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Il mio papà ha un rapporto fantastico con la tecnologia. Il giorno della mia Prima Comunione, tanto per farvi capire, nell’unica foto che ha scattato volentieri ci sono io, col vestito bianco e le maniche a sbuffo, seduta davanti a un 486 che fingo di essere un genio. Il mio papà ama così tanto la tecnologia che, quando uno dei suoi PC si rompe o si pianta, lui è contento, perché così può smanettarci dietro per giorni per risolvere il problema. La vera svolta, però, è arrivata con l’iPhone. L’ammirazione che il mio papà nutre per chi ha saputo inventare, assemblare e far funzionare una roba del genere sfiora il misticismo. E, ora che ha anche un iPad, è tutto più interessante. Si è addirittura rimesso a parlare con Siri, che giace inutilizzata e comatosa nelle profondità del suo telefono da tempo immemore. E le parla, le chiede le cose, si diverte un mondo a sentire come gli risponde. Ed è come se la incontrasse per la prima volta… su una spiaggia al tramonto. Violini. Balene canterine. Petali. Manghi. E la seguente telefonata.

TEGAMINI – Allora, come procede con l’iPad?
IL MIO PAPA’ – Ah, benissimo. Pensa che ieri eravamo in campagna e ho fatto un po’ di foto col telefono… poi ho acceso l’iPad ed erano già lì!
TEGAMINI – Un prodigio!
IL MIO PAPA’ – Ma non mi ha neanche chiesto se volevo sincronizzare, ha fatto tutto da solo.
TEGAMINI – Sia lodato il Cloud!
IL MIO PAPA’ – …poi c’è Siri. Ad un certo punto volevo vedere se mi riconosceva. E allora le ho chiesto “Siri, chi sono io”?
TEGAMINI – Per quel genere di cose devi installare iSensoDellaVita, secondo me.
IL MIO PAPA’ – E lei mi ha risposto “Domenico, devo dirtelo io?”. Domenico, perché sulla Apple sono registrato così…
TEGAMINI – Papà, lo so che ti chiami Domenico.
IL MIO PAPA’ – Poi c’era tua madre che era agitata perché ieri sera non hai chiamato…
TEGAMINI – Puoi spiegare a MADRE, una volta e per sempre, che anche il suo telefono ha la facoltà di inviare chiamate? Se è lì, schiacciata dalla preoccupazione e dal terrore, perché non chiama lei, invece di lamentarsi che non chiamo? E ricordiamoci che vi chiamo DUE VOLTE AL GIORNO.
IL MIO PAPA’ – Eh, ma lo sai com’è fatta lei.
TEGAMINI – Male, è fatta.
IL MIO PAPA’ – Comunque, dove sarà la bambina? E che cosa sarà successo, che non chiama? E che fa? Insomma, ho detto a Siri di cercarti, così almeno taceva.
TEGAMINI – …ma è perché deve pagare la telefonata? No, perché non capisco proprio.
IL MIO PAPA’ – Ma no. Ho detto a Siri di cercarti. Le ho detto “Dov’è mia figlia?”
TEGAMINI – Papà, ma che cazzo ne sa Siri di dove sono?
IL MIO PAPA’ – Solo che non lo sapeva che eri tu mia figlia. Allora le ho detto di cercarti col nome della rubrica: “Siri, dov’è Bimba?”
TEGAMINI – Dio Onnipotente. Ma telefonatemi. Telefonatemi se volete sapere dove sono. Cosa chiedete a un’intelligenza artificiale di localizzarmi?
IL MIO PAPA’ – Massì, era per divertirci. Aspetta che ti passo tua madre che se no si offende perché dice che parli sempre con me e con lei mai.
TEGAMINI – Per forza, o si lamenta o mi fa dei versi inarticolati!
IL MIO PAPA’ – Eh, va così. Aspetta che te la passo.
MADRE – GHEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!
TEGAMINI – …….FRUUUUU?
MADRE – GHEEE! …Allora?
TEGAMINI – Niente. Adesso vado a pranzo. Te che fai?
MADRE – Tuo padre continua a parlare con quella roba lì, nel telefono. Io la chiamo Ninetta.
TEGAMINI – Siri? Te Siri la chiami Ninetta?
MADRE – Già. Perché Ninetta è un nome da cameriera.

Tutta la mia vita è una menzogna.
Credevo di avere la verità in pugno, ma brancolavo nelle tenebre.
Credevo di sapere, ma affondavo in una vischiosa ignoranza.
I dogmi si fanno cenere.
Gli incubi si disgregano come Polaretti al sole.
Perché ora so.

PROVARSI I VESTITI DA SPOSA È BELLISSIMO.

E chi l’avrebbe mai detto.

Lo scorso weekend, ammantata dal più cupo pessimismo, sono tornata a Piacenza per il primo appuntamento di prova-abiti-da-sposa. Con MADRE. 
Ecco, visualizziamo per un attimo il mio scoramento pre-Vestitiadi come un grosso fiume minaccioso, alimentato da due arcigni affluenti:

UNO.
Dopo aver visto da vicino un certo numero di abiti da sposa ed essere riuscita ad esaminarne un campione statisticamente significativo rispetto alle indispensabili variabili “qualità”, “arroganza” e “meraviglia” – per dire, dalla fetida fiera al Forum di Assago alla boutique gne-gné di via Montenapoleone, passando per gli aperitivi superfashion da Pronovias -, sono arrivata alla seguente conclusione: gli abiti da sposa sono orribili. E se proprio non sono orribili, sono fatti di cartone. O sembrano delle lussuose sottovesti.

