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Non è una regola ferrea, ma nelle coppie capita spesso che ci sia uno che fa le foto e l’altro che non ci pensa neanche lontanamente. Anzi, che vive la faccenda quasi con fastidio. Te ne accorgi soprattutto in vacanza. Te ne accorgi soprattutto quando hai un bambino piccolo. Te ne accorgi in maniera inequivocabile se hai sposato Amore del Cuore.

Ora, per me fare le foto alle cose o alle persone è una maniera di creare ricordi, di ritrovare quello che mi ha stupito in un certo istante o di fissare un momento che non mi va di perdere per strada. Mi piace fare le foto e fotografo qualsiasi cosa, anche se non ho mai sviluppato un particolare talento “tecnico” o una fissazione spiccata per obiettivi, pellicole, marchingegni e attrezzature. La tecnologia si è evoluta di pari passo con la mia pigrizia, forse, quindi mi arrangio felicemente con il telefono o con una delle macchinette più elementari ed efficaci che ha inventato la Canon per la gente allegrona ma piuttosto sbrigativa.
Comunque.
Sarà che ho sempre l’angoscia del tempo che passa e che si trascina via quello che succede, sarà lo spiccato orientamento al visuale della società che abitiamo, sarà che quelle tre volte che mi vesto come un essere umano mi piace potermelo rammentare – SARÀ QUEL CHE SARÀ, ma io sono quella che fa le foto. E Amore del Cuore no.

Io lo fotografo spesso, Amore del Cuore. Mi fa piacere. Mi diverto. Se ha in braccio Cesare o se Cesare gli sta camminando sulla faccia, poi, lo fotografo ancora più volentieri. Se siamo insieme da qualche parte e sono contenta parto anche con “Amore del Cuore, facciamoci una foto insieme”. Ci provo io, ma tra i due non sono quella col braccio più lungo, quindi spesso finisce con un “Amore del Cuore, falla tu, che fai meno fatica e magari entriamo nell’inquadratura senza slogarci le clavicole”.
E già lì si percepisce del disagio.
Ma è solo la punta dell’iceberg dello scazzo.

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Io non so, onestamente, come facciano quelle con gli Instagram pieni di foto dove ci sono loro per strada, appoggiate a un portone interessante con un gelato in mano. O graziosamente accoccolate sull’erba di un giardino. O sedute sui gradini di qualche chiesa. Ragazze che passeggiano sospinte dalla brezza. Ragazze che osservano il tramonto dalla cima di una scogliera. Quella roba lì.
Ma chi è che vi fotografa, ragazze dell’Instagram?
Non Amore del Cuore, questo è certo.
La dinamica è la seguente. E no, non accade sei volte al giorno. Accade circa una volta ogni due settimane – il tempo necessario a riprendermi dal trauma causatomi dai precedenti tentativi di farmi fotografare dal mio consorte.
Ma parliamone.

È una giornata radiosa (o almeno sopportabile). Ho i capelli pulitissimi e ho avuto il tempo di mettermi addirittura il rossetto. Sono ben disposta verso l’esistenza e indosso un insieme di cose che mi rendono in qualche modo fiera di essermele comprate o di averle abbinate con criterio. Ci ritroviamo a passeggiare in un bel posto, non c’è tanta gente.

“Amore del Cuore, fammi una foto. Guarda che meraviglia. Per favore, su. Mi metto lì cinque secondi. Paf, paf e via”.

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Consegno il telefono ad Amore del Cuore – con la fotocamera già attiva, che così non deve manco sbattersi a pigiare l’icona per aprire l’app – e Amore del Cuore lo afferrerà con un misto di riluttanza e compatimento, come se gli stessi porgendo un paio di pattine da indossare per non rigarmi il parquet, o una sogliola umida, o la carcassa ricoperta di muffa di un gatto con tre zampe. Alla consegna del telefono, devo aggiungerlo per dovere di cronaca, Amore del Cuore reagisce anche alzando gli occhi al cielo e sbuffando con eloquenza.
Io, caparbia, mi vado a piazzare in un angolo – ben conscia del suo travolgente entusiasmo – e provo a pensare a che faccia dovrei fare o a come potrei mettermi per non somigliare a una cretina che sta ferma contro a un muro senza un motivo al mondo. Non posso dedicarmi a questo nobile sforzo intellettivo-plastico, però, perché Amore del Cuore non è visibilmente pronto ad affrontare il GRAVOSO compito a lui affidato con l’adeguata serietà.
Dovete sapere, infatti, che Amore del Cuore non si sposterà di un centimetro dal punto in cui gli avete consegnato il telefono. Potete andare a mettervi in posa a cento metri di distanza o rimanergli appiccicate, non farà la minima differenza. Lui starà lì dov’è, come un albero, cazzo. “Amore del Cuore, vieni qua, però. Cioè, non mi pigli neanche con lo zoom se rimani lì”. Una volta approdato a punto B – e scordatevi un punto C, dal punto B non lo schioderete mai più -, Amore del Cuore si metterà una mano in tasca, tirerà su il telefono e scatterà brutalmente una sequenza di foto. Ma così, a caso. Bam, bam, bam, bam.

