Tag

shopping

Browsing

La premessa è sempre la solita, ma ci vuole sempre. Spero che il listone 2023 possa aiutarvi a beccare il libro giusto per la persona giusta – facendovi anche fare bella figura. Le strenne funzionano così: sono volumi che per costituzione “fisica” dell’oggetto si prestano particolarmente a trasformarsi in doni o che per buona delimitazione tematica riescono egregiamente a rispondere a uno spiccato interesse. Sono un disco rotto, ma mi piace sempre ricordare che i libri non sono mai scelte “neutre”. Perché possano trasformarsi in veri tesori ci vuole un po’ d’occhio per le inclinazioni altrui, insomma. Di potenziali fermaporte è già pieno il mondo, non aggiungiamone di nuovi procedendo senza metterci un po’ di cuore, affetto e raziocinio.
I miei listoni natalizi sono sempre estremamente eterogenei, nella speranza di fornire spunti il più possibile versatili e flessibili. Mi diverto io e mi auguro che l’approccio possa risultare “ricco” anche per voi.

[Disclaimer: i link ai volumi vi portano su Amazon e sono quelli del programma di affiliazione. Nulla vi vieta di procurarvi i libri altrove e di organizzarvi come meglio credete, ci mancherebbe altro.]

Visto poi che i libri non scadono – ma al massimo diventano un po’ più difficili da trovare perché le tirature si assottigliano e le ristampe si diradano -, al termine del post troverete anche un agile recap delle liste natalizie precedenti. Visto che son sempre consultabili, si può allegramente pescare anche da lì.

Procedo?
Procedo.

Non guardate solo le figure e i grassetti, perché in mezzo ai testi ci ho ficcato degli altri suggerimenti che man mano mi sono venuti in mente e che sono degni di essere analizzati anche se non c’è l’immagine di copertina. 🙂


Michael McDowell | Blackwater (il cofanetto con i 6 volumi della saga)
Neri Pozza

Era quasi matematico che la famigerata saga della famiglia Caskey si sarebbe prima o poi tramutata in un cofanetto degno della cura estetica dei singoli volumi – le illustrazioni di copertina sono di Pedro Oyarbide – e trovare il prezioso SCRIGNO in libreria in vista del Natale è una mossa strategica degna di MaryLove. Per cultori del gotico “rurale”, delle epopee di famiglia, del sud degli Stati Uniti, delle noci pecan e dei colpi di scena più imprevedibili, Blackwater è un astuto e godibile connubio tra sovrannaturale e mondano, leggenda e affari.
Per approfondire, ne ho parlato qui con la straordinaria Giulia Paganelli.

Un’altra saga che approda in cofanettoI leoni di Sicilia di Stefania Auci.
Un romanzo molto letto (e molto discusso) che si guadagna un’edizione illustrata da Lorenzo Mattotti? I miei stupidi intenti di Bernardo Zannoni. E, visto che ci stiamo occupando di edizioni illustrate che ben si prestano a farsi donare, vi rammento anche dell’esistenza dell’Uomo che piantava gli alberi di Giono feat. Tullio Pericoli.
Per chiudere il cerchio, tra le 8053 edizioni di Harry Potter che potete acquistare, esistono anche quelle che fanno del campanilismo hogwartsiano la loro ragion d’essere. In parole povere: ci sono i cofanetti delle case.


Omero | Iliade
Blackie Edizioni

L’operazione “Classici liberati” di Blackie Edizioni è partita lo scorso anno con l’Odissea, volume gemello – per formato e intenzioni – di questa Iliade. Partendo dal presupposto che per far uscire un’Iliade o un’Odissea bisogna in primo luogo scegliere a quale “trascrizione” appoggiarsi (tra le tante possibili), da Blackie si son fatti dare una mano da Borges, che individua nella versione di Samuel Butler (scomparso nel 1902) quella più fedele, scorrevole, fruibile. Daniel Russo si è occupato della traduzione e l’opera è arricchita dalle illustrazioni di Calpurnio e da materiali aggiuntivi: un saggio di Andrea Marcolongo e Le Troiane di Euripide a cura di Alberto Conejero.


Caterina Zanzi | Conosco un posto anch’io
Magazzini Salani

Per chi abita a Milano o bazzica la città con una certa frequenza, Conoscounposto è un solido punto di riferimento per scovare luoghi dove mangiare bene, bere bene e sostentare numerose altre necessità dell’anima – dall’arte alla musica, dagli eventi allo shopping. Caterina e la redazione hanno già curato una guida alla città – che resta assai regalabile e ricca di suggerimenti – e, a questo giro, hanno deciso di produrre uno strumento utile e molto tenero a vedersi: un taccuino con schede da compilare per ricordare i “posti” e per tenere traccia di quelli ancora da visitare (tra le altre cose). Sì, la struttura è flessibile e non serve risiedere a Milano per poterlo usare con allegria. Sì, è perfetto per cartopazze/cartopazzi e per chi sente di poter competere con Alessandro Borghese.


Richard Thompson Ford | Dress code
Il Saggiatore

Dichiaro subito di essere in possesso della versione con fascetta tartan – sì, sono fascette, non sono pezzi “stampati” di copertina. In questo bel volumone, Ford affronta con estrema gradevolezza e notevolissimo sapere i risvolti politici, sociali, economici e comunicativi dell’abbigliamento. È una storia della moda raccontata per punti di svolta e capi emblematici, una mappa culturale per affermare con veemenza che IL CERULEO CONTA CARA LA MIA ANDY.

Bonus track in ambito moda? La collana Sfilate dell’Ippocampo vive e lotta con noi, espandendosi gradualmente e con implacabile efficienza. La novità più recente è il volume dedicato a Givenchy.

collana sfilate_1.png


Gabriella Gilberti | Love song for a vampire – Etologia del vampiro
Bakemono Lab

Una cosa che ho scoperto solo di recente e che mi ha mandato in visibilio è la matrice più antica – anche se non remotissima – di What We Do In The Shadows, serie TV divertentissima e assurda che utilizza la struttura del mockumentary per raccontare il tran tran domestico di un gruppo di vampiri che si smazzano la quotidianità ai giorni nostri. Ebbene, parte tutto da un film di una decina d’anni fa di Taika Waititi. Così, ci tenevo a dirlo perché in questo saggio si arriva pure lì e penso sia un tomo estremamente regalabile a chi coltiva un’ossessione per la progenie di Dracula ma magari fatica a trovare saggi aggiornati o capaci di abbracciare diverse “arti”, senza tralasciare le sconfinate praterie del pop.


Steve Brusatte | Ascesa e trionfo dei mammiferi
UTET

Brusatte – che è IL giovane paleontologo di riferimento nel battagliero comparto della divulgazione planetaria – prosegue l’opera cominciata con Ascesa e caduta dei dinosauri dedicandosi a quello che è accaduto in seguito alla loro estinzione. Come siamo arrivati fin qui? Possiamo piantarla, una buona volta, di immalinconirci per la dipartita del brachiosauro? La risposta è no, ma Brusatte dedica ai mammiferi il rigore che meritano e ricostruisce qui il loro onorevole cammino evolutivo.

Paleontologi e paleontologhe da accontentare? Ecco Fossili fantastici e chi li ha trovati di Donald R. Prothero– una storia dei dinosauri in 25 scoperte campali – e I cercatori di ossa di Michael Crichton – un romanzo tratto dalla vera “corsa ai fossili” di fine Ottocento.


Irene Canino | Il grande libro degli yōkai – Storie e leggende del folklore giapponese
Mondadori

La fascinazione per il Giappone ci abbandonerà mai? Ne dubito. Ma quanto sappiamo risalire alla radice di molte immagini diventate mainstream? Forse poco. Irene Canino s’incarica di sistematizzare, in questo bel volumone, la longeva parabola degli yōkai, spiriti ambivalenti e potentissimi che vivono al nostro fianco, non visti (tendenzialmente) ma capaci di esercitare enormi influenze e far deragliare destini. Il libro non è solo una raccolta di storie e leggende particolarmente emblematiche o avvincenti, ma offre un ricco apparato storico-teorico per aiutarci a comprendere più a fondo le basi culturali del mito.

Sempre sul tema, un approccio decisamente più “figurativo” firmato da Benjamin Lacombe.
Per rimanere in territorio giapponese e lasciarsi irretire da una penna delicata e poetica, segnalerei con gioia e ammirazione anche Il Giappone a colori di Laura Imai Messina, un viaggio che attraversa l’arte, la storia, le leggende e la letteratura del paese rileggendole attraverso la lente dei colori. Perché anche quelli – e come li usiamo – sono il prodotto di un processo culturale.


A cura di Carlotta Sanzogni – Dove si scrive, come si scrive 
Foto di Pietro Baroni

Rizzoli

Una domanda che faccio sempre quando mi capita di presentare il libro di qualcuno è “Ma tu, dov’è che scrivi? Quanto ci hai messo? Come lavori, di solito?”. Perché sì, a noi un libro arriva come oggetto compiuto, ma tutto quello che è servito per metterlo insieme resta sommerso e misterioso. E anche quelle sono storie degnissime di essere raccontate. Dove si scrive, come si scrive punta a soddisfare queste curiosità “di metodo”. Carlotta Sanzogni è riuscita a convincere 28 autori e autrici a spiegarci “come fanno” a scrivere e anche dove lo fanno – il dove è corroborato dai ritratti di Pietro Baroni. Da Chiara Valerio a Michele Masneri, da Licia Troisi a Jonathan Bazzi, da Walter Siti a Giacomo Papi, un’occasione ghiottissima per impicciarvi dei fatti lavorativi di tante penne amatissime del nostro presente.


Veronica Hinke | Titanic. Il libro di cucina ufficiale
Magazzini Salani

Non sono una gran patita di ricettari – o di cucina, a dirla tutta – ma negli anni ho sviluppato una discreta fissazione per i libri che trasportano prodotti filmico-televisivi in una dimensione d’applicazione quotidiana. Ho il libro di ricette di Hogwarts e ne ho ben TRE di Downton Abbey – quello ad ampio spettro, quello dei cocktail e quello col menu di Natale. Lo so, è inspiegabile, ma eccoci qua. Che caratteristiche hanno, questi assurdi volumi? Ci sono i piatti ben fotografati con tutto il loro bel procedimento di preparazione, ma ci sono anche un sacco di foto di scena e un pochino di ricostruzione “di contesto”. Questo ricettario del Titanic ci farà sentire come dei veri cagoni di Prima Classe anche se probabilmente avremmo tutti quanti diviso una cabina senza manco l’oblò in Terza.

Altri spunti culinari? Cucinava sempre di Sofia Fabiani per Mondadori – ciao Sofia, ti voglio bene – e Pranzi d’autore di Oretta Bongarzoni per Minimum Fax – una raccolta di ricette pescate da un sorprendente ventaglio di opere letterarie.
Volete specializzarvi in ? Non c’è problema, Francesco Rossi è qui per assisterci.
Cucina milanese per gente che vuole sinceramente imparare a gestire il risotto con l’osso buco e/o per quelli che ci tengono tantissimo a dirvi che a Milano si vive meglio che a casa vostra? Eccovi La cucina milanese di Fabiano Guatteri, con le illustrazioni di Andrea Antinori.


Giuseppe Morici | Non solo soldi! – Parole e storie per capire l’economia
Feltrinelli

Un libro che tenta di spiegare le parole fondamentali dell’economia. Servendosi di esempi tratti da situazioni quotidiane e di un linguaggio rigoroso ma accessibile, Giuseppe Morici si rivolge a ragazzi e ragazze per provare a rendere meno “astratti” e impenetrabili i numerosi concetti che ruotano attorno ai soldi, dalla gestione aziendale alla finanza personale, dal commercio fino alle grandi questioni di Stato.

Qualche altra “guida” rivolta alla gioventù? Proviamo con due proposte di Quinto Quarto.
Ciclo di Natalie Byrne – AKA il libro che avrei voluto avere a disposizione quando mi sono venute le mestruazioni. E La camera buissima di Elisa Lauzana – una storia “interattiva” della fotografia. Già, oggi eclettica. Dalle ovaie al dagherrotipo.


Maria Giuseppina Muzzarelli – Luca Molà – Giorgio Riello 
Tutte le perle del mondo – Storie di viaggi, scambi e magnifici ornamenti
Il Mulino

Vi vedo, gazze ladre. So che ci siete. Questo volume MAGNIFICO – e riccamente illustrato, come è d’obbligo dire in questi casi – è una storia cultural-commerciale delle perle, dalla simbologia artistica ai linguaggi del potere, dalle rotte di approvvigionamento alle botteghe orafe che le lavoravano.


Her Majesty – A photographic history (1926-2022)
Taschen

Devo ammettere di aver smesso di seguire The Crown quando i fatti narrati hanno iniziato a sovrapporsi a un periodo che ho vissuto da “spettatrice” delle vicende della famiglia reale. Insomma, per quanto mi riguarda, la coppia reale è ancora formata da Matt Smith e Claire Foy e, in generale, devo dire di non nutrire una particolare simpatia per la monarchia britannica. Là fuori, però, può esserci qualcuno a cui garberebbe un libro fotografico che ripercorre i momenti più ICONICI della sovrana recentemente scomparsa. E chi sono io per obiettare.

