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A Venezia c’ero stata con MADRE e il mio papà quando avevo 7 anni. Visto che, come tutti i bambini regolamentari, la mia statura si aggirava attorno al metro e quaranta, di Venezia mi erano rimasti ben impressi solo i culoni degli altri turisti, un casino di scale e il Ponte di Rialto. E un ciondolo bellissimo che mi aveva comprato MADRE. Era un sacchettino di vetro con dentro un pesce rosso… che, per carità, va bene, ma è un po’ poco: c’è gente che scrive libri su Venezia da secoli, e nella mia memoria c’erano soltanto dei culi, dei sandali brutti e MADRE che si scandalizza per il prezzo dei giri in gondola. Avevo anche il marsupio, adesso che mi ci fate pensare.
Quando mi hanno chiesto se volevo andare a Venezia per la giornatona Bombay Sapphire – che se avete voglia c’è anche un post, allora, mi sono subito emozionata molto. Finalmente ci tornerò, da grande! E ho anche tutti questi consigli su dove andare a mangiare delle cose nei posti frequentati da AUTOCTONI-col-Pedigree che mi ha scritto @martinaemme, dedicandomi ore della sua vita. E solo perché è una persona gentile! E niente, sono partita con grande gioia. Il Carnevale! L’acqua! Un giorno di ferie! Assassin’s Creed!

Solo che io non ho il senso dell’orientamento.
E le folle oceaniche un po’ mi agitano.
E mi sentivo un po’ in colpa a vedere tutta quella bellezza senza potermi girare e dire delle cose ad Amore del Cuore.

Ma poi ho trovato il modo di prenderla bene.
Volevo andare alla famigerata libreria Acqua Alta – libri usati, umidità devastante e gatti da tutte le parti – ma non ci sono mai arrivata. Secondo le mappe di Google era da qualche parte lungo il muro di cinta dell’Ospedale, quello a picco sulla laguna. Tutti palombari, i frequentatori della libreria Acqua Alta. Una persona perbene ci sarebbe arrivata, però, con o senza indicazioni fuorvianti e 3G che funziona a intermittenza. Io no, sembravo un cincillà gigante che fa la spesa al supermercato. Ad un certo punto, un anziano cittadino – visibilmente impietosito – mi ha pure aiutata a capire vagamente dov’ero, ma poi s’è accorto che manco lui si ricordava più tanto bene dove abitava e mi ha abbandonata, farfugliando qualcosa sulla distribuzione dei numeri civici veneziani. I numeri civici veneziani sono esagerati e messi giù a caso. 5436, 2344, 1798. Che è. L’anziano cittadino mi ha detto che lì le cose funzionano diversamente: non c’è la strada coi suoi numeri che cominciano dall’1 e arrivano dove devono arrivare. Lì sono progressivi, per “quartiere”, tipo. Io mi sono immaginata Casanova con un jetpack che sorvola la città tirando i bussolotti della tombola sui tetti, gridando OSTREGHETTA di tanto in tanto. E niente, mi sono rassegnata. Visto che non sarei mai stata capace di raggiungere una meta qualsiasi, ho cominciato ad andare dove mi portavano i piedi e tante care gondole a tutti. Trattandosi di Venezia, è stato un successo.

Ma vi mostro le diapositive commentate delle ferie, che facciamo prima. È un misto del primo giorno (è per quello che il pranzo è così sfarzoso) e del secondo giorno (è per quello che non c’è roba da mangiare… ero così atterrita dalla possibilità di perdermi per sempre che mi sono scordata di alimentarmi. C’era il sole, però).

Ho scoperto che Venezia è una città interamente composta da scorci memorabili. Giri un angolo e c’è sempre qualcosa che cade a pezzi con una grazia struggente. Cammini, ti guardi attorno e non ti spieghi come sia possibile che esista un posto del genere. Non ci sono nemmeno i negozi che vendono cibo. I veneziani vivono di intonaco fradicio, probabilmente. Mangiano le persiane. Hanno le radici aeree.

