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Gli unicorni sono tutto.
Gli unicorni sono la gioia.
Gli unicorni squarciano l’oscurità e generano miracoli.
Diffidate di chi li disprezza e onorate chi li ama – utilizzando, possibilmente, del glitter molto luccicante.
Nel tentativo di affrontare al meglio l’età adulta (senza soccombere all’impellente desiderio di nascondermi a piangere sotto a un piumone) ho deciso di attorniarmi di unicorni. Possiedo indumenti tempestati di unicorni, pantofole a forma di unicorno, una tuta intera che dovrebbe – in teoria – trasformarmi in un unicorno parecchio credibile, cranietti di unicorno che fungono da auricolari e un serissimo UNICORNER da scrivania. Perché gli unicorni illuminano il cammino, ispirano la mente e favoriscono la produttività.
L’immotivata collezione – assemblata in maniera assolutamente non sistematica – si sta espandendo, anche grazie ai contributi di estemporanei benefattori. Si va dalle colleghe di Amore del Cuore – che mi donano magliette con unicorni floreali – a rispettabilissimi portali di e-commerce, tipo Troppotogo – che è appena balzato in cima alla classifica di chi si è maestosamente guadagnato la mia imperitura gratitudine.

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Vivete sotto a un sasso e non sapete che cos’è Troppotogo? Male – ma non malissimo. L’incresciosa lacuna è facilmente colmabile.

Troppotogo, in buona sostanza, vende tutto quello che vi verrebbe in mente di chiedere a Babbo Natale ora che avete trent’anni buoni.
È un ottimo luogo per scegliere regali (volete continuare ad essere i noiosoni che arrivano con una sciarpa beige o con lo Smartbox degli APERICENA? Peggio per voi, verrete presto banditi dal regno) o per compilare floride wishlist, nella speranza che – prima o poi – qualche regalo arrivi pure a voi. In caso di necessità, potete sempre andare su Troppotogo e compratevi da soli quel che vi pare: il catalogo è vasto e ricco di meraviglie – tra cui mille soluzioni per chi, giustamente, non riesce a contemplare una vita priva di unicorni.

Grazie a Troppotogo, il mio UNICORNER ha appena accolto due nuovi e benvenutissimi esemplari di ronzino incantato.
La lampada da tavolo a forma di unicorno.
La boccia di gin glitterato – ricavata da purissime lacrime di unicorno.

Ma procediamo con calma… cercando di non iperventilare.

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La mia lampada è rosa, ma nell’universo ne esistono anche di bianche. La mia è la versione più piccola, ma c’è anche l’unicorno da pavimento. Da spenta è bella. Da accesa scaccia il male, gli incubi e le creature delle tenebre – continuando comunque ad essere bella. Va a pile e non serve nutrirla con della biada magica. Tutto quello che occorre è un posto carino dove appoggiarla.
Studiatevela bene qui.

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Date le mie attuali condizioni, non posso diffondermi sul sapore, ma posso comunque venerare questa bottiglia di gin come una reliquia. Per quanto riguarda i sentori d’arancia e sciroppo d’acero mi fido (volentieri) di Troppotogo, mentre posso rassicurarvi in merito alla vorticosa presenza di lacrime argentate di unicorno (a scaglie).
Il possibile utilizzo di questa prodigiosa bottigliona è duplice. A) Stappatela, scolatevela e affrontate l’esistenza con rinnovato ottimismo. B) Tenetela lì, ammiratela e agitatela nei momenti di difficoltà. Comunque vada, sarà un successo.

Basta, vi ho fatto perdere anche troppo tempo.
Andate. E unicornatevi.

 

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Il mondo è difficile, complesso, irto di sbattimenti e di fenomeni nefasti. Qua e là, in questa comatosa distesa di pessimismo, fastidio e disagio, possono però manifestarsi eventi meravigliosi. Tipo un taco coi razzi che solca maestosamente i cieli. O un omino barbuto che cerca di teletrasportarsi da un water all’altro. O un gattino-navigatore che fluttua sul pelo dell’acqua in groppa a un pingue narvalo volante. Per lungo tempo ho vissuto ignorando l’esistenza di 100% Soft e sono fermamente intenzionata a non lasciarvi brancolare nelle infelici e colpevoli tenebre dell’inconsapevolezza.
Tanto per cominciare, andate a farvi un giro sull’account Instagram. E godetevi il tripudio di nonsense, Star Wars, gattini-Godzilla, riferimenti pop e mini-astronauti.

Una foto pubblicata da Truck Torrence / 100% Soft (@100soft) in data:

Grazie al cielo, non tutte queste adorabili scempiaggini sono destinate a rimanere confinate nell’angusto spettro della bidimensionalità. Parecchi capolavori senza tempo di 100% Soft, infatti, si possono comprare, pasticciare e coccolare. Il catalogo completo delle creaturine acquistabili lo trovate qui. Ci sono stampe, pupazzi, spillette, adesivini e millemila cretinate che potrebbero rendere la vostra esistenza finalmente degna d’essere vissuta.
Personalmente, chiederò a Babbo Natale le seguenti cose.

Un edificante momento di romanticismo, con Robocop-innamorato.

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Boomu, il micino-Kaiju nato dalla fatale unione tra un gatto, un unicorno e un drago.

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Lo Space Taco, indomito vascello stellare (commestibile).

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E il corroborante poster dei Predatori dell’arca perduta, con tanto di fantasmi e nazisti arrosto.

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Non so voi, ma sono pronta a traslocare in queste illustrazioni.
Certa d’avervi fatto un favore, vi saluto caramente.

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Seppur azzoppato da un timing approssimativo, il Tegaminario dell’Avvento è comunque molto bello. Vi siete persi le puntate precedenti? Lasciatevi soccorrere da un servizievole board Pinterest!

Incredibile ma vero, il Tegaminario dell’Avvento non è ancora naufragato! Commozione massima! Nell’attesissima e imperdibile puntata di oggi, faremo finta di essere molto nobili, molto inglesi e molto educate. Perché solo una signora con queste determinanti caratteristiche – e una vasta collezione di copricapi con la veletta – può legittimamente trovare il tempo e la volontà di sedersi in salotto alle cinque spaccate per prendere il tè – dopo aver dato istruzioni alla servitù.
Non ce la vedete dentro?
Poco male. L’occorrente per il tè potete sempre mettervelo addosso.
Nel nome del cielo, come?
In un momento di acuto fanatismo per Downton Abbey, ho scoperto su Etsy un negozio decisamente bizzarroAbigail MaryRose Clark, designer megabritish di accessori, ha improvvisamente deciso di resuscitare le porcellane sbeccate destinandole a un nuovo utilizzo. Perché – se sai dove mettere le mani – le tazze rotte, le teiere frantumate, i piattini scassati e le ciotole incrinate possono diventare dei gioielli di raro romanticismo. Il risultato, in tutta franchezza, mi commuove più di Mr Darcy.

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Viva il riciclo creativo!
Cuorosità infinite per i motivi floreali!
Amore imperituro per le stoviglie vintage finemente decorate!
God save the Queen!
E anche Lady Violet!
…andate e porcellanatevi!

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Per seguire al meglio il glorioso Tegaminario dell’Avvento – e continuare a soccombere sotto il peso della bellezza delle altrui case di design -, ora c’è anche un versatile e funzionalissimo board Pinterest

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Strano ma vero, anche su Tegamini ci sono delle tradizioni. A Natale, per dire, c’è il paccozzo dei regali per voi adorabili e partecipi lettori – STEI TIUND, che fra poco succederà – e la wishlist surreale. Quest’anno attingeremo dal multiforme e improbabilissimo catalogo di Goolp!, e-store nato due anni fa dai folli neuroni di Micòl e Luca e ormai pronto a conquistare il mondo. Visto che ho una casa nuova da riempire di aggeggi inutili – ma assolutamente indispensabili – e numerose fissazioni da assecondare, ho graziosamente accettato il Goolp-invito e sono pronta a devastare la vostra psiche con doni fantastici e poco plausibili, roba che – diciamolo con fierezza – nessuna renna di Babbo Natale avrebbe il coraggio di trasportare.
Per fare le cose con ordine – che ho ben sempre una laurea in economia -, procederemo per macro-categorie: Animalini – per forza -, Wannabe casalinga – per convincere MADRE che anche per me può esserci speranza – e Strumenti utili per folli invenzioni – per diventare più produttivi, svegli e arguti.
Bene.
Cominciamo, che fra un po’ c’è da mettersi a tavola per il cenone della Vigilia.

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ANIMALINI

La vita ci mette di fronte a scelte difficili. Roba funzionale. E roba a forma di animalino. Nel dubbio, scegliete gli animalini. Per la cose a forma di cosa c’è sempre tempo, ma un animalino è fugace ed elusivo, bisogna catturarlo finché si può. E vale anche per i designer. Hai materialmente la possibilità di fare qualcosa a forma di bestia? Non esitare. Donaci della gioia.

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I testoni selvatici di Bibib

Il tricheco è il mio preferito. Ma ci sono praticamente tutti gli animali mai trasportati da Noè sulla sua sgangherata arca. C’è l’alce, la pecora, il cavallo, l’ippopotamo, l’elefante, il rinoceronte… sono mille. Sono morbidi e pupazzosi. E non fanno paura come le bestie impagliate.

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Kit-Cat Clock

Per lo skate fluttuante e le Nike che si allacciano da sole c’è ancora da aspettare un po’. L’orologio più inquietante della storia, però, vi aiuterà ad ingannare l’attesa, ipnotizzandovi fino all’azzeramento delle vostre funzioni cerebrali.

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Bicchieri Mad Cow

Non bevo latte e del latte non me ne frega niente, ma le bottiglie del latte mi piacciono un casino. Questi qua sono dei bicchieri strani a forma di mini-bottiglia del latte, con una giocosa decorazione a base di encefalopatia spongiforme bovina.

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Piatti a forma di pesce

Sono uno squalo, un branzino, un tonno e una spigola. E vanno in lavastoviglie, visto che sono pesci. Si attendono con ansia i piatti piani a forma di sogliola. Che qualcuno ci pensi, presto!