Vogliamo rendere onore al catalogo Taschen con temi che sento più affini al mio cuore? Perfetto. Ecco Stregoneria e gatti BELLISSIMI. E le biblioteche incredibili di Massimo Listri.


Sabina Minardi | Il grande libro del vintage
Il Saggiatore

No, non è una guida ai dieci negozi più TOP di Milano per comprare capi PRELOVED, ma una poliedrica riflessione sul nostro rapporto con la nostalgia. Mentre l’universo intero si proietta verso il futuro – o del futuro dipinge scenari foschissimi che in qualche modo dovremo capire come disinnescare -, un passato nemmeno troppo remoto continua a riaffiorare. Dai feticci degli anni Novanta ai miti della TV, dai brand che non soccombono al tempo al perpetuo cosplay delle nostre lontane gioventù, una raccolta ragionata di tutto quello che non riusciamo a lasciar andare – e sul perché ci rifiutiamo strenuamente di farlo.

Visto che ci troviamo nel territorio del Saggiatore e che tutta la nostalgia che accumuliamo ci rende esseri zoppi, sbilenchi e disorientati, non posso non citare Teoria del disagio contemporaneo di Andrea Antoni – patron di Cose Brutte Impaginate Belle… e genio multiforme.


Zerocalcare | Enciclopaedia calcarea
Bao Publishing

Lo dice la copertina: guida ragionata all’universo di Zerocalcare. Con una storia inedita. DAJE MICHELE.

Se v’intriga il genere “backstage” e avete amato le due serie Netflix di Zerocalcare, vi rammento anche l’Animation art-book, che ripercorre proprio il processo di lavorazione di Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo.


Marin Montagut | Collezioni straordinarie
L’Ippocampo

Quanto mi fa rosicare la gente che nel corso di una vita intera è effettivamente riuscita ad allestire una wunderkammer o a dar seguito con eccelsi risultati estetici a un’ossessione estremamente specifica? MOLTO. Ma nonostante io m’incarognisca, dobbiamo rendere merito a Montagut per questa ricognizione fotografica fra le più sublimi collezioni di Francia. C’è di tutto, compresa un’ipnotica commistione tra illustrazione e ossessioni di catalogazione.

Sempre di Montagut – e per piantare la bandierina nel territorio delle guide, pure -, esiste anche Ricordi di Parigi. Sì, sono botteghe in cui si può andare davvero.


William Goldman | La principessa sposa
Marcos y Marcos

Non capita tutti gli anni che un romanzo così divertente, giocoso e folle festeggi il mezzo secolo dalla prima pubblicazione e mi pare estremamente opportuno che chi ancora non teme i veleni di Vizzini o non conosce la perseveranza che ogni vendetta richiede si avvicini a questo libro per rimediare senza indugi. Amori! Roditori aggressivi! Pirati! L’idea stessa di avventura! Un narratore invadente che leva le parti noiose e ci lascia solo il meglio e ce lo spiega senza problemi! Un capolavoro, in ogni tempo. Quest’edizione contiene diversi materiali “extra” che raccontano – tra le altre cose – la trasposizione cinematografica e indagano più a fondo la magia meta-narrativa che rende così speciale questo libro.

Bonus track: un busto parlante di Inigo Montoya. Se non avete ucciso suo padre, potete anche non prepararvi a morire. Altrimenti OCCHIO.


Matteo Bordone | L’invenzione del boomer
UTET

Userò quel filibustiere di Bordone come apripista della sezione “gente che cerca di riflettere sulle umane relazioni nel doloroso punto d’intersezione tra società e luoghi preposti alla comunicazione e/o alla grottesca rappresentazione di noi stessi medesimi”. Insomma: chi siamo insieme agli altri e chi diventiamo online, all’incirca. Bordone indaga il tentacolare simulacro del boomer, cercando di risalire alla fortuna vastissima di questo costrutto.

Altre idee? Pietro Minto con Come annoiarsi meglio – ora in un’edizione aggiornata che esplora il flop del metaverso -, Problemi di Jonathan Zenti, Sei vecchio di Vincenzo Marino e La correzione del mondo di Davide Piacenza,


Storie sotto l’albero
Panini Comics

Non sono una grande estimatrice della corrente “c’è questa festa, eccoti un libro che parla proprio di quella festa”, ma riconosco l’importanza capitale degli abitanti di Topolinia e di Paperopoli. Questo volume di generoso formato è una raccolta di storie di Natale dall’universo di Topolino – c’è scritto DISNEY da tutte le parti, ma se dico TOPOLINO capiamo meglio – e ben si adatta sia a lettori e lettrici di vecchia data che alle nuove generazioni da irretire (come è giusto che sia).

Vi piace la roba di Natale a Natale? Non c’è problema. L’ultimo numero di Cose spiegate bene del Post potrebbe farvi comodo. Un’antologia di Dickens nelle consuete edizioni arrogantissime di Oscar Vault? Ma pure La malizia del vischio di Kathleen Farrell, un astuto ripescaggio di Fazi pieno di PARENTISERPENTI che si ritrovano a Natale per detestarsi fortissimo.


MP5 | Corpus
Rizzoli Lizard

MP5 ha sconfinato spesso e volentieri nella grafica editoriale – oltre ad aver firmato illustri copertine di podcast e la “visual identity” di molte cause estremamente pressanti e valenti. Questo art-book cataloga il “corpus” artistico di MP5 parlando proprio dei tanti corpi essenziali ma eloquentissimi che troviamo nel suo lavoro.


Leo Ortolani | Tarocchi
Feltrinelli Comics

C’è qualcosa che Leo Ortolani non sa fare? Chissà. In questo volume – che è più grande del tavolino da caffè che nell’immaginario collettivo dovrebbe servire a reggere proprio questo genere di libri – troviamo la sua rielaborazione artistica degli arcani. Ogni figura è accompagnata da un paragrafo esplicativo che fa immancabilmente ridere – ma anche riflettere sul destino. O forse anche solo ridere.

Se volete restare in territorio ortolanesco, non posso non rammentarvi le sue raccolte di recensioni cinematografiche a fumetti – Il buio in salaIl buio colpisce ancora – e Dinosauri che ce l’hanno fattaVi va di esplorare lo spazio insieme a lui? Ecco qua.
Ancora tarocchi? Ci sono quelli di Dalì. Com’era Dalì? Ve lo racconta Amanda Lear.


Joshua Piven – David Borgenicht | Worst Case Scenario
Blackie Edizioni

Se sentite l’impellente necessità di produrvi in regali UTILI, cosa può esserci di più utile di un manuale di sopravvivenza multidisciplinare con tanto di disegnini esplicativi e istruzioni chiare e lineari? Ecco. Da come saltare da un’auto in corsa e come difendersi da uno squalo, passando per tracheotomie, paracaduti che non si aprono e fallout nucleari, Worst Case Scenario è il tomo che fa per noi. Non ci salverà, ma DIAMINE LASCIATECI ALMENO PROVARE.


Volete donare un abbonamento? Fate bene. Qualche spunto:
il progetto Apri: racconti che giungono per corrispondenza e hanno proprio la forma di un plico di lettere/cartoline/biglietti scritti a mano. Poetico, magnifico, matto.
la versione “di carta” di Rivista Studio (sono 4 numeri all’anno e ognuno sviluppa un tema specifico).
L’Integrale: una rivista di cultura gastronomica che utilizza quel che mangiamo come meraviglioso pretesto per esplorare chi siamo.
Brillo: un trimestrale interamente dedicato al mondo dell’illustrazione e della grafica.
La Revue Dessinée: giornalismo a fumetti bellicosissimo.
audiolibri in quantità su Storytel, come da tradizione.

Volete donare qualcosa di libresco che non è precisamente un libro?
Date un occhio alle tre box tematiche nate dall’immaginazione di Maddalena Notardonato. La costante è che contengano un quaderno rilegato artigianalmente (e illustrato da lei), più altre meraviglie fatte a mano, dalle candele alla ceramica. Ce ne sono tre: Poesia, Romanzo, Saggio.
O “il nécessaire libroso” di Elinor Marianne.

Ma ci sono altre liste come questa qua? Certo.
il listone 2022
il listone 2021
il listone 2020
il listone 2019
libri per piccoli (con galassia di link ulteriori)

Ho finito.
Che Bublé v’accompagni anche se in copertina ho messo Mariah.

Che cosa abbiamo amato di Lisbona? Parecchie cose. Siamo arrivati giovedì sera e siamo ripartiti domenica verso l’ora di pranzo. Qua c’è molto di quello che è successo in mezzo e che ci ricorderemo volentieri. È una guida alla tentacolare storia della città e contiene OGNI ATTRAZIONE POSSIBILE E OGNI PUNTO D’INTERESSE MAI MAPPATO? No, ma è un affettuoso e rilassatissimo diario di bordo… e spero possa tornare utile per i giretti altrui.


Dove abbiamo dormito?
Il prode Cuore ha prenotato al Ferraria XVI. Pare un set di John Wick? Un po’ sì.
La posizione è estremamente comoda per partire in esplorazione verso i quattro punti cardinali. Se vi piace fare “vita d’albergo” – AKA spaparanzarvi nella hall, bere qualcosa al bar, usufruire di un ristorante interno, oziare in un giardino… – evitate questa sistemazione perché non ha un bar, non ha un ristorante, non ha un giardino. C’è una sala al -1 che ospita le colazioni (ottime, per altro), ma non esistono altri spazi comuni dove sentirvi cittadine/cittadini del mondo. Se siete invece in cerca di un hotel centrale in cui ronfare e lavarvi per poi vagare (preferibilmente a piedi), va benone. La nostra stanza era esattamente questa:


COSE DA VEDERE

Temo che la nostra adesione alla Lista Obbligatoria Delle Attrazioni Turistiche sia stata scarsa. Siamo partiti con l’intento di vagare spensierati e abbiamo vagato spensierati. Lisbona si presta e produce scorci generosi, facciate piastrellate e porticine variopinte. Sedersi ad ammirare il panorama da un miradouro pare faccia parte della vita urbana e noi ci siamo adattati molto volentieri, anche perché ogni punto panoramico è ben attrezzato per rifocillarvi e fornire un sottofondo costante di bravi musicisti girovaghi. Bisogna un po’ abituarsi all’invasione dei tuk-tuk più che disposti a evitare ai turisti le salite più scoscese, ma sono talmente assurdi a livello di “styling” che si tende ad appassionarsi pure a quelli.

Monastero di S. Vicente de Fora
La struttura principale risale al 1100, ma il complesso ha poi assunto una forma più vicina a quella attuale a partire dal 1600 – suppergiù -, tripudio di azulejos compreso. Si possono visitare la chiesa – che credo abbia uno degli absidi con baldacchino più tetri della storia -, il magnifico chiostro e le cappelle che ospitano i regnanti di Portogallo e i notabili della chiesa, più la mostra del tesoro e della ceramica decorata con le fiabe di La Fontaine (così, perché no). Salite assolutamente fino in cima perché il tetto vi offrirà una vista splendida. Biglietto? 5€. Onestissimo.

Miradouros
Il plurale si farà così? Il portoghese per me è impenetrabile.
Comunque, i belvedere più ameni che abbiamo raggiunto – bevendo qualcosa seduti come delle persone civili che volevano ripigliarsi dalla salita: miradouro de São Pedro de Alcântara e miradouro de Santa Luzia (Alfama).

Chiesa di São Roque
San Rocco, per gli amici. Da fuori è una chiesa dimessissima, ma dentro è un tripudio di ori barocchi – che rispondono a diverse stratificazioni temporali – e una quantità quasi allarmante di cranietti di putti.

Lx Factory | R. Rodrigues de Faria 103
Un po’ fuori mano rispetto al centrissimo – che associo a Chiado, Baixa e Barrio Alto – ma luogo matto al punto giusto da meritare un viaggino su uno scooter in sharing. La Lx Factory è un’ex area industriale “riqualificata” che ospita ora una miriade di ristoranti, locali, negozi e spazi pubblici destinati a musica, creatività e arte. Noi ci siamo andati perché volevamo fare un giro alla libreria Ler Devagar e siamo rimasti piacevolmente sorpresi anche dal resto. Data la densità di posticini, può convenire anche pianificarci un pranzo o una cena dopo esservi guardati un po’ attorno. C’è gioventù allegra.


LIBRERIE

Visto che ho già estratto dal cilindro Ler Devagar piazzo qua i cenni editoriali, pur riconoscendo che entrare in una libreria senza essere in grado di leggere la lingua del 98% dei testi esposti è una delle grandi frustrazioni della vita. Prendiamolo però come un esercizio, come un’esplorazione del mercato estero, come un’analisi visivo-compositiva del gusto grafico portoghese, come pellegrinaggio e felicità.

