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La posta dell’ufficio. La posta dell’ufficio è imprevedibile. Possono capitare giornate felici e giornate di scalogna cupissima e devastante. Può succedere che in una mattina ti rispondano i più improbabili personaggi mitologici, creature astratte che magari non stanno nemmeno nell’ufficio della tua città e, visto che non le hai mai incontrate, a un certo punto inizi anche a pensare che siano solo dei prodotti della tua mente… ma poi, in una luminosa mattina, con Plutone che entra nell’acquario e l’alfa dello Scorpione che si allinea ai quattro satelliti galileiani del pianeta Giove, tutta quella gente lì che non ti ha mai calcolato ti risponde… e per dirti che hai ragione, che puoi procedere, che va bene e che ti reincarnerai in una ricca ereditiera. Il giorno dopo, invece, ogni mail che ti arriva è una tonante rottura di coglioni. Una di quelle complicate, con un sacco di implicazioni, gente da sentire/avvisare/minacciare, potenziali disastri diplomatici e vendette trasversali che spuntano all’orizzonte. O magari anche una rottura di coglioni senza troppi fronzoli, una di quelle robe tediose e ripetitive, che quando hai finito ti accorgi che dentro alla calotta cranica hai uno scodellone pieno di porridge e pezzettoni di tofu.
Insomma, nella gioia o nella sventura, ogni mail produce emozioni e reazioni spontanee che solo molto raramente potranno precipitare in una puntuale risposta scritta. Ma perché no, non si può. Perché certe volte si vorrebbe saltare in piedi ed esultare in reggiseno, altre volte bisognerebbe solo bestemmiare come vichinghi con le natiche pelose e altre volte ancora lo scoraggiamento è così terrificante che si dovrebbe solo prendere su, uscire e andare a comprare tre metri di Gratta&Vinci. Che magari diventi un turista per sempre e col cazzo che ti rivedono in ufficio il giorno dopo.
Ecco.
Anche nei piccoli/giganteschi problemi che scaturiscono dalla posta dell’ufficio, gli animali possono accorrere in nostro aiuto, come fanno abitualmente con le principesse Disney. Basta avere a disposizione le bestiole giuste. E di sicuro, là fuori c’è almeno una bestiola che può ergersi a splendida metafora dei sentimenti che v’ingorgano l’anima, ma che non potete mettere per iscritto.

In questo post, che tutti i capitani d’industria dovrebbero inoltrare ai propri dipendenti, verrà messo a disposizione del mondo un coraggioso manipolo di creaturine da utilizzare in una basilare gamma di situazioni elettropostali. Smettiamola di reprimere i nostri sentimenti: diciamolo con una bestiola!

***

BESTIOLE DI RINGRAZIAMENTO E GRATITUDINE

Incredibilmente, è successo qualcosa di bello, utile, produttivo e sensato.
Come ringraziare?
Cuccioli e palle di pelo.

Lo scoiattolo volante della Siberia. E’ bianco, poffoso e pieno di ciglia frufru. Va usato in caso di miracolo.


Grazie, collega gentile, grazie. Eccoti un gufetto basculante.


Ma grazie pure a te. Anche da parte del minuscolo pudu del cuore.

Foto: Reuters/Jose Luis Saavedra


L’anatroccolo non sarò esotico e originalissimo, ma è un evergreen. Funziona sempre, che cavolo, a chi non piacciono gli anatroccoli? Persino Edvard Munch li apprezzava.
Ecco, usa un anatroccolo per ricambiare le gentilezze quotidiane. Che per i miracoli c’è lo scoiattolo volante della Siberia, segnatevelo bene.


Per i minuscoli passi avanti in processi faticosi, c’è il granchio-cheerleader.
Festeggia, ma incoraggia anche.


Per un grasso lietofine pieno di contentezza, l’unica bestiola che vi servirà è il quokka, l’animalino più contento del mondo.

Non va bene per i colleghi corpulenti, che l’associazione lardo-maiale è sempre dietro l’angolo. E noi vogliamo esprimere gratitudine, non far notare involontariamente della pinguedine magari vissuta con disagio. Comunque, fate voi, qua c’è un maialetto che fa il bagno.


Per i benevoli personaggi garbati ma fermi, c’è l’elegante gattino col cilindro.

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BESTIOLE DI SGOMENTO (O BESTIOLE DI GIOBBE)

Non sapete decidere: siete più terrorizzati o esasperati?


La papera sgomenta.
Se fossi una commessa che non vale niente, cercherei di convincervi della versatilissima utilità della papera sgomenta con un “la uso sempre anch’io”. Ma non ce ne sarà bisogno: guardatela. Anche voi vi sentite così. La papera sgomenta ha capito tutto.


Il pericolo è ovunque. Fate quello che dovete fare, ma la malasorte si accanisce lo stesso.


Un gufo-burrito. A modo suo è anche carino, ma è chiaro che vi caverebbe entrambe le palle degli occhi.

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BESTIOLE DELLO SCONFORTO

Basta. Siete demoralizzati come un copertone sgonfio. E in ufficio non si può neanche bere.

La foca-boa. Come voi, si domanda perché mai ha deciso di alzarsi dal letto.

La volpe surgelata. Cruentissima, ma col garbo della più sincera depressione.

Il panda inscatolato. Perché il mondo è un posto orribile… e non vogliamo più guardare.

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BESTIOLE INTIMIDATORIE

Ah sì? Ah sì? Per quando ci sarebbe bisogno di sfondare la porta e spaccare nasi a colpa di padella, arrivano gli animalini trucidi, aggressivi e antipatici.

Pipistrellini con tanti denti quante sono le malefatte che vorreste veder vendicate.
Foto: David Mattner

Il guru assoluto dell’odio e della furia repressa: sua santità il Grumpy Cat.


Il sanguinario coniglietto folle: per far capire che non siete poi così miti e accondiscendenti.


Un essere spaventoso che ne contiene uno orribile. E, visto che sono entrambi lì lì per tirare le cuoia, è lecito aspettarsi che interverranno a vostro beneficio sotto forma di pesci-zombie. MWAH HAH HAH!


E se tutto il resto fallisce, non disperate. Potrete sempre contare sull’implacabile Colonel Meow.

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BESTIOLE DELL’INDIFFERENZA

Perché di tanto in tanto, l’agghiacciante processo dello scaricabarile va arginato.
And not a single fuck was given that day.

Sei in cima alle mie priorità.


Certo, appena riesco.
Foto: Michael S. Nolan

Ci mancherebbe, hai ragione.

Grazie per il feedback.

Foto: Peter Lippmann


Questa notizia mi sconvolge.

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BESTIOLE PER TEMPOREGGIARE

Ti assillano, ma non hai ancora tutte le necessarie informazioni per rispondere con quel minimo di razionalità che il tuo amor proprio pretende? Ti assillano, ma magari sei te – capra – che hai perso dei pezzi per strada? In entrambi i casi, serve tempo, tempo per finire di fare un buon lavoro o tempo per rimediare.
Che bestiola mandare, dunque?
Bestiole assurde. Meno si capisce che diavolo sta succedendo, meglio è: il destinatario avrà qualcosa su cui arrovellarsi mentre aspetta voi.


Pinguini e suonatori di cornamusa. Non sapremo mai se il pinguino ha cantato qualcosa.


Signore che tentano di cacciare in macchina dei cigni giganti. E per portarli dove?


Salvador Dalì che porta a spasso il suo formichiere da compagnia.

Una stolta in groppa a una tigre.
Osserviamo le palpebre socchiuse della tigre: quello non è sonno, è furia omicida che finisce di lievitare.


Se volete creare un vero diversivo, però, consiglio vivamente la gif animata. Unirà al fattore distrazione (bradipo-coreografo) anche un fondamentale effetto ipnotico, devastando per sempre la mente di chi la riceverà.