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Bunny Light

Coniglini dal deretano luminescente. Ripeto, CONIGLINI DAL DERETANO LUMINESCENTE.

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WANNABE CASALINGA

Invece di sviluppare delle vere capacità, compratevi della roba in grado di creare l’illusione del talento e dell’abnegazione domestica. 

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Cavapirata

Ormai in grado di interpretare il capitano Jack Sparrow molto meglio di Johnny Depp, il prode Cavapirata saprà valorosamente assistervi nelle vostre sconclusionate maratone alcoliche. Stavo per dire ‘sticazzi, ma poi mi sono accorta che sulla spalla sinistra (sinistra per noi, destra per il Cavapirata… e che non mi si dica che manco di precisione) ha addirittura il pappagallo. Che qualcuno gridi ARRRRRRRRR!

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Ortino

Ora che ho il balcone, mi è venuta la scimmia delle piante. Voglio dei fiori, dei vegetali vivi, voglio del verde. Voglio questa roba perché la gente normale riesce a far crescere le zucchine su dei terrazzini di un metro per 50 che affacciano direttamente sulla circonvallazione. E perché io no, allora? PORTATEMI DEI SEMI. MADRE! Sradica un ramo dalla siepe di rosmarino che c’è in campagna e insegnami qualcosa di utile, per una volta! Voglio fare il MOITO con la mia menta! Menta al popolo!

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Alberini portaspezie

Per passare il sale a qualcuno con autentica fierezza.

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Unplastic tray

Pensavo che ci fossero solo le robe di ceramica che fanno finta di essere cartone, ma il mondo delle stoviglie-camaleonte è vasto e ancora tutto da esplorare.

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Soapmarine

Per ritrovare la dignità e smetterla di usare il dispenser del Carrefour come se fosse la nostra ultima speranza. Dispenser carini! Dispenser marini!

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STRUMENTI UTILI PER FOLLI INVENZIONI

Lasciatevi aiutare… da oggetti che, in realtà, non faranno che distrarvi. O farvi perdere dell’altro tempo. 

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Biancateiera

Qua è interessante, perché Biancaneve è iper accessoriata. Intanto, la testa è una tazza. Sotto c’è la teiera vera e propria, con il cestellino per cacciarci dentro i vostri intrugli – se siete del partito del tè autentico ma un po’ sbatti – o buttarci la bustina – se siete del partito “voglio un tè, subito!”. La calotta cranica col fiocchetto non so bene come interpretarla, ma immagino serva a non far raffreddare il vostro beverone. Nel cestino, invece, metteteci dei coniglietti del bosco. O il mastro-teieraio giapponese che s’è inventato tutto.

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Kit da disegno

L’ho sempre voluto, il burattino-modello. E vorrei anche capire quali sono le vere intenzioni di quei personaggi che, al museo, si siedono a disegnare davanti ai quadri. Senza mai guardarli, poi. Che cosa fate, amici? Che cosa cercate di ottenere? …serve un burattino?

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Portatile postale… postatile?

Sto cominciando a rivalutare le custodie strambe per i portatili. Sarà che l’altro giorno al lavoro non trovavo più il mio perché sono tutte uguali… sarà che questa è fatta di tyvek – non ho idea di cosa sia, ma mi fa venire in mente il PYKRETE… sarà che da piccola scrivevo centinaia di letterine ad astruse penpals che mi riempivano di adesivi di Lisa Frank… sarà, sarà l’aurora. Ma le magibuste porta-portatile mi piacciono – nonostante servano a qualcosa.

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Trimphone

Non scordatevi il reggiseno a punta, le perle e il mezzo tacco.

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Fill’er Up

Questo salvadanaio ha finalmente capito come funzionano gli esseri umani. Ci serve uno scopo, dobbiamo renderci conto che stiamo combinando qualcosa, ci vogliono dei punti di riferimento. Che senso ha gettare tonnellate di denaro dentro a un insondabile affare a forma di scrofa? Ma così, senza una vaga idea di quanto ce ne sia già dentro, di quello che potremmo farci, di quando sarebbe più sensato fare a pezzi la cavolo di scrofa? I soldi si mettono via per qualcosa. Per comprarsi delle seggiole. Per adottare un gatto e farlo vivere serenamente. Per una Falabella. Per cambiare gli occhiali. Visto che risparmiare non è gratificante – no, guarda, ti ringrazio ma non posso proprio venire. Sai, o la cena di stasera o le vacanze a luglio -, pigliatevi almeno un salvadanaio in grado di apprezzare i vostri sforzi.

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Molti evviva.
Spero che la strampalata Tegamini-selezione vi abbia ispirato a sufficienza… e coraggio, anche quest’anno riusciremo a uscire quasi indenni dalle festività. Buono shopping su Goolp!, intanto. E che gli animalini vi assistano!

TEGAMINI – Amore del Cuore, finalmente andiamo in qualche capitale europea col bel tempo! A Berlino era dicembre. Ad Amsterdam era dicembre. A Oslo era dicembre. Adesso è giugno, capisci? Il caldino!
AMORE DEL CUORE – A Praga c’è l’alluvione.
TEGAMINI – Ah. Ma io ho già fatto i cerchietti sulla guida a tutte queste birrerie all’aperto in riva alla Moldava…
AMORE DEL CUORE – Facciamo così. Se esistono ancora ci andiamo.

Glu-glu. Ma non il glu-glu dei gargarozzi che inghiottono birra. Un glu-glu più di natura che sommerge.

Ma sto già facendo del disordine. Diamo una parvenza di senso a questa Praga-cronaca, informiamo e intratteniamo come si deve, diamine.

Il taxi dall’aeroporto all’albergo non lo volevamo prendere perché non ci sentivamo abbastanza autorevoli. Noi siamo giovani turisti, non abbiamo un soldo, il taxi è una cosa che non si considera e basta. Il taxi diventerà un’opzione quando guadagneremo il nostro primo milione. Ma poi, però, ti accorgi che a Praga i taxi costano quanto un giro sul Malpensa Express e allora ciao. Il nostro guida-guida ha insistito nel farsi chiamare Francesco e nel venirci a prendere sotto casa al ritorno, facendoci pure 15 euro di sconto. Quindi insomma, pigliate il taxi, uno degli AAA. E, in generale, mettetevi d’accordo prima su quello che vi faranno pagare, che il tassametro non esiste. Un po’ come la metropolitana. Ma dov’era, la metropolitana?
Comunque.
Come ogni volta che prenota qualcosa Amore del Cuore, siamo finiti in una camera d’albergo a forma di appartamento – ben più grande di casa nostra. E, a parte gli spettrali corridoi a mattonelle grigiobianche, la totale assenza di altri esseri umani e l’acqua che non diventava mai calda, noi ai Pushkin Aparments ci siamo stati anche bene – pagando (a testa) tre patate, una cipolla e due cavoli verza. Se volete emozionarvi tantissimo, ecco l’alcova dell’appartamento 12, dove io e Amore del Cuore abbiamo russato, asciugamani a forma di Mothman compresi.

Poi ci si svegliava e c’erano tutti dei tetti.


Che mangiare, se si arriva in città alle undici e passa di sera? Ma che sarà mai, ci siamo detti, andiamo a Praga, mica a Santiago de Compostela, che a quell’ora lì son già tutti a casa a dire dei rosari! E invece no, si mangia presto e pure i bar e i pub del centro ti cacciano verso mezzanotte. Grande Giove, l’inedia ci stroncherà! Ma poi, dietro casa, c’era un albergone – u Zlateho Stromu – coi tavolotti fuori e la cucina volenterosamente aperta 24 ore su 24. E ci siamo arenati lì, sbloccando il birra-counter della vacanza e dando delle sbirciatone al Ponte Carlo. In un momento di particolare euforia, temo anche di aver gridato un BELLA CARLO.


E finirei di parlare della serata fingendomi una guida Lonely Planet: “Concludete la giornata su una panchina priva di schienale a domandarvi come facciano tutti quanti a sopportare la Becherovka”.

***


Ciao, siamo le pastarellone del buongiorno.

Allora. Le previsioni del tempo davano pioggia torrenziale e 15 gradi di massima. E invece no, giungiamo in cima al castello scansando cinesi col parasole che si accasciano in preda alla calura. Io, bardata con pantalonazzo autunnale, stivale e golfino, simulo noncuranza… bestemmiando però gli dei del sudore nel profondo dell’anima.


Alle spalle di Tegamini, notiamo un gruppo di turisti sicuramente non soggetti alle restrizioni bagaglifere imposte da EasyJet. E magari anche dotati di una miglior fonte di informazioni in quanto a previsioni del tempo.


Monumento commemorativo. Quello accasciato con le stelle in testa è il turista che fa i gradini. Da qualche parte c’era una specie di skilift, ma siamo naturalmente votati al masochismo e ce ne siamo disinteressati.


Santi che trucidano draghi di fronte a splendide cattedralone dedicate ad altri santi che però di draghi non ne hanno mai visti. Propongo un “celebrity deathmatch” tra san Vito e san Giorgio. Il drago fa il mostro finale.


Se volete far finta di saper fare le foto, cercate dei gargoyle.

Il castello di Praga è una specie di città. C’è la cattedrale di san Vito, l’antico palazzo reale, la Torre delle Polveri, il Vicolo d’Oro, la basilica di san Giorgio. E tutto è bene e tutto è bello ed istruttivo, soprattutto se decidete di affrontare la grandiosità della storia e della cultura dopo un’immeritata pausa di riflessione sulla terrazza del Lobkowicz Palace Cafe. Non vi meritate di mangiare e bere ancora, ma infischiatevene. E se volete preservare l’integrità della vostra calotta cranica, sedetevi di fuori, ma ben appiccicati al muro. Noi si voleva splendideggiare nei pressi della balaustra ma dopo otto minuti eravamo squagliati. Più che altro, se proprio non vi preme star bene voi, fatelo almeno per la vostra birra.


Date retta alle scrittine FAVORITE. Sono FAVORITE perché se lo meritano.

