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Beanstalk

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Libri pazzi, eccoci!
La torre di Bae Myung-Hoon – in libreria per Add Editore con la traduzione di Lia Iovenitti – è una raccolta di racconti ambientati tutti nello stesso posto: un edificio-stato che contiene mezzo milione di persone distribuite su più di 600 piani. Si chiama Beanstalk – strizzando l’occhio al Fagiolo Magico per la sua vocazione a svettare verticalmente – e, oltre a spiccare per scarsa propensione alla pacifica coesistenza coi paesi vicini (che sono “estero” anche se occupano l’isolato limitrofo), è un concentrato di conflitti pronti a deflagrare. Dietro alla facciata dell’utopia armoniosa, infatti, si spalanca una voragine di disparità, privilegi, magheggi e intrallazzi, dal lavoro alla politica, dall’economia alla ricerca. É una sorta di esperimento densissimo di coabitazione in presenza di risorse scarse, ma anche una satira rivolta alle società “avanzate”, che molto spesso cercano di nascondere le loro disumanità fondative.

I racconti cercano di illuminare le diverse facce del complesso intreccio di soldi, influenza e potere che animano i rapporti nella Torre. Dalla speculazione immobiliare agli arcigni sistemi di difesa che puntano a isolare lo stato-edificio dal resto del mondo, tutto alla Beanstalk è rigidamente normato. La fobia del caos, del disordine e dell’”invasione” è lo specchio di un disperato tentativo di scoraggiare ascese impreviste, in un finto sistema meritocratico che vende sogni ma ben poco solide realtà. Tutti vogliono guadagnarsi un posto alla Beanstalk, ma ne vale davvero la pena? Non occorre una particolare immaginazione per applicare la medesima domanda ai contesti che popoliamo anche noi, tra cinismo difensivo, autentica rabbia sociale, furbi espedienti e maldestri tentativi d’auto-convincimento.

La torre mi è garbato per l’idea e la struttura “episodica”, ma forse meno per l’effettiva esecuzione. È un’edizione rivista rispetto alla prima edizione di una decina d’anni fa – tradotta direttamente dal coreano, senza lingue-ponte come spesso in tempi recenti è capitato – e regge alla prova dell’attualità geopolitica, per quanto i racconti risultino molto enfatici, un po’ sbalestrati e qua e là fin troppo ingarbugliati. I problemi di “tono”, però, credo dipendano in larga parte dal mio orecchio poco allenato. Ballard concorrente di Squid Game? Forse un po’ sì.