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Bene.
E ora tornate su, salvate tutti questi preziosi animalini in cartelle ben denominate e facilmente accessibili e smettetela di tenervi tutto dentro. Non siete pentole a pressione, ditelo con una bestiola!

È un po’ che non parliamo dell’alpaca e che non gli dedichiamo l’attenzione che merita. Perché l’alpaca è l’animale più sublime di tutte le galassie! Paladino di poffosità, amico di ogni creatura visibile e invisibile, protettore dei pascoli erbosi e della gioia più splendente!
Ecco.
Per ricordarvi perché l’alpaca è straordinario, oltre a suggerirvi l’attenta lettura della prima e indimenticabile puntata della rubrica Gli animali ti guardano, sento anche il bisogno di rinvigorire il vostro entusiasmo con questa raccolta di dotti aforismi e illustri osservazioni. Che a me magari potete anche non credere, ma vi sfido a contraddire Darwin, padre della teoria evoluzionistica.

La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli alpaca.
Gandhi

La crudeltà verso gli alpaca è tirocinio della crudeltà contro gli uomini.
Publio Ovidio Nasone

L’alpaca è la virtù che, non potendo farsi uomo, si è fatta bestia.
Victor Hugo

Quando gioco col mio alpaca, chissà se sono io che mi sto divertendo con lui o lui con me.
Michel de Montaigne

L’etica, come viene intesa nel mondo occidentale, è stata finora limitata ai rapporti tra uomini. Ma questa etica è limitata. Abbiamo bisogno di un’etica più vasta, che includa anche gli alpaca.
Albert Schweitzer

Non c’è una differenza fondamentale tra le facoltà mentali dell’uomo e quelle dell’alpaca. Per quanto grande sia la differenza fra la mente umana e quella degli alpaca, si tratta certamente di una differenza di grado e non di genere.
Charles Darwin

 

Bene. Ma perché siamo qui? Siamo qui perché questi momenti d’oblio non si ripetano più. Mesi e mesi in cui il mirabile quadrupede andino è rimasto confinato in un minuscolo angolino del nostro cuore, senza poter galoppare liberamente su e giù per le praterie d’amore che meriterebbe invece di percorrere e abitare in ogni istante della vita del mondo. Eccoci dunque qua, pronti a partire alla perigliosa ricerca di un simbolo immortale, pronti a dar prova della nostra solidissima devozione.  E come, con cosa? Con un’icona, che domande, con un simulacro d’alpaca da tenere in bella vista nelle nostre abitazioni, così lontane dal Sud America e dall’ambiente naturale del nostro beniamino. Così su due piedi sembrerebbe impossibile trovare un oggetto capace di racchiudere e riassumere in se stesso tutta la nobiltà dell’alpaca. Ma, dopo attente e meticolose ricerche, sono qua per darvi speranza. Perché, da qualche parte nell’estremo oriente, c’è chi crea pupazzi a forma d’alpaca, pupazzi di rara bellezza… alti fino a quaranta centimetri e super accessoriati!
Giubilate!

Ora, rimanendo sempre sui modelli di jumbo-alpaca, sono indecisa fra questi tre esemplari… e gradirei un vostro consiglio. Ve li presento.


Alpaca UNO. Con un’inspiegabile tortina al collo.
Quel che non mi garba è la forma dimessa e malinconica delle orecchie, che dovrebbero essere ben svettanti e vigili, invece che spiaccicate all’ingiù come le tristi fronde di un salice.

*

Alpaca DUE.  Con orecchie infiocchettate e cravattino.
Mi piace il portamento, ma il muso è da imbecille.

*

Alpaca TRE, con accessori tartan.
Mi piace il portamento, mi piace l’espressione spavalda. Il cappello lo getterei nel fuoco.

 

Io propenderei per l’alpaca TRE. Ma è importante che ci sia consenso popolare, visto che finirebbe per diventare una delle numerosissime mascotte di Tegamini, nonché tormentone incancellabile e gradita aggiunta allo stemma araldico del mio casato. Comunque vada a finire, però, aggiungerò allo stupidissimo ordine un’irrinunciabile minipochette rosa a forma di cucciolo d’alpaca, che porterei con me in ogni dove e cullerei senza sosta e senza posa.

Ovviamente, chi fosse a conoscenza di qualche altro genere di morbido simulacro d’alpaca è pregato di segnalarmelo senza indugi. Perché limitarsi a un piccolo altare, quando si può erigere un maestoso tempio?

 

***

TEGAMINI – Mamma mamma mamma possiamo avere un gatto?
MADRE – …a me piacerebbe molto, lo sai, ma devi chiedere a tuo padre.
TEGAMINI – Papà papà papà possiamo avere un gatto?
PAPA’ – No.
TEGAMINI – Ma perché!
PAPA’ – Perché no.
TEGAMINI – Ma la mamma…
PAPA’ – No.

Una ventina d’anni dopo:

AMORE DEL CUORE – Per Natale non ci facciamo i regali.
TEGAMINI – …ma come non ci facciamo i regali. Il cazzo! Io lo voglio il regalo di Natale, che cosa vuol dire che non ci facciamo i regali, dobbiamo anche fare il primo albero di Natale insieme, vuoi non metterci sotto niente, io non…
AMORE DEL CUORE – Non ci facciamo i regali perché adesso ci mettiamo qua e cerchiamo un gattino. E visto che sei allergica dobbiamo prendere il siberiano. Quindi no, niente regali, ci regaliamo il gatto. Volevo farti la sorpresa, ma poi ho pensato che era meglio se lo sceglievamo insieme… Ecco.

Ora, prima che qualche paladino dei deboli s’indigni perché “con tutti i gatti abbandonati e pieni di croste che ci sono in giro io non capisco che bisogno ci sia di prendere un siberiano con genitori provvisti di pedigree e di questo passo dove andremo a finire e piovegovernoladro e tutti i giovani sono dei drogati”, ci terrei molto a precisare che, per ragioni d’allergia, il siberiano è un po’ l’unica alternativa (CHE DISGRAZIA!). Questo nobile gatto nasce (senza bisogno d’interventi di scienziati pazzi) con una minor concentrazione nella saliva della proteina responsabile delle allergie. Che non è il pelo che fa starnutire, è la proteina distribuita sul pelo a vigorose leccate che gli conferisce questo potere di far lacrimare gli occhi e ponfare le cavità nasali. Va così.

E così sono partite le audizioni per trovare il Gattini del Cuore.

La prima concorrente provinata è stata una gattini tutta nera. Per arrivare alla sua dimora abbiamo cambiato in tutto tre tram, finendo poi in un complesso residenziale simile al labirinto del Minotauro, un posto circondato dal nulla, coi palazzi con le porte impossibili da trovare, i lampioni fiochissimi e la nebbiolina umida ad altezza polpaccio, tipo b-movie dell’orrore. Comunque, nella casa della gattini nera vivevano circa altri milleduecento gatti siberiani. Coricati ovunque, dai pensili della cucina alla cima dei lampadari, in un vorticare di pelo, polvere e crocchette masticate. La nostra potenziale gatta era un po’ secca e di pelo non molto poffoso. E pure iettatrice, forse. Ora, non ho mai avuto particolari pregiudizi verso i gatti neri, prima d’incontrare questa gattini. È anche vero che mai nella vita avevo preso una multa per non aver timbrato il biglietto su un mezzo pubblico. Poi niente, scendiamo dal millesimo tram e incappiamo in una falange armata di controllori ATM che, dovendo scegliere chi fermare tra me, un ciclope, una coppia di troll di caverna, un sosia di Kratos lo spartano, un borseggiatore con tanto di terzo braccio finto a tracolla, scelgono me. E al “signorina posso vedere il suo biglietto?” mi accorgo di aver dimenticato di timbrare. Ventisei euro di multa e l’insindacabile decisione che no, la gattini nera se la potevano pure tenere.