Ler Devagar
Ospitata in uno degli ambienti della Lx Factory, Ler Devagar raccoglie il testimone di una tipografia dismessa – con rotativa ancora piazzata al secondo piano… +9000 Punti Steampunk – e si schiera con vigore fra le Librerie Instagram del mondo grazie alla ciclista di cartone (?) che pedala sospesa a mezz’aria e alle immani pareti scaffalate – +2838 Punti Scenografia. Non so quanto la vivano bene, perché qua e là ci sono cartelli scritti col pennarello grosso che vietano categoricamente di incasinare i libri a scopi fotografici.
Bonus track: un signore delizioso che allestisce micro-narrazioni con le marionette per uno spettatore alla volta – è difficile da spiegare, ma è lui.

Livraria Bertrand | R. Garrett 73
Il Guinness World Records riconosce alla Bertrand il primato di libreria più antica del mondo ancora in attività. Ha aperto i battenti nel 1732 ed è stata un punto di riferimento prezioso per pensatori, scrittori e intellettuali di ogni latitudine – i grandi autori portoghesi, da Pessoa a Saramago, sono abbondantemente omaggiati e celebrati in numerosi angolini a tema. Gli antichi fasti mi son sembrati un cicinin appannati, ma resta un pezzo di storia del libro.
[Noi ci siamo passati di sabato e nella viuzza adiacente c’era un mercatino d’antiquariato editoriale e stampe artistiche. Non so se sia un appuntamento fisso, ma lo segnalo comunque].

Livraria Sá Da Costa | R. Garrett 100
A cinque passi dalla Bertrand e cinquemila volte più fascinosa, la libreria Sá Da Costa è una specie di folle antro del libro usato. Ci troverete anche oggetti insoliti di ogni tipo, dai ninnoli preziosi alle antichità. Curiosate, impolveratevi, meravigliatevene.

Livraria Da Travessa | R. da Escola Politécnica 46
Il mio genere di libreria. Tante proposte eclettiche, illustrati, libri d’arte, un calendario di eventi che pare fitto – ma che per forza di cose non abbiamo collaudato – e numerosi spunti che solleticano la curiosità o incoraggiano la scoperta.


MANGIARE & BERE

Príncipe do Calhariz | Calçada do Combro 28
Abbiamo esordito con una trattoria di pochissime pretese e discreto valore folkloristico – concetto che qua a Milano sembriamo aver riassunto con la locuzione “POSTO SINCERO”. In questo specifico Posto Sincero dovete mettere piede solo se vi appassiona la roba grigliata e tollerate bene l’aglio, altrimenti passate proprio sull’altro marciapiede perché l’aglio appare anche dove sarebbe difficile immaginarlo e con la buccina bianca che fodera gli spicchi ci producono le tovaglie. Pare carta, ma forse è aglio. Nonostante l’aglio – o grazie all’aglio – abbiamo mangiato bene, tantissimo e spendendo una somma relativamente risibile. La fetta di carne con sopra un uovo al tegamino è, inspiegabilmente, una specialità locale… e funziona. Sul menu è stampato a caratteri cubitali che non si può pagare col POS ma se vi presentate alla cassa con la carta in mano vi dicono che il POS quel giorno lì non sta funzionando, ma domani dovrebbe arrivare un tecnico per ripararlo. Servizio mendace ma gentilissimo. Insomma, ci siamo anche divertiti perché il surreale ci intrattiene sempre. O forse eravamo sfatti noi per il viaggio e per aver ingerito con entusiasmo un litro di rosso della casa. Chi può dirlo.

Ramiro | Av. Alm. Reis 1 H
Mi sento di corroborare il consiglio ricevuto dal tassista che ci ha portato dall’aeroporto all’albergo – tratta che si fa in una ventina di minuti e pagando QUINDICI EURO (tariffa diurna). Andate assolutamente da Ramiro! Andate da Ramiro! E noi ci siamo andati. Bisogna capire come funziona. Arrivi, un signore ti consegna un numerino come alle poste e ti ordina di attendere in una sala d’aspetto altrettanto postale, solo che c’è un distributore automatico di birre alla spina e la gente è fondamentalmente serena. Uno schermo segnala a chi tocca sedersi – o torna il signore a sbraitare i numeri – e si accede finalmente alla sala. I tavoli sono lunghi e vi piazzano dove c’è spazio con grande efficienza e spirito di ottimizzazione. Si mangiano crostacei. Niente primi, niente “pesce”, quasi zero contorni, CROSTACEI. Vi verrà dato un martello ma nessuno vi spiegherà come usarlo quindi siate prudenti – e mettete un tovagliolo sul crostaceo che volete martellare per evitare di proiettare polpe e gusci in ogni direzione. Buonissimo. Servizio sollecito e ridanciano. Prezzi che riassumerei con “a Milano una roba del genere la pagavamo il triplo”. Bravo tassista.

A Brasileira | R. Garrett 122
Caffè storico di Lisbona che fa del suo meglio per conservare l’antico spirito, tra una comitiva di americani che chiedono cappuccini e l’altra. Fondato nel 1905 e frequentatissimo da Pessoa – che ci andava così poco che lì fuori c’è addirittura una statua che lo ritrae seduto al tavolino -, nasce come spaccio di spezie, farine, tè e ovviamente caffè 100% made in Brasile. Ora ci si può mangiare, bere qualcosa o gustare dolcetti notevoli. Noi ci siamo fermati per fagocitare pastel de nata e sorseggiare porto. Non so se e quanto l’abbinamento possa risultare disdicevole, ma noi eravamo contenti.


SPENDERE DEI SOLDI

D’Aquino | Rua da Fonte 20B
In vacanza tendo a comprare cappelli che poi non so come gestire quando riprendo l’aereo MA IO LI COMPRO LO STESSO. Prima di arrampicarmi verso S. Vicente mi son fermata da D’Aquino e ho trovato il panama perfetto, scampando un’insolazione quasi certa.

A vida portuguesa | Rua Anchieta 11
Noi abbiamo visitato il negozio del quartiere Chiado, ma ne trovate altri in giro per la città. Sono “contenitori” di prodotti portoghesi di ogni genere, dal cibo gourmet alla carta da lettere, dalle coperte fatte a mano ai saponi. Atmosfera da bottega d’altri tempi e miniera di curiosità – perfetto anche per scovare regalini, se siete belle persone che tornano dai viaggi coi regalini.

Burel | Rua Serpa Pinto 15 > 17
Un brand di cose di lana. La materia prima arriva da pecore gagliarde allevate in Portogallo e tutto viene realizzato localmente. C’è una selezione di abbigliamento coloratissimo – accessori compresi – e uno spin-off nel negozio vicino dedicato ai tessili per la casa e al mobilio. Mi sono ripromessa di ordinare cuscini e copertine soffici, mentre Cuore ha deciso di dare un senso alla valigia mezza vuota che ho imbarcato comprandosi seduta stante un giubbotto assai variopinto.

Cerâmicas Na Linha | Rua Capelo 16
Che vogliate sbavare sulle collezioni ortaggiomorfe di Bordallo Pinheiro o su rivisitazioni moderne degli azulejos, senza scordarci di ottimo vasellame/piattame dipinto a mano, qui la selezione è nutrita e notevole, senza patacconate per turisti.

Bernardo Atelier Lisboa | R. Dom Pedro V 74
Un altro contenitore di brand indipendenti – non necessariamente autoctoni -, articoli per doni pazzi, accessori per esseri umani e per abitazioni, con una sezione anche per bambini. Delizioso.

EmbaiXada | Praça do Príncipe Real 26
Dunque, è una galleria commerciale popolata da brand emergenti e/o di “ricerca” ospitata dal palazzo Ribeiro da Cunha, un complesso neo-moresco estremamente suggestivo e recuperato per far posto a un corner o a un negozio diverso in ogni stanza. Ci troverete scarpe, gioielli, moda, arte e artigianato e si può anche mangiare – se vi piace la carne c’è Atalho (che ha anche uno splendido giardino esterno) – o bere un gin tonic nel bar specializzatissimo in gin.


Dovrei aver finito.
Cuori per Lisbona e per chi deve ancora andarci. 🙂

 

Visto che siamo riusciti a preservare il primogenito fino ai cinque anni d’età e un po’ d’esperienza sul campo l’abbiamo guadagnata, ecco qua una raccolta ragionata – e sostenuta dal preziosissimo senno di poi – di COSE che si sono dimostrate indispensabili e utili per affrontare l’arrivo di un piccolo umano in famiglia. Perché mi metto qua a compilare un listone per neonati e neonate? Perché fra qualche settimana accoglieremo una creatura nuova e sto cercando di capire pure io cosa si può riciclare, cosa si può migliorare e cosa ci manca. Insomma, mi rinfresco le idee io e, incidentalmente, magari fornisco pure a voi qualche informazione sensata. In questo post troverete quello che abbiamo usato noi al primo giro – e che s’è dimostrato durevole – per affrontare i primissimi e primi tempi.

Procediamo.


Preparazione del terreno

LA FAMIGERATA BORSA DELL’OSPEDALE

Sì, le implacabili esigenze d’equipaggiamento iniziano dal parto e si configureranno in una borsa per voi e una borsa per chi nasce. Gli ospedali sono soliti fornire una lista di elementi indispensabili e/o caldamente richiesti o consigliati per la fase di ricovero – questa, per esempio, è quella dell’ospedale dove ho partorito e partorirò io – e visto che la vita è difficile, vi incoraggio a dar retta a chi tenta di semplificarvela. Cercatela o chiedetela, perché ogni reparto ha le sue “regole” organizzative e se date una mano nel farvi dare una mano filerà tutto più liscio.
Sì, i pannoloni post-parto sono grotteschi, ma facciamoci pace.
Sì, portatevi delle ZAVATTE che si possano lavare.
Sì, impacchettate la roba della prole separatamente, in modo che sia consegnabile al personale del reparto. Non partite con l’idea del “quando sono là smisto tutto”.
No, non prendete su ciucci, giocattoli, pupazzi e cazzate perché un bambino di due giorni non necessita di intrattenimento.
Sì, armatevi di vestaglia.

UNA RISORSA UTILE PER AGGIORNARE IL PARENTADO

Farete molte foto. Tutti vorranno riceverle. Voi non avrete voglia di mandarle a 30927209 gruppi di messaggistica diversi ogni sei minuti.
Come risolverla? Con un’app molto comoda che vi permette di caricare foto e video rendendoli consultabili da parenti e amici senza che vi rompano l’anima. Invitate chi volete e solo quelle persone potranno accedere ai materiali e caricarne. Altre utilità: precisissima misurazione del tempo, comodità di consultazione e, man mano che passano i mesi, “tesori” da ripescare. Lo spazio d’archiviazione è gratuito fino a una certa capienza e poi si paga un abbonamento mensile – noi li stiamo spendendo molto volentieri ormai da un lustro. L’app si chiama Back Then.


Mobilio domestico

Pinterest potrebbe avervi irrimediabilmente infuso un senso preventivo di sconfitta, ma facciamoci forza. Avrete tempo per allestire una cameretta degna di Downton Abbey e vi auguro di poterci riuscire, se le vostre ambizioni sono quelle. Noi, non vivendo in una magione sconfinata, abbiamo badato alla praticità e alla possibilità di allungare il più possibile la vita a quello che stavamo comprando. Sì, non ci siamo orientati sulla soluzione più economica del mercato, ma sono cinque anni che usiamo questa roba e ora ricominceremo il giro riciclando tutto per la creatura nuova… quindi sì, mi sento di dire che è stato un buon investimento.

Che vi serve, in estrema sintesi?
UNA CULLA.
UN FASCIATOIO.

Noi avevamo preso in blocco il sistema Stokke Home.
Com’era fatto? C’era una culletta e un cassettiera – predisposta per incastrarci sopra un piano aggiuntivo che fungeva da fasciatoio. A tendere, con il telaio della culletta e il piano del fasciatoio si assemblava una scrivania. L’abbiamo assemblata? Totale. Stiamo ancora usando la cassettiera? Totale 2.

La culla era così:

Sono molto triste perché pare non la producano più ma sono anche molto contenta perché riutilizzeremo la nostra. Per qual motivo? PERCHÉ BASCULA. C’è un telaio “fisso” ma la parte del materasso si può far dondolare, conciliando magistralmente il sonno dell’occupante.
Ci sono mille tipi di culla, là fuori. Io non ho optato per una di quelle che si attaccano direttamente al letto perché non sono mai stata in grado di allattare da coricata – andava già bene se ci riuscivo da seduta – e quel che mi premeva principalmente era avere il bambino in camera con noi per ridurre i pellegrinaggi notturni. Credo che Stokke non faccia più la culla Home perché mi pare abbiano “perfezionato” e allungato il potenziale utilizzo degli altri modelli – quelle celeberrime culle tonde con le sbarrette di legno che poi si allungano e si modificano per crescere col bambino senza imporvi di comprare prima una culla e poi un lettino.

Per quanto riguarda la cassettiera-fasciatoio, noi ci siamo trovati bene perché ci cambi e ci vesti sopra il bambino senza doverlo mollare lì per andare a frugare in un armadio. Mettevamo i pannolini nel primo cassetto, gli indumentini negli altri e le varie lozioni nello scomparto laterale del fasciatoio. È capiente? Non sembra, ma molto. Cesare ha un armadio suo da circa un mese ma fino ai cinque anni abbiamo usato quella cassettiera per tutti i suoi vestiti.

Collaterali utilità da fasciatoio: il nostro aveva il materassino imbottito “suo”, ovviamente lavabile. Una volta assicurata la morbidezza necessaria del piano d’appoggio, potete anche valutare di metterci su una traversina o un telo di più rapida gestione: si sporca e lo sostituite. È una soluzione che torna anche comoda quando si è in giro e magari non c’è sempre la possibilità di avvalersi di una “stazione di cambio” regolamentare.


Arnesi

Non arredano, ma soccorrono.

LA SDRAIETTA

Cielo, non posso allontanarmi nemmeno per lavarmi i capelli! Ebbene, è una menzogna. Armatevi di sdraietta. Placa le ansie, è facilmente spostabile, rimbalza e intrattiene, previene i ruzzoloni perché c’è la cintura e, con un opportuno riduttore che di solito vi vendono insieme al resto, la potete usare praticamente da subito. Perché no, i neonati non son capaci di stare seduti ma sono felicissimi di guardarsi attorno da spaparanzati.
Ma la piglio “motorizzata”? In giro ce ne sono parecchie che si muovono da sole ma, a mio parere, sono un po’ dei baracconi. La maggior parte sono dondolabilissime a mano e, nel caso scegliate uno di quei modelli che sono anche incastrabili sui seggioloni della medesima famiglia, tendete a prolungarne l’uso e le occasioni di utilità, variando anche l’inclinazione.
Noi avevamo preso la Steps, piazzabile anche sul seggiolone gemello.

IL MANGIAPANNOLINI

Dove gettare le scorie radioattive?
Ci sono degli appositi bidoncini. Sì, il fatto che esistano non è un mero esercizio di speculazione commerciale ma una buona invenzione. Sì, sono fatti apposta per non puzzare come la morte e per essere tenuti a portata di braccio. Col tempo imparerete anche a fare canestro con grande disinvoltura.
Ce ne sono di diversi tipi. C’è la tipologia dispendiosa ma a prova di disastro nucleare – ogni pannolino viene sigillato in un sacchetto tutto suo e poi finisce nel bidoncino – e c’è la tipologia onesta e snella tipo questo qua della Chicco che abbiamo usato noi. Nel primo caso vi dovete comprare il bidoncino e anche i sacchetti – perché funziona coi suoi e solo coi suoi, quindi periodicamente dovrete rifornirvi di ricariche -, nel secondo caso potrete benissimo avvalervi di un sacchetto della monnezza qualsiasi e basterà comprare il bidoncino per i fatti suoi.

LA VASCHETTA PER IL BAGNO

No, i neonati non sono scaraventabili nella vasca da bagno che usate voi. Sono minuscoli e scivolosi come anguille. Mia madre vi esorterebbe a immergerli senza indugi il catino del bucato, ma la civiltà ci fornisce qualche alternativa. Là fuori ci sono vaschette piccoline di ogni tipo. Noi avevamo scelto questa perché è pieghevole (e volendo anche trasportabile senza troppe cerimonie) e dotata di riduttore – una sorta di “cucchiaione” che si assicura al bordo e vi aiuta a sostenere la creatura nei mesi che precedono lo sviluppo dell’impagabile abilità dello stare seduti.

 

Altra cosa che può aiutare nelle abluzioni? Un termometro da bagno. Perché vogliamo bambini puliti ma non cotti.

LO STERILIZZATORE

Non fate come me, non mettetevi a bollire roba in una pentola piena d’acqua per settimane. Gli sterilizzatori esistono e sono nostri amici.
Allattate? Buon per voi. Vi servirà per eventuali ciucci, ammenicoli da morsicare nel periodo della dentizione, giochi scagliati in terra, componenti vari ed eventuali di un ipotetico tiralatte – contenitorini per il latte compresi.
Non allattate o fate allattamento misto? Benissimo per voi anche in questo caso: vi servirà ancora di più per i biberon, sia di vetro che di plastica.
Noi abbiamo la versione “vecchia” di questo, che sterilizza generando vapore, non si insozza, è capiente e può anche essere scomposto e ficcato nel microonde.

CUSCINI

Se allattate e non volete soccombere a dolori articolari incredibilmente avvincenti e insoliti, vi consiglio con tutto il cuore di trovare una seduta con uno schienale alto e confortevole e di munirvi di cuscino. Io avevo usato un classico Boppy della Chicco, che di certo non brilla per versatilità e potenziali impieghi alternativi, ma fa il suo. Sì, è comodo da sfoderare per i lavaggi e potete comprare delle federine aggiuntive.

Volete un cuscino concettualmente più “ricco”? C’è questo di Koala Babycare che può essere usato per allattare, come paracolpi in vista di futuri lettini, come nido-ciambellone o invalicabile muraglia di morbida ma implacabile sicurezza.

STRACCINI E COPERTINE

Che fungano da salviette, copertine o argini per bave, le mussole sono valide alleate. Sono tessuti morbidi, si lavano agevolmente, asciugano in fretta e resistono bene. Noi le abbiamo usate moltissimo sia in versione “lenzuolino” che in versione quadrata, tipo tovagliolo o straccino.

*

Ma la bilancia?
La bilancia per pesare i neonati è un oggetto di cui dotarsi se un medico vi dice che è indispensabile per monitorare la crescita (si possono noleggiare anche in farmacia) o di cui potete pensare di dotarvi spontaneamente se siete persone che gestiscono ragionevolmente le ansie. È uno strumento che può fornirvi un’informazione sul come sta procedendo la crescita, ma la gestione di quel dato – sempre nel caso non sia arrivato un* pediatra a ordinarvi di monitorare tutto con precisione marziale – sta poi al vostro equilibrio. Insomma, se vi dovete ossessionare tenderei a consigliarvi di evitarla.

Ma il tiralatte?
Io ne avevo preso uno “manuale” con cui mi sono trovata malissimo. Non ho allattato con particolare facilità e non ho collaudato tiralatte elettrici più sofisticati – che dovrebbero anche essere più comodi, quindi non mi addentrerò nell’argomento, che in generale è delicato e molto personale.


Andare in giro

Il TRIO

So bene quanto l’universo dei passeggini possa risultare disorientante, ma la prima cosa da fare è pigliare un metro e misurare la porta dell’ascensore. Aiuta nella scrematura iniziale: qualsiasi arnese sia dotato di un telaio più largo della porta dell’ascensore – o delle porte che abitualmente vi troverete a varcare nella vostra quotidianità – non è da prendere in considerazione.
Ciò detto, da che si inizia? La soluzione più lineare – per quanto possa apparire barocca – è il trio. C’è un telaio unico e sopra ci potrete incastrare tre supporti diversi: la navicella (per i civili: la culla), l’ovetto (per i civili: l’aggeggio per il trasporto in macchina) e il passeggino più comunemente inteso, che subentra quando gli infanti riescono a gestire un’anche vaga posizione seduta.
Sì, il trio è un baraccone e quando potrete finalmente optare per un passeggino “leggero” vi sentirete assai meglio, ma nostro malgrado ci vuole. Fattori ulteriori da considerare: come si ripiega? Quanto spazio occupa nel bagagliaio (da ripiegato)? Come si guida? Quanto pesa?
Il fattore compattezza è molto relativo. Il trio ha tendenzialmente un telaio grosso e di miracoli non ne accadono. Votate almeno per il sistema di “chiusura” che vi pare meno macchinoso e tenete presente che quelli col maniglione unico sono incomparabilmente più comodi da guidare (riuscite anche a spingerli con una mano sola) ma si chiudono con manovre più impervie e quelli con le due maniglie indipendenti (che da guidare per me sono scomodissimi) tendono a chiudersi “a ombrello” e sono un po’ più semplici. E il peso? Se siete soliti/solite uscire sempre con una dama di compagnia o con un valletto il problema potrebbe non tangervi, ma se programmate di fare cose per conto vostro assicuratevi di essere in grado di sollevare il maledetto passeggino in autonomia. Sì, potete chiedere aiuto ai passanti, ma dovendomi basare solo sull’altrui gentilezza in questo momento sarei ancora ad aspettare in cima alle scale della metropolitana.

Dopo aver girato per un po’ di negozi – cosa sensata perché vi fanno vedere materialmente come si incastrano e si chiudono le cose e potete anche cimentarvi in una prova di sollevamento – noi avevamo scelto un trio di Inglesina (il Trilogy) con telaio leggero e “stretto”, visto che il nostro vecchio ascensore era molto angusto. In questi cinque anni son cambiati colori e piccoli dettagli, ma il succo è questo:

UNA BORSA PER IL CAMBIO

Spesso i generosissimi produttori di sistemi trio tendono a omaggiarvi o a includere nei cento miliardi che gli darete anche una borsa per il cambio da agganciare al passeggino o da portarvi in giro. Sono quasi sempre delle specie di cartelle da postino bruttarelle e poco funzionali che vi penzolano davanti mentre spingete il trabiccolo e che a tracolla non vi metterete mai perché una roba pesante a tracolla mal si concilia con le tette – già piagate da problemi gestionali tutti loro.
Zaino? Meglio.
Uso potenzialmente eterno, mille scomparti comodi, tasche termiche, cerniere in posti impensabili ma saggi, lo aprite e sta in piedi da solo, capiente, possibilità di trovarne uno bellino, mettibile. Lo volete agganciare al maniglione? Si può. Volete buttarlo nelle retine-porta-cose dei passeggini? Si può. Ve lo volete portare sulla groppa o sbolognare a qualcuno? Si può.
Io avevo comprato questo – ma in una fantasia più giuggiolosa:

 

UN SACCOTTO TERMICO

L’inverno è laborioso, ma ce la si fa. Sarete comunque piagati da innumerevoli strati d’indumenti, ma la soluzione più lineare per uscire è avvalersi di un saccotto termico da ficcare nella navicella o da assicurare al passeggino (ci sono sempre delle fessure, dietro, per far passare gli spallacci delle cinture). Se posso, vi esorterei a propendere per i saccotti “interi” e non solo per quelli in cui infilare le gambe. Meglio ancora quelli con il cappuccio che si può stringere col cordino intorno alla facciotta dei bambini per riparare anche testa, collo e minuscole spalle.

*

Ma la fascia? Non ho informazioni intelligenti da elargire. Con Cesare non mi sentivo in grado di manovrarla e non ho mai provato. Ora che c’è un po’ più di fiducia magari mi cimento.


Bonus track finale?
Un libro, non posso esimermi. L’offerta di album di ricordi e/o diari per la registrazione di avvenimenti salienti nel percorso di crescita dei vostri neonati è molto estesa e spesso eccessivamente zuccherosa. Con Cesare non ho compilato un bel niente perché era già tanto se riuscivo a gestire la situazione, ma ora che brancolo un po’ meno nel buio mi piacerebbe imbarcarmi in un’impresa di documentazione. Uno spunto simpatico e poco “oneroso”? Ecco qua.

 

Bene, ho cercato il più possibile di razionalizzare e di sfrondare il superfluo… e dovrei aver finito. Serve comunque una barca di roba? Un po’ sì, ma mi auguro di aver limitato i danni e spero di cuorissimo che questa lista possa tornarvi utile nell’avvicinamento alla grande avventura genitoriale.
Ci aggiorniamo fra qualche tempo per uno spin-off dedicato ai primi giochi. :3
In bocca al lupo e PIGLIATELA CON TRANQUILLITÀ.

Questo è il post che linkerò senza sosta per rispondere ai frequentissimi “ma da dove vengono quegli orecchini?”, “e l’anello che hai sul medio della mano destra?”, “mi ricordo che avevi fatto incidere una roba su un bracciale, mi ricordi che brand era?”. Ecco. Perché, in alcuni casi assai virtuosi, gli innumerevoli ME L’AVETE CHIESTO IN TANTE che popolano Instagram corrispondono a verità. Questo è il post per chi non ha screenshottato in tempo, per chi vuole chiedere ma ha paura di disturbare, per chi non frequenta gli agili circoletti coi contenuti in evidenza e per chi vuole ricoprirsi di monili come una statua della Madonna portata a spalla da un manipolo di nerboruti seminaristi.
Insomma, compagne gazze ladre, questo è per voi.

Ho raccolto qua di seguito un po’ di suggerimenti gioielliferi abbondantemente collaudati negli ultimi mesi. Sono quasi tutti brand artigianali che ho conosciuto su Instagram e di cui continuo a parlare molto volentieri, ben conscia di avere ancora parecchio di cui sdebitarmi. Spero che anche voi troverete il modo di supportarli.

Cominciamo?
Cominciamo.

*

Emmevi

Ecco da dove ha origine la mia presente ossessione per gli earcuff, per i catenami vari e per gli orecchini a cerchietto con pendaglietti pazzi. Mi sono già regalata, tra le altre cose, questa collana a maglie rettangolari e le mie intenzioni sono sempre più bellicose.

*

Halite

Un dinamico duo mamma-figlia, dalla Puglia con fulgido furore. Se amate le pietre, le perle, i materiali “importanti” e non vi siete ancora rassegnate al minimalismo, lanciatevi con trasporto. Se vi garba il genere, date anche un’occhiata alle borse-sacchettino.

*

Ossi di seppia

Tecnica antica (anzi, archeologica) per pezzi unici. Ogni gioiello viene realizzato con la fusione in osso di seppia – si piglia un osso di seppia, lo si “scolpisce” per creare uno stampo in cui poi viene colato il metallo. E si ricomincia da capo, perché l’osso resiste per un po’, ma non si può riutilizzare per fare un altro gioiello. A parte il fascino generato dalla tecnica produttiva, fonte infinita di meraviglia è regolarmente il tema delle collezioni. Perché sono anelli spaziali, astronomici, mitologici e “alieni”, quasi, nella loro bellezza.

*

Iccio

Beatrice mi ha donato, qualche tempo fa, uno di quegli anelli che decidi di non toglierti mai più. È sottile sottile, con una letterina punzonata su ogni medaglietta. Dice CESARE, mi è molto caro ed è un ottimo portabandiera per lo splendido lavoro di Iccio. Anche in questo caso, materiali pregiati e oreficeria degna di una fucina elfica.

*

Eilish

COME POSSIAMO NON AMARE DELLE OTTANTENNI COI CAPELLI FLUO CHE INDOSSANO COLLANE PIENE DI DINOSAURI DICO IO. Alice è il mio riferimento folle nell’universo dei monili. L’ultima collezione – Jurassic Girl – è un ibrido tra il mondo dei giocattoli e la bigiotteria fotonica da SCIURA di qualche decennio fa. Il risultato finale è una combo assurda di vintage giocoso e un momento di autentica gioia penzolante.

*

Giulia Lentini

Orafa dalle mani sante, Giulia si ispira alla natura per farci abbondantemente splendere… riabilitando pure le alghe e le spugne. Io sono la fiera proprietaria di una vasca da bagno in cui sguazza serafica una bellissima perla.

*

 

Le Bandite

“Piccoli amuleti per donne magiche”, dichiarano loro. E hanno ragione. Che voglia di appendermi 600 cose al collo per emergere maestosa dalla spuma del mare.

*

Malvina

Gli orecchini voluminosi sono pesanti? Non necessariamente. Il cavallo di battaglia di Malvina sono gli Airone, in ottone e ventaglietti di gomma crepla – un materiale leggerissimo, resistente e potenzialmente assai colorato.

*

Laura Bassan

Forme minerali, vegetali, spugnose e cristalline.

*

Officine Gualandi

Pazzissime ceramiche multicolori che potete utilizzare per adornarvi, ma anche per arredare le vostre deliziose abitazioni.

*

Grandmother Lab

Sfavillanti collezioni pop. Ci sono anche accessori per capelli e pezzi degni di Wonderwoman… o di Jem con tanto di Holograms al seguito.

*

Benbar

Forme geometriche in bronzo, ottone e argento – con un ottimo occhio per le pietre. Tutti fatti a mano.

*

L’Atlante dei Bottoni

Vecchi dizionari o libri di scuola destinati al macero vengono recuperati per creare dei monilini parola-centrici. Ogni pezzo è unico ed è il risultato di un’esplorazione iconografica e testuale. Vastissimo fascino: io ho CHIMERA.

*

Papaveri e Rondini

Che pace, che linee pulite, che gioia minimalista da ninfa dei boschi. Ogni tanto ci vuole.

*

Gian Paolo Fantoni

Le collezioni sono numerose, ma io ho un debole per i giocosissimi gioielli personalizzabili con le letterine cubiche.

*

Lindanera

Piccoli piccoli e Pitagora-approved. In più, materiali che di sicuro non mancano di originalità: cemento e corteccia.

*

Tità Bijoux

Organizzazione matriarcale e pizzo come materia prima d’elezione – ma il pizzo si accartoccia? Macché. Viene trattato in modo da renderlo “solido” ma leggero. Bellissime anche le ultime collezioni a base di maglie e catene.

*

Aspettaevedrai

Sara recupera vecchi piatti, tazze e teiere e con i cocci di ceramica più belli e strambi crea gioielli irripetibili. Ultimamente sta anche esplorando le vaste potenzialità dei fiori.

*

Demodé Jewels

Volete appendervi una monstera alle orecchie? Ora si può. Silvia disegna tutte le grafiche dei suoi gioielli, stampa su una miscela di legno di recupero e taglia al laser. Si va dai pattern alle invenzioni più strambe.

*

Rubinia

Per donini decisamente preziosi o per far personalizzare con punzonatura fatta a mano un bracciale o un anello – io ho fatto martellare un paragrafo intero di Borges su una fascetta d’argento, per dire.

*

Mi sarò sicuramente dimenticata qualcosa, ma mi pare che ci sia materiale.
Concluderei con un’ulteriore indicazione pratica. Dove li ficchiamo tutti questi gioielli? Dopo molte peregrinazioni, mi sono comprata un armadietto portagioie che continuo a trovare molto comodo e funzionale. Eccolo qui.

Dopo aver trascorso un’altra estate sandalando comodamente in giro con Scholl – senza sviluppare bolle, tagli, sbucciamenti di talloni e tutto quel che di cruento vi può venire in mente -, è ora di rassegnarsi al sopraggiungere del gelo. La collezione primaveril-estiva mi è piaciuta tantissimo perché traboccava di glitter, ma avremo di che ben consolarci – riparando, allo stesso tempo, le nostre estremità dai rigori bagnaticci del clima.
Ecco qua la mia wishlist per gli inospitali mesi futuri.

Non possiedo un paio di stringate “maschili” perché, quando le vedo esposte da qualche parte, mi sembrano sempre DURISSIME. Le guardo e sento il calcagno che mi stramaledice, il mignolino che si comprime e il piede, in generale, che mi giura vendetta eterna. L’esperienza con Scholl, però, mi incoraggia… sia dal punto di vista dei materiali – sofficioni ma resistenti – che della calzata. Queste sono le Salemi, ci sono anche in altri colori e tutte sono dotate di suola Memory Cushion che ammortizza e avvolge bene.

Idem con patate per le Salandra, che però sono delle garrule slip-on. Credo diventeranno delle valide alleate sotto ai pantaloni a vita alta e gamba svolazzona.

Loafers? Ci sono pure quelle. E dovrei pensarci seriamente, visto che ho ben due kilt che attendono di essere indossati con qualcosa di plausibile. Anzi, più le guardo e più me le immagino con tutto… credo siano i cento punti a Grifondoro che ogni modello “classico” si porta in giro di default: hanno senso in generale. Queste sono le Syris… e anche loro militano nella prima divisione del battaglione Memory Cushion.

Non è obbligatorio indossarle con un foulard in testa, il Barbour e un corgi al guinzaglio, ma l’abbinamento è fortemente consigliato. Lunga vita pure alle Rudy. E teniamo duro, The Crown ricomincia fra poco. Olivia Colman, contiamo su di te.

Le Eve sono un gradito ritorno. Ho usato tantissimo il modello dello scorso inverno e posso garantire di aver sguazzato nelle pozzanghere senza rimediare reumatismi. Anche in questo caso, la suola sfugge all’effetto “piede in un sacchetto di plastica”. L’appoggio è bello “sostenuto” e non ve le scalcagnate via camminando, come spesso accade con gli stivaloni da pioggia. Altro motivo di gioia: il PVC lucidissimo, che continua a ricordarmi il cranio di Alien. Che l’universo ci assista.

Non posso vantare una vasta esperienza in tema ballerine. Non mi oppongo alla ballerina a livello filosofico, ma faccio fatica a metterle perché sono sempre estremamente piatte e, col tallone rasoterra e la suola sottilissima, vivo male. Il che è un peccato, perché mi precludo la risoluzione di numerosi abbinamenti spinosi che, con una scarpa semplice e beata tipo la ballerina, diventerebbero assolutamente elementari. A tal proposito, potrei affidarmi alle Julia, che hanno tre centimetri di tacco – salvifico ma non invasivo – e il Gelactiv, che ti risparmia la percezione di ogni sassolino del selciato.

Le Julia son troppo serie e morigerate? MA CHE PROBLEMA C’È. In caso di piogge persistenti e guadi più o meno urbani da affrontare, c’è anche un sobrio stivale leopardato. Sono piuttosto certa che, con dei calzettoni ben pasciuti, i New Vestmann vadano benone anche con la neve. Incredibile, sono diventata una persona che pensa anche alla funzionalità. Un tempo mi sarei accontentata di gridare MA CHE TI FREGA SONO DEGLI STIVALI CON LA VERNICE E IL NYLON LEOPARDATO e adesso eccoci qua, a gioire della presenza del Memory Cushion.

Per esplorare il resto della collezione invernale e/o regalarvi qualcosa di comodo, bello e assennato, vi consiglio di dare un occhio sullo shop di Scholl. E non perdetevi le pantofolazze, anche quelle ci doneranno gioia ed estrema poffosità.

Visto che, di solito, fate tesoro dei codici sconto e li utilizzate spesso e volentieri, Scholl ce ne dona uno anche a questo giro: con CUORONI20 ci sarà il -20% dal 5 al 19 novembre su tutta la collezione. Si può usare solo sull’e-commerce e non è cumulabile con le altre promozioni già in corso.

Buon inizio di autunno e buoni curiosamenti calzaturieri.

Amore del Cuore è arrabbiatissimo con me perché, in casa nostra, il primo utilizzatore assiduo e devoto di Satispay è stato lui e, come ogni early adopter che si rispetti, pretende che gli venga riconosciuto il merito di aver capito in anticipo che una cosa è comoda, utile e valente. Diciamolo chiaro e tondo, allora: grazie per avermi convertita, Amore del Cuore. Senza di te brancolerei ancora nell’ignoranza.
Bene, ora che ci siamo levati dai piedi i doverosi credits, direi di procedere. Perché siamo qui? Perché Satispay, qualche tempo fa, ha individuato la mia propensione a raccontare i posti dove amo spendere dei soldi e mi ha anche identificata come utente felice del servizio.
Perché non facciamo collidere queste due fondamentali placche tettoniche, dunque, compilando una piccola guida ai locali, negozi e/o entità milanesi che accettano i pagamenti con Satispay – sfornando pure dei cashback, magari – e che apprezzo in modo particolare? Ed eccoci qua.

Due parole sul servizio, prima di passare all’accozzaglia di indirizzi che ho messo insieme.
Cos’è Satispay? È un’applicazione che permette di pagare cose col telefono. Si collega al vostro IBAN e crea un salvadanaio virtuale – l’importo settimanale ve lo scegliete per conto vostro, in base a quello che combinate di solito – che vi servirà per i pagamenti e per immagazzinare i cashback ricevuti. Che roba sono i cashback? Moltissimi negozi del circuito Satispay vi restituiscono una percentuale sull’acquisto, che va a finire direttamente nel vostro credito disponibile, rimpinguandolo di volta in volta.
Satispay permette anche di creare salvadanai da destinare alle vostre ambizioni di risparmio e di pagare con il telefono un vasto ventaglio di rotture di scatole (i bollettini, il bollo auto, le ricariche del telefono, le multe…). Se uscite in compagnia e vi spaccate abitualmente la testa su come dividere i conti, poi, l’app permette anche di spedire/ricevere soldi da altri utenti – riducendo, auspicabilmente, la frequenza dei “guarda, ti devo 25€ ma non ho contanti adesso… te li rendo la prossima volta che ci vediamo”. E poi vi evitano per mesi e, quando ricapita di trovarvi, par brutto esordire con “Ciao, quanto tempo! Ma ti ricordi quei 25€ che mi devi da febbraio?” e alla fine state zitti e i vostri 25€ non si palesano mai più. Ecco.
È sicuro? Per forza. Satispay non si aggancia a carte di credito e compagnia danzante, ma il suo punto di riferimento è l’IBAN, perché l’unica cosa che può fare qualcuno se conosce il vostro IBAN è farvi un versamento – e solo le istituzioni autorizzate, come nel caso di Satispay all’attivazione del servizio, possono effettuare prelievi.
È la solita roba che c’è solo a Milano mentre il resto d’Italia si attacca al tram? Fortunatamente no. Qua c’è un’eloquente mappa della nostra splendida penisola, piena di puntini che indicano la diffusione degli esercizi che accettano Satispay. In generale, l’app vi propone una lista di esercizi aderenti al circuito, in base alla posizione in cui vi trovate. Ma si può anche cercare per categorie, oltre che per “distanza”.

Avrò detto tutto? Speriamo.
Ecco qua qualche indirizzo Satispay-friendly a Milano, pescato dalla mia lista dei posti del cuore.
Legenda? Eccoci. Gli * indicano i cashback.