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“Amore del Cuore, tralasciamo per un attimo la mia faccia, perché di quello non hai colpa, ma ho delle domande. Perché ho sei metri di spazio vuoto a sinistra e la spalla destra a filo del bordo? Dimmelo che ho una lama di luce che mi decapita, che così mi scanso leggermente. Ma poi non t’accorgi che se non ti abbassi un po’, quando mi fai le foto, somiglio a Tyrion Lannister? Avrò anche la testa grossa e le gambe non lunghissime, ma se non ti pieghi un po’ viene veramente fuori una roba che non ha senso. Le proporzioni di un neonato. E la porta, sto qua in mezzo perché sarebbe bello che si vedesse tutta, ma in una maniera un po’ più simmetrica. Cioè, quello stipite lì è in diagonale. Ma pesantemente. Non è una porta, sembra un triangolo scaleno, l’entrata di una piramide, un incubo geometrico”.
Che rompicoglioni, direte voi. Ottimo, venite a farvi fare una foto da Amore del Cuore e poi ne riparliamo.
Comunque.
Amore del Cuore accoglie benissimo le mie rimostranze. Si lancia, di solito, in una filippica contro i social network nel loro complesso (come se le foto che mi fa fossero pubblicabili), arrivando a denigrare il capitalismo e auspicando il ritorno della censura statale (ma quella delle monarchie illuminate e basta). E io là, appoggiata a una porta a sognare un selfie-stick.

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Il secondo giro di foto è lievemente migliore. O forse così mi pare, perché so benissimo che non ce ne sarà un terzo. Insomma, ho una testa di dimensioni accettabili, sto più o meno in mezzo alla foto, ho i piedi, sembro a fuoco… purtroppo. Perché, una volta risolti i problemi di posizionamento, subentra la disamina della mia faccia e della mia persona in generale. Non mi sento di imputare ad Amore del Cuore anche queste disavventure, ma una cosa devo dichiararla.
Doverosamente.
Se uno ti fotografa malvolentieri – e tu lo sai che ti stanno fotografando malvolentieri -, verrai di merda. Ma merda vera. Il cubismo è una straordinaria corrente artistica, ma quando guardi una tua foto e ci vedi del cubismo non è una bella cosa.
Come il 97% degli esseri umani, vengo meglio in foto se non m’accorgo che mi fotografano o se qualcuno prova insieme a me a farmi venire un po’ meno male. Ma basta poco. Girati un po’ di lì. Muoviti verso di là. Vieni verso di me. Saluta unicorni immaginari. Mangia il gelato. Fermati così.
Con Amore del Cuore è impossibile.
Non esisteranno mai momenti in cui mi fotograferà di sua sponte, mentre galleggio ignara in un istante di serenità. E nemmeno riceverò indicazioni durante questi infrequentissimi “Amore del Cuore, fammi una foto”. Che cosa volete che mi dica? Alzati un po’ te in punta di piedi se non vuoi venire con la testa troppo grossa, che io non ho proprio voglia di chinarmi?

Quindi niente, abbiamo delle difficoltà non particolarmente risolvibili. Sono problemi di indole, proprio. Amore del Cuore non ama immortalare una mazza di niente, ma ce ne faremo una ragione. Il mio profilo Instagram mi vedrà comparire in maniera sporadica – il che, tutto sommato, non credo sia una cattiva idea – e nelle foto di famiglia ci saranno solo lui e Cesare. Bellissimi. Che si stropicciano e si coccolano in ritratti pieni di sentimento e tenerezza.
Io lo accetto, tutto questo. 
Anzi… lo accetterei di buon grado.
Peccato, però, che poi si verifichi il seguente fenomeno.
“Ma Tesoro di Cuccioli, non abbiamo più stampato neanche una foto. Dobbiamo fare gli album di Cesare, dobbiamo riempire le cornici. È bello avere gli album e le foto per casa. Anche delle vacanze, non le abbiamo mai risistemate. Dobbiamo guardarle, anche quelle vecchie. Ti ricordi il nostro primo viaggio a Berlino? Diamo un’occhiata. Scegliamole, che poi le stampiamo”.
Scusa?

