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Allora, se il vostro obiettivo è approcciarvi a una scrittura estrosa, guizzante, ricca e succulenta – ECCO, qua non gira esattamente così. Lo stile ragionieristico giapponese – iper funzionale, precisino e fondamentalmente anonimo – colpisce ancora… e devo confessare che un po’ patisco questa strutturale impossibilità di distinguere una voce dall’altra. Di buono c’è che non si sconfina nella pedanteria e nella ripetitività e che, forse proprio per l’atmosfera piana e per l’assenza di arzigogoli, I miei giorni alla libreria Morisaki – tradotto da Gala Maria Follaco per Feltrinelli – vi filerà via liscio e finirete per leggere con gran lena. Menate mie a parte, è un romanzo che come campo-base sceglie una libreria piacevolmente sgangherata di Tokyo, collocata nel quartiere con la più alta concentrazione di librerie al mondo – Jinbōchō.

Che succede? Takako, 25 anni, inaugura la sua crisi esistenziale grazie a una doppia rottura: il collega con cui credeva di far felicemente coppia fissa la informa serafico del suo imminente matrimonio e Takako, in preda a questa cocente delusione sentimentale, decide di licenziarsi per non trovarsi davanti tutti i santi giorni quella gran faccia di tolla. TAKAKO LASCIATELO DIRE PERÒ COI COLLEGHI NON È MAI IL CASO PERDIANA.
Comunque, dopo una parentesi di autocommiserazione e rancorosa letargia, uno zio con cui non si sente da una decina d’anni le tende provvidenzialmente la mano: ma vieni a stare nella stanzina al piano di sopra della mia libreria, mi dai una mano e non ti faccio pagare l’affitto. E Takako fa i bagagli e va a leccarsi le ferite alla libreria Morisaki, non senza un certo scetticismo. Lo zio Satoru non è esattamente un pilastro della sua vita adulta, ma non le è rimasta più una lira e, anche se non legge dalla scuola dell’obbligo, decide di fare un tentativo.

Come in ogni parabola di rinascita che si rispetti, Takako si riscuote con gradualità dal suo scontroso torpore e comincia a partecipare attivamente alla vispa vita di quartiere. Nei libri, a lungo utilizzati solo per far spessore sotto alle gambe traballanti dei tavoli, ritrova alleati preziosi e, una pagina dopo l’altra, il suo cuore malridotto si ringalluzzisce e risana. Alla sua storia si intreccia quella dello zio, che si affaccenda con passione nel negozio in attesa che la moglie fuggiasca si rifaccia viva – sempre che le vada, visto che è sparita da un lustro e nessuno sa dove sia finita. Takako e Satoru condividono civilmente la solitudine, ma insieme trovano il modo di immaginare tempi migliori e di tornare a far baluginare la fiammella della speranza.

Se vi va di leggere qualcosa di piacevole, lieve e rassicurante – con bonus “atmosfera giapponese”, roba che su di me esercita sempre il suo fascino – la libreria Morisaki sarà di certo una valida tappa. Poche pretese ma tutto sommato ben riposte. 

 

I libri sono una delle possibili cartografie che può assumere il nostro paesaggio mentale. Ci sono lettori, come Roberto Calasso, che negli anni con i libri hanno edificato galassie tentacolari e coltissime, invitandoci anche ad esplorarle. Il catalogo Adelphi è lo specchio di un’erudizione curiosa e profonda, che ritroviamo in questo testo breve che indaga il nostro rapporto con il tentativo impossibile di portare ordine in una materia – quella della lettura – strutturalmente propensa a collegare e intrecciare, spalancando di continuo nuove strade.

Qui troverete quattro temi principali, tutti sviluppati come narrazione autobiografica e riflessione che sfiora la sistematizzazione storica.
Da dove spuntano le recensioni?
Da dove vengono le riviste letterarie e come hanno mosso i primi passi?
Qual è la funzione “vera” di una biblioteca e come sarebbe più avventuroso e ricco organizzarla?
Come dovremmo trovare disposti i libri in vendita?

Per chi ama i libri che parlano di libri – ma anche per chi ama farsi raccontare “la cultura” da un personaggio che sulla cultura in cui siamo immersi ha lasciato un’impronta indimenticabile e destinata a durare – Come ordinare una biblioteca è un testo snello che con molta meno spocchia di quella che l’autore si potrebbe legittimamente permettere riflette sulle fisime che affliggono e benedicono ogni lettore, fornendoci una sorta di “origin story” collettiva. Perché anche noi, con i nostri tre scaffalini, siamo in viaggio nel nostro territorio di parole in evoluzione… e una bussola (molto meno dogmatica e più giocosa di quanto potremmo sospettare) può tornarci senz’altro utile.