DUE.
Fare shopping con MADRE, fosse anche per dei calzini di spugna, è traumatico. MADRE è il Gordon Ramsay dei negozi di abbigliamento. E voi, nonostante una provvidenziale quanto insperata metamorfosi fisica,  sotto sotto vi ricordate molto bene del vostro impervio passato di voluminosa adolescente coi capelli a spazzola e le sopracciglia martoriate. E MADRE c’era, in quel momento della vostra vita. Uscivi dal camerino e te la trovavi lì davanti, più tignosa di Anna Wintour, pronta a sventrare la tua già esigua autostima con commenti tipo “Tremendo. Sembri un orso marsicano”.

Immaginate dunque il mio entusiasmo: anche questi abiti da sposa saranno ridicoli e fatti di lana di vetro! E c’è pure MADRE, che in un negozio non mi ha mai detto una parola gentile (o anche solo neutra)!
Alé.
Trenino.
Mi sposo con la maglietta di Ironman.

Poi sono arrivata in questo posto qua:

tegamini abiti sposa

Vi dico subito che, ad un certo punto, ho chiesto di brandire l’unicorno e sono stata accontentata. Ma senza problemi. Vuoi l’unicorno? Ecco, tieni l’unicorno.
Le adorabili madamigelle di Poesie Sposa mi hanno fatto provare circa centoventi abiti. La cosa sorprendente è che non ce n’era uno che mi stesse male-male. Cioè, se guardi una puntata di Abito da sposa cercasi, la percentuale di obbrobri è elevatissima. E alla fine arriva quel tizio che somiglia al pupazzo di un ventriloquo e ti fa scegliere il meno peggio. Con quei vestiti lì no. Morbidi, fluentoni, coi corpettini tutti interessanti. Si oscillava da “bene” a “strabiliante”, ma pure coi mollettoni sulla groppa. Ad un certo punto mi hanno fatto provare un nuvolone di poffosità di sedici metri di diametro con tutti i lacci sulla schiena. Ero aggrappata a questo stipite della porta che gridavo “Vai! Stringi, stringi! Come Rose sul Titanic!”. Avevo molta paura di cadere dalla pedana o di inciampare in un orlo, o di starnutire facendo scoppiare tutti i bottoncini, ma nulla di male è capitato. Una serenità. Un tornado di cose belle. Un sacco di lampadari dipinti di bianco appoggiati per terra. Rotoloni di pizzo in ogni angolo. Pace! Pulcini!
Se ci ripenso mi rallegro all’istante.
Comunque, abbiamo trovato una buona base di partenza. E la cosa fantastica è che ci potremo inventare delle cose insieme. Sarà un gigantesco e felice Giralamoda. Più gonna, un po’ di rosa, fiocchetti… si può fare tutto, e potrò partecipare e rompere i coglioni come non mai. L’abito-ipotesi aveva così senso che mi hanno addirittura messo in testa il velo, quello lungo. Stavo là in mezzo, su questo tappeto sofficione a forma di luna piena, col mio strascico e il mio velo e mi sembrava di essere quasi plausibile, con su un costume da sposa.

E MADRE?
MADRE non si è messa a piangere come in tv. Non si è scomposta, non mi ha gettato le braccia al collo e non ha ululato malvagità irripetibili. Era moderatamente soddisfatta. Anzi, se c’era qualche corpetto che mi schiacciava le tette si lamentava con veemenza. Non siamo mica delle Fantaghirò, vogliamo sposarci con le tette al loro posto. Fiere e spavalde. C’è da dire, però, che ho scelto la strada della prevenzione: alla prima smorfia di disappunto ho impugnato l’unicorno, ho sistemato la gonna e mi sono vendicata come un’adolescente.  “Taci, MADRE, che te ti sei sposata con una gamba ingessata”. E da lì tutto è andato meglio.