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I fabbricanti di costumi sfarzosi mi hanno fatto venire in mente che, con la mia corporatura, ho proprio scelto il secolo sbagliato per nascere. Diciamo basta agli hipsterici vestitini rettangolari, io voglio un corsetto che sembra una Viennetta.

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Questa calle è una tappa obbligata per ogni turista disorientato. Dopo averla invocata ad ogni svolta sbagliata, ad ogni ponte che non è dove te lo immaginavi, ad ogni incomprensibile deviazione, la Madonna appare a modo suo.

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Per fare questa foto ho tagliato la gola a undici cinesi (tutti con il gilet da pesca, quello con tantissime tasche), sei romani che pensavano che il ponte fosse il loro e quattro ragazzine che avevano riciclato i costumi di Halloween. I gondolieri, nel frattempo, sembrano in coda al casello.

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Uno ormai associa i cigni a Natalie Portman che danza sulle punte con un tutù di Rodarte.  Poi ti ritrovi a passeggio lungo un ameno canale e ti imbatti in una persona di 120 chili vestita da cigno, con tanto di scarpetta-zampetta e piume. Dalla foto non si capisce bene, ma la gonna bianca (diametro metri 3) era tempestata di cignetti neonati. E il cigno-copricapo sfiorava le finestre delle abitazioni del primo piano.
I veneziani che vanno in maschera devono avere delle case molto grandi. Un costume del genere ha bisogno di un armadio solo per lui, non può convivere con gli altri indumenti, è troppo grosso, troppo piumato, troppo voluminoso. Veneziani in maschera, come diavolo li riponete i vostri costumi?

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Pausa-pranzo

Quello che posso dirvi è che non è lontano da Piazza San Marco. Ma è meglio se provate ad arrivarci da soli. Ristorante Al Covo, l’unico posto al mondo dove ti portano uno sgabellino imbottito dove appoggiare la borsetta e continuano a ripeterti di stare attenta ai gradini perché c’è chi è cascato in terra rischiando seriamente la vita. Dislivelli letali a parte, c’erano numerose porcellanine adorabili e ho mangiato delle bontà. Visto che nessuno si vergognava di fare le foto al cibo, è stato tutto rigorosamente documentato. La polpa di granchio dentro a un vero guscio di granchio placcato in argento, però, non ho fatto in tempo a immortalarla perché era troppo buona ed è scomparsa all’istante.

tegamini baccalà al covo veneziaL’Unesco dovrebbe proteggere il baccalà mantecato con ogni mezzo.

Questo qua non è un Gesù in croce ma è una coda di rospo. Ogni volta che pulisco un pesce mi viene in mente che ho delle mani d’oro e che dovevo fare il cardiochirurgo.

Questo qua, invece, è uno di quei gloriosi tortini con il cioccolato caldo dentro. Poi ci hanno anche portato gli sgonfiottini zuccherosi di carnevale, che erano ancora più buoni e magicamente leggeri. Ho cercato di calcolare quanti sgonfiottini sarebbero serviti per riempire una stanza, ma ho fallito. E ne ho inghiottiti altri tre, per sentirmi meno inadeguata.

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Guai a te se ormeggi. Ti percuoteranno a colpi di remo, ma di taglio.
Cioè, non è manco un cartello: è un blocco di granito con un’iscrizione viabilistica… per delle imbarcazioni che non esistono in nessun altro posto al mondo. Ci dovevano scolpire sopra un divieto di sosta, col cerchio sbarrato. E delle pietruzze colorate per il rosso e il blu. Basta, Venezia è una città assolutamente strabiliante e inverosimile.

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Una volpe rossa che truffa una signora, ipnotizzandola coi merletti.