Il giorno successivo, animati da una fiducia quasi profetica, veniamo ricevuti dal gatto più bello e affabile mai vissuto – nero pure lui. E sulla via di casa decidiamo che si dovrà chiamare Ottone von Asgard, Ironcat Supremo.

Al secondo giorno dal suo insediamento sul trono, Ottone contempla il suo regno, coccolando i cuscini-frollini.

***

Il venerdì, giorno designato per il ritiro di Ottone, Amore del Cuore – già nel mood padre-modello – si reca al negozio di animali e acquista:

– cassettina pipìpupù con filtro antiodore, setaccio e porticina basculante
– lettiera magica (in pratica funziona che se un gatto fa una cacca o una pisciatina, la deiezione attira verso di sè tutta la sabbia che, formando una palla, si auto-isola dal resto della sabbietta pulita e può essere così agevolmente eliminata. Son questi i momenti in cui adoro la scienza)
– tiragraffi a due piani con topino penzolante incorporato
– due chili di crocchette
– venti scatolette al tonno e al pollo
– spazzola
– pupazzetto di topino frinfrillante
– trasportino…

AMORE DEL CUORE – Eh, avrei anche bisogno del trasportino.
ANIMALAIO – Ne ho di tre misure. Piccolo, medio e grande.
AMORE DEL CUORE – Quello piccolo potrebbe andare? È un gattino di quasi quattro mesi…
ANIMALAIO – Ma di che razza è?
AMORE DEL CUORE – Siberiano.
ANIMALAIO – HAHAHAHAHAHA, quello piccolo, HAHAHAHAHA! Ti dovrei già dare la misura grande!
AMORE DEL CUORE – …vabè, facciamo il medio.

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The cat is on the table.

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Eventi salienti e casistica casuale delle prime due settimane di convivenza con Ottone von Asgard.

– A Lotto Fiera, in un bel vagone affollato della metropolitana, Ottone von Asgard – ben avvolto in una copertina di PAIL rosso e inserito nel trasportino medio – decide di fare la pipì.

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Ottone, il gatto più preso male della Lombardia, appena giunto nella magione dei Tegamini del Cuore.

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– La prima sera, atterrito dall’ambiente sconosciuto, Ottone von Asgard respira velocissimo e sfiora più e più volte l’infarto. La mattina successiva lo troviamo incastrato nella nicchia delle scope e dell’aspirapolvere, luogo ritenuto molto più comodo e salubre del cestino imbottito predisposto per il suo sonno. E comunque, quando l’ho visto incagliato tra spazzole e palette, immobile e addormentato, ho gridato la seguente cosa ad Amore del Cuore: “È MORTO! ODDEEEEEO, È MORTOOOOOOOOOOH”. Poi ho pianto, perché era vivo.

– Ottone von Asgard elegge gli scaffali rasoterra della scala-libreria come nascondiglio strategico e dimostra di avere molto giudizio in fatto di letteratura: tra tutto quel che c’è, sceglie di masticare solo il Supercorallo di Accabadora di Michela Murgia.

La letteratura offre un salvifico riparo a Ottone von Asgard. E un po’ a tutti quanti, valà.

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– Ottone von Asgard non miagola, emette dei pigolii. Ogni volta che salta giù da qualcosa, i pigolii diventano molto simili agli SQUIK che fanno quei giocattoli gommosi schiacciabili e trombettanti . A ogni atterraggio corrisponde uno SQUIK. I suoni mutano nuovamente quando Ottone von Asgard deve imprimere una certa accelerazione al suo incedere: se inizia a correre o deve fare la scala in salita, Ottone von Asgard farà FRRRUIUIUIUI.
Tutta questa collezione d’espressioni sonore risulta più vicina ai versi di un qualsiasi Pokemon rispetto a quanto ci si potrebbe ragionevolmente aspettare da un gatto.

– Ogni volta che ti giri e vedi che c’è Ottone von Asgard, lo ami un po’ di più.

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Giorno 2: Ottone non riesce più a nascondere il suo buon carattere e passa la mattina a farsi avvolgere nell’amica vestaglietta.


Sempre nel glorioso giorno 2, Ottone si rovescia senza ritegno sui miei ospitali arti inferiori.
Và, non c’è nemmeno bisogno di usare Instagram, per far venire bene questo sublime felino.

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– Ottone von Asgard produce fusa istantanee appena lo tocchi e, in generale, si comporta come un pupazzo vivo. Sta in braccio, si ribalta in terra per farsi strafugnare la pancia ed è intimamente convinto di essere una pagnotta di pane.

– I film più graditi da Ottone von Asgard, in questo periodo, sono stati Zodiac e The Hurt Locker.

– Ottone von Asgard è riuscito nel miracolo di suscitare telefonate spontanee da parte di MADRE. Lei, che mai al mondo si sogna di chiamare per prima ma anzi, si lamenta sonoramente se non mi faccio sentire due volte al giorno, ebbene, da quando c’è Ottone, MADRE mi telefona. Per sapere come sta il gatto, ovviamente. Non paga, ha intimato a mio padre di utilizzare più spesso Face Time e ora, a giorni alterni, passiamo le serate e giocare con Ottone in videoconferenza.

– Ottone von Asgard, a seguito di un regolare consumo di scatolette inestimabili, è in grado di produrre flatulenze portentose. E sempre nelle immediate vicinanze del cranio di Amore del Cuore. O in presenza di amici e ospiti.

– Se una palla (da tennis, di carta o d’alluminio… basta che rotoli) finisce incastrata in qualche disagevole pertugio, Ottone non si sforza di tirarla fuori ma, semplicemente, la osserva con risentimento, attendendo che qualche servitore accorra per restituirgliela. Se ciò non accade, Ottone ne piange brevemente la scomparsa e torna a farsi le unghie nel tappeto.

– Quando è arrivato, Ottone pesava 2.1 chilogrammi. Ora siamo ingrassati di un etto. Da grande dovrebbe arrivare a pesare otto o nove chili (di cicciotte, pelo e fulgido amore).

– Nessun omino di Fifa12 può sfuggire agli artigli di Ottone von Asgard.

– Siamo tutti quanti percepiti come giganteschi giocattoli. Soprattutto io, in tenuta domestica con mocassino indiano fiocchettato e vestaglietta con cintura penzolante. La vestaglietta, anche se non mi contiene, è comunque amatissima.

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Ottone, sempre pronto ad aiutare nei lavori domestici.

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– Ottone von Asgard è l’unico che sa quel che deve fare quando suona la mia sveglia, alle 7. Quando suona, Ottone si presenta e salta sul letto, dando ufficialmente il via al festival delle coccolerie. Da una parte, Amore del Cuore ruzzola nella mia direzione e, oltre a dispensare abbracci e incoraggiamenti, tenta di gettarmi giù dal letto – importantissimo servizio – e, dall’altra, il gatto calpesta il telefono, mastica il filo della lampada, si capotta, mi assesta piccole craniate e unghia la trapunta.

***

Ti svegli, e vicino alle pantofole c’è questa situazione.

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– Tutta la bellezza del mondo, per Ottone von Asgard, si può trovare nel polistirolo espanso.


Il gatto Maru dovrebbe iniziare a temerci.

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– Data la particolare conformazione delle zampe – cuscinettate e foderate a ciuffoni di pelo anche sotto -, Ottone von Asgard non ha molta aderenza sul legno. Dopo alcune derapate poco dignitose, però, sembra aver compreso come sconfiggere la forza centrifuga e calibrare il proprio impeto per rimanere in carreggiata. MADRE, preoccupata per gli sbandamenti del nipote, si è comunque offerta di confezionare per Ottone dei guantini col gommino antiscivolo e lo spazio per cacciare comunque fuori le unghie.
Ve lo giuro.

