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Roderick Duddle

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Visto che la piccola lista di Adelphi sembra essersi rivelata utile, ho pensato di compilarne una anche per i tascabili Einaudi, che saranno in promozione al -25% fino al 10/3. Il compito è assai arduo, perché nei tascabili Einaudi c’è praticamente tutto lo scibile umano, compresi i classici irrinunciabili della narrativa più o meno contemporanea. Certa di fallire, dunque, farò del mio meglio per sintetizzare. E magari per scovare qualcosa di meno ovvio… anche se quando finisco questi elenconi mi viene sempre da dire “capirai che originalità”. Proviamoci lo stesso, però.
Alla pugna! (In ordine rigorosamente sparso, come da tradizione).

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Jeff VanderMeer, Trilogia dell’Area X

Sono tre libri difficili da classificare. O da spiegare. Su Amazon ci sono recensioni esilaranti. MA CHE TORRE? NEL PRIMO LIBRO C’È UN TUNNEL CHE VA NELLE PROFONDITÀ DELLA TERRA! LO CHIAMANO TORRE! C’È SICURAMENTE UN ERRORE DI TRADUZIONE! E invece no. L’Area X trasforma anche i concetti architettonici più consolidati… così come dovrebbe trasformare la nostra percezione della realtà. Il tascabilone (con la copertina curata da Lorenzo Ceccotti) raccoglie Annientamento – che è diventato anche un film di Alex Garland con Natalie Portman -, AutoritàAccettazione. Se siete in vena di esperimenti biologici, enigmi, parentesi metafisiche, cospirazioni e litorali misteriosi, mettetevi lo scafandro e partite.

[Qui il mio post originario sulla Trilogia].

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 Stefania Bertola, Romanzo rosa

Un romanzo che consiglio SEMPRE per una ragione semplicissima: è un piccolo gioiello di comicità. Una signora di mezza età – dalla vita non particolarmente movimentata – decide di iscriversi a un corso che promette di insegnare a sfornare un romanzo rosa “regolamentare” in una settimana spaccata. L’insegnante è una blasonata autrice di “Melody”e la classe è composta da individui piuttosto imprevedibili. Il libro racconta il corso e contiene anche un romanzo rosa che farebbe impallidire gli sceneggiatori di Boris. Ho riso tantissimo.

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Agota Kristof, Ieri
(Traduzione di Marco Lodoli)

Visto che con la Bertola si stava troppo allegri, direi di passare ad Agota Kristof – che non ha scritto solo La trilogia della città di K. Un libro che racconta la vasta disperazione di un uomo senza futuro, perché senza passato. Dopo aver reciso di netto – anzi, a coltellate – le sue radici, Tobias fugge per ricominciare da capo in un paese lontano. Lavora in una fabbrica di orologi e le giornate si srotolano, meccaniche, davanti a lui. A sostenerlo c’è un’unica speranza: Line, una donna a lungo immaginata che si trasformerà nell’ossessione definitiva.

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Francesco Piccolo, La separazione del maschio

Il narratore è un porco mascalzone. E si accoppia ripetutamente – con descrizioni pure piuttosto esplicite – a intervalli ravvicinati e regolarissimi con una moltitudine di donne diverse da sua moglie. Moglie che, comunque, ama teneramente e che non si sognerebbe mai di lasciare. Perché la sua giustificazione è un po’ questa: “ti adoro, ma sai… sono fatto così”. E il problema è che ci crede veramente. Il diario di un fedifrago spavaldo e sincero, per esplorare la coppia con gli occhi di un uomo dalla schiettezza disarmante – ma che si merita comunque dei gran calci in culo.

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Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero, Manuale di zoologia fantastica
(Traduzione di Franco Lucentini)

Credo sia uno dei miei libri preferiti di tutti i tempi. È una specie di dizionario ragionato delle creature immaginarie, da quelle più note alle bestie mitologiche di nicchia. È una guida alla meraviglia e alle leggende che hanno sostenuto e affascinato i popoli di ogni tempo, dall’antica Grecia all’estremo Oriente. Vi siete sempre chiesti – tra le altre cose – che diavolo sia il CATOBLEPA di cui Elio canta le gesta? Ecco, qua c’è pure il catoblepa. Una gioia.

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Magda Szabó, La porta
(Traduzione di Bruno Ventavoli)

Le protagoniste sono due donne molto diverse. Una scrittrice con poco senso pratico e la signora non più giovanissima che viene assunta in casa come governante. Ermenec è spigolosa, riservatissima, severa e testarda. Ma è anche una donna capace di stringere legami assoluti e di accudire con l’affetto autentico di chi non si muove mai con un secondo fine. Il suo passato è impenetrabile, un po’ come il suo appartamento – con una porta che nessuno può aprire e che, sospettiamo, nasconda la storia vera della sua indole inflessibile.

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Philipp Meyer, Ruggine americana
(Traduzione di Cristiana Mennella)

Il sogno americano che rallenta fino alla paralisi, rapprendendosi come la ruggine che divora le acciaierie dismesse di Buell – Pennsylvania -, le saracinesche dei negozi chiusi, le giunture delle case-mobili in cui la gente va a vivere senza credere troppo nel futuro. Isaac, dopo aver passato anni ad accudire il padre malato – al contrario della sorella che si è rapidamente eclissata, per andare a star meglio da un’altra parte – decide di andarsene. Vuole raggiungere la California, ma il suo viaggio rischia di interrompersi ancor prima di cominciare: in un capannone dismesso, dove ha deciso di ripararsi insieme a un amico grande e grosso – ma non molto sveglio -, si imbatte in un gruppo di vagabondi poco raccomandabili. Che cambieranno irrimediabilmente la traiettoria della sua fuga.

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Kazuo Ishiguro, Quel che resta del giorno
(Traduzione di Maria Antonietta Saracino)

Di Ishiguro consiglio sempre Non lasciarmi – che è all’incirca il libro più triste mai scritto dall’umanità nel suo complesso, ma che amo moltissimo nonostante tutti i fazzoletti che servono per finirlo -, ma un altro splendido esempio di malinconia e illusioni perdute è anche Quel che resta del giorno. È la storia di un maggiordomo che ha fatto del dovere la sua unica ragione di vita. Dopo aver passato un’esistenza intera al servizio di un gentiluomo dalla condotta morale non proprio limpidissima, Stevens si prende una settimana di ferie – all’incirca la prima da quando lavora – e si avventura nel mondo esterno per un piccolo viaggio in Cornovaglia, viaggio solitario che gli darà il tempo di raccogliere le idee e di fare un bilancio degli anni trascorsi ad occuparsi fedelmente degli altri, mettendo sempre da parte quello che sentiva davvero e scopettando sotto al tappeto ogni frammento di verità che avrebbe potuto incrinare gli ideali di tradizione e di devozione assoluta che governavano il suo comportamento. Stevens, io sono sinceramente dispiaciuta per te. Però CHE DIAMINE.

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Nicola Lagioia, Riportando tutto a casa

Un romanzo di formazione e di promesse infrante, che racconta le due facce degli anni Ottanta – da un lato, quella di un’improvvisa prosperità economica e dell’ostentazione del benessere e, dall’altro, quella torbida della disonestà a viso aperto e della droga che lambisce con la sua lunga ombra un’intera generazione di giovani, inghiottendoli e trasformandoli per sempre. Sullo sfondo – ma mica tanto – una Bari agitata, paradossale e quasi sconfinata.

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David Foster Wallace, Il tennis come esperienza religiosa
(Traduzione di Giovanna Granato)

Ora, Roger Federer è tornato n.1 del mondo a 36 anni suonati. E ho capito che, prima che si ritiri, mi piacerebbe vederlo giocare dal vivo. Ce la farò? Non si sa. Mal che vada, però, mi rimarrà sempre il ritratto che DFW gli ha dedicato. Questo brevissimo librino, oltre al saggio su Federer, contiene anche una cronaca di un’edizione particolarmente emblematica degli US Open – e tutto l’amore di Wallace per uno sport che riesce a coniugare geometria suprema e follia, lotta e armonia delle forme.
Del tennis non ve ne frega una mazzafionda ma DFW vi affascina? Nessun problema, c’è sempre Wittgenstein: leggetevi La scopa del sistema.
Siete invasatissimi col tennis ma DFW non lo reggete? Nessun problema, c’è un premio Pulitzer che racconta la storia di Agassi: leggetevi Open.

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Marcello Fois, I Chironi

Allora, la saga della famiglia Chironi è un susseguirsi di sventure, cataclismi e sfide aperte alla malevolenza dei cieli, ma è anche uno straordinario spaccato umano che racconta cent’anni di Italia (e di Sardegna) attraverso le vite travagliate e avventurose degli eredi di Michele Angelo (fabbro nuorese) e di Mercede (donna del destino). Questo librone contiene i tre volumi che compongono la trilogia: StirpeNel tempo di mezzoLuce perfetta.

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Fruttero & Lucentini, I ferri del mestiere

Un “manuale di scrittura involontario con esercizi svolti”, assemblato dai due autori in maniera quasi accidentale nel corso di una lunga militanza cultural-operativa. Si affrontano – con arguzia e puntiglio – generi letterari, questioni di traduzione, quarte di copertina e, in generale, l’arte e le tecniche funzionali alla creazione di un libro, sia come “opera” che come “oggetto commerciale”.

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Jonathan Littell, Le benevole
(Traduzione di Margherita Botto)

Un romanzo straordinario per ampiezza e precisione della ricostruzione storica e assolutamente agghiacciante a livello “psicologico”. Littell racconta – non so come – la storia di Maximilien Aue, ex ufficiale delle SS che, a guerra finita, si ritira nel nord della Francia per dirigere una rispettabilissima fabbrica di merletti. Uomo all’apparenza irreprensibile, Aue ha attraversato per intero gli anni del Nazismo, partecipando attivamente ai momenti più significativi della parabola bellica, dal fronte orientale alla battaglia di Stalingrado. Le benevole è la sua confessione, il suo testamento, la storia di un uomo che continua a vivere pur contenendo moltitudini di fantasmi e, alla fin fine, l’essenza stessa del male.

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Michele Mari, Roderick Duddle

Un altro romanzo che consiglio spesso con travolgente trasporto per la sua palese vocazione al puro divertimento, all’ingarbugliamento fantasioso dell’intreccio, al gusto per il fraintendimento, l’equivoco e il colpo di scena. Roderick è un bambino cresciuto in una locanda dalla dubbia reputazione. La madre, che all’Oca Rossa esercita con discreto successo il mestiere più antico del mondo, muore all’improvviso lasciandogli soltanto un medaglione, che si rivelerà – tra mille peripezie – la chiave che potrebbe spalancargli le porte di un futuro migliore. È un romanzo d’appendice, in pratica, e un omaggio alle avventure più belle della letteratura, con personaggi memorabili – Suor Allison! – e una lingua affascinante.

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Cormac McCarthy, La strada
(Traduzione di Martina Testa)

Ora, se la vostra intenzione è quella di apprezzare al meglio la versione “western” di McCarthy dovreste orientarvi su Meridiano di sangue. O sulla Trilogia della frontiera. Se invece siete in cerca di una storia universale di amore e sopravvivenza, di un romanzo che racconta il lungo viaggio di un padre e di un figlio in una landa desolata e se, incidentalmente, siete pronti ad aiutarli a portare il fuoco (piangendo come vitelli), forse vi conviene cominciare dalla Strada.

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Domenico Starnone, Lacci

Il potere narrativo delle corna è veramente strepitoso. Soprattutto se il romanzo comincia con l’invettiva di una donna molto incazzata e prosegue con “la versione di lui”. Una storia d’amore imperfetta e vera, che si fa strada in una trama di legami fittissimi che non possiamo spezzare – pur con tutto l’impegno del mondo.

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Michel Faber, Sotto la pelle
(Traduzione di Luca Lamberti)

Una ragazza – assai avvenente – guida per le Highlands scozzesi in cerca di autostoppisti da caricare sulla sua macchina. Non lo fa perché animata da un’indole particolarmente caritatevole, lo fa perché  gli autostoppisti sono buonissimi da mangiare – almeno per la sua specie. Un romanzo strambissimo, che svela poco a poco un mondo vasto e sconosciuto, fatto di travestimenti minuziosi, galassie lontane e sacrifici supremi per assicurarsi la sopravvivenza.
(E no, non ho visto il film con Scarlett. Ma mi sento di affermare che il libro è meglio).

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E niente, spero troverete qualcosa di bello da leggere. Se vi va, taggatemi un po’ dove vi pare e aggiungete l’hashtag #LibriniTegamini. Ho deciso che voglio collezionarli. Perché vale la pena ricordare gli incontri ben riusciti, che siano tra esseri umani e basta o tra esseri umani e libri.
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michele mari roderick duddle tegamini

Dopo FantasmagoniaDi bestia in bestia, ho cominciato a pensare a Michele Mari come a una specie di destinazione turistica. Per la precisione, Michele Mari era diventato una di quelle grotte incredibilmente buie, ingarbugliate e interessanti che uno va a vedere quando è in ferie in qualche posto un po’ fuori mano. Quelle con un’escursione termica dentro-fuori di circa novemila gradi centigradi, le stalattiti e le stalagmiti che non smettono mai di crescere e ampi tratti ancora inesplorati, pieni d’acqua e assolutamente letali. In quelle caverne lì, che siano fatte di calcare o di chissà che altro, c’è sempre un sentierino calpestabile e moderatamente illuminato che serpeggia docile in mezzo a forme e strutture improbabili. A me, in quei posti, viene sempre in mente la roba da mangiare. Ci sono le formazioni sedimentarie a forma di cannelloni, ci sono quelle più grevi che sembrano dei mucchi di profiterole. E tutto sembra quasi innocuo, se per un attimo ti dimentichi che sei sottoterra, che c’è un freddo innaturale e che si scivola. O che dipendi dai quei quattro fari in croce puntati sul tuo sentierino, che sta in mezzo a chissà quali indicibili anfratti, in un labirinto di cunicoli, sale e abissi che mai potrai percepire nella loro interezza. La cosa peggiore, però, è sentire la guida che ti dice che là sotto c’è la vita. Al buio, nel silenzio più completo, ci sono delle cose vive.
Ecco. Michele Mari, per me, somiglia un po’ a un ecosistema sotterraneo di quel genere lì. Uno che scrive dei libri che se li apri in spiaggia viene nuvolo. E te rimani seduto sul tuo asciugamano e ti prendi il raffreddore, perché sei così travolto dalla meraviglia che ti dimentichi di metterti la maglietta.
…temo di aver rotto i coglioni con queste metafore. Anzi, come direbbe Salamoia, vi sto facendo venire uno scaciorbio, con le benedette metafore. E gli altri personaggi di Roderick Duddle gli darebbero ragione.
La Badessa, donna pratica e poco incline ai giri di parole, ordinerebbe al Probo di farmi sparire.
Il signor Jones, tanto per cominciare, mi metterebbe a servire ai tavoli.
Lennie non capirebbe che cos’è una metafora, ma forse mi regalerebbe un topolino morto da accarezzare.
Moriarty si approprierebbe dei miei pochi averi con un tortuoso ma impeccabile atto giudiziario.
Suor Allison, probabilmente, si alzerebbe le gonne.
Scummy commenterebbe con un laconico Yuk Yuk.
E Roderick? Roderick vorrebbe delle spiegazioni, credo. E un bicchiere di latte e qualche ossicino di gabbiano.
Ma voi, che magari siete personcine esigenti e ben abituate, potreste avere voglia di uscire dalle grotte – per quanto piacevoli e affascinanti – per mettere le mani su qualcosa di avventuroso, nobilissimo e perfettamente ingarbugliato, su una storia che sembra arrivata da lontano apposta per farvi divertire e per prendervi in giro. Dovrebbe venirvi voglia di leggere Roderick Duddle, secondo me, anche solo per annotarvi su un foglietto tutti i modi in cui Michele Mari sceglie di chiamarvi, o esigenti e sapidi lettori. Perché capita che uno scrittore, dopo un piatto di orecchiette salsiccia e ricotta, si diverta a inventare un romanzo d’appendice pieno di canaglie, equivoci, esecuzioni sommarie, intrighi, fortune contese, meretrici leggendarie, scarpe rotte, suore che vi menano con una spranga, cantine umide, strade costiere malfrequentate, gendarmi, avidi manigoldi, raggiri, bambini muti, scherzi della natura, polene e locande piene di scarafaggi. Imparerete un casino di insulti desueti, ammirerete la precisissima assurdità dell’intreccio e finirete per invitare qualche nuovo ospite ai vostri pic-nic. Perché Mari ha deciso di portare in vacanza tutti quanti i suoi mirabili mostri… e a voi conviene farveli amici, intanto che sono così di buonumore e villeggiano felici tra una pagina e l’altra di questo libro.

:3

P.S. se non siete tanto convinti – crastúmberli, com’è possibile! -, andatevi a leggere quest’intervista bella bella. C’è anche una mappa. E dove c’è una mappa, lo sanno tutti, c’è anche un tesoro.