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canale tegamini supersegreto

Per fare questa foto ho rischiato di annegare. C’era un vicolino piccolino, con in fondo un portone bellissimo e tutta questa magica luce coi riflessini da piscina. E andiamoci a vedere. Il vicolino finiva nell’acqua, in questo canale silenziosissimo e proprio meraviglioso. Non c’era un’anima, e io volevo vedere bene di qua e di là. Solo che avevo paura a sporgermi, visto che non c’era niente a cui attaccarsi. Allora mi sono appiattita al muro come una bavosa di scoglio e ho allungato un braccio e ho fatto una foto tutta storta, perché anche il resto del mondo doveva scoprire che esiste un posto del genere. Non rende la magia della LOCHESCION, ma ancora non deambulo sull’acqua.

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L’uomo-pavone in pausa sigaretta. Perché anche le maschere si affaticano e sudano sotto al primo sole di primavera.
…è anche vero che te la sei andata a cercare, uomo-pavone.

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Comuni cittadini che vanno in giro sulla loro barchetta, superando senza fare una piega anche gli angoli più disagevoli. Bisognerebbe tornare a Venezia per vedere come funzionano le scuole guida. Ci sono solo quelle che distribuiscono patenti nautiche? E se uno vuole guidare una macchina vera dove va? A Mestre? Le donne veneziane le prendono in giro perché non sanno ormeggiare, o anche lì esistono le battutone sul parcheggio?

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i am in the nonsolovino

Ma giustamente. E spero che abbiano già pensato a una qualche forma di convenzione turistica: compra un’ampolla di vetro di Murano e usala per berci dentro uno spritz all’enoteca, col 50% di sconto.

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Intanto che siamo in tema affissioni, vorrei anche segnalare la bellicosa presenza degli stencil, dei posteroni e degli appiccichini di Venezia Land. Da quel che ho capito, è un movimento-streetartistico di DENUNZIA contro il degrado prodotto dal turismo becero e incontrollato. Venezia non è un Luna Park! Per dirlo (e accrescere grandemente l’avvenenza della laguna), tempesteremo i palazzi di ciccione in pantaloncini!

venezia land tegamini

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I gondolieri sono molto vanitosi. Alcuni cantano anche. E fanno il limbo per passare sotto ai ponti più bassi.

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E qua ci sono io con un tricorno in testa. Per attenuare la sensazione di smarrimento e labirintite, mista a nostalgia per Amore del Cuore e mal di piedi, ho acquistato un tricorno fatto a mano da un vero artigiano/mascheraio veneziano. Si sa, i tricorni fanno bene all’anima. E si sa anche che smarrirsi con in testa un tricorno è comunque meglio che smarrirsi a capo scoperto. Erano anni che volevo un tricorno. Chiederò al futuro istruttore di equitazione se posso usare il tricorno invece del cap. Non che il cap sia brutto o inutile, chiaro, ma ci vuole anche un po’ di senso del teatro. “Guarda il lampo che laggiù attraversa il cielo blu”, quelle robe lì. Pirati, pugnali, nobiltà e rondate sui cornicioni. E la missione dei prossimi mesi sarà trasformare il tricorno in un copricapo accettabile per l’uso quotidiano in una città come Milano.
Tié.

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E adesso sono rimasta fregata. Perché la foto più bella l’ho usata all’inizio. E tutte quelle che ho di Piazza San Marco sono piene di gente che mi smanaccia nell’inquadratura. O di bambini seduti su sgabellini pericolanti che si fanno impiastricciare la faccia da scoordinatissimi truccatori di strada. Poltiglie di coriandoli da tutte le parti. Momenti di acutissima misantropia e sciabordio di onde. Nonostante il delirio carnevalesco e i vaporetti con la gente abbarbicata alle ringhiere, però, sono molto contenta che esista Venezia. Mi sono smarrita in ogni modo possibile, ho fatto tantissime scale e mi sentivo un po’ sola, ma quel che avevo attorno – chissà dove, poi – era sempre una specie di meraviglia fluttuante. Venezia è proprio la città degli stuporoni… e ci voglio tornare con qualcuno che amo. E che non si perde.