MADRE e le bestie hanno problemi da tempo immemore. Da piccola, quando ancora viveva in campagna, MADRE fu ripetutamente beccata sul sedere da una bellicosa oca da cortile. Poco tempo dopo, la famiglia di MADRE si trasferì in un paese non troppo distante dalla cascina che le diede i natali. E a MADRE venne affidata una gallina di nome Gallina. Gallina viveva sul solaio ed era estremamente affabile, becchettava docile i suoi semini mentre la piccola MADRE le accarezzava la schiena. MADRE si vanta sempre moltissimo, della sua Gallina: mi voleva bene davvero! Arrivavo lì la mattina e mi faceva l’uovo in mano, pensa! Poi, un bel giorno, mia nonna servì a tutti quanti un brodo di pollo particolarmente buono e di Gallina si persero le tracce.
Eh.
Segnata da questo incredibile atto di barbarie – mia nonna, pace all’anima, andava processata a Norimberga -, MADRE decise di mettere un bel menhir sul tema animali, si comprò una Cinquecento e guidò fino al mare nel giorno numero uno della sua sospirata patente. Poi capitò un fatto increscioso. I miei zii comprarono questo cane grosso di nome Muz. Non mi ricordo se era un pastore tedesco o un San Bernardo, so solo che era una bestia gigante. MADRE, ignara della presenza di Muz dall’altra parte della porta, entrò serenamente in casa sua, in un gran stridore di scarpe da ginnastica. Il cane, vittima di chissà quale demone passeggero, assalì MADRE sulla soglia, morsicandole una coscia con gran cattiveria. La coscia di MADRE entrava giusta giusta nelle fauci bavose e puzzolenti di Muz, che la sgranocchiò per un po’, scrollandola di qua e di là. Ad un certo punto, forse dopo aver evocato il potere di Grayskull e quello dei Petali di Stelle, MADRE ritrovò la sua mitologica coordinazione e riuscì ad assestare uno scapaccione al cane, levandoselo di dosso tra gli applausi di una moltitudine di creature delle tenebre. Al che, MADRE – sanguinante e incazzata come una tempesta monsonica con tsunami intermittenti – venne portata in tutta fretta all’ospedale e riempita di punti. Le fecero l’antirabbica e un milione di analisi. Sana e salva, MADRE lasciò l’ospedale e tornò alla sua vita. Io non c’ero ancora, e MADRE già insegnava educazione fisica in lungo e in largo, spostandosi a bordo della sua fida Cinquecento rossa per monti e per valli. E niente, dopo due giorni dalla faccenda del morso a MADRE, Muz morì di colpo. Così. Un secondo prima era in piedi e l’attimo dopo era in terra stecchito.

Io non so cosa dirvi. So solo che, ormai, le bestie temono MADRE. Nell’arco della sua placide esistenza, Cricci, il criceto russo che visse con noi per quattro anni – quattro anni fatti di incredibili architetture di bambagia e montagne di semini di girasole -, insomma, in tutto quel tempo il nostro Cricci sentì il bisogno di morsicare una volta sola. E morsicò MADRE. Lo stesso Ottone von Accidenti, che si fa coccolare e prendere in braccio anche dal Mostro di Firenze, fugge al cospetto di MADRE, appiattendosi sotto al letto in preda a un terrore cupo e totale.
E’ stato bellissimo, dunque, ricevere all’improvviso dal mio papà questo sconvolgente documento fotografico:

foto 1

Ecco. C’è MADRE che conversa pacificamente con un giovane cigno, sulle sponde del Lago di Garda. Il cigno, a quanto mi è stato riferito dal mio attendibile papà, si è avvicinato a MADRE con passo deciso e non l’ha più mollata. MADRE girava per questa piazza con un fiducioso, devoto e gigantesco cucciolo di cigno alle calcagna. Manco San Francesco era riuscito a farsi voler bene dai cigni. Passeri, lupi di Gubbio, ma niente cigni. MADRE, commossa fino alle lacrime dall’immotivato affetto del grosso volatile dalle zampe palmate, ha deciso di fare quello che farebbe ogni MADRE degna di questo nome: ha nutrito il baby-cignone. Con un pacchetto di cracker. SECCHISSIMI. Il cigno, probabilmente abituato a cibarsi di roba un po’ più umidiccia, sapientemente filtrata e sminuzzata dal suo utile becco a palettina, ha rischiato di morire soffocato dall’invincibile croccantezza dei cracker, ma è sopravvissuto. MADRE è addirittura riuscita a fargli pat-pat sul capino e a prenderlo scherzosamente (…?) per il collo, alla facciazza di Konrad Lorenz e delle sue suggestionabilissime oche.

foto 3

Ora, io non so se il cigno sia rimasto segnato in maniera irreparabile dall’incontro con MADRE, ma sono contenta per lei. Sono contenta per l’universo in generale. Che qualcuno pigli MADRE e la lanci con un paracadute in una foresta di bambù. Questa rinnovata alleanza con gli animali va sfruttata, finché dura. Gettatela in una foresta cinese e convincerà quei cretini dei panda giganti ad accoppiarsi furiosamente. Proiettate foto di MADRE davanti agli scheletri di plesiosauro di ogni museo di storia naturale, e i dinosauri torneranno a popolare la terra. Avvolgete i kiwi neozelandesi nelle copertine sferruzzate da MADRE, e mai più saranno sfiorati dallo spettro dell’estinzione. Scagliatela su Marte, e ci dirà dove ha strisciato l’ultimo batterio.

Che contentezza. Il mondo animale ha una speranza concreta, ora che MADRE non rappresenta più una fiammeggiante minaccia.
E visto che le tradizioni sono importanti, ecco la foto che ho rispedito al mio papà, per festeggiare degnamente l’incontro col giovane cigno del Garda.

foto 2

MADRE, proteggi gli echidna!
Salva i leopardi delle nevi!
Riempi le pianure di bufali!
Moltiplica i lemuri!
Veglia sul falco pellegrino!
Prendi in mano il business della benedizione degli animali!
…e comprati un gatto, invece di cercare di impadronirti del mio.

 

 

TEGAMINI – Cosa dite allora, apriamo i regali?
PAPA’ – Ma che regali? Guarda che noi non te ne abbiamo mica fatti.
TEGAMINI – Eh, fa niente. Ve li ho portati io. Guarda che roba. Tò papino.
PAPA’ – Oh vacca, che bello. Ma che bello. La biografia di Newton!
TEGAMINI – Lo sapevo che ti piaceva. Volevo prenderti l’ultimo di Stephen Hawking ma poi ho pensato che ami comunque di più Newton. Poi hai visto il sottotitolo? Cos’è, “genio, alchimista o psicopatico?”
PAPA’ – Grazie, guarda, hai proprio fatto bene.
TEGAMINI – MADRE, vieni qua che c’è il tuo regalo.
MADRE – Ecco, ecco. Cosa lascio, tutti i piatti nel lavandino?
TEGAMINI – Ma se non abbiamo ancora finito di mangiare, DIOSANTO. Tò, tieni, eccoti un dono.
MADRE – Chiara Frugoni. La voce delle immagini.
TEGAMINI – Lei è bravissima. In questo libro qua ci sono tutte le storie sull’iconografia medioevale, con le illustrazioni belle, i santi e compagnia. E scrive così bene che vedrai che ti diverti, non è mica un mattone.
MADRE – Oh, ma pensa. Ma mi piace già.
TEGAMINI – Hai sentito, papà? Le piace!
PAPA’ – Incredibile.
MADRE – Te taci, che hai due regali. C’è anche il mio. Tieni, tieni.

Padre apre il suo regalo. È inequivocabilmente un pigiama. Di quelli beige, felpatini ma comunque leggeri, con la casacca a righe BORDO’ e blu. Tre bottoncini e taschino. È un bel pigiama. Niente da eccepire.

PADRE – Oh, ma che bello, grazie!
MADRE – È una tuta da casa.
PADRE – Bellissima. Ne avevo proprio bisogno.
TEGAMINI – Una tuta da casa? Ma cosa stai dicendo. Ci vedete? Ma è un pigiama, cazzo.
MADRE – Ma come ti esprimi!
TEGAMINI – Ma MADRE, come fai a dire che è una tuta da casa? È un pigiama!
MADRE – Non è vero. Guarda che bei colori da giovane.
TEGAMINI – MADRE, potrebbe anche essere a fiori hawaiani, ma quello lì è un pigiama, santo il Dio! Ma non lo vedi? È sottile, non è mica di felpa. È così un pigiama che non riesco nemmeno a spiegarti perché è un pigiama!
MADRE – Mimmo, ma la senti?
TEGAMINI – Papà, anche tu, è un pigiama! Vi prego, accettiamolo!
PADRE – Io non lo so. Mi piace.
TEGAMINI – Non ho detto che è brutto. Ho detto che è un pigiama! È un bel pigiama.
MADRE – Sà Mimmo, provatelo.

Mio padre si denuda in mezzo al salotto e indossa il suo nuovo pigiama. Poi torna comodamente a tavola per il panettone.

TEGAMINI – Senti, adesso che ce l’ha su è inequivocabile! Siamo tutti qua, e il papà è in pigiama!
MADRE – Gli sta benissimo, la sua tuta.
TEGAMINI – AAAAAAAHHHHHHH!!! Dov’è il gatto? Solo lui mi capisce!
MADRE – Lascialo stare, mio nipote, che stava dormendo.
TEGAMINI – …aspetta, però. Forse ho capito, MADRE. La tua astuzia non conosce confini!
MADRE – È una tutaaaaaa.
TEGAMINI – È una mistificazione! Sappiamo benissimo che il papà odia i pigiami e creperebbe piuttosto di dormirci dentro.
PADRE – Solo all’ospedale me lo sono dovuto mettere.
TEGAMINI – Ecco. Quindi tu, MADRE, subdola e scaltra, gli hai rifilato un pigiama spacciandolo per tuta da casa, sperando che un giorno si converta! Papà, fuggi, è una trappola!
PADRE – …
MADRE – Oca.
TEGAMINI – Quando mi insulti vuol dire che ho ragione.

 