– La prima volta che mi è salito sulla pancia e ha iniziato a fare la pasta con le zampe davanti ho gridato ad Amore del Cuore: “GUARDAAAAAAAAAA STA FACENDO LA PASTAAAAAA È TUTTA LA VITA CHE ASPETTO QUESTO MOMENTO!”.

– Se sei un umano e non sai che cosa fare, spazzola il gatto.

– Se sei un gatto e non sai cosa fare, mettiti comodo e contempla il declino della civiltà occidentale.

***

Insomma.
Amiamo follemente Ottoncino.
Lui crediamo ci tolleri.

Per chi fosse (giustamente) ignaro di tutto, dirò che sono andata a fare un giro a Oslo, qualche settimana fa. Pessima idea, andare in vacanza all’inizio del mese, a stipendio praticamente intatto. Vai in giro in mezzo ai fiordi e ti convinci di avere addirittura un po’ di potere d’acquisto… ma poi torni a casa e ti viene in mente che non hai ancora pagato l’affitto e, mentre ancora trascini il trolley nell’androne, scopri anche che sono arrivate le bollette. Amore del Cuore vive un perpetuo lapsus, quando c’è da pagare la luce e il gas:

TEGAMINI – Ma quand’è che c’è da pagarle, insomma?
AMORE DEL CUORE – Che cosa, le multe?

Comunque.
Per chi volesse leggersi tutta l’avventura e vedere un mucchio di foto bizzarre e gioiose, c’è tutto un post pieno di cose divertenti e indicazioni > Oslo: una mini-guida per gente buffa.
Per chi sa già tutto, invece, procedo senza indugi con lo sbandieramento degli irrinunciabili articoli acquistati in Norvegia. Perché se mai qualcuno proporrà di interdirmi, sarà ben necessario fornire alle autorità un ragguardevole malloppo di tangibili prove di squilibrio e scarsa attitudine allo stare al mondo.

Splendido.

Il primo palpitante oggetto trascinato in patria dalle terre di Odino è un capiente, pratico e inutile lunchbox di foresta.

Il cerbiattino parla con lo scoiattolo, mentre moltitudini di uccellini festanti e altri scoiattolini – sicuramente sodali di quello che chiacchiera – si agitano senza posa tra la rigogliosa vegetazione. Perché è vero che in ognuna di noi c’è una principessa Disney.

***

Siamo anche entrati in un negozio dell’usato. Mai visto tanti piatti di porcellana arzigogolata in vita mia. Ho addirittura pensato che mi sarebbe piaciuto moltissimo sceglierne a caso una dozzina e apparecchiarci la tavola per sempre. Che si sa, gli assortimenti vintage che simulano disordine fanno tanto “guarda che stile, e non ci sforziamo neanche”. Date le costrizioni sul bagaglio a mano, però, ho lasciato perdere piatti e piattini per lanciarmi su una coppia di incomprensibili uccellini. Burberi e gonfi come cornamuse.

VICHINGO DELL’USATO – Are you getting the birds, then?
TEGAMINI – Absolutely, they’re so pretty!
VICHINGO DELL’USATO – I know. They remind me of my grandma.
AMORE DEL CUORE – …seh, altroché ricordi, questi qua erano proprio quelli di sua nonna!

Mi chiedo da quanto sia morta, quest’anziana sconosciuta.

***

Ma il vero tesoro, ripescato da un vascello spezzato a metà dal tentacolo di un kraken di fiordo, è ben altro. Perché nei negozi di giocattoli norvegesi si trova di tutto. E ci sono anche i polli arrosto di peluche.

Nota bene, sia le ali che i cosciotti sono staccabili. C’è il velcro, così li puoi riappiccicare e mettere da parte gli avanzi… metti che qualcuno non riesca a finire quello che ha nel piatto (uno scandalo, con tutti i bambini che muoiono di fame in Africa). Per una corretta conservazione del pollo-pupazzo, poi, vi consiglio animatamente di cacciarlo in frigo.

Per tirarla ancora un po’ per le lunghe, vi racconterò anche che questo pollo era destinato a me. Lo scorso anno, in un negozio di giocattoli di Amsterdam – anche là, negozi di giocattoli straordinari, devono avere qualcosa, i nordici, per i giochi… che sia la maggiore prossimità geografica con Babbo Natale a ispirarli? – avevo visto un pollo di peluche uguale uguale. Stupidamente, però, avevo evitato di comprarlo. Sarà che stavamo andando a visitare la casa di Anna Frank… e probabilmente avrò pensato “non puoi andare alla casa di Anna Frank con un pollo di pezza in mano”. E niente, l’ho lasciato dov’era, rimpiangendolo amaramente per mesi. Poi niente, si è verificato questo miracolo norreno. Ed era pure l’ultimo rimasto. Insomma, il fato ha voluto che io e il pollo ci incontrassimo di nuovo. E questa volta non ho vacillato.

***

Ci eravamo anche presi benissimo con questi esotici cranio-pupazzi ma, si sa, Ryanair ti dissangua, se osi proporti al check-in con un bagaglio anche di poco più grande di una risma di fogli A4.
Il bufalo!
Parliamo del bufalo!
È straordinario, lontanissimo da casa mia, ma straordinario.

A differenza di quanto generalmente si creda, gli uomini del Medioevo sapevano osservare assai bene la fauna e la flora, ma non pensavano affatto che ciò avesse un rapporto con il sapere, né che potesse condurre alla verità. Quest’ultima non rientra nel campo della fisica, ma della metafisica: il reale è una cosa, il vero un’altra, diversa. Allo stesso modo, artisti e illustratori sarebbero stati perfettamente in grado di raffigurare gli animali in maniera realistica, eppure iniziarono a farlo solo al termine del Medioevo. Dal loro punto di vista, infatti, le rappresentazioni convenzionali – quelle che si vedono nei bestiari miniati – erano più importanti e veritiere di quelle naturalistiche. Per la cultura medievale, preciso non significa vero. Del resto, cos’è una rappresentazione realistica se non una forma di rappresentazione convenzionale come tante altre? Non è radicalmente diversa, né costituisce un progresso. Se non si cogliesse questo aspetto, non si capirebbe niente né dell’arte medievale né della storia delle immagini. Nell’immagine tutto è convenzione, compreso il “realismo”.

