piace sul serio. E basta.