***

MADRE – …ne aveva molti di più, ma tanto per farti capire…
AMORE DEL CUORE –  Più che in quel baule?
MADRE – Oooh! Un divano pieno. Guarda che roba.
AMORE DEL CUORE – …che belli, ma sono tantissimi.
MADRE – Dunque. Questo è Chiottino.
AMORE DEL CUORE – Ghiottino?
MADRE – CHIOTTINO!
AMORE DEL CUORE – Chiottino, Chiottino.
TEGAMINI – Chiottino è il mio preferito, vedi com’è tenero? E’ fatto apposta per abbracciarti, me lo portavo sempre in giro. Sta sulla mensola perchè è il più importante, non voglio che finisca schiacciato lì dentro.
AMORE DEL CUORE – In effetti…
TEGAMINI – FAI PIANO CON QUELLE MANONE! Non vedi che qua ha in collo pericolante?
MADRE – Invece quest’altro è Chiottone. Fratello maggiore di Chiottino. E’ arrivato dopo, perchè Chiottino ce l’aveva da quand’era molto piccola.
TEGAMINI – Mi ricordo di quando mi hai regalato Chiottone. Era sotto l’albero, da solo.
MADRE – Chiottone era più grosso di te. Tienilo, Marco, che qua ce ne sono degli altri.
AMORE DEL CUORE – …ok, tengo Chiottone.
MADRE – Questo qua è il drago Duncan. Vedi qua, la coda? Gliel’ha mangiata. Glielo mettevo vicino nel passeggino e lei gli masticava la coda. L’ho dovuta ricucire mille volte.
TEGAMINI – Povero drago Duncan.
MADRE – Poi, qua ci sono il gatto bianco e l’altro gatto, che gliel’aveva regalato la nonna Lelia quand’era all’ospedale per le tonsille… secondo me, è più bello il gatto bianco. Questo invece è Mabiglio.
TEGAMINI – IL CONIGLIO MABIGLIO! …no! Non darlo ad Amore del Cuore, non ti ricordi che ha un orecchio scucito?
MADRE – Ma non gli fa niente, faglielo tenere.
AMORE DEL CUORE – Non importa, davvero, ho già Chiottone, sto bene così… e poi mi guarda male.
TEGAMINI – Non è vero, Mabiglio è molto gentile, è solo il pelo che gli si è arruffato intorno agli occhi.
MADRE – Comunque. Ci sono anche un sacco d’uccelli. Questo è Culo di Penna. Quando andava a fare i tornei di tennis portavamo sempre Culo di Penna e lo mettevamo a sedere in panchina, così al cambio di campo si parlavano.
AMORE DEL CUORE – Giocavi a tennis con un fenicottero in panchina.
TEGAMINI – …avevo otto anni. E comunque lo rifarei.
MADRE – Culo di Penna l’avevano anche usato nella recita di Chichibio e la gru.
TEGAMINI – Si era deciso di farlo passare per una gru, visto che nessuno aveva pupazzi di gru.
MADRE – Marco, tieni Culo di Penna.
AMORE DEL CUORE – …eh, ciao, Culo di Penna.
MADRE – Bene. Questo qua è il millepiedi.
TEGAMINI – …METTILO VIA! MI FA PAURA!
AMORE DEL CUORE – …
MADRE – Santodio, è un millepiedi, guarda com’è tutto colorato, con le scarpe da ginnastica! Prendilo tu, Marco, che mia figlia è scema.
AMORE DEL CUORE – Lo devo nascondere dietro a Chiottone?
MADRE – Ooooh! La Signora Cruschin!
AMORE DEL CUORE – Cos’è, una gallina?
MADRE – E’ bellissima, la Cruschin. Vedi qua, ha la cerniera sotto la pancia perchè era piena di uova di cioccolato. Le abbiamo mangiate e lei poi ci infilava dentro i pulcini. Aveva tantissimi pulcini. Questa però è una papera…
TEGAMINI – CLARAMINDA!
MADRE – Claraminda ci è molto cara.
AMORE DEL CUORE – …bè, giustamente.
MADRE – Una volta abbiamo visto in un negozio una Claraminda gigante. Era uguale a lei, solo che era lunga un metro e mezzo. Siamo riusciti a convincerla che era diventata grande, altrimenti ci toccava pure portarci a casa la mutazione genetica di Claraminda, e di grosso avevamo già il delfino Maiemi. Vallo a prendere, che è sul divano di là.
AMORE DEL CUORE – No ma non importa, me lo ricordo, l’ho visto l’altra volta.
MADRE – …ah, va bene. Qua invece c’è l’aquilotto che ti ha mandato il tuo padrino dall’America, gli si spiegazzano sempre le ali… e questo qua è ET.
AMORE DEL CUORE – Ma è bruttissimo!
TEGAMINI – …ET bello bello non lo è mai stato. Poi vedi, si è tutto spelato, come gli zaini della Mandarina Duck, che dopo un po’ si appiccicavano tutti.
MADRE – E’ un peccato, perchè aveva tutto il cuore rosso, come il dito, vedi lì, che c’è ancora la plastichina rossa?
AMORE DEL CUORE – Molto realistico.
MADRE – Questo invece è l’ewok che ti abbiamo preso a Eurodisney.
AMORE DEL CUORE – …cos’è un ewok?
TEGAMINI – E’ un abitante della luna boscosa di Endor. E somigliava a mia nonna Aurelia.
MADRE – Poi c’è un pipistrello e quest’altro qua, il pistolero. Tieni, Marco, che se no non riusciamo.
AMORE DEL CUORE – Posso sedere Culo di Penna sul tavolo, magari?
TEGAMINI – Ma lascia perdere, che madre non si è accorta che è mezzanotte e quaranta…
AMORE DEL CUORE – Eh, già, caspita. E dobbiamo tornare anche a Milano.
MADRE – Si ma adesso non lasciatemeli tutti in giro a prendere la polvere, poverini.
TEGAMINI – Ma ci stanno?
MADRE – Certo, non vedi che è bombato, questo baule? E’ un baule intelligente. Mi spiace di non avere qui Tarta la tartaruga, però.
AMORE DEL CUORE – E’ un peccato, volevo conoscere anche lei.


MADRE s’inerpica col fido bob

***

Ormai ho capito: senza di me, i miei genitori si divertono pazzamente.
Danzano di fronte al fornello mentre aspettano di buttare la pasta, passeggiano in cerca di animalini del bosco, vanno in mezzo a un campo per veder passare la stazione spaziale, mangiano gelati e approdano al mare solo in settembre, quando il turismo diventa leggermente più civilizzato.
Ecco. Se la ridono, alla faccia mia… e col frigo pieno di culatello.
Ho anche capito che a voi MADRE piace tantissimo, ma che dico, preferite MADRE a me. E non vi biasimo. Anzi, per non farvi sentire in colpa per questa disdicevole faziosità, vi dimostrerò, una volta e per sempre, che MADRE merita ogni vostro sentimento.
Che sportività. Ho un cuore grande così.
È con orgoglio, dunque, che vi regalo qualcosa di epico, roba da proiettare al cinema e sulle facciate dei principali monumenti del nostro bel paese. Vi dono MADRE che va sul bob, con tutti e sessantaquattro i suoi anni. Grazie al coraggio di Padre – che all’inizio vi allieterà con le dita sull’obiettivo, cosa bizzarra per un mago dell’audiovideo ma giustificabile dato il principio di assideramento che probabilmente l’attanagliava -, la festosa discesa di MADRE è ora a disposizione del mondo. E vi prego di notare la toccante esortazione di Padre alla prudenza, con quel “VAI PIANO” allegramente ignorato dalla mia genitrice, che anzi, affronta l’insidia delle curve con la baldanza di una nobile zarina in slitta a cavalli.
Amate MADRE – senza smettere di aver paura -, perchè se lo merita.

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E se vi sembra che MADRE vada piano, siete degli stolti. Non solo è più veloce della vostra Clio, ma anche immensamente più contenta.

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MADRE umilia i veicoli motorizzati

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Come tutte le creature della mitologia più sanguinaria, MADRE è difficile da fotografare. Elusiva, fulminea e pericolosissima, appare fugacemente all’orizzonte per poi dissolversi in una pioggia di lapilli e piccole distruzioni. Temuta dai saggi e più volte affrontata – senza successo – dagli eroi, MADRE può tutto. Fu MADRE a forgiare l’Unico Anello, fu MADRE a mettere il nome di Harry Potter nel Calice di Fuoco. MADRE inventò il flusso canalizzatore, spinse Anna Karenina sotto il treno e confezionò le adorabili tunichine degli Ewok. A MADRE dobbiamo la distruzione del T1000 – umiliato sui cento metri -, la cacciata di Predator, l’annientamento sistematico di Alien – Ripley arrivava quando ormai le creature erano tramortite dai manrovesci di MADRE -, l’interpretazione della stele di Rosetta e anche la rivincita delle bionde. Fu MADRE a tirare fuori Neo dalla brodaglia rosa dell’ignoranza e a spiegargli come si arrotolano i cucchiai. Sull’impero di MADRE non tramonta mai il sole, anche perchè Ra le deve un favore. E se è vero che spazzò via i dinosauri, MADRE si fece perdonare contribuendo al progresso dell’universo: una mattina, decise di assemblare il primo reattore a curvatura.
Tanto potente quanto modesta, MADRE non ammetterebbe mai nulla di tutto ciò. Al massimo vi direbbe che quand’era all’università e c’era sciopero dei mezzi si faceva a piedi il tragitto Milano-Monza, e ritorno. Cercherebbe di farvi capire come si gioca a hockey sul cemento, coi pattini vecchi con due rotelle davanti e due dietro, senza ginocchiere, senza gomitiere, senza i denti davanti. Penzolerebbe dal piolo più alto del quadro svedese mentre impasta la frolla senza usare il burro – perchè non c’è bisogno di burro per tenere insieme una torta, quando i pugni sono quelli di MADRE, pugni che hanno lasciato lividi sugli zigomi pelosi di Chuck Norris.
Bene.
Perdonate l’accumulazione di fatti leggendari, ma la premessa era doverosa, se davvero vogliamo tentare di comprendere che cosa sta succedendo nell’inestimabile documento che sto per condividere col cosmo. Perchè questo è un raro ritratto di MADRE, impegnata ad assaltare la natura, un ramo alla volta.

Quello è un albero d’amarene. Quello dietro è il campo dove girarono la Freccia nera nel 1968. Quella che c’è appena sotto l’albero di amarene è una specie di scarpata. MADRE, d’estate, s’arrampica sull’albero di amarene e le raccoglie – tutte quante, fino in cima – per farci la marmellata. Perchè la scarpata è un dettaglio. La marmellata d’amarene è più importante di qualsiasi dirupo sassoso.
Quel che MADRE sta facendo, con dieci gradi sottozero e nessun tipo d’utensile, è la pulizia preventiva dell’albero d’amarene. Eliminare i rami secchi è molto utile: rende l’albero più comprensibile e solido, migliorandone di molto la struttura in vista della bella stagione. Meno rami secchi, arrampicate più agevoli, più amarene raggiungibili, più marmellata.
MADRE agisce ogni estate su tre alberi d’amarena, un melo, un pero, una siepe di more lunga venticinque metri, un ciliegio, due noci, un melograno, una pianta di fico e una pianta di prugne.
Non è una donna, è un’industria per la trasformazione della frutta.
E nessuno può fermarla.

MADRE – flagello dei mondi – e Padre – maestro zen in levitazione – sono in visita-lampo nel capoluogo piemontese per recapitare alla loro unica figlia una preziosa scarpiera. Che a Torino le scarpiere non le vendono. Comunque, molte meraviglie sono capitate… e tutte nell’arco della mia sontuosa ora di pausa pranzo.

***

MADRE mi scorge all’orizzonte, dopo due settimane di lontananza.