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Dunque. Siete andati a vivere da soli, finalmente. Ed è tutto bellissimo. Mangiate tonno in scatola cinque giorni a settimana (ricavando le vitamine necessarie al vostro sostentamento dal pomodoro che c’è sulle molteplici pizze che ingurgitate nel weekend insieme ai vostri amichetti), sperate che non vi caschi un bottone perché non ve lo sapete riattaccare e tornate a casa quando vi pare, senza dover fronteggiare vostra madre che, alle quattro e cinquanta del mattino, vi aspetta in camicia da notte al tavolo della cucina. Con una falce in mano.

Ma che cos’è che voglio dire.

I giovani virgulti che si levano dai piedi, tipicamente, sono costretti a lasciare a casa buona parte dei libri con cui sono cresciuti. In certi casi è meglio così. Spesso, però, è un gran peccato. Ma che ci volete fare. Col vostro stipendio vi potete permettere uno sgabuzzino per le scope, che libri volete portarvi. Pace, andrete all’Ikea, comprerete una di quelle mini-librerie da 22 euro e 90 e la ficcherete nell’unico angolo libero. E ci metterete i libri nuovi, quelli che vi accompagneranno trionfalmente in questa fase super avventurosa della vostra esistenza. I libri nuovi, dopo qualche mese, cominceranno ad invadere il pavimento. Si ammucchieranno sul comodino. Si impossesseranno di una porzione piuttosto rilevante del tavolo dove consumate frugalmente le vostre Spinacine. Vi sveglierete di notte per fare la pipì e, nonostante iTorcia, ne butterete in terra una pila. Ma sarete contenti, perché tutti quei nuovi libri li avete letti voi. E pazienza se non avete un posto decente dove immagazzinarli. Nel vostro disordine c’è comunque del criterio. Voi lo sapete. E che gli altri si attacchino al tram.

All’improvviso, se vi andrà particolarmente di culo, potreste innamorarvi a tal punto da decidere di traslocare, scegliendo consapevolmente di vivere con un altro essere umano. Una persona importante, la persona che potrebbe stare al vostro fianco per tutta la vita… o almeno così vi sembra. Farete il bucato, per questa persona. Mangerete negli stessi piatti. Vi scambierete fluidi corporei, a più riprese – e con una certa veemenza. Condividerete un bagno, delle lenzuola, la bottiglia d’acqua che sta vicino al letto per quando vi svegliate col mal di gola e non avete voglia di trascinarvi fino in cucina. Con questa persona programmerete delle vacanze, acquisterete un gatto anallergico e addobberete l’albero di Natale. Proprio voi, che immaginavate di invecchiare da sole – in una cantina buia piena di ratti scontrosissimi -, con questa persona riuscirete ad immaginare un futuro. Siete così felici e in pace che non litigate neanche. Vi verrà voglia di preparare delle torte. Maneggerete il terribile contenuto di una borsa del tennis piena di calzini sudati senza fare una piega. Per sbaglio, poi, una sera vi laverete i denti con lo spazzolino del vostro consorte. E, con vostra grande sorpresa, non verrete assaliti dall’irrefrenabile necessità di strapparvi la faccia.
Accadrà tutto questo. E anche qualcosa in più. La vostra gioia sarà così potente da condensarsi in una forma solida, sfaccettata e scintillante, che sventolerete con grande soddisfazione – e una certa tracotanza – in faccia alle vostre amiche. Ma nemmeno dopo aver ricevuto un anello di fidanzamento riuscirete a fare qualcosa di apparentemente semplicissimo. Nemmeno dopo aver tagliato una torta multistrato con sopra due improbabili dinosauri di ceramica riuscirete ad accettare l’idea mostruosa di disperdere e incasinare i vostri libri. Quelli vecchi, quelli nuovi, quelli che ancora dovete leggere. Sono vostri. Vi appartengono. Li avete portati in giro, vi hanno fatto compagnia, ci avete trovato dentro una quantità sterminata di cose. Vi piace girarvi e dire “Insomma, ho letto tutti questi libri. Vuol dire che qualcosa di buono l’ho combinato, alla fin fine”. E vi dispiacerà molto, ma non ce la farete proprio. Alla domanda “Gallina, ma nella casa nuova le possiamo unire le librerie?” risponderete ancora una volta con un risolutissimo NO. Le librerie no. Le librerie non si toccano, non si uniscono, non si ingarbugliano. Zero. Né ora, né mai.

 

Il regno è in festa! Abbiamo la libreria, finalmente! Vittoria! Saltini! Pioggia di cuccioli!

Una foto pubblicata da Francesca Crescentini (@tegamini) in data: