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Nota strutturale
Esordirò facendo del mio meglio per spiegare come funziona un’accademia di spada laser, deliziandovi nel mentre con svariate testimonianze fotografiche e pure un video FAVOLA. In coda troverete tutti i riferimenti utili per contattare Ludosport, più i link a due lezioni di prova che abbiamo organizzato per fare cose insieme.
Basta, ho finito.
Leggete felici.

*

I festeggiamenti per il mio ultimo compleanno – ormai risalenti al mese di marzo – verranno ricordati nei secoli come i più propizi di sempre. Non perché ci siano state feste mirabolanti o particolari occasioni mondane d’aggregazione, ma perché Amore del Cuore ha tirato fuori dal cilindro il regalo perfetto. Anzi, ha prontamente risposto a un’imbeccata che non credevo avrebbe mai raccolto. Un po’ perché è spesso disorientato dalla massa informe e mobilissima dei miei interessi e un po’ perché di cose ne dico tante, ma poi è raro che mi applichi. Ebbene, a questo giro no. A questo giro sono diventata una baldanzosa guerriera armata di spada laser.
Perché sì, l’umanità avrà pure inventato il crossfit, ma là fuori ci sono anche delle accademie che ti insegnano a combattere con la spada laser. E pure bene.

Ma procediamo con ordine.
Combattere con la spada laser, IN CHE SENSO. E dove, di grazia?
Fondata a Milano nel lontano ma vispo 2006, l’accademia Ludosport si è prefissata il compito di creare un solido ponte tra immaginazione e concretissime pratiche sportive. La domanda degli esordi è un po’ stata la seguente: è possibile trasportare nel mondo “reale” un’arma inesistente, che risponde a precise leggi fisiche che ancora non governiamo (nostro malgrado)? Sembrerebbe di sì. Con le dovute accortezze.
Partendo da presupposto che una spada laser VERA non solo non ha peso (perché è fatta di energia), ma non ha nemmeno il filo (perché è in grado di “tagliare” in qualsiasi modo), i valenti fondatori dell’accademia hanno escogitato nove stili di combattimento fatti di attacchi, difese e movimenti capaci di rispondere in maniera efficace alla natura immaginaria dell’attrezzo. E, cosa ancor più importante, sono riusciti a strutturare un insieme di regole e di valori che permettono a tutti quanti di imparare e di competere col maggior spasso possibile (tenendosi anche abbondantemente alla larga dal Pronto Soccorso).

E qui penso sia utile una parentesi autobiografica.

Sono sempre stata una sportiva. Dalla più tenera età agli anni (zoppicanti) del lavoro, ho giocato a tennis e ho sciato a vari livelli di intensità e agonismo. Mi sono sempre cimentata in sport individuali, dove non solo non c’erano vere e proprie squadre a cui appartenere, ma c’era anche un’interazione piuttosto scarsa con gli altri partecipanti. E, per anni e anni, non sono nemmeno stata in grado di concepire la possibilità di fare qualcosa di diverso. Gioco a tennis da tutta la vita, ma ti pare che mi metto qua a fare una roba nuova a trent’anni? Ma per carità, troppo sbattimento.
Ecco. Ora la situazione è questa:

La gratitudine che nutro nei confronti di Amore del Cuore per il donone che mi ha fatto è vastissima anche per questo. Io, da sola, forse non mi sarei iscritta davvero a un’accademia di spada laser. Forse avrei lasciato prevalere la componente culo-pesante della mia personalità. O, di certo, non mi sarei orientata su un’attività che prevede un contatto così spiccato con gli altri. Perché è con gli altri che ci si confronta. Ed è solo con l’aiuto degli altri che si impara.

Al di là di quanto ci si sente FAVOLA a maneggiare con cognizione di causa una spada laser appositamente progettata per assisterti in combattimento – spada laser che si illumina, fa un gran rumore (GIUSTAMENTE!) e ha anche un corroborante peso specifico –, la scoperta più grande credo proprio sia stata quella: lo spirito di squadra. E la distinta percezione di quanto sia significativo intraprendere un’attività del tutto nuova con il supporto di altri esseri umani.
In Ludosport non si usano particolari protezioni – a parte i guanti. Non c’è un corso per le femmine e un corso per i maschi. Così come non ci sono competizioni riservate agli uomini separate da quelle per le donne. Non è una faccenda di forza, perché una spada laser non è un’ascia di 14 kg concepita per spaccare calotte craniche, ma si maneggia comunque un tubo di policarbonato dall’indubbia solidità materica… e se t’arriva sui denti lo senti.
Ecco, il punto è proprio quello: nessuno tenterà di proposito di sbattertelo sui denti, anzi.
Perché non è previsto.
E perché non sei strutturalmente portato a ritenere chi combatte con te un Nino Sarratore da trucidare.

I valori a cui accennavo prima non sono una versione condensata degli insegnamenti di maestro Yoda – anzi, Ludosport è un posto assolutamente “laico” rispetto a Star Wars, nonostante ci siano le spade laser -, ma una versione più articolata del più sano buonsenso: servizio, cura, rispetto. Vuol dire che tutti devono mettersi a disposizione degli altri per farli imparare meglio e vuole anche dire che non ci sono “nemici”, ma solo altre persone con cui fare pratica. E fare amicizia. Te ne accorgi subito, dal minuto uno. Nessuno si diverte a metterti in difficoltà, anzi. E tutti sono incoraggiati con veemenza a dichiarare forte e chiaro, in combattimento, quando un colpo va a segno. Ecco perché a fine lezione siamo tutti interi. E siamo anche molto inclini ad andare a bere una birra insieme.

Sembra una cretinata da dire, ma l’impresa mi sta giovando. Non sono facile da gestire, sul fronte sportivo. Sono una che passa le partite di tennis a parlare da sola, a prendere a pallate le reti e a buttare in terra la racchetta. Subisco molto l’errore – ma proprio come concetto – e la possibilità di fallire. Non sono paziente. Passare del tempo con persone che non conosco da almeno tre secoli mi genera una certa ansia e faccio parecchia fatica, ma proprio a livello mentale. Piazzarmi volontariamente di fronte a svariati sconosciuti che cercano di colpirmi con una spada laser è stato un po’ un atto di coraggio. Al mondo esistono forme di eroismo ben più rilevanti, me ne rendo ben conto, ma tutti quanti siamo spesso azzoppati da piccoli limiti e paure che, a lungo andare, ci convincono a star fermi. Perché è troppo tardi per provare. Perché non è il caso di provare, anche. O perché FIGURIAMOCI SE SEI CAPACE.
Sono ben lontana dalla suprema destrezza di Darth Maul (sì, da quest’anno c’è anche un corso per combattere col bastone. O con la doppia spada. CREPO), ma spero di essere riuscita a trasmettere almeno una frazione della fierezza e dello spasso che mi animano quando inforco guanti e divisa e cerco di capire come trasformarmi in una temibile spadaccina laser.
Supercuori, Clan del Caos.
Siamo assurdi, ma anche molto speciali.

*

Informazioni pratiche
La sede principale di Ludosport è a Milano, ma le accademie sono frequentabili anche in tantissime altre città italiane – oltre che all’estero. Sì, una roba inventata a Milano è stata esportata pure in America, per una volta.
Per scoprire l’ubicazione delle varie sedi e tempestare i rettori di domande pratiche anche puntigliosissime, ecco dove andare.

Informazioni pratiche ancora più importanti
Per chi è già a Milano (o vuole passare a fare un giro per la lieta occasione), abbiamo buttato in piedi due lezioni di prova BELLISSIME. Ci sarò anch’io, non c’è da pagare niente e basta iscriversi su Eventbrite.
Ecco le date.
4 gennaio dalle 19 alle 22
10 gennaio dalle 18 alle 21

Accorrete numerosi, così non faccio brutta figura con il mio istruttore – che è pure approdato tra i finalisti ai mondiali di spada laser e si aspetta sempre grandi cose da me. Spesso a torto.

Fabbricanti di spade
Per donare o donarvi una spada laser STRABILIANTE, ecco qua le Lamadiluce. Ludosport le ha inventate e progettate appositamente per l’utilizzo in combattimento. E si possono pure personalizzare.

Fumetti!
Se vi va, poi, di approfondire ulteriormente la vostra conoscenza del progetto Ludosport, c’è pure un fumetto – basato su atleti che esistono veramente ma che purtroppo non padroneggiano ancora il viaggio metadimensionale, anche se a loro piace sicuramente crederlo.

Credits
Come Miss Universo, poi, vorrei concludere ringraziando di cuore i miei compagni e gli istruttori del Clan del Caos e di Ludosport Alpha per aver partecipato allo SCIUTING dei contenuti foto-video e anche Silvia Galliani e Tito Capovilla che hanno effettivamente fatto le foto e i video. EROICI, tutti.

E venite a spadaccinare con me, mi raccomando. Niente vestaglie, ma molta gioia.

Potrei (e dovrei) dedicarmi a circa 953 cose più rilevanti del tema “maglioni brutti di Natale che in realtà sono STRAORDINARI”, ma quando distribuivano il buonsenso ero al bar… ed eccoci qua.
La faccenda dell’Ugly Christmas Sweater è una tradizione assai poco autoctona. A Natale, quand’ero piccola, mi vestivano come un fagiano impagliato alla corte dello zar di tutte le Russie e, in generale, si tende a pensare che per le feste comandate sia necessario presentarsi a tavola con degli indumenti decorosi. E mettiti una camicia, non vorrai mica far venire uno scioppolone alla nonna Rina, no? Lo sai che ci tiene! Ecco, pare che i riguardi nei confronti della salute psicofisica delle nonne stiano scemando, lasciando il posto all’anarchia vestimentaria più virulenta. Il mondo anglosassone (non si sa bene con quale autorità) sembra incoraggiarci con veemenza a far quel cavolo che ci pare. Anzi, a fare scientemente del nostro peggio, conciandoci con roba talmente improbabile da risultare geniale (o anche solo cretina in maniera simpatica). Maglioni natalizi inguardabili come performance artistica, tipo. Panettoni e dadaismo. Postmodernità e anolini in brodo. L’andazzo è quello.

Ecco.

Chi sono io per tirarmi indietro, mi domando.
Anzi, come ho fatto ad affrontare più di 30 Natali senza indossare un maglione imbarazzante.
È arrivato il momento di sceglierne uno.
E, visto che le fandom che mi affliggono sono numerose, ho deciso di buttarla definitivamente in vacca. Senza badare alla composizione del tessuto e neanche alla quasi sempiterna dicotomia sartoriale maschio/femmina. Non è importante, in questo frangente.

Ecco qua, dunque, una selezione di rivoltanti maglioni natalizi pieni di… COSE. Dei film. E delle serie TV. E della sempre cara cultura pop.

Procediamo.


In ben pochi lo direbbero, ma Darth Vader fa l’albero di Natale già a novembre. Ed è pronto a strangolare con il solo ausilio della Forza chiunque non si dimostri abbastanza garrulo.
Eccolo qua.

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Dress-code più che obbligatorio per il party natalizio delle Stak Industries.
Ecco!

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Lo so, spezza il cuore. Ma fa anche molto ridere.
Shame! Shame! Shame!

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Hai mai danzato con Babbo Natale nel pallido plenilunio?
Adesso sì.

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A livello di analogie climatiche con il più rigido degli inverni, Hoth è una scelta assolutamente azzeccata.
Riscaldiamoci con le budella fumanti di un tauntaun! 

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Under his eye.
E a fuoco Gilead.

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Per Amore del Cuore. Inevitabilmente.
Eccolo!

Ah, c’è anche quello Atari.
E qui c’è pure una variante in rosa del tema Playstation.

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La prima slitta trainata dai velociraptor.
Qui non si bada a spese!

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I Guardiani addobbano Groot, per Natale? Sarebbe la vita.
(Perdonatemi per la gag tragica. Il maglione è qui).

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Per mia fortuna non sono mai entrata nel tunnel di Candy Crush ma, all’occorrenza, c’è un maglione brutto anche per quello.

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Chi non festeggia il Natale è un Mangiamorte.
Riddikulus!

Se ne sentite il bisogno, qui c’è anche un maglione con uno scorcio del castello e delle leggiadre candele danzerine.

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Per chi predilige un approccio più fumettistico ai supereroi Marvel, ci sono anche i maglioni “vintage”. Potrete rallegrare i vostri congiunti con Thor, Ironman, Wonder WomanSpiderman e Superman, tanto per pescarvene alcuni.

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Concluderei in “bellezza” con una perla di maestro Yoda. E vi esorterei anche ad abbandonare ogni esitazione. Siate imbarazzanti. E fieri.
Fare o non fare. Non c’è provare!

Vi avviso, questa Wishlist parte bene… e poi sprofonda nel surrealismo. Ma il bello dei desideri è anche quello: coltivare l’assurdo, il bizzarro, il poco plausibile. Siamo bravi tutti a comprare le cose che servono. Ma sono quelle improbabili che ci rimettono in contatto con le nostre pulsioni più autentiche, libere e vitali.
POTERE ALLE COSE A CASO! CHI SE NE IMPORTA!
Ecco.
Dopo questa interpretazione filosofica assai traballante, ecco che cosa mi sta piacendo molto in questo periodo.

***

La passione per gli orecchini GROSSI continua ad animarmi furiosamente. E si scatena in tutta la sua potenza quando si tratta di pezzi unici, ispirati all’arte, alla storia del costume e all’Oriente. Dunque, Lebole Gioielli sforna una quantità di collezioni quasi ingestibile – e vale la pena frugarle un po’ tutte – ma, complice Giorgio Amitrano, mi sono particolarmente invasata con gli orecchini Iro Iro. Pietre naturali e ottone galvanizzato oro, più sete di antichi kimono. Ogni orecchino è diverso dall’altro. E penso proprio che “Lady” Murasaki approverebbe.

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Quando è partito il pezzo “autunnale” del mio lavoro con Scholl, sono stata travolta da numerose indecisioni. Perché, per quanto io ami gli stivaletti in nappa, mi sono anche resa conto di non avere praticamente nulla di veramente antipioggia. C’è anche da dire, però, che tutti gli stivali di gomma che vedevo in giro mi sembravano scomodi. Di quelli che ti fanno venire le bolle perché ti balla dentro il piede e passi la giornata sentendoti una papera storpia. Scholl, però, ha fatto i Taty, un modello super impermeabile ma con la suola Memory Cushion, come tutte le sue altre calzature, e una ragionevolissima fodera interna in tessuto confortevole. E sono pure splendenti, di un gioioso PVC lucido come il cranio di Alien – cosa per me assolutamente favolosa. Il problema è che la selezione delle scarpe per la stagione gelida l’ho fatta più o meno ad agosto e, influenzata da un’ottimismo insensato, ho deciso che la pioggia non esisteva e ho preso le Peyton. Che sono valentissime e che uso praticamente tutti i giorni, ma rispondono a un bisogno differente rispetto ai Taty. Insomma, alla fine della fiera, i Taty vincono un posto in wishlist. E mi sono rimasti sul gozzo.

Non mi dilungo ulteriormente sui miei dilemmi, ma vi comunico volentieri che Scholl ha deciso di sfornare un codice sconto solo per noi. È la prima volta che l’azienda fa un esperimento di questo genere, quindi spero di fare un’ottima figura ma anche di risultare utile a voi che vedete passare queste scarpe ormai da qualche mese. Ma veniamo ai dettagli pratici. Con TEGAMINI20 ci sarà il 20% di sconto fino al 22/11 su tutta la collezione autunno-inverno che trovate sullo shop di Scholl. È valido solo online, non è cumulabile ad altre promozioni in corso e si può usare anche più volte. Evviva!

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So di essere un po’ ridicola, ma se posso vestire Cesare con cose dall’aspetto zoomorfo sono sempre molto contenta. Mi sbizzarrisco con calzine coi musetti, pantaloncini con creste di dinosauro e l’ho portato in giro per lungo tempo (quand’era piccolo piccolo) in una surreale tuta imbottita da orsacchiotto. Spero che qualcuno mi fermi – magari addirittura lui – ma, nel frattempo, mi godo queste assurdità. Ho scoperto Donsje, un brand di Amsterdam che produce vestiti basic di ottima qualità e accessori (con materiali altrettanto favolosi) a forma di bestia. Il mio suggerimento è di spulciarvi tutto lo shop – soprattutto LE SCARPE -, mentre io pondero sull’effettiva possibilità che i capelli del mio infante stiano tutti quanti sotto a una cuffia da koala.

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Desiderare libri come condizione mentale perenne. Sto attraversando una fase di folle (e doveroso) entusiasmo per l’Ippocampo e ho appena scoperto un nuovo Atlante. Là fuori ci sono atlanti di ogni genere. atlanti dei luoghi maledetti e/o immaginari, atlanti delle isole misteriose, ATLANTI. A fine ottobre è uscito anche l’Atlante delle zone extraterrestri di Bruno Fuligni, un volume illustrato che ci offre una rigorosa mappatura – tra leggende metropolitane, oggetti volanti non identificati e iniziative scientifico-governative – dei presunti punti di contatto tra umanità e intelligenze aliene.

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Visto che abbiamo già abbandonato il pianeta, direi di proseguire fino alla più lontana lontana delle galassie. Nelle mie peregrinazioni esplorative alla scoperta di Amazon Moda, ho scovato una valida alternativa alle vestaglie in cui mi avvolgo quotidianamente per lavorare a casa. Ebbene, perché limitarsi a una vestaglia quando puoi metterti un confortevole mantello di Darth Vader? VOGLIO DIRE.

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E per questa settimana è tutto. Che il Lato Oscuro possa sempre vegliare sul vostro salvadanaio. :3

Che belle queste robe a cadenza settimanale che poi faccio un po’ quando capita. Che organizzazione, signora mia. Pugno di ferro. Disciplina. Un calendario editoriale fra i più coriacei dell’internet!
Tralasciando le mie difficoltà esistenziali e pianificatorie, però, i desideri non ci abbandonano. Anzi, si moltiplicano e ci assistono. Che cosa sto bramando ultimamente? Ecco qua un po’ di cose.

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Sto entrando prepotentemente in modalità-sandali e/o scarpe pazze per l’estate. Meglio se prodotte da calzaturifici storici della Riviera del Brenta, perché “questo è il luogo dove i maestri delle botteghe artigiane hanno creato le scarpe per Dogi e Principesse” – recita il CHI SIAMO di Pas de Rouge. Dogi e principesse! E pure noi, adesso. La collezione estiva sembra un incrocio fra le scarpe delle guerriere Sailor e una specie di sogno pastelloso pieno di bottoncini e stringhine. Amo tutto e voglio approfondire.

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Orbene, due designer newyorkesi – Jesse Reed e Hamish Smyth – hanno fondato nel 2014 un marchio editoriale indipendente con uno scopo ben preciso: archiviare e conservare pietre miliari della storia del design in modo da poterle rendere disponibili alle generazioni future. Standards Manual propone, dunque, ristampe di manuali grafici di particolare rilevanza e raccolte tematiche che esplorano una specifica corrente estetico-funzionale. Sono libri assurdi, super curati e fascinosissimi. E il NASA Graphics Standards Manual del 1975 mi fa iperventilare copiosamente.
Cioè.

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Ho deciso che il minimalismo non fa per me. Datemi dunque vestitini gonfi, maniche arroganti, gonne voluminose e arricciamenti boriosi di stoffe. Insomma, datemi un po’ tutto quello che c’è sul sito di Le’One.

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Non si sa per quale ragione, ma Lavazza ha deciso di dedicare un’edizione limitata delle sue macchine del caffè Jolie Plus a Star Wars. Ma non solo a Star Wars così, in generale, al Primo Ordine proprio. Il risultato è una macchina del caffè che non credo faccia niente di più di una Jolie Plus normale… ma che di sicuro starebbe bene sul ponte di comando di un sano Star Destroyer.

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Quando ci siamo conosciuti, Amore del Cuore aveva l’abitudine di scarrozzarmi in giro a bordo della MINI decappottabile che condivideva con sua sorella. L’Alice, ai tempi, ha dovuto fare a meno della sua automobile per numerosi weekend – perdonami, Alice! -, perché Amore del Cuore mi portava continuamente al mare, facendomi ascoltare Rino Gaetano a palla e scappottando ogni volta che il clima lo consentiva. Credo sia da lì che è nata l’ambizione di imparare a mettermi dei foulard in testa come una vera signora.

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Il Disney Store mi ha regalato un Funko Pop e sento di volermi abbandonare a un collezionismo sfrenato. Non so perché quei cosini siano così amabili e nemmeno mi capacito del grado di estensione della gamma dei giocattoli disponibili, ma non importa. Prima o poi dovrò cominciare – ma magari non precisamente dalla Diva Plavalaguna, che ormai è introvabile e costa tipo 90 IUROS. Qualcuno è vittima di un pesante invasamento per questi aggeggi? Come ci si comporta? Che devo fare? Quanti ne avete? Pensate di poterne uscire, prima o poi? Perdiamo il senno insieme.

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Avrò desiderato a sufficienza?
Giammai!
Alla prossima puntata – che non so quando capiterà, ma capiterà.
Giuro.

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Sebbene io sia consapevole delle mie oggettive difficoltà nella gestione dello shopping, ecco qua una nuova carrellata di desideri e brame più o meno insensate.

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BlackMilk è una bottega creativa che sforna accessori di stoffa fatti a mano, super personalizzabili. Si può scegliere un modello di borsa, ad esempio, e richiederlo in una particolare fantasia, pescando tra quelle a disposizione. L’assortimento di stampe è saggio – ce ne sono tante “classiche”, ma si trovano anche quelle pazze. Ho adocchiato due cose: i segnalibri di stoffa da mettere sugli angolini dei libri e la borsa Pancia – che ha una forma intelligente e adattabile e si può portare anche a tracolla.