Orbene. Dopo esservi opportunamente ristorati, visitate tutto il visitabile. Soffittoni! Vetrate! Papere nelle fontane! Imponenti baldacchini pieni di polvere! Santi! Martiri! Stemmazzi nobiliari! Armature stipate in ambienti claustrofobici! Armature con gagliardi parapalle! Mattonelle calpestate da Kafka! Cripte! Altari! Troni! Camere di tortura!

Gli intriganti e petaluti soffitti del salone principale del vecchio palazzo reale. Un salone di rara immensità dove, con tutta evidenza, si tenevano anche i campionati mondiali di pallacorda praghese, con tanto di tribune per il pubblico.

Un papero praghese, residente nel castello, con la papera sua moglie. Fermatevi almeno dieci minuti a osservare i due ciuffetti arricciati sulla coda del signor papero.


Ritrova anche tu la fede in mezzo alla cattedrale di San Vito. È l’effetto “Pilastri della terra”, poche storie.


Cuori per GESOO. E cacca a Satana.

Ciao, Alphonse Mucha. Non è che hai tempo di venirmi a disegnare una vetrata, sai, per la cattedrale. Ti assicuro, è un compito degnissimo e patriottico. E poi ci sono delle sante che sono anche meglio di Sarah Bernhardt, altroché Parigi. Ti ringrazio anticipatamente. Tuo, San Vito.

RRRROOOOOOOOOH! La formella del secolo.

Fingendosi devotissimo, Amore del Cuore si prostra al cospetto di un santo luccicante e sbadiglia a ripetizione per una dozzina di minuti.


San Vito è diventato San Vito perché è riuscito a far crescere le fette di pizza sugli alberi.


Ciao, cattedrale. Adesso andiamo a vagare nel Vicolo d’Oro.


Il magico artista-vetraio-intagliatore del Golden Vicolo. L’uomo che ci vede meglio da vicino di tutta la Repubblica Ceca.


Ve lo dirò. Non provando un particolare impulso feticistico nei confronti delle dimore di Franz Kafka, il Vicolo d’Oro mi ha messo una discreta ansia. È una via di mezzo tra Gardaland e la casa di Polly Pocket, ma con più bambini che corrono da tutte le parti e scale molto molto più strette. All’armeria, incagliati in un passaggio segreto insieme a una scolaresca tutta spintoni e cappellini rossi, pensavamo di darci la morte gettandoci su un’alabarda. Per fortuna, però, c’erano anche ovetti e pulcini.

Tanto per fuffare, vorrei anche raccontarvi che il castello di Praga è un must assoluto per farsi le foto dopo il matrimonio. Abbiamo incontrato ben tre coppie di assurdi sposoni novelli.
COPPIA UNO – sposo issa sposa sul parapetto dei giardini del castello (senza ringhiera né niente, così, freestyle) e la osserva mentre un corpulento fotografo le ordina di fare avanti e indietro sul benedetto muretto. Poi l’han fatta fermare, intimandole di dominare il panorama. All’inizio mi spiaceva per lei, ma poi le ho visto le scarpe. Aveva su quelle infami Mary Jane di GOMMA che van di moda tra la gente che vuole sudare tra un dito del piede e l’altro. Viola. Di plastica. AL TUO MATRIMONIO. Volevo caricare a testa bassa e gettarla giù dal muretto, ma Amore del Cuore mi ha fermata. In compenso, c’è questa foto che documenta tutto il mio funesto sdegno.


Zia, io avrò anche il bracciotto cicciardo da tennista-manovale, ma te ti sei sposata con delle scarpe di gomma viola. Chi sei, la cognata di Walter White? La gomma viola non è un’adorabile stravaganza, è un crimine contro l’umanità tutta. Che Anubi ti ghermisca!

COPPIA DUE – sposo e sposa danzano in mezzo a un altro giardino. C’è il fotografo che filma e delle buffe damigelle che si nascondono in mezzo ai cespugli. E sono pure bravi. L’unica roba inquietantissima è che gli sposi danzano serenamente senza musica.
COPPIA TRE – sposo e sposa, tutti bardati e senza manco un capello in disordine, si stravaccano su una gradinata a fare picci picci. Intorno a loro, il deserto. Niente paparazzi, niente invitati, un cavolo di nessuno. Fotografo invisibile? Momento di anarchia? Fuga romantica e tanti saluti ad amici e congiunti? Non lo sapremo mai, ma non c’era un’anima che se li filava.

Bene.
Esauriti i doveri culturali, siamo ruzzolati giù per la collina. Strada facendo, abbiamo visitato una farmacia e ci siamo aggiudicati una tonnellata di pastiglie per il mal di testa a due euro e dieci. Da grande importerò analgesici dalla Repubblica Ceca, si sappia. Stanchi come asini grigi e in piena crisi d’identità – numi, sono quattro ore che non ci sediamo al bar! – ci siamo accasciati in una piazzetta vicino alla nostra augusta dimora per riposare le stanche e dolentissime membra. Poi niente, dopo dieci minuti che eravamo lì è arrivato un giovane e paffuto tedescone vestito da coniglio rosa e mi ha chiesto se gli potevo smaltare le unghie.

Epic win, pingue tedescone. Mi ha detto che stava bevendo dalle 5 e mezza del mattino, ma l’ho comunque cazziato perché quello smalto lì non si stendeva bene per niente.
Per dovere di cronaca, devo anche dire che il primo addio al celibato degno di nota in cui ci siamo imbattuti poeva quasi quasi competere con quello del corpulento roditore germanico. A Malpensa c’era uno con l’aderentissimo costume (casco incluso) di Kimberly, la Power Ranger rosa… quella che tira con l’arco e grida PTERODATTILO! ogni cinque minuti. Kimberly e Coniglione Germanico, sposatevi tra di voi, il mondo già vi acclama.

E mentre noi ce la ridevamo, Noè continuava a lavorare all’arca.

Ma è ora di cena, è ora di cena!
In realtà volevamo andare in un altro posto, ma poi ci siamo arrivati davanti ed era un po’ lugubre. Un tragico sotterraneo con le sbarre alle finestre e l’intonaco vecchio di secoli. Ansia e sconforto. Che non so voi, ma quando vado in giro e sbaglio posto per mangiare mi indispettisco come mai al mondo. Per fortuna a sette metri c’era Lal Qila, un ristorante indiano che l’autorevole Trip Advisor riempie di complimenti. E basta, ci siamo fidati… facendo un gran bene. Ma buono. Buonissimo. E super didattico – e menomale, il menu era praticamente un Meridiano. Mi hanno pure fatto un pesce nel magico forno tandoori che non c’era scritto da nessuna parte, tanto per farmi sentire importante. E avevano un pianoforte disegnato sul soffitto, con le gambe e lo sgabellino che uscivano di sotto. Altroché Viktor&Rölf.


Vedi? Vedi? C’è un pianoforte incastrato nel soffitto!

Amore del Cuore, colmo di naan al formaggio e altre amenità, ha poi richiesto specificamente di visitare il Bukowski’s, meraviglioso baraccio nel quartiere più palloso di Praga. O noi non abbiamo capito la guida, o la guida dice delle tonanti corbellerie. “Il quartiere con la più alta densità di pub al mondo, accorrete!” Ma dove sono i pub? Non c’era un’anima in giro, tutti palazzoni belli e distinti. Uno aveva addirittura parcheggiato la Ferrari in strada, così, come se fosse una biciclettina. Il Bukowski ci ha salvato. Gente incastrata anche nei davanzali, fumo da tutte le parti, oscurità. Una meraviglia. Il barista – inquietante incrocio tra Sean Penn, uno scheletro di plastica da laboratorio e Braccio di Ferro (ma solo per il mento) – ha scodellato un OLDFESCION per Amore del Cuore senza battere ciglio. Purtroppo, eravamo seduti al bancone e non si poteva fare draping.

Amore del Cuore, quando è costretto a produrre un autoscatto, non riesce a generare anche un’espressione.  Insomma, è il Nicolas Cage degli autoscatti, ma amiamolo fortissimo lo stesso.

***

Cielo.
Questo post non finirà mai, ma qualcuno deve pur parlare dell’orologio astronomico! A un certo punto, mentre stramaledicevo MADRE al telefono non mi ricordo più neanche per cosa, ci siamo trovati in piazza sotto al venerabile segnatempo. E niente, mancava poco allo scoccare dell’ora successiva e ci siamo messi lì sotto insieme alle genti del mondo per vedere che diamine sarebbe accaduto in tutte quelle finestrelle.

Ecco. Per una volta vorrei mettere da parte il cinismo, perché con l’orologio astronomico di Praga sarebbe troppo facile. È un prodigio e basta. Si aprono le porticine e passano dei piccoli santi, lo scheletrino lì attaccato a destra muove la mascella e agita gli ossicini, i guerrierini si dimenano con le loro mini-spade e ci sono una miriade di acuti rintocchi. Poi c’è un tizio in cima alla torre che suona la trombetta, la folla lo applaude, lui saluta come una vera star e tante care cose, si va via contenti che neanche a Eurodisney dopo il mondo in miniatura. Fingiamo di essere onesti cittadini dell’antichità, immaginiamo per un attimo di essere dei bei campagnoli col un mulo al guinzaglio… ecco, l’orologio, lo scheletrino e il trombettiere ci scalderanno il cuore. Agita quegli ossicini, vispo scheletrino!

Rinfrancati dalla splendida esperienza – e sicurissimi di che ora fosse – ci siamo poi infilati nel negozio più bello del mondo, l’Art Decoratif. Riproduzioni di gioielli art-nouveau a destra e a sinistra. Ma strabilianti. Volute, foglie, ghirigori, pietre, LIANE, libellule, mosconi e lucertole. Facendo fare una fatica invereconda all’anzianerrima proprietaria, mi sono regalata l’Orchidea di Lalique. Insomma, pigliamoci una roba sola ma bella bella, invece di seimila baggianate e bottiglioni di assenzio farlocco.

Poi volevamo andare al museo ebraico, ma ci siamo spaventati quando abbiamo visto come si chiamava l’audioguida in tedesco.


Le magliette del golem però meritavano un casino.