Michel Pastoureau
Bestiari del Medioevo

Saggi – Einaudi

***

La meraviglia. Questo libro è la meraviglia.
Sul nostro pianeta, Michel Pastoureau è la persona che più sa di zoologia medievale. Ed è anche la persona che te la sa raccontare meglio.
Suddiviso in sezioni che rispecchiano le classificazioni originarie dei bestiari miniati –  quadrupedi selvatici, quadrupedi domestici, uccelli, pesci e creature acquatiche, serpenti e vermi -, il super saggio di Pastoureau è divertentissimo da leggere e straordinario da guardare: ogni animale viene presentato ricostruendone le proprietà, i vizi, le virtù e le valenze simboliche che gli erano attribuite nel Medioevo. E ogni bestia-capitolo è accompagnato da una miriade di illustrazioni e riproduzioni di venerabili pagine. Le illustrazioni non solo aiutano a comprendere meglio l’universo di significati che ruota intorno all’animale rappresentato, ma vengono utilizzate da Pastoureau per espandere il discorso e avvicinarlo, allo stesso tempo, all’uso dell’illustrazione così com’era inteso nel Medioevo. Per dire, il cervo, reso impetuoso dal suo sangue caldo, non riesce quasi mai a star fermo dentro i bordi di una miniatura… e c’è sempre qualcosa che esce, uno zoccolo che spunta, un corno che sconfina. Il testo di ogni Bestiario continua a raccontare delle cose (utili e didattiche per l’uomo Medievale) anche attraverso le immagini, che non sono solo un ornamento, ma un necessario proseguimento della trattazione.
Quadrupedi selvatici e domestici, uccelli, pesci, serpenti e vermi, si diceva. In questo libro, così come nei Bestiari europei che Pastoureau ha analizzato, troviamo bestie comuni, o meglio, bestie comuni per la sensibilità dell’uomo Medievale, con sporadiche incursioni di creature mitologiche. Ci sono l’aquila, l’asino, il bue, il gatto, la lupa… ma pure il leone, l’elefante. Animali che per noi, oggi, sono esotici abitatori della savana, nel Medioevo erano o molto presenti nell’iconografia – e quindi reali, roba da tutti i giorni – o attrazioni formidabili che poteva capitare di vedere, almeno una volta nella vita. I sovrani si scambiavano doni di ogni genere, inclusi orsi polari – dispensati con grande generosità dal re di Norvegia -, e l’arrivo di queste creaturone era spesso un evento per gli abitanti di sterminati territori, attraversati spesso e volentieri anche da serragli itineranti, gioia infinita per grandi e piccini. Insieme a queste apparizioni da documentario, i Bestiari, anche quelli di zoologia “standard”, non specializzati in mostri e mitologia, includevano spesso gli animali leggendari come l’unicono, la manticora, il centauro… capitava perché un milione di diverse tradizioni e variegate testimonianze dirette – da Plinio in poi – ne parlava e li raffigurava come il più reale dei conigli da cortile, giudicandoli al massimo un po’ più “rari” e difficili da scorgere del benedetto coniglio. Altro fattore, a rendere del tutto equivalenti gli animali (per noi) veri da quelli (per noi) mitologici, è l’onnipresente strato di insegnamenti e significati religiosi che la società Medievale utilizzava per interpretare il comportamento degli animali, trasformandoli in esempi di vizio o virtù.

Cavolo, se ho studiato.

Al di là di tutta questa erudizione, Pastoureau rende avvincentissimo anche il più scalognato dei serpenti di mare. Ogni animale è una minera di divertimento e stupefacenti rivelazioni, tra incredibili metafore cristiane, orribili pregiudizi e grande disapprovazione per gli appetiti sessuali più smodati (peste vi colga, se vi comportate come la lupa!).

Qualche pagina, così vi innamorate pure voi.
Và, che storia.

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Per i bestiari, (il riccio) è una bestia “nociva”, “avida e piena di spine”, che cerca di rubare l’uva dalle vigne. Quando è matura, il riccio si dirige furtivamente nel vigneto, scuote i pampini, fa cadere i chicchi e ci si rotola sopra: gli acini gli si conficcano negli aculei, conferendogli l’aspetto di un pesante grappolo; il riccio, allora, torna nella tana col bottino e si rimpinza a volontà. E’ un ladro che, come il cinghiale biblico, “devasta le vigne del Signore”. I bestiari ne fanno un ritratto negativo, molto lontano dall’immagine che ne abbiamo noi oggi.

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Altre proprietà restano più enigmatiche, non essendo state commentate a sufficienza. Secondo i bestiari, il leone ha paura di un unico animale, il gallo bianco, e due cose sole lo spaventano: il fuoco e il cigolio delle ruote di un carro. Da dove viene questa credenza, presente già in Solino? Che senso ha? Non lo sappiamo. E poi, perché il gallo bianco, e solo lui, fa paura al leone? I bestiari non ce lo rivelano direttamente, ma ricordano che fu un gallo ad accompagnare per tre volte con il suo canto il rinnegamento di Pietro (associato al leone) e che, da allora, tutti i galli accompagnano con il loro verso lo scoccare delle ore del giorno in onore di Dio. Al crepuscolo, quando il gallo tace, scende la notte con il suo corteo di demoni malefici: la notte è nera, il gallo è bianco.
Il leone si distingue anche per altre caratteristiche, meno diffuse. Quando è arrabbiato, pesta per terra: è Dio che colpisce gli uomini per allontanarli dal male; castiga coloro che ama. Quando vuole andare a caccia, traccia un cerchio con la coda; tutte le bestie che vi entrano non vogliono più uscirne: il cerchio è il paradiso; la coda la giustizia divina; le bestie gli eletti chiamati in Cielo.

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Quelli a sinistra, anche se non si direbbe, sono struzzi. E non importa che non somiglino a com’è davvero lo struzzo, per dire: “la maggior parte degli autori presenta lo struzzo con testa e corpo da uccello, ma gli attribuisce zampe da cammello. Altri lo assimilano al misterioso camaleonte, creatura polimorfa che cambia colore a suo piacimento. Del resto, non soltanto non vola, ma non costruisce nemmeno il nido. Non può essere un uccello!”
Altre magimagie dello struzzo:

Stando ai bestiari, lo struzzo può ingoiare qualsiasi cosa. Il suo stomaco è in grado di digerire tutto, anche il metallo: la sua natura calda fa sciogliere ciò che vi si introduce, come in una pentola. Di qui, nelle immagini, la scelta di un attributo metallico che aiuta a riconoscere lo struzzo: un chiodo o un ferro di cavallo nel becco.

Lo struzzo depone uova enormi, che non cova: le nasconde sotto la sabbia del deserto, poi le dimentica, preferendo passare il tempo a guardare le stelle. Per alcuni autori, la femmina è una cattiva madre, pigra, smemorata, indifferente. Altri le trovano qualche giustificazione: è così pesante che schiaccerebbe le uova, se le covasse; spetta dunque al sole riscaldarle con i suoi raggi.

Quelle a destra, invece, sono gru. Occhio a quella davanti, col sasso nella zampa.

Tutti i bestiari raccontano che durante i loro lunghi viaggi le gru si posano a terra per dormire. Una sola monta la guardia, e per non scivolare nel sonno stringe un sasso con una zampa. Se si addormenta, la pietra cadrebbe sull’altra zampa e la sveglierebbe.

La gru, paladina dei Metronotte.

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Sembra un libro di favole. Ed è anche scritto come un libro di favole. Solo che è anche un saggio storico, una bellissima collezione di immagini che mai al mondo avrei sospettato che i miniatori del 1200 potessero fare pavoni così “moderni”, un’avventura artistica, un trionfo per i curiosoni e uno spaccato di vita quotidiana in un tempo lontano… molto meno buio di quanto siamo abituati a pensare.
Insomma, io mi sono divertita immensamente. E ho anche scoperto che le donnole venivano ritenute molto più abili dei gatti a cacciare i topi. E ora so anche perché i delatori li chiamiamo “corvi”. Ma è lunga da spiegare, bisognerebbe avvalersi di una volpe e di una foresta… e poi Pastoureau è molto più bravo a raccontarvelo. Vi affido a lui, senza indugi.
Fatevi un regalo. E campate mille anni, come il cervo.

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Saltelliamo sul posto con inaudito entusiasmo, perchè gli animali tornano a fissarci con intensità!
Dopo il miracoloso alpaca, il narvalo spezzacuori, il provocante babirussa, quella cretina della sula e l’agghiacciante nerita peloronta, Gli animali ti guardano – la rubrica che salverà l’etologia moderna – ci delizia con una nuova bestia del mare, il gelatinoso clione, meglio (e più correttamente) conosciuto come Sea Angel (feat. Pitbull).

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o triste abitatore della terraferma, fluttua con noi, squiiiiiiiiii!