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Dunque. Fare foto mi piace moltissimo. Che io sia capace o che le mie foto siano belle, poi, è decisamente un altro paio di maniche. Ci provo, però. Ci metto dell’impegno e della sincera abnegazione. Mi cimento con sfide impossibili, tipo fotografare il mio gatto – che non solo è nero e imprevedibile, ma anche poco interessato a fare le scarpe al Grumpy Cat. Sono anche una di quelle persone orrende che al ristorante fa la foto alla roba da mangiare, nella speranza di potersene vantare su Instagram. Succede di rado… un po’ perché si finisce sempre nei peggiori bar di Caracas e un po’ perché, in effetti, sarò io che non so tirare fuori il lato #foodporn da una badilata di risotto con la salsiccia. I viaggi, grazie al cielo, restituiscono un minimo di dignità alle mie vacillanti capacità fotografiche, ma mica posso andare tutte le settimane a tirarmi su il morale nella Monument Valley. La verità è che le foto avrei bisogno di farle superbelle sempre. Ma diciamolo come lo direbbe la mia professoressa di filosofia del liceo… che così è un po’ povera: è nel dirompente potenziale di meraviglia celato dalla più banale delle quotidianità che si annida l’autentico splendore del mondo.
Perbacco.
Nella speranza di poter imparare qualcosa di estremamente utile per la mia vita di giovane donna curiosa e di buffa blogger disorganizzata, dunque, ho risposto con un roboante YES WE CAN a un imprevedibile e graditissimo invito. Ciao Tegamini, siamo la Canon. Vorremmo gridare al mondo che con la nostra nuova Powershot G7X si possono fare delle foto belle belle in modo assurdo, ma senza essere Annie Leibovitz. Anzi, non solo le puoi fare, ma riuscirai anche a bullartene in tutta comodità. Perché nella G7X ci abbiamo messo dentro degli aggeggi Wi-Fi megamagici che ti spediscono le foto dove ti pare. Insomma, le potrai condividere in tutta la loro fantasticità sui miliardi di social che infesti con la tua inopportuna e sbilenchissima presenza. Per cominciare, vorremmo portarti al concerto di Elisa, all’Alcatraz. Ci sono anche Camilla di Zeldawasawriter, Ipathia di Malapuella e Arianna di The Royal Taster. Vieni, che ci manca il pagliaccio.
Ma Canon, io di Elisa so solo luce che cade dagli occhi sui tramonti della mia tèèèèèèrra.
Fa niente. Lo sapevamo già che sei una bestia.

Sostenuta dal paziente tutoring delle madamigelle Canon, ci siamo messe dove meglio si poteva (altezza mixer, panico…) e abbiamo dato inizio al folle esperimento. Devo dire che, nonostante il pessimismo iniziale, di Elisa mi ricordavo circa seimila canzoni. E che lei non solo è bravissima e adorabile, ma anche immune ad ogni genere di fatica e dolore articolare. Ha cantato per circa due ere geologiche. E suonava a intermittenza strumenti musicali a caso. Tieni, Elisa, adesso facciamo un po’ di chitarra. Bene, bene, molto brava. E il pianoforte? S’offende se non suoni un po’ anche lui. E via così. Ad un certo punto ha fatto una striscia di canzoni in modalità referendum: la gente si era portata dei cartelli e le canzoni più cartellate vincevano una magistrale esecuzione live. Ma così, in pace. I dipendenti pubblici di tutto il mondo dovrebbero farsi quattro chiacchiere con Elisa. Serena, contenta, sorridente. Guardarla e ascoltarla è stato una felicità, nonostante il mal di schiena che mi ha assalita verso il finale. Elisa zero, neanche una piega. Spaccava i bicchieri con trilli supersonici. Che qualcuno le doni un vaso pieno di fate.
E le foto? Ne ho scelte dieci. E se ce l’ho quasi fatta io, vuol dire che la G7X è una specie di miracolino.

Ciao, noi eravamo qui. Più o meno all’altezza dell’orbita di Giove.
Vai Milano, gridiamo ZOOM tutti insieme!
C’era una selva oscurissima di smartphone. C’era anche una signora che ha chiamato chissà chi (in rubrica ce l’aveva sotto POLLO) e gli ha telefonato l’intero concerto. Io, ogni tanto, sbirciavo che cosa facevano gli altri. Insomma, esercitarsi con la messa a fuoco è importante.
Elisa, danzatrice balinese.
Quando ho capito che il tizio di due metri e dieci che avevo davanti non si sarebbe dissolto nel nulla, ho cercato comunque di tirarci fuori qualcosa di buono. Anche se era uno zarro.
Elisa feat Vincenzo Montella.
I satelliti di Giove.
Elisa, le coriste e Matteo Renzi.
La pubblicità dello Jägermeister (nuova era: “Non siamo una bevanda per vecchi! Smettetela di percepirci così, maledetti consumatori! Giovani, amateci!”
Elisa feat Statua della Libertà.

 

Dite quel che vi pare, ma sono fierissima. FIERISSIMA. Io e la bestiolina G7X diventeremo grandi amiche. Anzi, intraprenderemo un proficuo percorso di reciproca conoscenza che ci porterà, senza ombra di dubbio, alla conquista delle galassie. Le comprerò anche una di quelle custodie tutte carine che vendono nei negozi da hipster. Simil-tartan, magari. In attesa di rivoluzionare il mondo, però, l’ho messa a nanna. Insieme a un sacco di nuovi ricordi (belli nitidi, stavolta). Grazie, Canon!

P.S. Camilla di Zeldawasawriter è ALTISSIMA.