***

ABBIGLIAMENTO & ACCESSORI

Le It * – Corso Genova 7
Ho conosciuto le ragazze su Instagram e vado a trovarle spesso. La formula del negozio è quella che apprezzo con più trasporto: una selezione curata ed estrosa di vestiti e accessori – gioiellini fatti a mano compresi – che coprono una forbice di prezzo saggia. L’effetto finale è un bel mix di abbigliamento che non vi ammorberà con la sensazione di “l’ho già visto 80 volte” e che non vi farà arrabbiare perché non potete mai permettervi le cose belle. Organizzano anche dei pop-up temporanei – ospitando piccoli marchi indipendenti o sarte che vi prendono la misura in negozio e poi vi confezionano un capo unico – e hanno cominciato ad allestire un angolino beauty. Insomma, ho passato l’estate vestendomi solo con quello che ho scovato da loro, in pratica. E punto a replicare quest’inverno.

Wait and See * – via Santa Marta 14
Fondato dalla mitologica Uberta Zambelletti – se non la seguite su Instagram rimediate subito -, Wait and See è un magnifico antro delle meraviglie nel distretto delle Cinque Vie. A parte l’oggettiva gioia che può suscitare un negozio dove in ogni angolino c’è qualche aggeggio che raramente vi potrà capitare di vedere al mondo, la selezione degli abiti è straordinaria. Le sezioni sono suddivise cromaticamente – Rossella Migliaccio would be proud – e troverete anche spille, borse, scarpe, monili, oggetti curiosi e piacevoli stramberie. Budget medio-altino, ma sacrosanto.

Dixie * – via San Maurilio (angolo via Torino)
Qua a Milano ci sono diversi Dixie e, prestando un po’ di attenzione alle composizioni dei tessuti, si possono scovare belle cose. Maglieria giocosa, abiti stampati e moda “da tutti i giorni” a prezzi ragionevoli. Storicamente, ci ho comprato diversi abiti lunghi che sono ben sopravvissuti alle lavatrici e che, addosso, fanno la loro figura, anche se non escono dalla sartoria della Scala.

Ottica San Maurilio * – via San Maurilio 14
I negozi di ottica dallo stampo retro’ hanno un posto speciale nel mio cuore di ragazza miope (e anche astigmatica). A parte la bellezza della bottega – che può fregiarsi anche di una cassettiera spettacolare da tipografia -, l’assortimento di montature è vasto e avvincente. Ci sono modelli vintage, marchi internazionali d’occhialeria d’eccellenza e pezzi di qualità che si allontanano dalle strade più battute. Volendo, vengono anche realizzati occhiali su misura in diversi materiali – legno compreso.

Rubinia * – via Vincenzo Monti 16
Un valente brand di gioielli che ormai adoro. Se cercate qualcosa ad alto valore simbolico, Rubinia è un’ottima meta. Ogni gioiello viene realizzato a mano e c’è una grande attitudine alla personalizzazione – se sono riusciti a punzonarmi “Ignoriamo il senso del drago come ignoriamo il senso dell’universo” su un bracciale potete ormai ritenerli pronti a tutto.

Ma i brand “grossi”? Sono arrivati anche loro. Qua a Milano, Satispay si può usare – tra gli altri – da TwinSet*, Benetton*, Falconeri (Corso Vercelli 33)* e Intimissimi (Corso Vercelli 14)* – con cashback potenzialmente succulenti.

***

BERE E MANGIARE

La Forgia degli Eroi * – via Ampère 15
Visto che siamo in tema “posti alla buona”, la Forgia è una via di mezzo tra una ludoteca e un locale dove si beve e si mangia. Quando ero piccola, a Piacenza, finivamo spesso in questi pub scalcinati a bere birre e a giocare a Trivial Pursuit o a qualsiasi roba in scatola ci fosse a disposizione. E, vi dirò, il FORMAT continua a piacermi. La Forgia ha un menù di paninazzi, hamburger gozzissimi, bruschette e birre artigianali di tutto rispetto. Cocktail “rudimentali”, direi, ma son certa di aver bevuto ben di peggio. I piatti e le bevande prendono il nome da personaggi ed episodi del pantheon fantasy, fomentando ulteriormente la vena nerd che pervade molti di noi. A disposizione dei clienti c’è anche una gamma sterminata di giochi di società (in buono stato manutentivo) e, volendo, postazioni per i videogame. Se l’idea di mettere piede a Lucca Comics vi terrorizza, ecco, forse la Forgia non è il posto perfetto per voi. In alternativa, amerete. Cimentatevi assolutamente con Cards Against Humanity.

Soulgreen * – Piazzale Principessa Clotilde
Un ristorante in prevalenza vegetariano che riesce a conciliare due estremi non scontati: un posto bellissimo dove si mangia anche bene. Ci sono stata diverse volte per i fatti miei (immergendo la faccia in una vasta gamma di bowl) e anche con l’infante, che s’è scofanato una zuppiera di gnocchi alla norma ed è stato accolto con grande solerzia. Gli ingredienti scelti sono stagionali e arrivano da produttori selezionati con attenzione. Il locale, in più, devolve parte dei suoi proventi a favore della nutrizione dei bambini in difficoltà con il programma “Proud to Give Back”.

Hygge * – via Giuseppe Sapeto 3
Mi sembra che la mania collettiva per il lifestyle danese si stia un po’ attenuando, ma non tutte le fissazioni vengono per nuocere. Hygge è un piccolo locale accogliente e pacioso che propone colazioni, brunch, pranzi e caffetteria. I piatti richiamano la tradizione nordica sia per scelta delle ricette che delle materie prime e, in generale, la sensazione è quella di trovarsi in una bolla di tranquillità e ragionevolezza. Da collaudare a colpi di fette di torta e infusi roventi nei mesi invernali.

LùBar * – via Palestro 16
Vorrei potervi dire come si mangia da LùBar, ma non ho mai avuto il privilegio. Sono sempre capitata in orari avversi all’apertura della cucina. Quel che posso dire – e che appare palese già a distanza siderale – è che il locale è splendido. Nell’accezione di splendore che potremmo attribuire al giardino d’inverno di una nobildonna. Verde salvia e vetrate ovunque.

Testone * – via Vigevano 3
Meta prediletta del mio consorte e dei suoi amici – dopo la partita di basket settimanale dell’Olimpia -, Testone mi costringe nuovamente a dar ragione ad Amore del Cuore, dopo molteplici collaudi. Il locale di via Vigevano è la succursale milanese di un’istituzione umbra… e la cucina è quella. Dalla celebre torta al testo (riempibile con penso qualsiasi cosa), alla carne alla brace, il menù è casereccio e le porzioni abbondanti. Prezzi onestissimi e, tanto per dirlo come lo direbbe una Lonely Planet, “atmosfera rilassata”.

Enoteca/Naturale * – via Santa Croce 19
Un posto tranquillo nel cortile/giardino del nuovo complesso di Emergency in Sant’Eustorgio. Piacevolissimo il fuori – ci siamo donati svariati aperitivi ristoratori mentre Cesare razzolava in giro (è tutto cintato, quindi i figli non vi scappano) – ma anche il dentro ben vi difenderà dai rigori dell’inverno. Ottimi vini da degustare insieme a olive e taralli e c’è anche la possibilità di ordinare dei piattini, un po’ in modalità tapas bar.

Frizzi & Lazzi * – via Evangelista Torricelli 5
Sarebbe stato meglio parlarne all’arrivo dei primi caldi – invece che del gelo incipiente – ma segnatevelo per i tepori futuri. Il bello del Frizzi, infatti, è il cortile, in mezzo alle case di ringhiera della zona Navigli. Il servizio è assai spartano – non attendetevi il signor Carson che vi porta un tovagliolo inamidato, insomma -, i prezzi contenuti e le patatine ragionevolmente croccanti. Roncio ma sincero… e grande meta per le serate estive più lunghe e battagliere.

Sempre in zona Navigli, grande amore per Ugo* e il Banco*. Ugo è un po’ più MONDANITÉ, visto che il grosso dell’attività del locale finisce per riversarsi per strada, mentre al Banco troverete ottimi cocktail – pure estrosi – e una più alta probabilità di accomodarvi a un tavolino come delle principesse. Sono due ottimi luoghi dove assaggiare qualcosa di nuovo, secondo me. Abbiamo tutti il nostro cocktail d’elezione, ci mancherebbe, ma nel caso vogliate ampliare i vostri orizzonti, meglio provarci mettendosi nelle mani di un super mixologist.

***

VARIE ED EVENTUALI

Donchisciotte* è uno dei nostri negozioni di giocattoli preferiti. Si è recentemente spostato da via Col di Lana per approdare in via Vetere. Ci abbiamo comprato monopattini, dinosauri di plastica di ogni forma e dimensione, sabbie cinetiche e palloncini ENORMI per i compleanni. Zero Barbie e Gormiti, ma tanti giochi adorabili e saggi. Offre anche l’opportunità di ammirare dal vivo le mitologiche Sylvanian Families.

Sul fronte libresco, invece, possiamo cimentarci con Open More Than Books (Viale Monte Nero 6)* – che ha anche un comodissimo spazio di coworking con caffetteria -, Gogol & Company (via Savona 101)* – sto valutando di trasferirmi in quel quartiere e un grande fattore che consideriamo ogni volta che vediamo una casa è la distanza dalla Gogol -, la Centofiori (Piazzale Dateo 5)* e la Libreria del Convegno (via Lomellina 35)*.

Qua a Milano, Satispay si può usare anche in tanti supermercati (Pam, Esselunga e Naturasì in primis, ma anche da Tigotà, se vogliamo restringere il raggio d’azione merceologico) e, RULLO DI TAMBURI, pure in farmacia. Molte farmacie vi sfornano anche il cashback… il che non credo vi farà ammalare più volentieri, ma fornisce almeno un minimo di consolazione.

***

Bene, dovrei aver concluso. Vi lascio qui il link d’iscrizione per fare un collaudo, se vi va – come spero accada. Buoni giretti e buona caccia ai cashback-Pokémon. 🙂

Ho battuto così tanto la fiacca con la Weekly Wishlist che alcune cose che desideravo hanno addirittura avuto il tempo di trasformarsi in un acquisto concreto. Incredibile! Prodigioso! Un processo decisionale che giunge a compimento! Non si era mai visto! Ma non crogioliamoci nell’autocompiacimento e proseguiamo con baldanza. Ecco un po’ di vari ed eventuali aggeggi (ed esperienze) che sto bramando in questo periodo o che ho già incamerato con soddisfazione.

*

Sono riuscita ad andare al cinema a vedere Captain Marvel. E ora voglio il maglioncino di cotone di Carol Danvers. Questo è di Musterbrand, che sforna con grande efficienza indumenti “portabili” ispirati ai costumi dei nostri personaggi cinematografici e videoludici preferiti, da Star Wars a Zelda. Tempo fa mi sono regalata il cardigan lungo di Kylo Ren e ho felicemente constatato che i materiali sono buoni e anche la lavorazione. Insomma, l’obiettivo finale è andare in giro con un intero guardaroba da supereroe quasi in borghese. E non potendo disporre di un flerken, inizio dal maglioncino.

*

A Ferrara, fino al 2 giugno a Palazzo dei Diamanti, c’è una mostra che credo potrebbe rimettermi al mondo: “Boldini e la moda”. Tra dipinti, abiti d’epoca e oggetti emblematici, la mostra esplora il rapporto tra Boldini, l’alta moda parigina e la Belle Époque. Perché il ritratto di una signora chic è anche il ritratto di un preciso e vasto mondo di riferimento.

*

Mi sto riconvertendo gradualmente – e con successo – alle borse più piccole, da portare possibilmente a tracolla. La rivoluzione è partita dalla necessità di rincorrere un bambino senza ritrovarmi impicciata dai valigioni che di solito mi portavo in giro. Ebbene, le bottiglie d’acqua “classiche” ci stanno, nelle mie nuove borse? A volte no. E a volte sì, ma con immane fatica. Visto che la geometria solida non è un’opinione, ho dato retta alla mia amica Gabriella e mi sono presa una bottiglia piatta. Me la riempio prima di uscire e la caccio praticamente ovunque. Sì, somiglia a una fiaschetta da maestro di sci con una pesante dipendenza da grappa, ma è comodissima. Questa qua è la Memobottle formato A6 (375 ml), ma ce ne sono anche di più/meno capienti.

*

La compagine europea di Hello Kitty mi ha donato, un po’ di tempo fa, una spazzola Tangle Teezer. Prima usavo le spazzole di legno e mi trovavo anche bene. Sapevo dell’esistenza delle Tangle Teezer, ma temevo fossero dei plasticoni inutili. Ebbene, facevo piuttosto male a partire prevenuta e, in tutta onestà, ho scoperto che con la Tangle Teezer faccio la metà della fatica, mi strappo meno capelli, sono assai più rapida e me li pettino pure meglio. Ho scoperto che esiste una Tangle Teezer con i denti più lunghi e solidi per i ricci e le chiome assai folte come la mia. E credo che procederò presto con l’investimento.

*

Lavidriola è un brand spagnolo che sforna mirabolanti gioielli “artistici” dall’estremo potenziale pop. Sono robe giganti, stravagantissime e super dettagliate. Ci sono spille, collane che fanno provincia, orecchini e assurdità di ogni tipo. Si va dalla zoologia all’esplorazione spaziale, senza tralasciare Luna Lovegood con il copricapo da leone. Mi sento capita come poche volte al mondo.

*

Visto che siamo già in ambito “sobrietà”, credo valga la pena soffermarci su Krukrustudio e sul suo catalogo di borse che somigliano a oggetti e creature vicine al sentire comune (dalle taniche di benzina alle sogliole). In più, c’è una gamma assai nutrita di pochette – con tracollina inclusa – a forma di libro. I titoli disponibili sono numerosi (dai grandi classici ai libri di testo di Hogwarts) e c’è una vasta scelta anche in termini di dimensioni. Diciamo che si può scegliere una borsa-libro paperback o una borsa-libro Treccani.

*

Bene, mi fermo qua. La lista potrebbe proseguire fino all’orizzonte, ma teniamoci qualcosa anche per le prossime puntate. Nel frattempo, felici scoperte a tutti.

Potrei (e dovrei) dedicarmi a circa 953 cose più rilevanti del tema “maglioni brutti di Natale che in realtà sono STRAORDINARI”, ma quando distribuivano il buonsenso ero al bar… ed eccoci qua.
La faccenda dell’Ugly Christmas Sweater è una tradizione assai poco autoctona. A Natale, quand’ero piccola, mi vestivano come un fagiano impagliato alla corte dello zar di tutte le Russie e, in generale, si tende a pensare che per le feste comandate sia necessario presentarsi a tavola con degli indumenti decorosi. E mettiti una camicia, non vorrai mica far venire uno scioppolone alla nonna Rina, no? Lo sai che ci tiene! Ecco, pare che i riguardi nei confronti della salute psicofisica delle nonne stiano scemando, lasciando il posto all’anarchia vestimentaria più virulenta. Il mondo anglosassone (non si sa bene con quale autorità) sembra incoraggiarci con veemenza a far quel cavolo che ci pare. Anzi, a fare scientemente del nostro peggio, conciandoci con roba talmente improbabile da risultare geniale (o anche solo cretina in maniera simpatica). Maglioni natalizi inguardabili come performance artistica, tipo. Panettoni e dadaismo. Postmodernità e anolini in brodo. L’andazzo è quello.

Ecco.

Chi sono io per tirarmi indietro, mi domando.
Anzi, come ho fatto ad affrontare più di 30 Natali senza indossare un maglione imbarazzante.
È arrivato il momento di sceglierne uno.
E, visto che le fandom che mi affliggono sono numerose, ho deciso di buttarla definitivamente in vacca. Senza badare alla composizione del tessuto e neanche alla quasi sempiterna dicotomia sartoriale maschio/femmina. Non è importante, in questo frangente.

Ecco qua, dunque, una selezione di rivoltanti maglioni natalizi pieni di… COSE. Dei film. E delle serie TV. E della sempre cara cultura pop.

Procediamo.


In ben pochi lo direbbero, ma Darth Vader fa l’albero di Natale già a novembre. Ed è pronto a strangolare con il solo ausilio della Forza chiunque non si dimostri abbastanza garrulo.
Eccolo qua.

*

Dress-code più che obbligatorio per il party natalizio delle Stak Industries.
Ecco!

*

Lo so, spezza il cuore. Ma fa anche molto ridere.
Shame! Shame! Shame!

*

Hai mai danzato con Babbo Natale nel pallido plenilunio?
Adesso sì.

*

A livello di analogie climatiche con il più rigido degli inverni, Hoth è una scelta assolutamente azzeccata.
Riscaldiamoci con le budella fumanti di un tauntaun! 

*

Under his eye.
E a fuoco Gilead.

*

Per Amore del Cuore. Inevitabilmente.
Eccolo!

Ah, c’è anche quello Atari.
E qui c’è pure una variante in rosa del tema Playstation.

*

La prima slitta trainata dai velociraptor.
Qui non si bada a spese!

*

I Guardiani addobbano Groot, per Natale? Sarebbe la vita.
(Perdonatemi per la gag tragica. Il maglione è qui).

*

Per mia fortuna non sono mai entrata nel tunnel di Candy Crush ma, all’occorrenza, c’è un maglione brutto anche per quello.

*

Chi non festeggia il Natale è un Mangiamorte.
Riddikulus!

Se ne sentite il bisogno, qui c’è anche un maglione con uno scorcio del castello e delle leggiadre candele danzerine.

*

Per chi predilige un approccio più fumettistico ai supereroi Marvel, ci sono anche i maglioni “vintage”. Potrete rallegrare i vostri congiunti con Thor, Ironman, Wonder WomanSpiderman e Superman, tanto per pescarvene alcuni.

*

Concluderei in “bellezza” con una perla di maestro Yoda. E vi esorterei anche ad abbandonare ogni esitazione. Siate imbarazzanti. E fieri.
Fare o non fare. Non c’è provare!

La mia ammirazione per le artigiane che si lanciano in progetti creativi, strambi e coraggiosi è ormai risaputa. Instagram è un luogo dalle dinamiche talvolta tortuose, ma sono felice di essermi costruita un feed di cose belle da guardare e di storie interessanti da veder crescere. Capita spesso che mi arrivino “cose” – da leggere, da mangiare, da indossare. Sono una creatura curiosa e amo sperimentare, ma quello che poi effettivamente arriva a casa è scelto con cura – rispettando quello che sono e anche il lavoro degli altri. Di tanto in tanto, poi, mi imbatto in meraviglie autentiche. E mi viene voglia di approfondire e di fare un tifo sfegatato per le ragazze (perché sono quasi sempre ragazze) che si impegnano ogni giorno in imprese un po’ magiche e immancabilmente “diverse”.

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Fil Rouge Jewelry (@filrougej) in data:

Quest’intervista è nata da una collana da bibliotecaria, ad esempio. E da un mio commento particolarmente euforico, dopo qualche settimana di cuori silenziosi da parte mia. Antonia mi ha scritto all’istante, ci siamo scambiate dei video – in cui cercavamo di dirci qualcosa mentre i nostri figli ci saltavano sulla schiena – ed eccoci qua ad approfondire la sua avventura di gioielliera-narratrice. Ho sempre pensato che gli oggetti, anche i più minuscoli, racchiudano un grande potere. Ci fanno ricordare, conservano insieme a noi la memoria, diventano simboli, raccontano storie. E Antonia, con Fil Rouge, amministra con cura le storie degli altri. Qui c’è la nostra chiacchierata. E, anche se cominciamo da Max Pezzali – re della ninna nanna, come vedrete -, ci troverete dentro un’idea preziosa. E una persona ancora più luminosa.

Esordirei con un aneddoto che non c’entra niente con il tuo lavoro, ma che mi ha fatto molto ridere, quando l’ho scovato sul tuo blog. Tu non lo sai ancora, ma anch’io ho passato diversi mesi a far addormentare Cesare cantandogli Come mai degli 883. Uno stratagemma infallibile. Che cosa mai farà Max Pezzali ai bambini?

Quando ho scoperto di aspettare un bambino avevo 21 anni, poca cultura sulle tecniche di crescita di un infante e sul mondo “mammesco” in genere. Questo, per assurdo, mi ha portato ad essere una brava mamma di Luce in quanto ho avuto un bambino quando non ero pronta e non avevo alba di quel che avrei dovuto fare ed è stato l’unico modo per fare le cose giuste. La mia relazione con Max nasce in una di quelle tipiche notti in cui tua figlia pensa di essere uscita da un utero lirico, di essere il primo soprano della Scala e di essere quindi totalmente giustificata ad urlare come una faina in amore. Alle 3 del mattino ho dovuto tirare fuori l’artiglieria pesante e contrattaccare: dal basso della mia preparazione sui metodi naïf e non per calmare un bambino, ho pensato semplicemente di riproporle quel che lei mi stava propinando da ore, così decisi di cantare a squarciagola l’unica canzone che conoscessi a memoria (grazie a qualche amica delle elementari un po’ già inconsapevolmente hipster), ossia “Come mai” degli 883. Il risultato è stato che Luce smise di piangere, io continuo ad usare il mio metodo MammaPsyco – distendendomi ad esempio in mezzo al negozio di giocattoli e battendo i pugni a terra quando fa i capricci (lo uso solo in situazioni estreme, non sono pazza) – e “Come Mai” è diventata la nostra ninna nanna.

Sono andata subito fuori tema. Rimedierò, dunque, con una classica domanda alla David Copperfield. Da dove vieni. Dove vivi. Cosa combinavi prima di creare Fil Rouge.
Ho sempre invidiato quelli che nascono e sanno esattamente chi sono e cosa vorranno diventare. Io provengo da una famiglia di creativi, grazie ai quali ho imparato l’arte della curiosità. Quando sei curioso finisci per conoscere le cose e quando conosci davvero le cose riesci sempre a trovarci del bello e se trovi del bello non puoi far altro che amarlo. Per questo motivo ho spaziato in lungo e in largo attraverso una serie infinita di progetti e lavori di diversa forma e genere; se poi abbini la creatività all’impegno finisci per fare un ventaglio di esperienze enorme, riuscendo bene in tutte e non sapendo poi alla fine dei conti quale fosse la cosa che ti sarebbe piaciuto continuare a fare.
Io sono nata a Trieste e cresciuta a Udine, ho avuto una vita spericolata e piena di colpi di scena, un’opera teatrale della quale non so se mi sono mai sentita spettatrice o attrice protagonista. Prima di iniziare questo progetto lavoravo da anni per una multinazionale dalla quale ho deciso di separarmi per il grigiore che regalava alla mia vita, facevo la mamma single di Luce, procedevo con gli studi in Moda e Design e mi assicuravo un esaurimento nervoso. Ad oggi ho aggiunto Fil Rouge che per quanto possa sembrar sottrarre tempo, momenti ed energia a una vita già moderatamente incasinata come la mia, in realtà ha solo aggiunto. Un mese fa mia figlia mi ha portato un ciondolo a forma di cuore trovato nell’uovo di Pasqua esordendo con una delle frasi più semplici per cui io abbia mai pianto: “Tieni mamma, usalo per le tue collane!”.

Raramente – ma anche forse mai – mi è capitato di imbattermi in un progetto così favolosamente stravagante come il tuo. Come hai cominciato?
Sembra un cliché ma le cose belle succedono quando meno te le aspetti e dalle persone che non immagineresti mai. Ho sempre trovato affascinanti gli oggetti recuperati, la loro anima piena di momenti vissuti da qualcun altro e che in un momento diventano tuoi, li trovo amuleti carichi di magia. L’idea di dargli una seconda possibilità, una sorta di riscatto, mi faceva credere di dare un’opportunità anche a me stessa.
Ho creato alcune collane secondo il mio gusto e le ho caricate su Instagram, raccontavano storie che avevo inventato, senza riferirmi a nessuno, ispirandomi semplicemente alla vita. Senza accorgermene però avevo parlato una lingua che nemmeno io conoscevo, quella di una ragazza che una notte mi disse di volerne tre, perché raccontavano di lei. Non ho mai creduto in me stessa e ho sempre lasciato grandi progetti a metà per codardia, quella notte invece c’è stata una ragazza che pensava di aver ricevuto qualcosa da me, senza rendersi conto di avermi regalato l’inizio della mia storia. Da lì ho iniziato a credere di star facendo la cosa giusta e da quella sera ho raccontato storie di madri, di figlie, di famiglie, di dolori, di ricordi, di attimi, di vite intere, di passioni, di amicizie, di sentimenti, di inizi e mentre nei miei precedenti progetti non concludevo mai perché avevo paura di portarli a termine, questa volta non concluderò questo progetto perché non c’è nulla da concludere, non c’è nulla da finire, la conclusione arriva ogni mattina quando devo rendere reale e tangibile una nuova storia.

Qual è il primo gioiello che hai deciso di inventare?
Il primo gioiello che ho inconsapevolmente creato è stato 4 anni fa, molto prima dell’effettivo inizio del mio attuale progetto. Avevo quattro ciondoli molto importanti in quattro diverse collane: un 13 portafortuna, uno scarabeo turchese, uno scorpione (sì, sono dello scorpione, ero indecisa se dirlo per non creare validissimi pregiudizi) e un ferro di cavallo. Ho pensato fosse davvero stupido tenere cose per me così importanti lontane le une dalle altre quando avrei potuto averle sempre in mezzo al petto; così le ho riunite in un unico filo che non ho mai più tolto e che racconta la mia storia – e con il tempo sono sicura ci sarà ancora molto da aggiungere. Il progetto è nato da lì, dall’esigenza di racchiudere in un unico luogo i momenti migliori della propria vita, perché è vero che sono perfettamente ancorati alla memoria, ma ho pensato che se ci sono libri, poesie, quadri, spartiti che parlano così bene dei ricordi, non vedo perché non possa farlo anche un gioiello.