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Tecnicamente, l’angelo di mare è un gasteropode. Da qualche parte nel bel mezzo della magia dell’evoluzione, una lumaca ha perso il guscio ed è cascata in mare. Ben conscia di andare a fondo come una pietra, la nostra lumaca sgusciata ha pian piano cacciato fuori delle pinnette e, tanto per non essere individuata a milioni di miglia di distanza, è impallidita fino a diventare trasparente. La trasparenza, c’informano alcuni studi in gran parte apocrifi, sarebbe anche sopraggiunta a causa degli innumerevoli spaventi patiti dall’angelo di mare agli albori della sua esistenza subacquea, quando ancora aveva qualcosa in comune con le bavose lumache mangialattuga e non aveva la minima idea di cosa fare nell’immensità dell’ostile oceano.
Mai poi tutto è finito bene.
Gli angeli di mare sono una grande famiglia. Presenti a quasi tutte le latitudini (dal circolo polare alle acque danzerine dell’Equatore) possono raggiungere l’imponente lunghezza di cinque centimetri e sono strenui sostenitori di un modello esistenzial-economico a metà tra l’autarchia e la società schiavistica. Orgogliosamente ermafroditi, i Sea Angels sparpagliano uova a spruzzo e ci saltano in mezzo per fecondarle, senza una preoccupazione al mondo. Oh, dove sarà la metà del mio cuore, il clione della mia vita? Perbacco, ma sono sia maschio che femmina, a che mi servono queste scemenze romantiche, amerò me stesso nell’immensità del mare! La servitù della gleba, invece, subentra sul fronte alimentare. Non si sa bene come, ma i Sea Angels sono riusciti a convincere una specie a loro molto somigliante – le ghiotte farfallette di mare – a seguirli ovunque, come un carrello da buffet con le ruote. E così, senza manco un po’ di sudore o strategia predatoria, i Sea Angels vivono in armonia col loro cibo, che divorano con efficienza senza pari: dotati di boccuccia uncinata, i piccoli bastardi arpionano le farfalle di mare e succhiano il contenuto del loro fragile esoscheletro come ragazzine col Calippo, per poi tornare a fluttuare serafici in placide lagune increspate dai loro ruttini soddisfatti.
Ora, perchè la farfalla di mare si fa trattare così? Cosa la spinge a farsi svuotare le interiora da un dispotico e fluorescente mostricciattolo, senza opporre la minima resistenza, senza buttare in piedi una qualche manifestazione di protesta, senza uno straccio di sollevazione popolare?
La verità è che la farfalla di mare è vittima dei poteri ipnotici del Sea Angel. Per farvi capire, c’è pure un video dall’inestimabile contenuto didattico (con speaker già del tutto assuefatto).

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Guardare un Sea Angel in movimento spappola il cervello. Quelle adorabili pinne ad aluccia. Quell’ondeggiare pacifico e silenzioso. Quel ritmico frullare e andare alla deriva. E ciao, lobotomia, sistemi nervosi disgregati, bava alla bocca e occhio a palla.
Ma pensiamoci. Perchè magari non riusciremo a salvare le farfalle di mare dalla voracità dei Sea Angels, ma potremmo trasformarli in un business più redditizio delle pompe funebri.
Quel che servirà per cominciare è un acquario speciale per clioni. Costa 1500 dollari, ha le istruzioni solo in giapponese ed è l’unico recipiente che non ammazzerrà i vostri malefici Sea Angels, ma saranno soldi ben investiti… che diamine, dov’è il vostro spirito imprenditoriale. Perchè i clioni e le loro proprietà ipnotiche vi renderanno più ricchi di Gordon Gekko. Come? Ecco una pratica lista di possibili attività clioniche milionarie.

– pagate da anni una tata ubriacona o una giovane babysitter irresponsabile che passa le sue serate sul vostro divano mentre le creature che avete messo al mondo picchiano ripetutamente la testa contro gli spigoli senza che nessuno intervenga a salvarle? Tutto questo è superato, perchè i vostri bambini non avranno più bisogno di essere guardati a vista da gente che se ne frega: con i Sea Angels, l’incubo dell’iperattività potrà essere finalmente debellato. E poco importa se avete promesso un cagnolino in regalo, una bella tanica di clioni è quello che serve davvero a ripristinare la concordia in famiglia. Prendete i vostri figli, sedeteli davanti all’acquario e andate a farvi il giro dei bar… al vostro ritorno li troverete dove li avete lasciati, catatonici, mansueti e adorabili, pronti per andare a nanna come sacchi di patate.
Più economici di una tata (e sicuramente più intonati all’arredamento): Sea Angels, le babysitter del domani!

– l’open-space vi sembrava una grande idea, ma siete stanchi di guardare i vostri dipendenti che agonizzano in minuscoli cubicoli sotto la luce cimiteriale del neon? C’è gente che si alza in piedi e grida all’improvviso, ormai del tutto incapace di contenere la propria ansia tra quelle tre sconfortanti paretine piene di foto delle ferie e margheritoni a calamita? C’è agitazione e scoglionamento? Quello che vi serve non è una nuova macchina del caffè, ma un bell’acquario di clioni! Studi scientifici dimostrano che la produttività degli uffici che godono del benefico influsso dei Sea Angels è del 24,6% superiore rispetto agli spazi di lavoro tradizionali.
Regalate un’oasi di pace ai vostri impiegati, perchè un dipendente sereno è un dipendente più efficiente. Vasche per clioni, ora anche nel formato panoramico da dieci litri, per un open-space davvero a misura d’uomo!

– c’è la crisi, ci si agita e ci si allarma. E drogarsi è sempre più costoso, nonchè complicato dal punto di vista dell’approvvigionamento e delle rogne legali. Volete qualcosa che vi asfalti e vi aiuti a non pensare tutto il tempo al disastro della vostra esistenza? Buttate gli ultimi soldi che vi restano in una solida fornitura di Sea Angels. Placheranno i vostri sbalzi d’umore, vi stenderanno come la morfina e, nell’annullare le vostre capacità cognitive, risparmieranno il resto dei vostri organi dallo scempio.
Stupefacenti Sea Angels, nella variante strobo-acquario per un’esperienza piacevolmente allucinatoria!

Ma c’è di più. Sea-Angels antisommossa (la folla è in subbiglio? Mandate avanti una squadra di agenti con pettorine trasparenti, piene zeppe di clioni… e tutto quello che dovrete fare dopo sarà passare per strada con una benna e raccogliere i manifestanti rintronati), Sea-Angels per trasporti in ritardo (stufi dei pendolari inferociti? Vasche di clioni per stazioni!), Sea-Angels da diversivo (volete copiare ma la professoressa vigila con troppo zelo? Proponete l’acquisto di un acquario di classe!).
Diavolo, quei maledetti cosi sono il business del domani… e c’è pure una solida componente di social responsibility (liberiamo le farfalle di mare dal vorace giogo dei Sea Angels!) che piace tanto agli investitori. Insomma, ci sarà pure un qualche fondo dell’Unione Europea a cui potremmo appellarci per buttare in piedi una società per l’allevamento e la distribuzione di clioni. Già me la vedo, la quotazione in borsa, l’attico su Park Avenue, la cabina armadio retroilluminata. Un sogno, qua c’è un sogno! Porteremo gli invertebrati alle masse!
…e poi, sono così carini.