In compenso, Amore del Cuore si è regalato un orologio russo degli anni Cinquanta. C’era questo mini-negozio – Old Clocks, Maiselova 16 – pieno di ciarpame e ticchettii e cucù a sorpresa. L’orologio di Amore del Cuore, in realtà, non abbiamo ancora capito molto bene se funziona o se siamo noi che continuiamo a fraintendere i meccanismi che ne governano il movimento. Nel dubbio, chiederemo l’aiuto dello scheletrino dell’orologio astronomico. Agita quegli ossicini, agitali!

Poi abbiamo visto passare un brezel gigante e non siamo più riusciti ad avanzare. Tavoloni di legno su un bel marciapiede di ciottolini e viva il Kolkolvna, che sarà pure una catena – il che ti fa subito sentire meno sofisticato -, ma ha tutto il mio ruspante rispetto. Cotolettazza, goulash, birrotti e pingue felicità.


Postura da gioioso insaccato e visibile sollievo da vecchia signora che finalmente trova un posto dove sedersi.

Nel tentativo di darci un contegno, abbiamo poi deciso di visitare il museo dell’eccelso Alphonse Mucha, strabiliante maestro dell’art-nouveau e disegnatore dei poster più memorabili di inizio Novecento. A vedere come la disegnava lui, la Sarah Bernhardt mi è sembrata divina sul serio. Il museo è piccolino ma fascinoso. Ci sono le riproduzioni dei lavori più famosi di Mucha – dai cartelloni per gli spettacoli teatrali di Parigi ai dipinti a olio -, le prove di stampa dei manifesti e i bozzetti a carboncino, mille studi per oggetti e arredamento LIBERTI e un tripudio di decorazioni. Ci sono i libri di favole che ha illustrato, allegorie delle stagioni e donne con capelli bellissimi da tutte le parti. E c’è pure un cinemino che proietta un documentario molto istruttivo sulla vita di Mucha – le seggiole scricchiolano, state immobili. E insomma, uscirete gridando VAFFANCULO MINIMALISMO e sarete molto contenti.

TEGAMINI – Amore del Cuore, ci manca Piazza Venceslao. Vorrai mica lasciar perdere piazza Venceslao.
AMORE DEL CUORE – Eccola, tò. È lassù, alla fine del vialone. Lungo lungo. In salita. Vuoi che andiamo?
TEGAMINI – Ah, è fin là. Allora no, anzi, col cazzo!
AMORE DEL CUORE – …fiume?
TEGAMINI – Fiume. E poi?
AMORE DEL CUORE – Eh. Vaghiamo.

E poi si è sparsa la voce che avevo portato stivali e collant grevi e si è messo a piovere tantissimo. Ma l’ultima sera è stata lo stesso molto frufru. E credo proprio che il Bar and Books, rifugio dal legno asciuttissimo, possa finire di diritto nella top-qualcosa dei miei posti preferiti al mondo. Se vi garba l’idea di andarvi a bere delle robe perfette in una biblioteca, piazzatevi lì e stateci. Ero così contenta che mi sono persino seduta con la schiena dritta. Non avevamo il monocolo, ma se lo chiedevamo alla super cameriera in inestimabile tubino rosso secondo me ce lo portava. Anzi, un monocolo ad Amore del Cuore e una tiara a me. Olivette, cosini croccanti, cristallo e gioia.


***

Ecco.
Avrei anche finito.
Resta il grande rammarico di non aver potuto mettere piede sul benedetto Ponte Carlo, presidiato giorno e notte da arcigni poliziotti che volevano salvarci dalla piena, e di non aver comprato il GAGGET definitivo: la felpona con su scritto PRAGUE DRINKING TEAM, accessorio che invidio da decenni a chiunque sia stato portato in gita a Praga al liceo, mentre io scarpinavo per l’ottava volta per Parigi e osservavo con costernazione il mio professore di scienze in lacrime di fronte alla ricostruzione del laboratorio di Lavoisier. Facciamo che il prossimo che va a Praga me la piglia, la sacra felpa. Ho la M. E mi va bene anche il colore più pacchiano. Tranne il giallo, dai. Il giallo no.

***

Per chi volesse andare in giro dentro a un Tegamini, adesso c’è anche la pregiata sezione Posti.

È un po’ che non parliamo dell’alpaca e che non gli dedichiamo l’attenzione che merita. Perché l’alpaca è l’animale più sublime di tutte le galassie! Paladino di poffosità, amico di ogni creatura visibile e invisibile, protettore dei pascoli erbosi e della gioia più splendente!
Ecco.
Per ricordarvi perché l’alpaca è straordinario, oltre a suggerirvi l’attenta lettura della prima e indimenticabile puntata della rubrica Gli animali ti guardano, sento anche il bisogno di rinvigorire il vostro entusiasmo con questa raccolta di dotti aforismi e illustri osservazioni. Che a me magari potete anche non credere, ma vi sfido a contraddire Darwin, padre della teoria evoluzionistica.

La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli alpaca.
Gandhi

La crudeltà verso gli alpaca è tirocinio della crudeltà contro gli uomini.
Publio Ovidio Nasone

L’alpaca è la virtù che, non potendo farsi uomo, si è fatta bestia.
Victor Hugo

Quando gioco col mio alpaca, chissà se sono io che mi sto divertendo con lui o lui con me.
Michel de Montaigne

L’etica, come viene intesa nel mondo occidentale, è stata finora limitata ai rapporti tra uomini. Ma questa etica è limitata. Abbiamo bisogno di un’etica più vasta, che includa anche gli alpaca.
Albert Schweitzer

Non c’è una differenza fondamentale tra le facoltà mentali dell’uomo e quelle dell’alpaca. Per quanto grande sia la differenza fra la mente umana e quella degli alpaca, si tratta certamente di una differenza di grado e non di genere.
Charles Darwin

 

Bene. Ma perché siamo qui? Siamo qui perché questi momenti d’oblio non si ripetano più. Mesi e mesi in cui il mirabile quadrupede andino è rimasto confinato in un minuscolo angolino del nostro cuore, senza poter galoppare liberamente su e giù per le praterie d’amore che meriterebbe invece di percorrere e abitare in ogni istante della vita del mondo. Eccoci dunque qua, pronti a partire alla perigliosa ricerca di un simbolo immortale, pronti a dar prova della nostra solidissima devozione.  E come, con cosa? Con un’icona, che domande, con un simulacro d’alpaca da tenere in bella vista nelle nostre abitazioni, così lontane dal Sud America e dall’ambiente naturale del nostro beniamino. Così su due piedi sembrerebbe impossibile trovare un oggetto capace di racchiudere e riassumere in se stesso tutta la nobiltà dell’alpaca. Ma, dopo attente e meticolose ricerche, sono qua per darvi speranza. Perché, da qualche parte nell’estremo oriente, c’è chi crea pupazzi a forma d’alpaca, pupazzi di rara bellezza… alti fino a quaranta centimetri e super accessoriati!
Giubilate!

Ora, rimanendo sempre sui modelli di jumbo-alpaca, sono indecisa fra questi tre esemplari… e gradirei un vostro consiglio. Ve li presento.


Alpaca UNO. Con un’inspiegabile tortina al collo.
Quel che non mi garba è la forma dimessa e malinconica delle orecchie, che dovrebbero essere ben svettanti e vigili, invece che spiaccicate all’ingiù come le tristi fronde di un salice.

*

Alpaca DUE.  Con orecchie infiocchettate e cravattino.
Mi piace il portamento, ma il muso è da imbecille.

*

Alpaca TRE, con accessori tartan.
Mi piace il portamento, mi piace l’espressione spavalda. Il cappello lo getterei nel fuoco.

 

Io propenderei per l’alpaca TRE. Ma è importante che ci sia consenso popolare, visto che finirebbe per diventare una delle numerosissime mascotte di Tegamini, nonché tormentone incancellabile e gradita aggiunta allo stemma araldico del mio casato. Comunque vada a finire, però, aggiungerò allo stupidissimo ordine un’irrinunciabile minipochette rosa a forma di cucciolo d’alpaca, che porterei con me in ogni dove e cullerei senza sosta e senza posa.

Ovviamente, chi fosse a conoscenza di qualche altro genere di morbido simulacro d’alpaca è pregato di segnalarmelo senza indugi. Perché limitarsi a un piccolo altare, quando si può erigere un maestoso tempio?

 

Succede, a volte, che si avverta l’inderogabile necessità di rischiarare con una stupidaggine l’oscuro deserto di disperazione e patimento che ci troviamo ad abitare. Questo karmico meccanismo di auto-conservazione si innesca con frequenza variabile da individuo a individuo. A me, tipo, succede spessissimo. È successo tempo fa, quando decisi di mettermi al collo una sciarpa a forma di volpe e succede anche adesso che posso avvolgermi in un golfino tempestato di folli gattini con gli occhi pallati.
Funziona così: c’è un residente dello stato del Rhode Island che va a cercare golfetti di ogni forma e colore per trasferirci su delle cataste di gatti. Quando li trova, ci stampa sopra queste sagome di gatti e poi dona loro la vista, applicando sui loro musetti – ancora orbi e informi – dei bulbi oculari di singolare fissità (anche per dei felini).
Il risultato finale è questo:

 

***

Risultati ancora più sublimi – e concrete possibilità di aprire un portale verso una dimensione sconosciuta e avvincentissima – possono essere raggiunti indossando uno dei maglioni di Pretty Snake mentre si tiene in braccio Ottone von Asgard, Ironcat Supremo, Implacabile Minaccia Fantasma.
Eccomi, nel pieno di una combo maglione-Ottone,  all’interno di una fotografia più ampia (che non mi aspettavo sarebbe mai stata scattata) che ho però deciso di ritagliare per consentire a vittime incolpevoli di raggiungere la salvezza.

***

Per i fan di Ottone von Asgard, gli ultimi avvenimenti che lo riguardano sono i seguenti:

– il veterinario ha predetto che si tufferà dal soppalco al divano fra circa un mese.

– il manzo ci fa ORRORE. Orrore e paura invincibile.