TEGAMINI – Mamma! Ciao!
MADRE – Hai in casa delle ragnatele che non ci si può credere. Sono tutte nell’angolino in alto a destra, ma non ce l’hai più lo Swiffer? Te li avevo presi, l’altra volta. Grosse così sono, devi tirarle via!
TEGAMINI – ….mamma! Ciao!

***

Corpi estranei assalgono Padre.

PADRE – Ma che diavolo è questa roba rosa.
TEGAMINI – Credo che siano pelucchi della sciarpa della mamma, ti hanno colonizzato.
PADRE – …e non si tolgono.
TEGAMINI – Diventerai il Tenerone!

***

MADRE, Padre e Tegamini si siedono al ristorante. MADRE dà le spalle al tavolo vicino.

MADRE – Tieni la mia giacca, mettitela lì dietro sulla tua spalliera della sedia.
TEGAMINI – Cos’ha che non va la tua spalliera?
MADRE – Sono troppo vicina a questi qua dietro.
TEGAMINI – Tienti la tua benedetta giacca come fanno tutti quanti.

Mezz’ora dopo, i due del tavolo dietro a MADRE assestano un manrovescio a un bicchiere d’acqua. Alcuni schizzi colpiscono di striscio la giacca di MADRE.

MADRE – Ecco, te l’avevo detto.
PADRE – Vedi, con tua madre succedono continuamente cose di questo genere.
TEGAMINI – Ha i poteri.
PADRE – Sono spaventato.

***

C’è coerenza. E c’è anche ostruzionismo.

MADRE – Francesca, ma guarda che collino secco che hai. Ma mangi? Sei tutta pelle e ossa. Ma stai bene? Devi mangiare, anche la frutta.
TEGAMINI – La probabilità che io muoia d’inedia è remotissima. Prenderò la carbonara.
MADRE – …ma che schifo, è grassa! Mangia il rollé di coniglio.
PADRE – Io mangio il persico con le verdure.
MADRE – …per carità, guarda che il persico lo pescano in quel golfo con dentro il piombo.

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Si rimpiangono i bei tempi andati.

PADRE – Valeria, te lo ricordi Eta Beta?
MADRE – Certo, che mangiava quelle palline… ma cos’erano.
TEGAMINI – Naftalina.
PADRE – Naftalina! …erano belli i nostri fumetti, mica come quelli che ci sono adesso.
TEGAMINI – Vabè papà, adesso non venirmi a dire che uno che mangia la naftalina è il genio del secolo…

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Con un rispettabile pezzo di pane, faccio la scarpetta nel sughetto di coniglio.

MADRE (in dialetto piacentino – che non so nemmeno trascrivere -, mentre mangia patatine con le mani) – FRANCESCA! COSA FAI ANCHE IL PUCCIO? IN PUBBLICO?

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Si affrontano difficoltà indicibili.

MADRE – Tuo padre ne ha fatta subito una delle sue. Abbiamo parcheggiato davanti al portone e non riuscivamo ad aprirlo.
PADRE – Eh, pensavo che fosse il mazzo di chiavi nuovo, son stato lì un bel po’ e non andava bene neanche una chiave.
MADRE – Certo che se andiamo al 35 invece che al 33…
PADRE – Ma sono i portoni. Sono assolutamente identici.
MADRE – Tuo padre sta perdendo colpi. Ci manca solo che si perda sotto casa e poi le ho viste tutte.

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Una cosa l’ho imbroccata.

MADRE – Ho visto che stai coltivando una zolla d’erba.
TEGAMINI – Già.
MADRE – …brava!

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Ci fermiamo al semaforo per fare la lista della spesa.

PADRE – Adesso ti andiamo anche a fare un po’ di spesa, che se no qua.
TEGAMINI – Ma ho tutto, papà, non imbarcatevi in sbattimenti assurdi.
PADRE – La carta da cucina ce l’hai? E la cartaigienica? E la birra?
TEGAMINI – …mah, la birra è finita. Se proprio passi davanti al supermercato…

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Padre mi telefona alle sei di sera.

TEGAMINI – Papà, siete arrivati?
PADRE – Macchè, siamo appena partiti.
TEGAMINI – Ah, ma avete fatto un giro?
PADRE – Eh sì, magari.
TEGAMINI – Ma perchè no?
PADRE – Tua madre ti ha sterilizzato la casa.
TEGAMINI – Dovevi fermarla, in qualche modo.
PADRE – …e come? Davvero, come?

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Basta, li amo immensamente.

Le mie vacanze al mare sono sempre state molto avvincenti. Madre mi portava a seimila mercatini dell’antiquariato, ci si inerpicava sulle alture liguri a cercare paesi composti unicamente da sassi e salite, si mangiavano grissini molto lunghi mentre si tornava a casa dalla spiaggia su delle orride Grazielle cigolanti, si andava in libreria tutte le sere a comprare un Istrice nuovo e capitava pure che sulla passeggiata si incontrassero persone con un leoncino da compagnia. Una foto spettacolare documenta lo storico incontro. Ci siamo io, il leoncino e il mio pannolone. Con una mano tengo il guinzaglio della belva neonata mentre con l’altra faccio l’artiglio. E ho pure l’espressione del ruggito.
Insomma, capitavano cose di questo tenore… e non stupiamoci, dunque, se una sera siamo finite alla mostra dell’occultismo e degli strumenti di tortura e abbiamo comprato una sfera di cristallo.
Abbiamo scelto la sfera perchè la vergine di ferro poi era un casino da riportare a Piacenza.