E dove diamine vai a prendere tutte le micro-antichità e i ciondolini vintage che vanno a finire nelle tue collane? Ti immagino mentre setacci luoghi inesplorati, soffitte, bauli e mercatini di ogni parte del globo alla ricerca del pezzettino perfetto.
La ricerca delle tessere del mosaico nasce da una storia d’amore tra un’abitudine e un’attitudine che da quando suonano insieme hanno dato un nuovo senso alle difficoltà che avevano se prese singolarmente. Quando parlo di abitudine intendo quella dell’assidua e quasi compulsiva frequentazione dei mercatini dell’antiquariato, ossia il posto dove trovo quasi ogni pezzetto. Nasce dai miei genitori, appassionati di modernariato, che mi trascinavano a peso morto ogni domenica mattina lungo le stradine ghiaiose dei vari parchi infestati dalle bancarelle. Quando sei una bambina di 8 anni e finisci a trattare il prezzo per un corrimano del ‘700 a forma di artiglio d’aquila hai due alternative: o coltivi la passione e diventi grande prima del tempo, o scappi ai gommosi e resti bambina. Io per fortuna non ho mai amato gli out out e ho sfidato il tempo continuando ancora oggi a farle entrambe. L’attitudine invece riguarda l’ascolto. Sono sempre stata una buona ascoltatrice, ho ascoltato moltissime storie forse anche un po’ per alleggerire la difficoltà della mia. Col tempo e la consapevolezza ho scoperto anche una spiccata empatia, grazie alla quale non immagazzinavo più solo le parole, ma anche l’impercettibile. È una meravigliosa dote per una persona come me, che la vita aveva reso troppo dura. Mi ha insegnato la delicatezza, nella gioia, nel dolore, mio e degli altri.
Custodisci tutto quello che trovi in una specie di forziere e poi fai una selezione al momento del bisogno o ti lanci anche in ricerche personalizzate?
Devo essere sincera, da accumulatrice seriale quale sono ho raccolto un bel bottino di battaglia nel corso del tempo, al quale difficilmente attingo senza trovare soluzioni. Generalmente, però, per le “Creazioni su Storia”, avendo comunque un limite di tempo per la loro produzione e dovendo andare a colpo sicuro non mi fermo ad una ricerca limitata ai mercati, ma immagino un mio progetto e cerco di soddisfarlo tramite quel che ho, o compiendo una ricerca tramite internet e le varie piattaforme che offrono oggetti d’antiquariato.

Forse è solo una mia impressione, ma mi pare che i tuoi gioielli abbiano una spiccatissima componente narrativa. Che cosa vuoi raccontare, quando metti insieme qualcosa?
Hai presente i bambini che hanno il fatidico periodo del perché? Ecco, io da quel periodo non sono mai uscita. Sono una persona che ricerca sempre le motivazioni per cui una cosa esiste e che cosa l’ha portata ad essere quel che è. Questo accade su tutto: dal voler capire il procedimento che rende l’uva vino, alle motivazioni che stanno dietro il colore della pelliccia di uno scoiattolo, alle leggende che per secoli hanno motivato il colore dell’aurora boreale fino al perché certe persone sono quel che sono e, ad essere sincera, ho una grandissima passione per le cose che non sono quel che sembrano. Ad esempio, recentemente, ho trovato qualcosa che spiega perfettamente chi sono io. Le conchiglie hanno il loro colore grazie all’ambiente in cui vivono, il mollusco costruisce pian piano la sua casetta rubando al mare i granelli di sabbia che lo circondano, e va da se che più si sposta nell’arco della sua vita e più diversi saranno i colori della sua casa. Io sono una persona che non si è mai sentita al posto giusto e questo mi ha portato a viaggiare molto, lavorare in molti settori, appassionarmi alle culture e alle personalità più diverse. Ho preso tutti i granelli che ho trovato e li ho fatti diventare la mia corazza colorata, e senza rendermene conto, grazie a tutti quei colori quel mollusco è diventato una perla. Questa è la mia storia e mi piacerebbe avere una collana che parlasse esattamente così ed è quel che cerco di fare attraverso le mie creazioni, raccontare la vita delle persone attraverso le metafore più delicate che conosco.
La collana più bizzarra che ti è capitato di produrre.
Forse questa collana di bizzarro ha ben poco, ma indubbiamente è differente da tutte le altre. Una meravigliosa ragazza toscana qualche mese fa mi ha commissionato un gioiello da indossare nel giorno del suo matrimonio. Ha pensato che fosse più indicato qualcosa che seguisse il filo della sua storia d’amore, piuttosto che il classico girocollo di punti luce.
Un’altra situazione bizzarra mi è capitata quando una ragazza mi ha commissionato una collana che parlasse della sua nonna, mancata qualche tempo prima. Il giorno seguente in un mercatino ho trovato un bracciale con due ciondoli a forma di cuore con incise le loro iniziali, erano talmente aggrovigliate che sembrava che non volessero separarsi, mi ha commosso questo segno e mi è sembrato giusto far in modo che in qualche modo rimanessero insieme nello stesso posto, e il posto giusto era al suo collo.

Se una volenterosa lettrice (o un volenteroso lettore) volessero una collana Fil Rouge qual è il procedimento che dovrebbero seguire?
Le creazioni sono presenti sui social – Facebook e Instagram – e sul sito web.
Nel caso in cui invece qualcuno fosse interessato a una “Creazione su Storia”, basta che mi contatti tramite uno di questi canali e mi racconti di che storia vuole che la collana sia il filo conduttore. Una volta ascoltato il progetto io cerco i “capitoli” giusti per ricomporre la storia e, nell’arco di massimo 15 giorni, propongo la creazione finita. Una persona che mi contatta per avere uno dei miei lavori difficilmente lo fa se non è totalmente consapevole di avere qualcosa di importante da cercare o da dire e quando si ha qualcosa di importante da dire si cercano sempre le parole giuste per farlo. Io, dal canto mio, col tempo e sviluppando una certa sensibilità, ho imparato i vari alfabeti delle persone e ad oggi riesco a capirle anche se parlano di cose che non conosco. Si tratta di una una relazione, brevissima ma pur sempre una relazione: loro si aprono e si confidano con me e io ho il dovere di capirli perché di fronte all’intimo l’ascolto è fondamentale. E non si ascolta solo con le orecchie.
Grazie, cuora. E buon lavoro! 

Dunque, sono finalmente riuscita a fare un po’ di repulisti nell’armadio. Ho eliminato quello che non mi va più bene da un pezzo – vedi cose troppo larghe o cose che palesemente non si addicono alla mia figura (e che credo di aver quindi comprato in momenti di scarsissima lucidità) – e quello che, più in sintesi, non mi va e basta. Lo dicevo mentre vagavo per Corso Vittorio Emanuele qualche tempo fa: non è che non ho niente da mettermi. È che non ho voglia di mettermi le cose che ho.
Ecco, se una roba sta lì a poltrire per un paio d’anni senza che ti venga l’ispirazione di infilartela, forse bisogna far pace con la sindrome da accumulo e decidersi a sgombrare il campo.
Visto però che non credo nel potere salvifico del minimalismo e dell’armadio vuoto come una cattedrale dopo LA MESSA È FINITA ANDATE IN PACE, vorrei cogliere anche l’occasione per rinnovare un po’ il guardaroba. Niente di drastico. Niente container che parcheggiano davanti a casa. Solo qualche integrazione e due o tre cose che si combinano effettivamente tra loro e che, potenzialmente, potrebbero anche funzionare con qualche altro indumento che già possiedo.
Ed è così che, armata di questi obiettivi vecchi come il mondo – ma comunque sempre validissimi e anche piuttosto affini all’indole umana -, mi sono avventurata alla scoperta della sezione moda di Amazon. Ora, io su Amazon ci compro perlopiù i libri in inglese (perché quello che voglio io non c’è mai in libreria) e tonnellate di aggeggi che servono ad amministrare un bambino piccolo. Dal grembiulino di plastica per dipingere all’asilo alle confezioni di pannolini grandi quanto il Principato di Monaco. Poi sì, capita pure che ci prenda armadi portagioie appendibili – un oggetto di rara e provvidenziale funzionalità. Mi ero abbastanza imposta, però, di non addentrarmi mai nella parte FASHION, perché sapevo che probabilmente non ne sarei mai più uscita. Un po’ come Jennifer Connelly nel labirinto di David Bowie. Amazon, qualche tempo fa, mi ha però chiesto di fare un tentativo. Ed eccoci qua.
Che ho preso, a questo giro? Diverse cose. Con un’ottima percentuale di fibre naturali, pure. E una spiccata predilezione per la private label “principale” di Amazon, Find. Voi lo sapevate che Amazon ha diverse private label che sfornano cose molto carine? Io no. Non so mai niente, NIENTE.
Lacune personali a parte, ecco cos’ho deciso di incamerare – sostenuta da motivazioni assolutamente adamantine, come vedremo.

VUOI NON AVERE UNA CAMICIA A QUADRI MOLTO GRUNGE?

Ecco, ho la fermissima intenzione di mettermela esattamente così. Pantaloni neri, una delle mie magliette pazze a prevalenza di bianco/nero, stivalini o Gazelle e via… a far finta di pogare in una palestra stranamente fumosa.

Dove:Find.
Alternativa meno cara e più a base di rosso.
Alternativa più cara e più sul nero, con vezzoso ricamino.

*

VUOI NON AVERE UNA SEMPLICISSIMA MA SVOLAZZANTE GONNA MIDI PER L’INVERNO?

Ho deciso che questa gonna sarà molto utile. Perché è una di quelle robe che diventano più o meno “importanti” a seconda di quello che ci metti sopra o sotto. E in vita ha l’elastico – suprema comodità.

Dove: Find.
Alternativa più sciantosa (e dotata di leopardatura su base scura come la tenebra).

*

VUOI NON AVERE UNA SORTA DI CAMICINA STELLATA CHE UN PO’ T’AIUTA A DIMOSTRARE LE TUE TEORIE SULLA GONNA DI PRIMA E UN PO’ TI FA SEMPLICEMENTE CONTENTA?

Fiocchi! Galassie! Nebulose globulari! Vezzose maniche a sbuffo!

Dove: Find.
Alternativa in versione vestito-a-portafoglio-che-tende-a-star-bene-a-tutte.
Alternativa col medesimo taglio ma tempestata di volatili orientaleggianti. 

*

VUOI NON AVERE UNA TRACOLLA COMODA DI DIMENSIONI SENSATE?

Con l’arrivo di Cesare sono stata costretta a ridimensionare molto le mie aspettative in fatto di accessori. Ho dato via quasi tutte le clutch e diverse borse a spalla troppo grosse. Ho tenuto le borsine piccole “da sera”, perché ogni tanto esco ancora, la roba vintage di MADRE e di mia zia e mi sto ricalibrando sui secchielli coi manici lunghi e sulle tracolle basic. Perché sì. Se vado in giro con l’infante non posso permettermi di avere la mani occupate o della roba sotto l’ascella che mi limita nei movimenti. Ed è pure ora di non vagare più per la città come uno sherpa tibetano, trascinandomi dietro cinque chili di roba tutte le volte. Ben vengano, quindi, le tracolle semplici e razionali. Cara borsa nuova, diventerai la mia borsa standard, quella che va lasciata vicino alla porta con già dentro l’essenziale per sopravvivere nel mondo esterno. Questa, poi, ha una fodera pazza che sono certa mi consolerà dalla fobia per l’indubbia semplicità della struttura.

Dove: Christian Lacroix.
Alternativa più cara e tondeggiante.

*

VUOI NON AVERE UN FELPOTTO ARABESCATO PER MIMETIZZARTI CON LA CARTA DA PARATI?

Per quanto ami le stampe, non ho ancora un parco maglioni degno delle mie aspirazioni. I miei maglioni invernali sono quasi tutti neri e quasi tutti a tinta unita. Ho ancora qualche assurdità tempestata di gattini, ma non mi sembrano sufficienti a contrastare la preponderanza della roba “normale”. Insomma, questo aggeggio che somiglia a un divano fru fru mi sembrava una buona soluzione. E poi è cortino… dunque posso cacciarlo pure sopra alla famosa gonna di prima, nuovo perno del mio universo.

Dove: Only.
Alternativa a collo alto con gioiosi intrecci da maestro di sci.

*

VUOI NON AVERE DEGLI ORECCHINI POMPOSI DA ABBINARE AL FELPOTTO E ALLA CARTA DA PARATI?

Metti mai che m’invitano a corte.

Dove: Johnny Loves.

*

Avrei voluto anche dell’altro? Ma certo. Per il momento, però, cerchiamo di cominciare con un minimo di razionalità. Se volete comunque godervi le mie aspirazioni animalier e altri portentosi svolazzi, qui c’è la wishlist degli Indumentini, che alimenterò con religiosa dedizione.
Sostienici, moda autunnale!