 

Andare al lavoro a piedi mi fa contenta. Tanto per cominciare, dimezza le difficoltà principali della mattina. Prima, che abitavo in un posto più lontano e dovevo prendere il tram, le mie difficoltà mattutine erano almeno due, per citare le più gravi: trovare la volontà per alzarmi + fronteggiare l’indole volubile e incostante di un mezzo pubblico. Ti metti lì sotto la pensilina, vestita e pettinata come si può vestire e pettinare una persona che ha appena trascorso cinquanta minuti a schiacciare SNOOZE, ti metti lì e aspetti, senza sapere quel che succederà – perchè alla mia fermata di San Paolo mica c’era l’erotico display che ti dice quanto manca -, stai là e ti disponi all’attesa, senza poter decidere se arrivare o non arrivare in puntuali in ufficio. I mezzi pubblici sono un ricettacolo di calamità e, quel che è peggio, riescono a renderci persone detestabili. Una volta, ad esempio, avevo aspettato il 15 per fai venti minuti… ero salita, mi ero incastrata in fondo, tra una porta e il baracchino per obliterare, e stavo lì tranquilla, a metabolizzare quel che prevedevo sarebbe diventato un ritardo di cinque minuti, che mi andava ancora bene. Ecco perchè, quando una sconosciuta passeggera è svenuta come un cappone bollito nello snodo tra la prima e la seconda vettura, tutto quello che sono riuscita a pensare è stato “ma con tutti i tram che c’erano, la gente deve venire a morire proprio sul mio?”
Ecco, son cose brutte, che non si dovrebbero mai e poi mai nemmeno immaginare. E lo so, è comodo dare la colpa all’esasperazione prodotta dalla perenne inaffidabilità del trasporto pubblico, si inizia così e si finisce a tifare per la pena di morte e per i totalitarismi deresponsabilizzanti.
Comunque.
Quel che cercavo di dire è, come al solito, un’altra cosa. Se col mezzo pubblico le difficoltà della mattina sono A) alzarsi B) governare l’indeterminabile (lottando per la propria integrità morale), se si va a piedi l’odiato fattore B scompare per magia. Ho dovuto traslocare, per eliminare B, ma ne è valsa la pena. E non lo dico perchè mi piaccia particolarmente attraversare l’incrocio con l’aria più plumbea di Torino o perchè il camminare mi permetta di afferrare un qualche tipo di svolazzante sottotesto filosofico. La verità è che cammino volentieri verso l’ufficio perchè tutte le mattine posso incontrare il mio personaggio preferito di sempre: il portinaio marsupiale.

Il portinaio marsupiale – cinquant’anni o giù di lì, grossi baffi e corporatura di una certa imponenza – lavora in uno di quei distinti palazzi col super portone di legno e le vetrate da gente come si deve. L’androne, che poi è anche il passaggio per le macchine che devono entrare e uscire dal cortile, è tutto di pietra un po’ scavata dalle ruote di centinaia di veicoli benestanti. Il portinaio marsupiale sta lì, mezzo nell’androne e mezzo sul marciapiedi, con la scopa in mano e uno yorkshire terrier a tracolla.
Di quel cane io ho sempre visto solo la testa. Il portinaio lo tiene dentro a una borsa-secchiello e non se lo toglie mai dalla spalla. Spazza, lava, pulisce e commenta la viabilità sempre col cane a tracolla. La bestia è, ovviamente, bella solo per lui: è uno di quei barboncini unti, un po’ canuti e inespressivi, che somigliano tantissimo a dei piccoli moci-rasta. Non so che cosa ne pensi il cane, della prigonia nella tracolla, ma per il portinaio è fondamentale tenerlo lì, tra la costola e l’ascella. Gli parla continuamente, gli racconta che cosa lo fa arrabbiare e che cosa bisogna fare, lo usa da platea per rimbrottare chi gli butta le cicche davanti al portone e per commentare i culi delle tizie che passano. Il barboncino non fa una piega, ma si vede che il portinaio apprezza la sua silenziosa disponibilità all’ascolto. A modo loro, sono una coppia affiatata, una coppia da sit-com: con la pioggia e col sole, il portinaio marsupiale non è mai stato visto senza il suo cagnetto.
E questi sono i fatti, ma credo ci sia anche del mistero. Penso spesso al portinaio marsupiale e queste, all’incirca, sono le cose che ho ipotizzato:

– il cane non è un cane intero, è un cane che ha solo la testa. Il portinaio lo tiene nella borsina perchè è l’unico modo per trasportare in giro una testa di cane e farle conoscere il mondo.
– se il cane è tutto intero (anche se non credo), dove trova sollievo nelle sue funzioni corporali? Che la tracolla contenga un avanzatissimo sistema di smaltimento delle scorie, qualcosa che solo gli astronauti utilizzano correntemente? Che, dunque, il portinaio sia stato astronauta, riuscendo così a carpire tale mirabile tecnologia per convertirla ai suoi fini?
– se il cane è tutto intero (anche se non credo), sarebbe capace di camminare da solo, vista la perenne reclusione nella borsa con conseguente atrofizzazione dei quattro piccoli arti?
– è il cane (intero o non intero) a controllare il portinaio marsupiale, come uno di quei parassiti che manipolano la mente dell’ospite? Quest’ipotesi spiegherebbe la simbiosi (il controllo del parassita sull’ospite non stai in piedi, se le due entità non collimano) e il sovradimensionamento del cranio del barboncino rispetto al resto del suo – presunto – corpicino peloso (il controllo della mente è, di sicuro, reso possibile da una scatola cranica capiente, in grado di contenere un cervello più grande del normale).
– in subordine a tutte le altre – ben più plausibili – spiegazioni, potremmo osservare che quella tra portinaio e unticcio yorkshire terrier sia una sincera amicizia, una di quelle relazioni solide e consolanti che sbocciano solo dall’incontro tra anime affini e sensibili. Magari il portinaio ha perso ogni fiducia nella razza umana e trova conforto solo nella presenza fedele e disinteressata del cane. Magari il cane era un poco di buono e il portinaio l’ha salvato dalla strada, meritandosi l’eterna gratitudine della bestiola che è riuscito a redimere.

Non so bene che pensare, ma confido di proseguire alacremente nell’indagine… tanto vado sempre al lavoro a piedi. E lì davanti al portinaio marsupiale ci passo per forza.

 

Come tutte le persone dall’irrisorio potere d’acquisto, mi affeziono con caparbia costanza alle stupidaggini più costose mai partorite dal design. Finte mensole a forma di libro, squali che diventano sacchi a pelo, coralli di plastica incastrabili tra loro fino a produrre muri prensili, alzatine barocche in plexiglass fluo, canguri a dondolo, librerie fatte a slitta, amplificatori a forma di corno tonante da paladino della prima Crociata, vasellame di ceramica fatto per somigliare alla volgare carta, vasi di marmellata che diventano lampade, gabbiette per uccelli smaltate di bianco, cuscini che sembrano cioppi di legno da ardere.
Non ho giustificazioni plausibili. Dai due ai ventitrè anni ho dormito in un letto a barchettone del diciottesimo secolo – costruito per gente che mai si sarebbe sognata di arrivare al metro e settanta – e convissuto con un lampadario Barovier & Toso che MADRE spolverava pezzo per pezzo, scusandosi per averlo villanamente disturbato. Quand’ero alle elementari ci ho tirato dentro una pallonata, nel Barovier, rischiando la deportazione coatta all’orfanotrofio. Insomma, non dovrebbero piacermi gli sgabelli zoomorfi, ma le mie simpatie galoppano su praterie di spontaneità sconfinata. Soprattutto perchè lavoro di fronte al più improponibile ed esoso negozio d’arredamento della città, un posto che vende letti sormontati da capsule spaziali rosa confetto e accetta solo carte di credito – senza però nascondere una marcata predilezione per i gruppi sanguigni rari, tipo AB negativo. Per nulla toccata dall’entusiasmo-saldi e fierissima del mio intatto bilancio – dopo aver camminato per sette ore e visitato gli esercizi commerciali più disparati, sono riuscita a comprare solo un pezzo di focaccia -, ho finalmente deciso di suonare il campanello e andare a chiedere lumi sui sublimi seggiolini a pecora che mi affascinano da mesi… potessero bruciare loro e chi se li è inventati.