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Per il sessantesimo anniversario di Biancaneve, Disney e Asics hanno unito le forze per sfornare una microcollezione di scarpe da ginnastica Gel-LYTE dedicate alla fioccosa principessa mangiatrice di mele avvelenate e alla Regina Cattiva. Nonostante la mia tradizionale propensione a parteggiare per i malvagi, devo arrendermi alla meraviglia vellutata del modello di Biancaneve.

[La fotina viene da qui].

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“I Maverick”. Perbacco, non mi ero minimamente accorta dell’esistenza di questa nuova collana einaudiana. Probabilmente stavo perdendo tempo su internet – pratica che Kenneth Goldsmith sembra però riabilitare. In questo breve saggio, Goldsmith analizza il comportamento del navigatore medio, evidenziando le esternalità positive e i risvolti socio-esperienziali che derivano da una fruizione e produzione di contenuti che potrebbe apparire superficiale, disordinata e puramente ludica. Troppo ottimismo – in un libro che parla di umani che USANO L’INTERNET? Forse sì. Ecco perché sono curiosa.

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Francesi folli che creano cancelleria surreal-rétro e una vasta gamma di oggettistica per la scrivania (e la casa) degna di un manicomio vittoriano. Ci sono distinti signori con la bombetta e le orecchie colme di orate, fermacarte di vetro con insetti variopinti, pecore con gli stivali, pugili con dei carciofi al posto delle mani e duchesse dotate di tentacoli. Io mi sono affezionata al pollo-lampione, ma sono certa che Gangzai sarà in grado di assecondare brillantemente anche alle vostre più insolite fissazioni. I quaderni sono INCREDIBILI.

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Già qualche tempo fa mi interrogavo sull’offerta standard dei corsi in palestra – corsi che, in nessun modo, sembrano in grado di soddisfare la mia esigenza di diventare la Vedova Nera. Ma poco male, perché ho scoperto l’accademia di spada laser. Anzi, di LIGHTSABER COMBAT SPORTIVO. E sto impazzendo. Ludosport, si chiama. L’idea è venuta nel 2006 a tre amici milanesi ed è poi stata esportata con crescente successo in tutto il mondo. Si va, si piglia una spada laser – gli attrezzi sono stati studiati e progettati appositamente da una specie di fucina di premi Nobel per un utilizzo “reale”, senza tralasciare lucine ed effettoni a noi tanto cari – e si imparano i rudimenti della tecnica e del duello. Seriamente, io DEVO iscrivermi. Sarei magnifica. Compio gli anni a marzo, Amore del Cuore. Questo è un appello ufficiale.

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Il mercato delle magliette con delle cose disegnate ad altezza tette – anzi, con un disegnino per ogni tetta – è ormai saturo. Per la prima volta, però, sento il bisogno di comprarmene una. Perché ho scoperto che sulle tette possono starci felicemente anche dei triceratopi disegnati da Happycupstudio.

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Downton Abbey è finito – e ok, stanno girando il film, ma che dobbiamo fare nel frattempo? Possiamo guardare The Crown, ma nemmeno la nuova stagione è in grado di accompagnarci in eterno. Ma Julian Fellowes è comunque qui per soccorrerci, perché ha anche scritto dei libri all’apparenza gradevolissimi. Belgravia – polpettone romantico-storico di rara piacevolezza – mi aveva tenuto compagnia due estati fa sotto l’ombrellone, facendomi venire voglia di scovare i suoi altri romanzi. Il primo che vorrei leggere è Snob, arguta cronaca delle peripezie della nobiltà inglese contemporanea alle prese con l’orda rampante dei nouveaux-riches. Il cuore della contesa, in questo caso – anzi, OVVIAMENTE -, sarà il matrimonio tra la fascinosa ma relativamente “umile” Edith e un ultra-nobilissimo conte con madre ingombrante. Somiglia a Downton Abbey? Certo. Ed è questo il bello.

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Casa mia è un inferno, a livello Instagram-fotografico. Non ci sono superfici ben illuminate e, quando sono ben illuminate, sono troppo cupe. Legni scurissimi. Tappeti cupissimi. Roba che riflette. Ora, non sono una foodblogger che deve ritrarre fette di torta perfettissime e nemmeno una di quelle che va a compare i fiori freschi all’alba per fare la foto con la tazza di caffè e una pletora di deliziosi biscottini incredibilmente simmetrici, ma un fondo chiaro mi farebbe comodo – soprattutto per i libri o per le foto di cose “piccole”. Ebbene, l’universo ha elaborato una soluzione. C’è un sito, ad esempio, che smercia una vasta gamma di fondi “finti” – di vinile – da utilizzare per le foto più disparate. Ci sono quelli colorati, quelli coi pattern e pure quelli che riproducono materiali di ogni genere, dal legno al marmo. Si chiama MiniBackdrops… ed è tutto qui.

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E per questa settimana abbiamo desiderato a sufficienza, direi.
Felice sperpero!

CI SARANNO MILIONI DI SPOILER.
Regolatevi, dunque.

Star Wars è una delle cose che amo di più al mondo. E ci tengo tantissimo. Il risveglio della forza mi è piaciuto un sacco – nonostante tutto – ed ero super carica per Gli ultimi Jedi. Ma presa bene a livelli incontenibili. Poi niente, sono uscita dal cinema e mi è venuto un mezzo magone. Per la precisione, mi sono sentita un po’ così:

Ma che cosa ho visto, di preciso?
Da dove scaturisce questa sensazione di profondo smarrimento?
E chi lo sa.
Proviamo a capire.

Gli ultimi Jedi non è una tragedia conclamata. È che, in millemila momenti, non sembra un film di Star Wars. O se ne esce con un “tono” – un mood? – che lascia semplicemente perplessi. Senza star lì a fare paragoni con il senso dell’umorismo della trilogia originale, mi è sembrato che qualcuno, da qualche parte, stesse disperatamente cercando di farmi ridere ogni sei minuti. Un po’ come quando ridi perché ti fanno il solletico. Per un istante può anche essere divertente… ma poi, nel caso il solleticatore persista nel suo assalto, lo implori di smettere perché la faccenda sta diventando spiacevole e ti è venuta voglia di morire e basta.
Ecco, il film comincia con uno scherzo telefonico di rara mestizia – una roba che persino Bart Simpson avrebbe accuratamente evitato di propinare al povero Boe – e da lì basta, gag a non finire. Gag a base di animaletti goffi di un’invadenza incredibile. Torneremo ad occuparci degli animaletti – perché meritano una riflessione a parte – ma per ora mi viene da dire che tutti questi interventi un po’ alla Guardiani della Galassia non solo non fanno ridere, ma devastano anche abbastanza i sentimenti che ti travolgono mentre guardi il film. Ci sono sequenze in cui la tensione narrativa è vera e ben orchestrata che vengono rovinate irrimediabilmente da manipoli di suore-pesce col grembiule e una carriola. Inseguimenti stellari tra il Millennium Falcon e gli Starfighter in cui ti auguri che Chewie si schianti in una miniera di cristalli di sale solo per liberarci di quei maledetti porg che continuano a interrompere una battaglia altrimenti favolosa. ABBIAMO CAPITO CHE SONO CARINI E FANNO I VERSI MA STIAMO BENE ANCHE SE NON LI VEDIAMO DI CONTINUO LEVATELI DI MEZZO NON NE POSSIAMO PIÙ.

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Umorismo forzato a parte, ci sono proprio dei momenti di assoluto MA CHE MA CHE MA CHE.
La principessa Leia – pace all’anima di Carrie Fisher – che sfreccia nello spazio come una Statua della Libertà coi razzi sotto alle scarpe.
L’ammiraglio Ackbar – colui che pronunciò il memorabile IT’S A TRAP! ed eterno eroe della Resistenza – ucciso come un cane qualsiasi all’inizio del film. E tanti saluti.
Quell’assurda videochiamata alla tartaruga saggia con gli occhiali grossi.
Tutti i tre quarti d’ora che abbiamo trascorso sul pianeta Las Vegas. Ma che era quella roba lì? Perché.

Insomma, succedono cose sbagliate al momento sbagliato mentre personaggi di ogni tipo dicono roba anche quella po’ sbagliata in mezzo a vasti branchi di creature più o meno tondeggianti che cercano di farci tenerezza inciampando, farfugliando in strani idiomi o facendo le faccette. 

Che diavolo, non ce lo meritiamo.

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Comunque.
Gli animalini.
QUANTI ANIMALINI CI SONO.
Va bene, un film intero di Star Wars si svolge in un bosco pieno zeppo di orsetti alti mezzo metro che indossano adorabili tunichette da combattimento. Ma gli Ewok sono gli Ewok. Il fenomeno a cui assistiamo negli Gli ultimi Jedi somiglia di più a un’invasione di Gremlin. O a una puntata dei Pokémon. O a un Animali Galattici e Dove Trovarli.
Ovunque, li troviamo.
OVUNQUE.
Potrei sforzarmi tantissimo e cercare di elencarli, ma so già che fallirei in partenza. Tralasciando i porg, parecchi hanno anche un’utilità – le volpi di cristallo salato indicano la via, le mucche-tricheco dissetano Luke ANCHE SE FANNO SCHIFO MALEDIZIONE CHE BRUTTE SONO QUELLE BESTIE GRAME, i levrieri-alce-fennec alti dodici metri che corrono pure sulle pareti verticali permettono a Finn e Rose di scappare, il piccolo goblin rincoglionito che usa BB8 come una slot-machine gli fornisce involontariamente dei proiettili -, ma finisci per irritarti lo stesso. Perché sono troppi. E tutti visibilmente ansiosi di piacerci o di colpirci molto con la loro arguta stravaganza.
Meno, perbacco.
Meno.

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Ma torniamo alle faccende di struttura, di equilibrio e di senso. Perché pure lì mi sembra che ci siano un po’ di problemi. Ho avuto l’orribile sensazione che tanti personaggi venissero “buttati via” – soprattutto considerando il primo episodio della nuova trilogia – e che venisse regolarmente dedicato molto più tempo a parti della trama che mi interessavano poco o niente, quando invece avrei amato immensamente soffermarmi in altri posti.
Per dire. Finn. Finn era praticamente il co-protagonista del primo film. E qua che fa? Lo impegnano per secoli in una missione che si rivelerà un vicolo cieco insieme a una compagna d’avventura letteralmente incontrata per caso. Non che di Finn mi sia mai importato un granché, francamente, ma sembra proprio uno che “massì, ce l’abbiamo sul groppone anche a questo giro. Troviamogli due fotocopie da fare”. E dove va a finire tutto il gran legame con Rey? Si rivedono, si fanno due ciao e poi entrambi tornano a farsi i fattacci loro. Ma io dico.
Snoke, amici. SNOKE. Un personaggio così misterioso ed enigmatico da mostrarsi per un film intero unicamente in guisa di ologrammone monumentale che impartisce ordini senza che nessuno osi dirgli BA! Il leader supremo! Il male in persona! Colui che corruppe e avvelenò il cuore di Ben Solo, fino a convincerlo a compiere l’irreparabile! Ma scusate, ma ditemi chi è. Da dove viene. Qual è l’estensione dei suoi temibili poteri. Che vuole fare davvero. Com’è che ha incontrato Ben Solo. Dateci qualcosa, prima di segarlo in due. È incredibile!
E Phasma? Che senso ha mettere Gwendoline Christie in quell’armatura FANTASTICA se poi la fai tornare in scena solo per morire come una cretina? E io che pensavo che nel secondo film avrebbe finalmente avuto un ruolo un po’ meno ridicolo!
E Benicio del Toro? Benicio del Toro in questo film è un espediente narrativo che parla e cammina, e basta.

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A salvarci parzialmente dalla rovina, però, ci sono quelli che maneggiano la Forza. Ora, sarò strana io, ma Star Wars lo vado a vedere perché mi piacciono i Jedi e i Sith, perché amo le spade laser e i conflitti interiori che solo il Bene, il Male e Destino possono scatenare nell’animo degli abitanti di galassie lontane lontane. Certo, ci piacciono anche i robot che rotolano, la Resistenza che pilota navette che somigliano alla Uno Hobby che mi ha regalato mia zia quando ho fatto la patente – “Guida questa, Francesca. Che se ti pialli da qualche parte non rovini la macchina, anzi” – e gli alieni strani che suonano il piffero al bar, ma al cinema ci andiamo perché la Forza scorre potente dentro di noi.
FATEMI VEDERE I JEDI E I SITH, ALLORA.

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Ero molto felice perché, date le premesse del Risveglio della Forza, sembrava molto probabile che Rey avrebbe fatto la fine di Luke quand’è andato a trovare il maestro Yoda. Ecco, non è andata esattamente così – e Luke ha fatto ben poco per impartire a Rey dei concreti insegnamenti -, ma la nostra volitiva amica si è data da fare comunque. Dal punto di vista narrativo, la trovo molto meno affascinante rispetto al primo film – perché mai dovrebbe convertirsi al Lato Oscuro? Nessuno lo ritiene plausibile nemmeno per un secondo -, ma ho adorato la bieca invenzione di farla parlare su con Kylo Ren con quella specie di Face Time buttato in piedi grazie alla Forza. Ma quante cose si possono fare con la Forza? Tutto, cavolo. Pure Face Time. Ecco, per me tutto quello che Rey e Kylo Ren fanno insieme ha funzionato bene. La scena in cui incontrano Snoke e poi triturano i pretoriani-samurai è favolosa. FAVOLOSA. Forse è il mio duello preferito con la spada laser, altroché quelle boiate coreografatissime dei prequel coi musiconi in sottofondo. Il dilemmi che cercano di risolvere, i problemi che si creano a vicenda, il fatto che – alla fin fine – non hanno davvero nessun altro con cui parlare – ecco, è questa la roba che vogliamo vedere. Ma mica perché nutriamo la recondita speranza che che si amino con foga. Un po’ anche quello, va bene, ma perché è solo quando ci sono loro due che questi benedetti film trovano un po’ di vita o ci mettono di fronte a una strada inesplorata. Coi personaggi contenti e realizzati ci si fa poco. Sono i tormentati e gli irrisolti che creano le storie.
A tal proposito, dunque, che il cielo benedica Kylo Ren
. Anche questa volta.

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In un film pieno di personaggi gettati alle ortiche, lui continua inesorabilmente a complicarsi splendidamente la vita.
Ripensando alla paura vera che faceva nel Risveglio della Forza – nella prima metà del film, almeno – vederlo conciato così è affascinante. Non solo Snoke lo tratta come un rincoglionito dal minuto zero – confermando che, senza maschera e senza tutte le sovrastrutture da NONNO IO CONCLUDERÒ QUELLO CHE HAI COMINCIATO, quel che resta è un groviglio di nervoso, delusioni, vanagloria e solitudine -, ma pure lui ha un bel po’ di orgoglio ferito da amministrare e delle decisioni francamente pessime con cui venire a patti. Ora, Luke Skywalker che si avvicina di soppiatto al letto di un ragazzone che russa per tranciarlo in due con la spada laser è una roba un po’ strana – perché Luke, insomma, è sempre stato l’eroe puro, quasi un simbolo dell’innocenza e del bene senza sfumature oscure -, ma introdurre quel trauma lì nella storia di Kylo Ren è un raro caso di DIAMO DELLE MOTIVAZIONI SOLIDE A QUESTI PERSONAGGI. Snoke aveva già fatto danni irreparabili? Ben sarebbe stato recuperabile, se Luke non si fosse spaventato per tutti quei poteroni grezzi e incasinati? Chi può dirlo, Snoke è crepato male prima di poterci spiegare la sua versione dei fatti. Comunque.
Dopo la figuraccia finale – cercare di abbattere un’illusione ottica con la spada laser e accorgersi dopo tre ore che Luke Skywalker non sta veramente lì è piuttosto imbarazzante – Kylo Ren si ritrova rabbiosamente alla guida di un impero senza manco un cane che, quando se lo merita, possa dirgli BRAVO, COCCONE, ANDRÀ TUTTO BENE. E a questo punto, credo, potrebbe succedere di tutto.  Gli equilibri della Forza sono diventati molto più fluidi e “grigi” rispetto a quello che conoscevamo. Rey e Kylo Ren sono dei personaggi in movimento che sono in qualche modo riusciti a demolire quello che c’era prima – certo, è maestro Yoda che brucia il tempio Jedi, ma senza la visita di Rey dubito che Luke avrebbe abbandonato la sua routine di pesca e mungitura di quelle immonde vacche-tricheco. Sono senza maestri, hanno potenzialità piuttosto devastanti e delle discrete rogne di famiglia. Dobbiamo credere a Kylo Ren, quando dice a Rey che i suoi genitori non sono nessuno? E che ne so. Kylo Ren di balle ne racconta, ogni tanto, ma la faccenda della caverna potrebbe dargli ragione, così come la propensione di Star Wars in generale a far emergere eroi e paladini dai posti più anonimi. Lo scopriremo solo perseverando, credo.

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Insomma, Gli ultimi Jedi è un film a tratti fastidiosissimo – e manco ci hanno dato la soddisfazione di vedere Chewie che divora un porg di fronte agli altri intollerabili esponenti della specie -, mal costruito, punteggiato di momenti WTF, troppo disomogeneo nel tono e nella distribuzione dei “pesi” delle molteplici (forse troppe) vicende che prova a raccontare e a sprazzi sceneggiato dal trio di fenomeni degli Occhi del Cuore, ma a fare faticosamente capolino c’è anche del buono. Continuo a non capire questa necessità di “alleggerire” l’atmosfera buttandola sulla comicità – cioè, è già un film di Star Wars, di quanta altra leggerezza abbiamo bisogno? Mica stiamo andando a vedere un dramma polacco popolato da tossicodipendente orfani, indigenti e storpi che vivono ai margini di una discarica di scorie radioattive – e spero con veemenza che nel prossimo episodio questi super sbilanciamenti e svarioni ci abbandonino definitivamente, ma continuo a crederci. Ci voglio credere, proprio. Star Wars ci tiene prigionieri generando una specie di sindrome di Stoccolma? È possibile. Ma nemmeno questa volta posso dire “no, basta. Io Star Wars non lo voglio più vedere”… anche se la mia faccia, ricordiamolo, è un po’ sempre questa.

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Altre cose belle A CASO che mi sono venute in mente solo ora.
– l’unica gag che mi ha fatto ridere è quella del ferro da stiro.
– la spada di Kylo Ren continua ad essere in cima alla lista dei regali di Natale che mi piacerebbe ricevere. E mi sono accorta che gli somiglia, anche. Cioè, i Jedi in pace col mondo o i Sith nel pieno controllo della situazione hanno spade molto lineari, “pulite”. Kylo Ren ha una spada gigantesca, sborona, fracassona – fa un baccano infernale, fateci caso -, tutta frastagliata e guizzante. Dai, sono identici. Chissà se le ha dato un nome.
– Laura Dern, ti voglio bene.
– Generale Organa, abbiamo bisogno di sapere dove hai comprato la cappa con il colletto svettante. Anche noi vogliamo metterci di vedetta su una spianata di sale con un bavero imponente a riparare il nostri delicati lineamenti.

 

Perbacco, sono stata travolta da innumerevoli eventi. Sono andata in gita in località piuttosto incredibili, sono finita a Londra a vedere la prima di un film – ma così, a sorpresa – e ho circa 97 post da sfornare con una certa rapidità. Ma inizierò da quello meno rilevante, tanto per non darla vinta all’efficienza che dovrebbe invece governare l’esistenza di un essere umano adulto e razionale.
Che cosa vale la pena desiderare, di questi tempi?
Scopriamolo istantaneamente!

Il 50% circa delle interazioni suscitate dalle mie magistrali Instagram Stories consiste in domande sui rossetti – a me, nota icona beauty. Come ormai anche i sassi sanno, però, sono una devotissima estimatrice delle tinte labbra di Kat Von D. Ho un rosso “classico”, un rosso più scuro da pseudo-panterona e un NIUD che ha suscitato entusiasmi quasi sconfinati. E io, che pensavo che i NIUD fossero una roba inutile. Che stolta!
Comunque, il mio NIUD da giorno è il Lolita II… e ho recentemente scoperto che la Kat ha anche lanciato un cofanetto speciale dedicato alla gamma Lolita. Ci sono le due tinte – la mia è quella un po’ più terracotta, ma c’è anche il Lolita base che vira al rosino -, le matite labbra, l’ombretto e il rossetto “originale”. Costa 104 bombe ma mi pare la vita. E, cosa ancor più importante, è roba CHE MI STA BENE. Gridiamo al miracolo e rompiamo i porcellini.
P.S. – Sì, le tinte labbra seccano leggermente. Quelle di Kat Von D molto meno delle altre, ma sono comunque tinte. Se voi però vi mettete questo (un po’ prima) il bene trionferà.

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La cerniera del mio zaino con gli unicorni si è sfondata. E, in qualità di libera professionista che può teoricamente andare a lavorare dove e come le pare, avrei bisogno di uno zaino capiente, resistente e carino dove cacciare il computer e i materiali di sopravvivenza quotidiana. Il folle progetto prevede anche la riesumazione della bicicletta bellissima che Amore del Cuore mi ha donato un paio di estati fa e che ho usato pochissimo perché A) temevo che me la ciccassero e B) ad un certo punto ero gravida e non mi sembrava il caso di andare velocissimo sul pavé. Ora non so bene dov’è che voglio andare in inverno con una bicicletta e un computer nello zaino, ma mi è venuta lo stesso questa fissa insensata. Credo solo per giustificare la necessità di un nuovo zaino, ma non vorrei azzardare spiegazioni eccessivamente realistiche. Comunque, Pijama è un brand che conosco già da qualche anno e che sforna regolarmente borse e custodie per device di ogni genere. Usano un neoprene resistente più o meno come il kevlar e lo stampano in mille fantasie pazze, il che per me va BENISSIMO. Ora c’è una nuova linea – la Metron – con un nylon studiato appositamente e un po’ di sano minimalismo super funzionale. Ciao, zaino Metron a zig-zag, mi stai molto simpatico. Sono certa che potremmo diventare grandi amici.

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Mi emoziono relativamente poco per gli addobbi di Natale. Ma quest’anno vorrei un Ugly Christmas Sweater come si deve. E mi sto industriando per tempo. Sono molto indecisa tra quello di Stranger Things e quello di quel rompicoglioni di Kylo Ren. Sono entrambi orripilanti e li adoro come non mai.

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I libri che mappano scientificamente l’irreale e il fantastico mi affascinano sempre un sacco. È uscito per Utet un nuovo oggetto bizzarro che credo sarebbe saggio consultare, il Dizionario dei luoghi letterari immaginari  di Anna Ferrari. Il prezioso tomo cataloga e raccoglie i luoghi mitologico-inesistenti più celebri della tradizione occidentale, compilando un’avventurosa carrellata fra generi, epoche e opere diverse. Mi sto già emozionando.

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Com’era il cielo quando avete incontrato il vostro personalissimo Amore del Cuore? O quando avete preso una decisione di cui andate particolarmente fieri? E com’era, anche, in una giornata di rara e irripetibile felicità? The Night Sky permette di scegliere una data significativa della vostra esistenza e di trasformarla in una mappa stellare – riproducendo il cielo che si vedeva in quel posto e in quel preciso momento. La mappa si potrà poi personalizzare e stampare, per appendervela in casa nella commozione generale. Ma non è tutto molto tenero? Mi viene quasi un po’ da piangere. Il cielo di Minicuore! Il cielo delle Matrimoniadi! Sto proprio diventando una vecchia signora sentimentale.

Un post condiviso da The Night Sky (@thenightskyio) in data:

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Cuori a profusione, per il momento.
Vado a scrivere la roba che avrei dovuto scrivere più o meno ieri, invece di cercare maglioni natalizi ripugnanti con sopra i demogorgoni e dei ragazzini in bicicletta. Ah, devo pure consegnare un libro entro il 10.
Andrà proprio tutto bene.

Quante parole servono per raccontare un grande classico della letteratura? Solo dodici, se ti impegni tantissimo. Un po’ come gli inventori dei Cozy Classics, i libri più morbidini di sempre. Prima di abbandonarmi senza ritegno alla tenerezza devastante che questo progetto mi ispira, conviene però fare un passettino indietro. Da dove vengono i Cozy Classics? A Vancouver ci sono due fratelli gemelli – Jack e Holman Wang – che da qualche anno si industriano per trasformare i romanzi più letti di ogni tempo in mini opere d’arte (e di sintesi) a beneficio di bambini grossi e piccoli.

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Gli indefessi gemelli Wang hanno cominciato “da soli” e sono da poco entrati nel catalogo di Chronicle Books, che ha anche deciso di rilanciare la serie con nuove copertine e nuova grafica e si sta impegnando – con molta calma, purtroppo – a ristampare tutti i volumini già usciti. Fortunatamente per noi, però, nessuno si è azzardato a toccare i pupazzetti, che sono un po’ l’aspetto più commovente e speciale dell’intera faccenda.

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I coraggiosi Wang si sono cimentati, tra gli altri, con Guerra e paceMoby DickEmma, I miserabiliJane Eyre e Oliver Twist e, per la primavera del 2017, è già in programma Il mago di Oz – storia che, non lo nascondo, mi ha sempre fatto una paura boia.
Comunque.
Ogni pupazzetto è realizzato a mano con il needle felting, una tecnica complicatissima ed esasperante ma assolutamente FAVOLA. I pupazzetti – vestiti, pettinati e opportunamente agghindati – vengono poi fotografati all’interno di set lillipuziani che riproducono una scena o uno snodo fondamentale del capolavoro prescelto. Ogni libricino, si diceva, contiene dodici immagini e dodici parole a prova di bambino. Perché, in teoria, i Cozy Classics sarebbero destinati a minuscoli esseri umani che, tramite parole semplici, possono avvicinarsi ai concetti fondamentali dello stare al mondo (che ne so, l’amore, l’amicizia, le balene bianche, la sconfinata speranza nel genere maschile che Mr Darcy può restituirti), facendosi dare una mano da storie grandiose e figure belle.

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Sono fermamente intenzionata a collezionare tutti i Cozy Classics e a sfogliarli senza pietà con Minicuore. Anzi, diciamo pure che la faccenda dei bambini è una palese scusa. Ovvio, Peppa Pig va combattuta con ogni mezzo… e non che sedersi lì con il vostro erede a raccontargli i raccordi narrativi tra le dodici paroline non sia nobile e saggio, MA VOLETE METTERE CIOÈ UNO SCAFFALE INTERO DI COCCOLOSI LIBRINI FELTRINI CON I VOSTRI CLASSICI DEL CUORE LEVATEVI BAMBINI.
Quest’anno, poi, in occasione di un inequivocabile risveglio della Forza, gli instancabili Wang si sono cimentati anche con la saga di Star Wars, dedicando un volume a ogni episodio della trilogia “originale”. La mini-collana di Star Wars si chiama EPIC YARNS e si calcola che, solo per Chewbacca, siano stati utilizzati circa dodici chili di lanina.

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E basta, credo di aver finito. Avete una wishlist? Fantastico. È il momento di riempirla. Per quanto mi riguarda, organizzerò una manifestazione di piazza per chiedere a gran voce la trasposizione-Cozy di Anna Karenina. Perché meritiamo di imbatterci in una cavalla Frou-Frou di lana che soccombe di fronte alla meglio nobiltà pietroburghese.
E tanti feltrini a tutti.

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Visto che mi agito in presenza di vasti assembramenti di persone e che, come ben sapete, sono molto disorganizzata – almeno per quanto riguarda la mia vita privata -, sono riuscita a vedere Star Wars soltanto domenica. CENT’ANNI DOPO L’USCITA! UNA VITA, È PASSATA. UNA VITA! Che vi devo dire. M’invitano alle anteprime dei film, ma è tutta roba super concettuale con proiezioni stampa alle undici e trenta della mattina. Registi dell’ex-DDR. Dialoghi in assiro. Orfani scalzi. Malati terminali. Flebo, lacrime, minoranze etniche e dialetti dimenticati. Quando esce Star Wars, invece, non c’è un’anima che si ricordi di me.
Ma non è finita.
Perché al cinema ci sono pure andata da sola. Amore del Cuore ha un sacco di straordinarie qualità, ma non c’è modo di fargli tollerare i cavalieri Jedi e C3PO. Di base, anzi, sopporta con rassegnazione i miei entusiasmi cinematografici. Mi accompagna e s’addormenta. O m’accompagna e polemizza. In questo specifico caso, poi, si è rifiutato di assistere al discutibile spettacolo di una persona adulta che si commuove sui titoli di testa di Star Wars. Perché mi sono commossa, va bene? Mi sono venuti i lucciconi. Anzi, si è sicuramente trattato di un bruscolino nell’occhio. Chi siete voi per giudicarmi? Andate a coltivare il riso su Tatooine!

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Comunque.
Tutto quello che dirò avrà ben poco senso, perché mi è bastato vedere lo spadone laser a croce nel primo trailer di Star Wars per decidere che questo film mi sarebbe piaciuto. Il Millennium Falcon che torna a volare… come una grossa pizza arrugginita! Han Solo e le sue rughe! Quell’assurdo robot a forma di palla medica che, non si sa come, riesce pure a fare i gradini! La colonna sonora! La principessa Leia con una nuova pettinatura! La Ribellione!
…gente, ma che altro volete? Date retta a Zerocalcare e non rompete l’anima.
In parecchi, in questi giorni, si sono lamentati a gran voce delle palesi analogie tra Il risveglio della strabenedetta forza Una nuova speranza. Se questo film fosse stato completamente diverso – tipo le tre sonore bestemmie cinematografiche che ci siamo sorbiti nel 1999, nel 2002 e pure nel 2005 -, invece, vi sareste incazzati da matti perché gli eroi della vostra infanzia erano stati mortalmente oltraggiati da J.J. Abrams, sgherro della Disney e mercenario asservito alle industrie di gadget. Va bene, l’uva di Yoda è parsa un tantino eccessiva pure a me, ma se facciamo un bel respiro tutti quanti insieme sono certa che riusciremo a superare anche questo ostacolo, abbandonando il banco della frutta con la coscienza linda e splendente.

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Quello che voglio dire – credo – è che Il risveglio della forza è un film intelligente. Non sputa in faccia a noi che siamo cresciuti con Star Wars e accoglie in una galassia lontana lontana anche la gente che, per ragioni anagrafiche o sacrosanto e legittimo menefreghismo, a Star Wars si avvicina per la prima volta. A me, sinceramente, che si corra dietro a un droide a palla esattamente come si correva dietro a un’unità C1 (ripiena di messaggi principeschi) non causa particolari scompensi tiroidei. Che ci sia una versione bombatissima della Morte Nera – che si distrugge pure allo stesso modo -, un Jedi che non sa di essere un Jedi, un Nuovo Ordine che è come l’Impero, un burattinaio mega-cattivo che fa il Palpatine della situazione – ma più olografico e con qualche evidente complesso legato alla statura – e un pesce bargiglioso che t’illustra dov’è che devi andare a silurare, ecco, a me questa roba non fa arrabbiare. Non è un reato di lesa originalità. È solo un investimento narrativo diversificato. In questo film c’è una base profondamente rassicurante – preziosa per chi, come me, non avrebbe tollerato un’altra paccata di stronzate sui midichlorian -, ma anche tanta roba pronta a lievitare per diventare una nuova storia.
E io voglio vedere che cosa succede.
Ma un sacco.
E i personaggi al debutto? Mi garbano. Va bene, il Comandante Phasma neanche si capisce che è Gwendoline Christie e del povero Finn non potrebbe stracciarmene di meno, ma Domhnall Gleeson è un ottimo generalino nevrastenico e Rey è una ragazza per cui fare il tifo. La principessa Leia – nonostante la sua fastidiosa sicumera – non era precisamente una rincoglionita, ma era ora che dessero una spada laser in mano a una femmina che pilota astronavi, smista rottami e fracassa di bastonate i malintenzionati.
Io, comunque, amo Kylo Ren. Ne ho lette di tutti i colori, ma me ne frego alla grandissima. Ah, si toglie la maschera ed è un babbo. Ma pensa te, ha ucciso Han Solo. Come ha potuto! Come faremo senza Han Solo! Kylo Ren ha le orecchie a sventola!

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Kylo Ren, quanto è vero Yoda, è l’unico alle prese con un dilemma devastante. E ha pure un bruttissimo carattere da gestire. Che devo fare, simpatizzo con i burberi. Tifo per quelli che, di fronte a una notizia non proprio positiva, disintegrano con uno spadone laser crociforme un’intera sala di controllo dall’astronave su cui viaggiano. Ira! Tormento! Problemi! Insicurezza! Rabbia! Aspettative eccessive! Paragoni impossibili con illustri parenti! Il Lato Oscuro vuole il motorino! Kylo Ren somiglierà all’incrocio tra Zlatan Ibrahimović e Severus Snape – riuscendo comunque ad avere un suo gran bel perché –, ma è una creatura super interessante. Ed è perfettamente normale che vada in giro con una maschera complicata e spaventosa. Come è molto ragionevole che sotto la maschera ci sia uno che non sa bene dove sbattere il cranio. Ho letto una fan-theory stupenda – che giustifica le atrocità di Kylo Ren in ottica di astuto doppiogiochismo, sacrificio supremo e bene che trionfa – ma, a dirla tutta, a me Kylo Ren andrebbe bene anche come puro cattivo in-training. Una sola cosa vi chiedo: non cambiategli spada laser. Dategliene una più grossa, al massimo.
Per tutto il resto, scelgo deliberatamente di non ascoltarvi. Non ho intenzione di sorbirmi polemiche, menate complottiste e brontolamenti vari. Sono felice come un coniglietto grasso e non riuscirete a scalfire la mia gioia. Abbiamo di nuovo Star Wars e…

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Il mondo è difficile, complesso, irto di sbattimenti e di fenomeni nefasti. Qua e là, in questa comatosa distesa di pessimismo, fastidio e disagio, possono però manifestarsi eventi meravigliosi. Tipo un taco coi razzi che solca maestosamente i cieli. O un omino barbuto che cerca di teletrasportarsi da un water all’altro. O un gattino-navigatore che fluttua sul pelo dell’acqua in groppa a un pingue narvalo volante. Per lungo tempo ho vissuto ignorando l’esistenza di 100% Soft e sono fermamente intenzionata a non lasciarvi brancolare nelle infelici e colpevoli tenebre dell’inconsapevolezza.
Tanto per cominciare, andate a farvi un giro sull’account Instagram. E godetevi il tripudio di nonsense, Star Wars, gattini-Godzilla, riferimenti pop e mini-astronauti.

Una foto pubblicata da Truck Torrence / 100% Soft (@100soft) in data:

Grazie al cielo, non tutte queste adorabili scempiaggini sono destinate a rimanere confinate nell’angusto spettro della bidimensionalità. Parecchi capolavori senza tempo di 100% Soft, infatti, si possono comprare, pasticciare e coccolare. Il catalogo completo delle creaturine acquistabili lo trovate qui. Ci sono stampe, pupazzi, spillette, adesivini e millemila cretinate che potrebbero rendere la vostra esistenza finalmente degna d’essere vissuta.
Personalmente, chiederò a Babbo Natale le seguenti cose.

Un edificante momento di romanticismo, con Robocop-innamorato.

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Boomu, il micino-Kaiju nato dalla fatale unione tra un gatto, un unicorno e un drago.

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Lo Space Taco, indomito vascello stellare (commestibile).

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E il corroborante poster dei Predatori dell’arca perduta, con tanto di fantasmi e nazisti arrosto.

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Non so voi, ma sono pronta a traslocare in queste illustrazioni.
Certa d’avervi fatto un favore, vi saluto caramente.

***

Seppur azzoppato da un timing approssimativo, il Tegaminario dell’Avvento è comunque molto bello. Vi siete persi le puntate precedenti? Lasciatevi soccorrere da un servizievole board Pinterest!