– l’unico oggetto che Ottone ama sinceramente e cerca senza requie è il rotolino di scotch che tento invano di nascondere nel portamatite. Ottone sale sul tavolo e, con perizia chirurgica, se ne impossessa tutti i giorni per farlo ruzzolare in giro. Ogni tentativo di rimetterlo a posto e farlo desistere si è rivelato vano.

– Ottone è riuscito a correre sotto al lavandino e a scardinare il tubo di plastica dello scarico. Vero, il tubo partiva già da una condizione di scarsa solidità, ma il contributo di Ottone alla silenziosa alluvione verificatasi in cucina è significativo. Dopo questa performance, ai titoli onorifici di Ottone von Asgard, Ironcat Supremo, è stato aggiunto anche quello di Implacabile Minaccia Fantasma.

– Amore del Cuore lo sogna di notte. Nei sogni di Amore del Cuore, Ottone ha il dono della parola e afferma cose sconvolgenti: “guarda che capisco tutto quello che vi dite”. Siamo fottuti.

 

Per chi fosse (giustamente) ignaro di tutto, dirò che sono andata a fare un giro a Oslo, qualche settimana fa. Pessima idea, andare in vacanza all’inizio del mese, a stipendio praticamente intatto. Vai in giro in mezzo ai fiordi e ti convinci di avere addirittura un po’ di potere d’acquisto… ma poi torni a casa e ti viene in mente che non hai ancora pagato l’affitto e, mentre ancora trascini il trolley nell’androne, scopri anche che sono arrivate le bollette. Amore del Cuore vive un perpetuo lapsus, quando c’è da pagare la luce e il gas:

TEGAMINI – Ma quand’è che c’è da pagarle, insomma?
AMORE DEL CUORE – Che cosa, le multe?

Comunque.
Per chi volesse leggersi tutta l’avventura e vedere un mucchio di foto bizzarre e gioiose, c’è tutto un post pieno di cose divertenti e indicazioni > Oslo: una mini-guida per gente buffa.
Per chi sa già tutto, invece, procedo senza indugi con lo sbandieramento degli irrinunciabili articoli acquistati in Norvegia. Perché se mai qualcuno proporrà di interdirmi, sarà ben necessario fornire alle autorità un ragguardevole malloppo di tangibili prove di squilibrio e scarsa attitudine allo stare al mondo.

Splendido.

Il primo palpitante oggetto trascinato in patria dalle terre di Odino è un capiente, pratico e inutile lunchbox di foresta.

Il cerbiattino parla con lo scoiattolo, mentre moltitudini di uccellini festanti e altri scoiattolini – sicuramente sodali di quello che chiacchiera – si agitano senza posa tra la rigogliosa vegetazione. Perché è vero che in ognuna di noi c’è una principessa Disney.

***

Siamo anche entrati in un negozio dell’usato. Mai visto tanti piatti di porcellana arzigogolata in vita mia. Ho addirittura pensato che mi sarebbe piaciuto moltissimo sceglierne a caso una dozzina e apparecchiarci la tavola per sempre. Che si sa, gli assortimenti vintage che simulano disordine fanno tanto “guarda che stile, e non ci sforziamo neanche”. Date le costrizioni sul bagaglio a mano, però, ho lasciato perdere piatti e piattini per lanciarmi su una coppia di incomprensibili uccellini. Burberi e gonfi come cornamuse.

VICHINGO DELL’USATO – Are you getting the birds, then?
TEGAMINI – Absolutely, they’re so pretty!
VICHINGO DELL’USATO – I know. They remind me of my grandma.
AMORE DEL CUORE – …seh, altroché ricordi, questi qua erano proprio quelli di sua nonna!

Mi chiedo da quanto sia morta, quest’anziana sconosciuta.

***

Ma il vero tesoro, ripescato da un vascello spezzato a metà dal tentacolo di un kraken di fiordo, è ben altro. Perché nei negozi di giocattoli norvegesi si trova di tutto. E ci sono anche i polli arrosto di peluche.

Nota bene, sia le ali che i cosciotti sono staccabili. C’è il velcro, così li puoi riappiccicare e mettere da parte gli avanzi… metti che qualcuno non riesca a finire quello che ha nel piatto (uno scandalo, con tutti i bambini che muoiono di fame in Africa). Per una corretta conservazione del pollo-pupazzo, poi, vi consiglio animatamente di cacciarlo in frigo.

Per tirarla ancora un po’ per le lunghe, vi racconterò anche che questo pollo era destinato a me. Lo scorso anno, in un negozio di giocattoli di Amsterdam – anche là, negozi di giocattoli straordinari, devono avere qualcosa, i nordici, per i giochi… che sia la maggiore prossimità geografica con Babbo Natale a ispirarli? – avevo visto un pollo di peluche uguale uguale. Stupidamente, però, avevo evitato di comprarlo. Sarà che stavamo andando a visitare la casa di Anna Frank… e probabilmente avrò pensato “non puoi andare alla casa di Anna Frank con un pollo di pezza in mano”. E niente, l’ho lasciato dov’era, rimpiangendolo amaramente per mesi. Poi niente, si è verificato questo miracolo norreno. Ed era pure l’ultimo rimasto. Insomma, il fato ha voluto che io e il pollo ci incontrassimo di nuovo. E questa volta non ho vacillato.

***

Ci eravamo anche presi benissimo con questi esotici cranio-pupazzi ma, si sa, Ryanair ti dissangua, se osi proporti al check-in con un bagaglio anche di poco più grande di una risma di fogli A4.
Il bufalo!
Parliamo del bufalo!
È straordinario, lontanissimo da casa mia, ma straordinario.

***

Dunque, con Amore del Cuore abbiamo sviluppato questa specialità di andare in inverno dove c’è freddo. Un talento che ci ha portati a Berlino nel 2010 – durante la tempesta di neve più impetuosa che l’Europa ricordi -, ad Amsterdam nel 2011 – coi cigni che agonizzavano, incastrati nel ghiaccio dei canali – e a Oslo, pochi giorni fa. C’è da dire che c’era da ibernare molto meno del previsto (zero gradi, cinque gradi, tre… narvali in bermuda), il che ci ha un po’ spiazzati, anche se la nostra delusione da (relativa)  mitezza del clima è stata più che compensata dal crepuscolo perenne. Ma se inizio a divagare subito è un disastro, perché ho tutta questa idea di proiettarvi con massimo rigore cronologico un numero impressionante di foto delle ferie e mi son segnata che dell’oscurità delle tre del pomeriggio dovrei parlare dopo. Direi quindi di non indugiare oltre e di procedere con coraggio, come veloci pinguini che scivolano di pancia giù per un bel canalone surgelato.

Avventure!
Panorami!
Cibo che costa come un anno d’università!
Fiordi giganti!
Gatti grossi!
Mal di talloni!
Fortezze sorvegliate da burattini!
Animali che mai dovrebbero essere mangiati!
Slitte di regine vichinghe!
Norvegia!
…!

Comunque, per dimostrarvi la mia serietà di travel blogger, parto subito con l’intramontabile classico della foto alle nuvole dal finestrino dell’aereo. Così, tanto per farvi presente che la roba peggiore l’avete già smaltita all’inizio del post.

…sorvoliamo, valà.

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A Oslo ogni porta è una cassaforte. Sono riuscita a imbroccare tutti i numeretti senza sbirciare il bigliettino solo l’ultima volta che ho dovuto aprire il grevissimo uscio della camera, al terzo giorno di permanenza. Che poi non era una camera, era un appartamento, vicino a un fiume pieno di papere chiacchierone. Va bene, c’erano dentro sei mobili in tutto – più un barattolo di gelato, gusto fragola-cheesecake, da noi aggiunto strada facendo -, ma il salotto poteva tranquillamente ospitare una lezione di aerobica, una di quelle ambite, con l’istruttore severo ma giusto.
A questo punto, mi chiedo che cosa spinga un popolo così civile, un popolo capace di dimostrare una tale prodigalità nell’edificazione di spaziose dimore a rifiutarsi di trovare quattro misere piastrelle su cui incastrare un bidet. Che vi ha fatto, il povero bidet. E ci stava pure lui, ve lo assicuro.

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Amore del Cuore cartografo, armato di sestante e bussola, si impegna moltissimo per aumentare il livello medio di senso dell’orientamento della coppia. Lui sa sempre dove si trova. Io cerco di individuare il nord cercando il muschio in terra (anche in città) ed evidenzio in giallo solo le cose inutili della guida, tipo “nei mesi caldi, ricordate di portare un contenitore per raccogliere i mirtilli”.

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Il delicatissimo e cruciale momento della vestizione, reso ancor più impervio dai quarantasei gradi centigradi della stanza. Poi esci che ce ne sono 2.5 e ti si squarcia la pelle, come nel terzo Alien, quello con Ripley nel carcere di massima sicurezza adibito ad allegra fonderia.

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Il primo momento di travolgente entusiasmo ci ha assaliti in mezzo alla piazza della cattedrale, di fronte a tre galline moschettiere. Una roba bella di Oslo è che la città è piena di queste sculture zoologiche che spuntano in giro, senza un apparente perché. Oltre alle adorate gallinone ci siamo imbattuti in una foca, un orso polare, un cervo, una cantante lirica e due leoni. I due leoni stavano a guardia di un posto chiamato Mini Bottle Gallery, un tempio dedicato al culto delle mignon. Dalla vetrina siamo riusciti a scorgere diversi armadietti pieni di bottiglie vestite nei modi più disparati (la bottiglia in frac, la bottiglia scout, la bottiglina ballerina), un acquario lungo un dieci metri buoni – pieno zeppo di pesci enormi, tipo lucci – e un lampadario con tutte queste bottigline appese come preziosi cristalli. Che vi devo dire. In compenso, uno dei due leoni a guardia dell’uscio aveva la coda rotta. E Amore del Cuore mi ha impedito di salirgli in groppa, anche se era palesemente lì per quello.

Per quanto riguarda il secondo momento d’entusiasmo, invece, direi che si potrebbe parlare del palazzo reale che fa capolino in fondo a un viale che bisognerebbe percorrere esclusivamente a bordo di carrozze-slitta. La rigorosa prospettiva del disegno urbanistico rende ancor più bizzarre ed evidenti le mie gambe storte. E mi sento di consigliare a chi fosse afflitto dal medesimo problema a mettersi in posa un po’ di profilo, magari con un piedino all’insù e un fazzoletto bianco in mano, come nella miglior tradizione dei sovrani che fanno ciao alle moltitudini.

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Cafè Skansen – Radhusgata 32

Straziata da un improvviso moto di nostalgia per le straordinarie uova con speck e patate che si mangiano in settimana bianca, ho ingurgitato con grande allegria la variante norvegese dello stimatissimo piatto altoatesino. Nonostante la sublime nobiltà del luogo, le patate erano un po’ buffe.

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Nasjonalgalleriet

Che siamo gente di cultura.
E finché riesco a farmi passare per studentessa universitaria persevero nel chiedere il biglietto ridotto.


Edvard Munch is in da house.

Allora, la sala di Edvard Munch fa paura sul serio. A parte l’infinita e sincera angoscia che ti assale davanti all’Urlo, ci sono anche tutte queste persone inseguite da ombre giganti, signore rigidissime, che ti fissano come se sapessero che stai per essere colpito da una catastrofica sventura, letti di morte, feste danzanti sul punto di finire male, imponenti siepi verdissime, a forma di panettone, che chissà cosa c’è dentro (e forse nemmeno lo vuoi sapere). Tutti i colori, compresi quelli allegri, hanno qualcosa di opaco e sinistro. E le tizie con lo sguardo fisso somigliano pure un po’ a come m’immagino diventerà Bianca Balti da vecchia.

Insomma, ci siamo spaventati, nella sala di Munch. E abbiamo anche deciso di andare a vedere il museo one-man-show, ospitato dal ridente sobborgo di Grünerløkka e messo lì apposta per popolare gli incubi del vicinato. Comunque, la mia vera e adorata scoperta alla Galleria Nazionale è il pittore e illustratore norvegese Gerhard Munthe, uno che aveva tre pannelli appesi nel luogo più scalognato dell’intero museo ma che ha comunque colmato il mio cuore di autentica meraviglia. Perchè il Munthe è un artista di miticherie e un esploratore delle leggende della tradizione norvegese. Ci sono i draghi, i cavalieri, le decorazioni che somigliano a manoscritti miniati, i troll nelle caverne, le principesse da salvare, le armature luccicanti e delle belle brocche molto arzigogolate. E chi lo sapeva, che là fuori c’era un Munthe. Insomma, iniziamo ad amarlo tutti in coro.


Un angolino dei pannelli (scalognatamente appesi) di Munthe.

Un’altra roba, trovata SULL’Internet, delle bellissime bestie molto aerodinamiche di Munthe.

Che felicità.
E un paio di altre ciccionate della galleria:

 

 


Una sala conferenze-concerti in cui non riuscirei mai a stare attenta perché ho un debole per le gigantesche Vittorie alate.


Un ritratto molto ben riuscito di Harry Potter.


Gatti furtivi che rallegrano scene di pesante macelleria.


Amore del Cuore mi asseconda pazientemente, in mezzo ai funzionalissimi armadietti-guardaroba.

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Passeggiatine all’Aker Brygge

Si sa, le banchine portuali tutte rimesse a nuovo sono molto TRENDI, anche nel bel mezzo del crepuscolo degli dèi e con tutti i negozi chiusi, che in Norvegia alle 16-17 si sbaracca e si va a cena. E sono belle, con le lucine calde e gli edifici di vetro nuovi di pacca, i ristoranti e i bar con i tavoli fuori e le seggiole con copertina in dotazione. E già, l’Aker Brygge è un luogo molto fascinoso, nonostante riesca a insinuare nella tua mente il dubbio di esserti smarrito nel quarto livello di sogno di un qualche sventurato protagonista di Inception. All’Aker Brygge, poi, partono traghetti di ogni genere e attraccano pescherecchi, portati a riva da garruli marinai che – sosteneva la guida – hanno l’abitudine di lanciare gamberi appena pescati sulla folla. Noi di gamberi croccanti non ne abbiamo visti, ma siamo andati al banco informazioni per capire se la remota penisola dei musei – perché c’è una penisola con su mille musei – fosse raggiungibile, in qualche modo, anche solcando le onde del mare novembrino.

TEGAMINI – Hi!
THOR DELLE INFORMAZIONI – Hello there!
TEGAMINI – We have a question on how to reach the Bygdøy peninsula… we would like to go to the Viking Ship Museum and we read on our guide that it’s possible to get there by ferry…
THOR DELLE INFORMAZIONI – Oh, I see. Well, no, not at this time of the year.
TEGAMINI – I was afraid you’d said so. But the guide… they say that ferries are still traveling, just on a shorter schedule…
THOR DELLE INFORMAZIONI (con infinito sdegno) – THERE IS ICE IN THE FJORD!!! …but you can take the bus number 30, at the Theatre.

Diamine, avvenente vichingo biondo delle informazioni, mica ce l’ho messo io il ghiaccio nel fiordo! Mi sono sentita come Loki dopo una sgridata di Odino. Che ne so che al 4 di novembre dovete navigare ramponando in mezzo ai lastroni. Insomma, il servizio traghetti si interrompe in settembre, più per una sensata valutazione sull’afflusso turistico invernale che per effettiva glaciazione del fiordo. Che ce n’erano semila, di imbarcazioni che lo solcavano serenamente, le ho viste con questi occhi.
Comunque.


Non è detto che edifici che somigliano all’incontro fatale tra dei panbauletto e un manicomio criminale siano fonte di melodie inquietanti. Tipo, questo qua suonava come un bel carillon.

Tra i mille ristoranti sulla passeggiata finto-rustica dell’Aker Brygge, poi, abbiamo preso due decisioni. A) Domani sera veniamo qua a mangiare il pesce, anche se appena entri hanno la teca con le aragoste vive e c’è pure la cucina a vista, che son sempre cose che ti fanno capire che spenderai un casino di soldi – B) L’umidità mi sta demolendo le ossa, prendiamoci un bel tè del pomeriggio a questo Cafè Sorgenfri (Bryggetorget 4).


Tègamini.


Bella. Due tazze di tè, dieci euro.
Però l’assortimento di ciarpame fantastico che ricopriva ogni genere di superficie ciarpamabile era davvero molto coreografico. Questo qua sopra è il soffitto, con tutti i giocattoli, gli slittini, i lampadari e le paccottiglie vintage. Qua sotto, invece, c’è un angolo con un posatoio per colombe.

***
Intermezzi di poca rilevanza

Ma smettiamola con queste scene di calore e ospitalità. Il gelo della sera è tragicamente incisivo… e ci si può difendere solo con cappucci a criniera di leone, spessi mezzo metro. Basta, voglio un titolo nobiliare russo. E un manicotto.


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Viking Ship Museum, per Odino!

Gloriosamente ospitato dalla penisola che non si può raggiungere via mare se non in due mesi dell’anno, il museo delle navi vichinghe è meraviglioso e anche super istruttivo. Per dire, io non lo sapevo che i re e le regine vichinghe venivano seppelliti dentro a una nave. Avevo quest’idea di piccole imbarcazioni spinte al largo con sopra un cadavere fiammeggiante, tipo chiatta-pira-funeraria, ma niente di più. E invece no, c’è tutta una gestione complicata dei morti importanti.
Il museo contiene tre navi-tomba – una BELLISSIMA e vezzosa, una bella e solida, una che è poco più di uno scheletro di legno -, più buona parte dei tesori che vichinghi molto previdenti avevano deciso di far portare al defunto nell’aldilà, comprese delle slitte fascinosissime, piene di decorazioni, mostri aggrovigliati e metallo che brilla.


La prua a ricciolone della nave della regina. Vascello bellissimo ma poco coriaceo, veniva utilizzato per gitarelle nel fiordo e placide escursioni. Mi ci farei seppellire anch’io, dentro a una roba del genere.

Meno carinerie, più legno da battaglia.

I vichinghi sono i vincitori morali di ogni olimpiade di slittino mai disputata al mondo.

I veri costruttori di vascelli iniziano ad esercitarsi da piccoli.

 

 


Modeste dimore di abitatori della penisola di Bygdøy.

 

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Intermezzi di poca rilevanza

I gatti norvegesi delle foreste vivono anche in città. Tu sei lì bello contentone, perché stai camminando verso un posto che nella vita non hai ancora visto e senti un albero che miagola forte. Poi ti giri e ti accorgi che su questo albero c’è un gatto grossissimo e che sta miagolando proprio a te. Che fai, gattone pelosissimo, in bilico sull’albero? Devo chiamare un pompiere biondo perché ti aiuti a scendere? Ti sei incagliato? Macché. Il gatto grosso norvegese delle foreste cittadine ti miagola dietro solo perché è simpatico e vuole essere osservato mentre salta giù, senza un problema al mondo. E poi che devi fare, t’inginocchi in terra, in mezzo alle foglie umide e pasticci il gatto gigante più socievole della Scandinavia con infinita contentezza. Gli vuoi già così bene che ti accorgi di non avere nemmeno un po’ di voglia di starnutire o grattarti gli occhi… e allora capisci che ai gatti scrausi e spelacchiati sarai anche allergica, ma a quelli meravigliosi e costosissimi no.


Natura morta con gatto espansivo che cambia ramo.

 


Natura vivissima e allegra con coccole estemporanee.

 

 


La perentoria reazione di MADRE  – del tutto ignara delle politiche Ryanair in fatto di bagagli – all’avvistamento del gatto megapoffoso di Norvegia.

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Il Vigeland Park

Questo posto è titanico, imponente, insieme molto aggrovigliato e razionalissimo. Le statue tondeggiano, tutto il resto è regolare e squadrato. Tutto il parco scolpito da Vigeland è una metafora del ciclo della vita e ovunque ti giri c’è gente di granito, ferro e bronzo alta due metri che ride, piange, si sbraccia verso il cielo, si raggomitola o salta in groppa a qualcuno. Vi dirò, io sono una ragazza semplice… mi piace Canova. Mi piacciono i marmi candidi, gli eroi, i serpenti di mare, i ponti pieni di angeli guerrieri, le tombe nella basilica di San Pietro, i drappeggi e le vene delle mani che affiorano delicatamente dalla pietra. Insomma, ho difficoltà a trovare soddisfazione estetica in figure come quelle di Vigeland, ma il parco mi ha molto impressionata. Mettetevi lì voi a tirar fuori tutta quella gente da dei sassoni. Trovate un posto a tutti e raccontate una storia. È brutto da far paura, il parco di Vigeland, ma è assolutamente maestoso.

Tegamini (ancora molto lontana dalle statue ciclopiche) saltella felice tra le foglie morte.


L’obelisco di Vigeland, nella mia personale hit-parade delle cose peggiori che potrebbe capitarmi di sognare in una notte di tempesta.


Stanchi delle vostre vecchie poltrone? Sedetevi su una renna.


Qua m’ero appena ricordata di avere mezzo litro di crema di whiskey nella borsa.

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Teatri a forma di iceberg

Perché c’è un teatro in centro, ma c’è anche un nuovo teatro dell’opera, che galleggia in mezzo a fantascientifici cantieri come un grosso zatterone di marmo bianco. L’idea è quella di farlo somigliare a un iceberg e, a giudicare dall’affluenza di felicissimi gabbiani, direi che ci sono riusciti. Il palazzo è fatto in modo da risultare completamente calpestabile: ci si può arrampicare da tutte le parti, tetto incluso… anche se non so bene come facciano quando ghiaccia, che se metti male un piede e inizi a scivolare è matematicamente impossibile fermarsi prima di raggiungere il mare. Forse prendono un cannone, lo posizionano a riva e iniziano a bombardare la struttura a salve di sale. Comunque, sul teatro dell’opera la gente di Norvegia ci porta a giocare i bambini, che impazziscono per piani inclinati e gradini. Son bambini con molta immaginazione, o bambini malvagi, che i genitori sperano di uccidere facendo passare tutta la faccenda del “qual disgrazia, la mia prole è rotolata nel gelido mare da una delle pendici del teatro” come un incidente.


Ormeggiato a poca distanza dal teatro (la distanza sufficiente a creare un effetto di straordinaria fotogenia), c’è un iceberg di vetro ancora più iceberg del teatro di marmo. Superman ci va dentro ad abitare quando si stufa della Fortezza della Solitudine.


Vietato ruzzolare. In effetti, avevo molta paura che Amore del Cuore ruzzolasse. Con la massa che ha sarebbe stato impossibile da fermare.


Tegamini realizza il sogno di riempire di ditate un teatro dell’opera.

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Andrò all’inferno – Lofoten Fiskerestaurant


Massì, uscire a cena in Norvegia è una roba che possono permettersi solo i trafficanti d’organi, ma chi se ne importa, si vive una volta sola, vuoi non andare a mangiare il pesce? E poi oggi non ci siamo nemmeno concessi il lusso di un beverone pomeridiano al caffè del teatro, un posto dove va solo la gente col monocolo, forza e coraggio, abbiamo pure prenotato… ora, però, urge una premessa.
Magda Szabó, che se non l’avete mai letta ve la consiglio molto, era una bambina un po’ gracile e malaticcia. All’improvviso, di fronte a un piatto di carne di non so bene che animale, capì che quella che stava per mangiare era stata una bestia viva e venne colta da una profonda disperazione. Niente, la carne – che così bene le avrebbe fatto – non la voleva più nemmeno veder passare. I suoi genitori, personaggi di meravigliosa fantasia e sensibilità fuori dal comune, le spiegarono pazientemente che certi animali, ad un certo punto della loro vita, si stancano di stare al mondo e decidono, in tutta libertà, di offrirsi volontari per finire sulla tavola degli esseri umani. La Szabó, tra una pertosse e l’altra, si lascia persuadere, e ricomincia a rimpinzarsi di salutari proteine.
Ecco.
Sono sicura che la balena che ho mangiato era una di quelle bestie lì, stanche della vita.

CAMERIERINA – So, our five courses fish menu starts with grilled whale, followed by a mussel soup with vegetables and cod, cooked in the oven with lentils and red wine sauce. After the fish…
TEGAMINI – Hold on, hold on. Whale, like a…
CAMERIERINA – Yes, whale, you know, the huge fish…
TEGAMINI – Technically it’s not a fish but… WHALE! Is it even legal?
CAMERIERINA –  In Norway and Japan.


Mi chiamo Ismaele: l’antipasto di balena grigliata.
E lo devo dire, poverona, la balena sa del più buon filetto che mai vi capiterà di inghiottire finché siete al mondo. Mi sento come Homer quando mangiò Pizzicottina. E anche se era una fettina grossa come un Oro Saiwa, mi sento ormai marchiata per sempre dall’anatema del dio Poseidone. Perché diamine, gli animali dei documentari non si dovrebbero mangiare.


La zuppa di pesce con cozze galleggianti.


Il merluzzo al forno, col vino rosso e le lenticchie.

E comunque una mia amica ha mangiato il delfino. Mangiare un delfino è molto peggio. I delfini salvano i naufraghi, fanno divertire i bambini e vengono a riva a farsi accarezzare.
La verità è che merito di essere trafitta da un narvalo vendicatore.

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Intermezzi di poca rilevanza


Anche in Norvegia si fa draping.

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Il Munch Museet – The Modern Eye

Anche qui, super scoperte. Nonostante al bookshop vendano la tristerrima tavolozza di Munch (composta unicamente da colori che non riesco a descrivere in altro modo che con l’immagine di uno spartito musicale fatto solo di note in bemolle), quello che si trova in The Modern Eye è davvero insolito, per quello che l’essere umano medio conosce dello strambo artista. Perché è vero, c’è poco da stare allegri, ma la collezione che sta fuori dalla Galleria Nazionale (e che abbiamo visto finire nella mostra di questo periodo) è vivace e stramba: ci sono stanze che raccolgono innumerevoli varianti dello stesso soggetto (dipinte a intervalli regolari per una vita intera), gli autoritratti fotografici e pittorici, strade in mezzo ai boschi (sepolte da una nevicata, ostruite da tronchi di un giallo brillantissimo o occupate da cadaveri e assassini che scappano), ossessioni per le trasparenze e le sovrapposizioni (nate, all’epoca, dai primi utilizzi dei raggi X), le scene cinematografiche dei lavoratori che camminano per strada (come nei primi esperimenti di fratelli Lumiére, che a Munch interessavano immensamente), gli interni che sembrano fotografie di scene di teatro (cose che succedono dopo il lavoro di Munch agli spettacoli di Ibsen) e tutto quel che accade quando a un artista scoppia una vena in un occhio.
E chi lo sapeva, che a Munch era esploso un occhio. Non solo cercò di ripigliarsi dall’accaduto immaginando il suo occhio come una specie di pianeta infestato da un uccello minaccioso, ma cominciò anche a dipingere esattamente quel che riusciva a vedere in quella nuova condizione. E ci sono quadri pieni di macchie pennute, ombre ancora più grosse, tinte distorte e buffe brillantezze.
Mamma mia, sono più divulgativa di Alberto Angela. Ma sarà uscito dal sottosuolo di Roma? Tutte le volte che accendo la tv e mi imbatto in Alberto Angela, sta vagando da qualche parte, nelle viscere di una catacomba capitolina. Ma solo a me succede, o lui effettivamente vive là sotto?
Comunque.


Matite di Munch, con l’alberello di vene rotte che diventa un cattivo mini-ibis.


Dentro alla testa di una persona preoccupata ce n’è sempre un’altra. E tutte le cose diventano anche un po’ trasparenti.


Cavalli che scappano nella nostra direzione.


Al bar del museo di Munch urlano anche le tortine. E visto che l’
Urlo è da un’altra parte, è l’unico urlo disponibile.

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Super Fortezze Volanti Fantastiche: Akershus Festning

Qua ci metterò le foto un po’ più grandi, valà, che c’è tutta una magia di cielo-acqua-mattoni. E vi risparmierò ogni tipo di autoscatto romantico, anche se Amore del Cuore che si staglia sul fiordo è un bel vedere.

TEGAMINI – …Amore del Cuore, ma non c’è nessuno!
AMORE DEL CUORE – Ma no dai, c’erano quelle due tizie del viale, quelle che si tiravano addosso le foglie per fare le foto.
TEGAMINI – Ma ho paura, è deserto! Metti che adesso spunta un cavaliere fantasma o qualcosa del genere…
Da dietro l’angolo fa la sua comparsa la guardia in alta uniforme, con tanto di braccio rigido che fa su e giù, fucile in spalla e sguardo fisso. Amore del Cuore e Tegamini si immobilizzano.
TEGAMINI – Non ce la faccio, non ce la faccio, mandalo via, mi viene da ridere!
AMORE DEL CUORE – Guarda, guarda, adesso batte i tacchi e torna indietro. Però dai, abbiamo avuto fortuna, è sicuramente il cambio della guardia. Vuoi che passi la giornata ad andare in giro così?
TEGAMINI – Ma poverino, chissà che freddo, non ha nemmeno una sciarpetta! Quanti anni avrà, poi?
AMORE DEL CUORE – Sedici.


Ancor meno rispettato delle guardie col cappello di gorilla della regina d’Inghilterra, l’indomito soldatino di piombo, ultimo baluardo difensivo della fortezza Arkershus e prima fonte di gaudio per i turisti più sadici.


Il super fiordo (se vedete dell’ICE IN THE FJORD vi prego di segnalarmelo) color piombo. L’impressione che ho avuto è che l’acqua, in questo posto qua, sia molto pesante, come se avesse una densità da petrolio. E poi fa quasi paura perché è fermissima, appena un po’ increspata. Insomma, molta meraviglia.


Qua è da dove si sparava quando i kraken cercavano di attaccare Oslo.


Le tegole sono fatte con le scaglie corazzate dei draghi.


Tegamini e doverose espressioni di grande e soavissimo stupore.

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Intermezzi di poca rilevanza

…anche perchè era un po’ che non si parlava di roba da mangiare.


Sarà anche un tapas bar (Delicatessen, Sondregate 8), ma la splendida legnosità minimal è tutta da paese dove ci son freddo e razionalità. E comunque, nessuno di noi ha preso tapas, per ragioni di costo-opportunità.

AMORE DEL CUORE – Secondo te quante tapas dovrei mangiare per non avere più fame?
TEGAMINI – Ah, sei, tipo.
AMORE DEL CUORE – Non si può fare. Costano troppo. Mangio il panino, guarda quella tizia lì, è grosso il suo panino. Te?
TEGAMINI – C’è la frittatina… e poi queste croquetas col prosciutto, secondo me sono buone. Toh, costano anche 20 corone.
AMORE DEL CUORE – 20 corone, te ne portano una.
TEGAMINI – Ma figurati, che roba è, una crocchetta.

Eh, una ne è arrivata.

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Negozi strambi e belli

Dunque, volevo moltissimo un maglione norvegese, di quelli con tutti i ricami a fogliette, fiocchi di neve, germogli dai colori squillanti e compagnia. Quando ho visto che il maglione norvegese più scalognato del negozio costava 250 euro ho pensato che magari potevo permettermi una sciarpa, che se c’è meno stoffa magari ci sto dentro. Niente, sciarpa, 140 euro. Per un attimo ho valutato la possibilità di acquistare un paio di guanti a muffola, ancora più piccoli, ma ho poi ricordato di essere fiera e orgogliosa, e ho mandato tutti a pagaiare sul fiordo, ripromettendomi di non mettere più piede in un negozio di abbigliamento, salvo strambe eccezioni in quel di Grünerløkka, che pare sia un po’ diventato il luogo YEAH-creativo-hipster della città.
Qualche angolo di negozietto… a quel che ho poi effettivamente comprato credo proprio che riserverò il gran finale. Anzi, ci dovrò fare un altro post, perché ci sono cose che splendono con troppo fulgore per rimanere confinate in un piccolo spazio.


Il negozio ACNE, che ha il pregio di metter fuori scarpe numero 41, il che conforta molto noi genti coi piedi del 39, mica come  in Italia, che si vedono solo dei graziosi 36-37 e poi quando ti arriva la scatola del numero giusto sembri sempre il pagliaccio del circo.


Inquietanti (e arianissimi) bambini, uno diverso per ogni lattina, sorridono come piccoli e malefici androidi. Quello che ci sia nelle lattine non è comunque ancora chiaro.


Battagliere falangi di animalini di plastica Schleich (Riktige Leker – Haakon VII’s gate 1)


Il paradiso del genitore hipster-multicolor (Sprell – Korsgata 24)


Inestimabili tisane che comprendono i tuoi sentimenti e vogliono essere bevute esattamente al momento giusto. Magari sanno tutte di fieno unto, ma le confezioni sono pregevoli.


Sano disordine in una libreria dell’usato. Dopo un po’ che vedi scaffali organizzati con squadra e righello, lavagnette e menu scritti a mano da eccelsi calligrafi (non professionisti) e adorabili muri di regolarissimi mattoni al vivo, insomma, le cose abbandonate in terra fanno molto piacere.


Suggerimenti per lavoretti natalizi da Norwegian Designs. Perchè là fuori c’è gente che usa le mani per mettere insieme biglietti d’auguri, deliziosi ornamenti e interi plotoni di folletti di carta. E poi ci sono io che uso le mani solo per cambiare canale quando salta fuori Paint Your Life. Barbara, vai a fare un bel giro in Norvegia e lascia in pace le povere sedie impagliate.


Scatole, cestini, contenitori, cosetti, non lo so, mi piacciono tantissimo. Tutte queste scatole dei mille colori dell’arcobaleno, poi, erano anche telate e morbidine. Il reparto carta di Norwegian Designs è ufficialmente il male.


Accessori svedesi per case di bambola. Perché la Svezia non arreda solo posti per umani, anche i giocattoli hanno diritto a un po’ di design scandinavo. C’erano milioni di lucette, impianti elettrici perfettamente funzionanti, microscopiche zuppiere, salotti, piastrelle… tutto svedese e ben separato dal normale mobilio per bambole, quello coi tavoli di legno con i piedi intarsiati e i piatti di ceramica col disegno blu. La meta-casa-Ikea, per una bambola che già abita nella casa Ikea della sua proprietaria. – (Riktige Leker – Haakon VII’s gate 1)


I gioielli di Bjorg, tutti belli tranne quello là in fondo che sembra una mezzaluna-spazzettone… o i bracciali a forma di spina dorsale (con costole), che però qua non ci sono. Meglio per voi che non li avete visti.

L’angolo delle farfalle di un negozio di vestiti usati per dive cadute in disgrazia. Stavo per provarmi un costume tradizionale norvegese quando mi sono domandata (rigorosamente in quest’ordine): ma, non sarà un po’ grande? E, ma poi, dov’è che ci vado, con questa roba qua?

TEGAMINI – Amore del Cuore, secondo te ce ne sta uno, nel bagaglio a mano?
AMORE DEL CUORE – Ma va, sono giganti.
TEGAMINI – Ma nemmeno il bisonte, che è tondeggiante? Non ha le corna, magari si riesce… eh?
AMORE DEL CUORE – Come fa a starci. Dai, ti porto via, che poi ti affezioni.
TEGAMINI – Lasciami qui, te vai avanti.
(Sprell – Korsgata 24)

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Fyret (Youngstorget 6): due etti e mezzo d’animale di foresta

Per concludere degnamente la scampagnata, abbiamo deciso di lanciarci sulla cucina tipica norvegese, al Fyret. Cibi sinceri, esuberanti, salmoni salterini, carte geografiche polari appese ai muri, gente che si squarta d’acquavite, birra scura e hamburger d’alce. Perché dopo aver mangiato una balena, nutrirsi d’alce diventa all’improvviso una cosa normale, soprattutto dopo aver constatato che a Babbo Natale la slitta la tirano le renne, che sono bestie di tutt’altro genere.

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Bene. Spero sia stato istruttivo. E magari anche un po’ ameno.
Per chi volesse amare tutto questo anche su Instagram, c’è parecchia roba anche lì.
Per chi crepa dalla curiosità di scoprire cos’ho comprato a Oslo, state sereni un attimo che arriva anche l’apposito post.
Per tutti quanti, viva i fiordi, ghiacciati e non!
E mettetevi due paia di calze, che è sempre saggio.


Ciao Norvegia, ciao soldatino di piombo della fortezza!

Che c’è di meglio di una bella newsletter che t’avvisa delle promozioni nei negozi, degli allegri sconti pre-saldi, dell’arrivo delle nuove collezioni e di qualche gradevole concorso, che magari con una sana botta di culo due stracci gratis riesci pure a portarteli a casa?
Ecco. Credo che me ne arrivino millemila, di newsletter della moda. Dalla meraviglia di quelle di Miu Miu (che ho seriamente pensato di abbandonare perchè ogni volta che ne apro una mi fa male il cuore) alle giocose cretinate di Diesel (tipicamente, c’è un tizio in spiaggia che si riempie le mutande con delle palettate di sabbia gridando BE STUPID), è tutto piuttosto utile, carino a vedersi e spesso interessante per il portafoglio.
E poi, là dove il più nero degli abissi inghiotte una tragedia, ci sono le newsletter di Comptoir des cotonniers.

Ora, non so perchè tutto questo stia capitando e quali difficoltà affliggano questo elegante e amenissimo brand, ma ogni volta riescono a stupirmi con nuovi strafalcioni e inopportunità lessicali. A parte che se scrivi per due volte veluto invece di velluto vuol proprio dire che pensi di aver ragione te – e il problema diventa all’improvviso molto più grande -, ma la newsletter di Comptoir des maccherons trabocca di stupidaggini e bizzarri ibridi semantici che un po’ fanno ridere e un po’ ti fanno venire voglia d’invocare il dio Anubi, cane per metà.

Ma andiamo con ordine, che poi magari sono io che mi scandalizzo per niente.

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A parte il look ARTY BORGHESE – che è, per una figlia di papà coi pantaloni macchiati di vernice e un fazzoletto in testa? Per una signora ricca che si diverte a farsi mantenere mentre dipinge patacconi senza speranza? È un incoraggiamento all’acquisto aspirazionale dedicato al target proletario? -, ci avete mandato una newsletter, non un invito a palazzo. Che bisogno c’è di specificare “all’attenzione della signora“? Cosa pensano, che qua abbiam tutte la cameriera Esmeralda che ci controlla la posta in arrivo?

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Quel che so per certo è che i stilisti anelano banner ben curati. Poi possiamo anche andare tutti in giro nudi, al gelo.

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Fate largo, passa il pantalone più tendenza!

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Questa è una perla immortale.
INEVITABILE TWEED.
Non puoi sfuggire al tweed. Tenace come una blatta germanica, il tweed t’inseguirà per mari e monti, ti toglierà il sonno, importunerà i tuoi discendenti e verrà a incastrarsi in ogni interstizio della tua esistenza. Il tweed, lo stalker dell’autunno-inverno 2012.
Rassegnamoci al nostro destino, il tweed è inevitabile.

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Insomma, che dire. Auguro ai Cotonniers di ripigliarsi con celerità, perchè sfornano bei vestiti e non è saggio che perseverino con questo scempio settimanale. Coraggio gente, basta anche solo un Piccolo Palazzi.
E vi dirò di più, per contribuire all’assunzione a tempo indeterminato di qualcuno che conosca almeno cento vocaboli della lingua italiana, sono andata in visita al negozio di Torino e ho comprato una sciarpa molto allegra e questo bel maglione da dio Loki. Molto meglio del dio Anubi, patrono delle newsletter sbilenche.

 

PS. In realtà, la mia solidarietà è grande. E l’arte del refuso divertente è nobilissima. Per dire, una volta ho lasciato in una newsletter “IL PRINCIPE SPENDENTE” al posto di “IL PRINCIPE SPLENDENTE”. E son stati bei momenti.