Gli ovini ci allietano in ben tre formati: pecorone, pecora, agnellino. Il più economico, l’agnellino, costa la gran bellezza di 330 euro.
E va bene, è fatto di pregiato legno. Va bene, è rivestito di lana vera e guarnito d’orecchie di pelle. E  posso comprendere che l’abbiano esposto al MoMA e che sia ormai cavalcato da ogni genere di celebrity fresca di disintossicazione da lecca-lecca psichedelici e pronta a tuffarsi nel quinto divorzio. Posso capire, ma non riesco a condividere. Perchè una pecora viva – adulta, vaccinata, pasciuta e sgambettante – costa sui 150 euro, se proprio si vuole una bestia col full-optional. Con 330 euro si compra un piccolo gregge o un pecorone più consorte gravida. O la pecora più il falegname che le costruisce la casetta. 330 euro sono una somma fantastiliardica e offensiva, che mi trasformerebbe in una palla d’astio rotante: continuerei a fissare l’ovino finto in attesa di un belato, aspettandomi come minimo un prodigio, dopo averci investito tutti quei soldi. Perchè non beli, agnellino finto? Perchè non vuoi pascolare? Perchè non ti s’infoltisce la lana? Voglio tosarti e tramutarti in maglione! Voglio vederti zompettare su una maledetta collina baciata da un tiepido sole. Che diamine, 330 euro per un mesto simulacro d’agnello? Datemi un collie, un declivio e un paio di scarponi… e tenetevi i vostri mobili.

Dopo aver strabiliato le genti del mondo con le prodezze dell’alpaca, la patologica idiozia della sula dai piedi azzurri, l’eroico struggimento del narvalo e il ripugnante grugno dell’infernale babirussa, l’acclamata rubrica “Gli animali ti guardano” torna a illuminare le vostre esistenze con una nuova spedizione nei recessi faunistici più oscuri del nostro bel pianeta.
Oggi, con coraggio e autentico spirito dell’avventura, ci occuperemo di una delle creature più infide dei sette mari: la Nerita Peloronta, la lumaca che vorrebbe strapparci gli occhi a morsi e dilaniare le nostre carni.

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Umani, non avete scampo!

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Provo una sincera avversione gastronomica nei confronti dei molluschi del mare. Eʼ una sensazione di schifo puramente legata alla masticazione: quello che mangio deve avere un livello minimo di stabilità molecolare e una polpa compatta, concentrata in un confine ben delimitato e rassicurante. Non cʼè al mondo niente di più spaventoso di unʼostrica, una roba che si deve inghiottire per scivolamento. Ed è proprio la consistenza a mettermi addosso questʼinfinito malessere: si va dal blando mollicciume delle conchiglie liquefatte alle temibili creature che associano mollezza e gommosità, come le lumache dʼacqua salata. Ne ho mangiata una quando avevo dodici anni e me lo ricordo ancora adesso.
Eravamo a Nizza, in uno di quei ristoranti con il vascone pieno di pesci fotonici e lʼarredamento da veliero pirata. Il papà del mio amichetto della spiaggia era un tipo metodico, inghiottiva bottigliate di Fernet Branca a orari poco consoni, ma era un signore davvero risoluto. Dopo aver pescato una lumachina da un mucchio di bestie col guscio, aveva trafitto la polpa scura con un forchetta molto piccola e, con unʼabile rotazione del polso, era riuscito a tirare fuori dalla conchiglia una roba brutta, storta e bagnaticcia. Poi, tutto garrulo, me lʼaveva cacciata in gola. A due decenni di distanza dallʼepisodio, anche se provo un travolgente stupore per qualcosa, mi guardo ben bene dallo spalancare la bocca.

 

Come il borametz, la mandragora confina col regno animale, perchè grida quando la svellono; questo grido può far impazzire chi lo sente (Romeo e Giulietta, IV, 3). Pitagora la chiamò antropomorfa; l’agronomo latino Lucio Columella, semiuomo; e Alberto Magno potè scrivere che le mandragore figurano l’umanità, con la distinzione dei sessi. Prima, Plinio aveva detto che la mandragora bianca è il maschio e la nera è la femmina. Quelli che la colgono, aveva anche detto, le tracciano intorno tre cerchi con la spada, e guardano a ponente; l’odore delle foglie è così forte da lasciare ammutoliti. Sradicarla, era mettersi a rischio di spaventose calamità; nell’ultimo libro delle sue Antichità Giudaiche, Flavio Giuseppe consiglia di ricorrere a un cane addestrato. Sdradicata la pianta, l’animale muore; ma le foglie servono a usi narcotici, magici ed emollienti.
La presunta forma umana delle mandragore ha suggerito alla superstizione l’idea che crescano al piede dei patiboli.

La mandragora

Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero
Manuale di zoologia fantastica
Einaudi – ET Scrittori

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Non so da dove cominciare, con questo libro, “un’opera, come altre di Borges – scrive Glauco Felici nella prefazione – difficile da collocare all’interno di un genere determinato e concluso: un compendio di nozioni mitologiche, paragonabile a uno scolastico Dizionario delle favole per uso de’ fanciulli; o il dotto divertissement d’un appassionato di creature (e scritture) fantastiche; o, semplicemente, l’ennesima occasione per praticare la letteratura”.
Ma in fondo, che ce ne importa.

Quel che importa davvero è scoprire che l’anfesibena “è serpente con due teste, una al suo luogo e l’altra sulla coda; e con le due può mordere, e corre via con leggerezza, e i suoi occhi brillano come candele”. Ma anche che sia Keplero che Giordano Bruno pensavano ai pianeti come a grandi animali tranquilli, animali sferici dal sangue caldo e dalle abitudini regolari, dotati di ragione. Scopriamo pure che le antilopi dell’alba dei tempi avevano sei zampe invece di quattro e che, grazie a tutte quelle estremità, erano quasi impossibili da raggiungere. Per ripristinare un po’ di giustizia, il dio Tunk-poj decise di mettercisi d’impegno e, dopo aver costruito dei super pattini col legno di un albero sacro che scricchiolava molto, ne catturò una e le mozzò un paio zampe, perchè “gli uomini diventano ogni giorno più piccoli e deboli. Come potrebbero cacciare le antilopi a sei zampe, se io stesso appena ci riesco?”. Impariamo che le arpie sono schifose e pallide di fame, che l’ambra in realtà è la cacca dell’asino a tre zampe e che il Baldanders è un mostro “successivo”, perchè si trasforma continuamente in qualcos’altro. Al nutrito sottoinsieme delle creaturone appartiene il Bahamut, immenso e splendente, che regge il mondo sul suo dorso di pesce. E con discreta fatica, se pensiamo che sopra al pesce c’è un toro, e sopra il toro una montagna di rubino, e sopra la montagna un angelo, e sopra l’angelo sei inferni, e sopra gl’inferni la terra e sopra la terra sette cieli. Il basilisco del Medioevo era un gallo dalle piume gialle, con le ali coperte di spine e la coda di serpente. Quel che rimane costante nei secoli è però lo sguardo che pietrifica – ogni serpente che si rispetti è nato dal sangue di Medusa – e la capacità di rendere deserto e sterile ogni luogo stupido abbastanza da ospitarlo. Il borametz è un ibrido tra il vegetale e l’animale, una pianta con quattro o cinque radici e le fronde ricoperte di lana, è un albero-agnello, che i lupi divorano con grande passione. Il Cerbero ipotizzato da Esiodo aveva cinquanta teste, ma il numero fu ridotto a tre “per maggiore comodità delle arti plastiche”. Una roba che non mi ricordavo è che l’ultima fatica di Ercole consisteva nel cavare il Cerbero dall’Inferno e portarlo in superficie, alla luce del sole. Lucrezio argomentò l’impossibilità dell’esistenza del centauro osservando che un cavallo di tre anni è un cavallo adulto, mentre un bambino di tre anni è solo un “fantolino balbettante”. A mettere insieme due creature con tale disparità di ritmi di sviluppo, il pezzo di sotto del centauro morirebbe circa cinquant’anni prima del pezzo di sopra.

E via così, creatura dopo creatura, ripescando tradizioni mitologiche occidentali e orientali, richiamando testi classici e strampalate testimonianze di viaggiatori.
Insomma, fate un favore alla vostra immaginazione e leggetele questo libro.