Con la palla di vetro abbiamo felicemente convissuto per anni, senza paura, senza prevedere il futuro e senza invocare gli spiriti. Una coabitazione pacifica, basata sul sano tedio che ogni soprammobile ha il dovere di ispirare. Noia, rassicurante e ovattata noia.
O almeno così pensavo.

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MADRE (flagello dei mondi) – …pronto?
TEGAMINI – Ciao Madre!
M – Oh, ciao. Sei arrivata bene?
T – Sì, sì, ho preso il treno stamattina, tutto a posto. Che fate oggi?
M – Mah, andiamo a giocare a tennis, che c’è ancora bel tempo.
T – Bravi. Ma giochi te col papà?
M – Eh, se ha voglia… te lo passo?
T – E passami il papà.
PADRE (maestro zen in levitazione) – Ciao Bimba, come va? Hai preso il treno? Tutto a posto?
T – Sì, sì, sono arrivata, niente di strano. Adesso vado a mangiare.
P – Brava, anche noi siamo a tavola.
T – Eh bene allora, ci sentiamo dopo…
P – Ah no aspetta, ti passo tua madre…
Tegamini gesticola disperata in mezzo alla strada.
M – Francesca! Oggi ho quasi dato fuoco alla casa!
T – ……..EH?!?!
M – Guarda, abbiamo riso un sacco con il papà!
T – …mamma, non va bene così. Ma che roba è, divertirsi nel dare fuoco alla casa, ma cosa vi è preso, non potete rincoglionire in modo pacifico, senza farvi del male.
M – Ma no, poi non è successo niente. Si ma insomma non vuoi sapere come ho fatto?
T – …non lo so, forse no.
M – Niente, stavo spolverando in salotto, sai dove abbiamo tutte le foto, no? Ecco. Spolveravo le cornici e le mettevo sul tappeto, che poi dovevo pulire il tavolino e alla fine ho spolverato anche la palla e l’ho messa sul tappeto, te la ricordi la sfera di cristallo, no?
T – Eh, come no. Io volevo le piramidine magiche, ma poi non me le hai prese.
M – Facevano schifo, quelle piramidi. Comunque, ho pulito il tavolo e mi sono girata per prendere la roba e rimettercela su e ho visto che c’era tutto del fumo intorno alla palla…
T – Oh Signore.
M – …e allora ero lì che pensavo “ma guarda che fenomeno strano, che c’è tutto del fumo lì, incredibile, ma viene dalla palla” e allora ho chiamato tuo padre… “MIMMO MIMMO VIENI CHE LA SFERA STA FACENDO DEL FUMO!”
T – Cristo santo.
M – No ma te lo passo che ti spiega lui perchè. Guarda, mai avrei pensato, aspetta, eh… MIMMO!
Tegamini allontana il telefono dall’orecchio.
P – Pronto. Tua madre ha quasi incendiato il soggiorno.
T – Ti prego, dimmi che c’è una spiegazione razionale a tutto questo.
P – Ha appoggiato la palla sul tappeto, al sole. Il cristallo ha concentrato tutta la luce in un punto e il tappeto ha preso fuoco.
T – …solo alla mamma può capitare una roba del genere.
P – Solo a tua madre.
T – Però mi piace questo tuo approccio scientifico all’accaduto. Sobrio e scientifico.
P – E che altro dovrei fare, tua madre scatena combustioni spontanee in salotto.
T – Bisogna avere pazienza.
P – Bisogna avere pazienza.

Sono figlia di una fattucchiera piromane.
…ma la amo moltissimo.

 

TEGAMINI – …ma passami la mamma, che la saluto.
PADRE – Eh, è sul terrazzo.
T – Un luogo notorimente impervio ed irraggiungibile…
P – Ma no, è sul terrazzo che guarda l’upupa!
T – …ah. Ma poi avete capito che uccello era, quello dell’altro giorno?
P – Quello grosso come un piccione, blu, marrone e turchese?
T – Eh.
P – No. Infatti tua madre è molto agitata.
T – Secondo me, è una dendroica cerulea.
P – …che roba?
T – Una dendroica. Cerulea.
P – …
T – Papà?
P – Và và… c’è l’upupa davvero! Era passata anche ieri… e allora sono andato su internet e ho scoperto delle cose.
T – È carina l’upupa.
P – In realtà, la leggenda vuole che l’upupa sia l’uccello del malaugurio. Tradizionalmente è l’uccello del malaugurio. C’è su Wikipedia. E poi, ha una ghiandola che secerne delle sostanze di odore sgradevole, per difendersi.
T – Puzza e porta sfiga, insomma.
P – …si, forse è meglio se dico a tua madre di non darle da mangiare.

I miei genitori si stanno appassionando alla vita bucolica.
Mia madre – flagello dei mondi – si arrampica sulle piante per raccogliere le amarene per la marmellata e fa cataste perfette di legna. Mio padre brama un barbecue sotto il portico e ha scarciato ventisei applicazioni per l’iPhone – tutte uguali – che gli mappano il cielo notturno e, col buio pesto della campagna, si diverte come una Pasqua a vagare declamando i nomi latini delle stelle del firmamento.
Poi uno si chiede perchè sono venuta fuori così.