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Non è una regola ferrea, ma nelle coppie capita spesso che ci sia uno che fa le foto e l’altro che non ci pensa neanche lontanamente. Anzi, che vive la faccenda quasi con fastidio. Te ne accorgi soprattutto in vacanza. Te ne accorgi soprattutto quando hai un bambino piccolo. Te ne accorgi in maniera inequivocabile se hai sposato Amore del Cuore.

Ora, per me fare le foto alle cose o alle persone è una maniera di creare ricordi, di ritrovare quello che mi ha stupito in un certo istante o di fissare un momento che non mi va di perdere per strada. Mi piace fare le foto e fotografo qualsiasi cosa, anche se non ho mai sviluppato un particolare talento “tecnico” o una fissazione spiccata per obiettivi, pellicole, marchingegni e attrezzature. La tecnologia si è evoluta di pari passo con la mia pigrizia, forse, quindi mi arrangio felicemente con il telefono o con una delle macchinette più elementari ed efficaci che ha inventato la Canon per la gente allegrona ma piuttosto sbrigativa.
Comunque.
Sarà che ho sempre l’angoscia del tempo che passa e che si trascina via quello che succede, sarà lo spiccato orientamento al visuale della società che abitiamo, sarà che quelle tre volte che mi vesto come un essere umano mi piace potermelo rammentare – SARÀ QUEL CHE SARÀ, ma io sono quella che fa le foto. E Amore del Cuore no.

Io lo fotografo spesso, Amore del Cuore. Mi fa piacere. Mi diverto. Se ha in braccio Cesare o se Cesare gli sta camminando sulla faccia, poi, lo fotografo ancora più volentieri. Se siamo insieme da qualche parte e sono contenta parto anche con “Amore del Cuore, facciamoci una foto insieme”. Ci provo io, ma tra i due non sono quella col braccio più lungo, quindi spesso finisce con un “Amore del Cuore, falla tu, che fai meno fatica e magari entriamo nell’inquadratura senza slogarci le clavicole”.
E già lì si percepisce del disagio.
Ma è solo la punta dell’iceberg dello scazzo.

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Io non so, onestamente, come facciano quelle con gli Instagram pieni di foto dove ci sono loro per strada, appoggiate a un portone interessante con un gelato in mano. O graziosamente accoccolate sull’erba di un giardino. O sedute sui gradini di qualche chiesa. Ragazze che passeggiano sospinte dalla brezza. Ragazze che osservano il tramonto dalla cima di una scogliera. Quella roba lì.
Ma chi è che vi fotografa, ragazze dell’Instagram?
Non Amore del Cuore, questo è certo.
La dinamica è la seguente. E no, non accade sei volte al giorno. Accade circa una volta ogni due settimane – il tempo necessario a riprendermi dal trauma causatomi dai precedenti tentativi di farmi fotografare dal mio consorte.
Ma parliamone.

È una giornata radiosa (o almeno sopportabile). Ho i capelli pulitissimi e ho avuto il tempo di mettermi addirittura il rossetto. Sono ben disposta verso l’esistenza e indosso un insieme di cose che mi rendono in qualche modo fiera di essermele comprate o di averle abbinate con criterio. Ci ritroviamo a passeggiare in un bel posto, non c’è tanta gente.

“Amore del Cuore, fammi una foto. Guarda che meraviglia. Per favore, su. Mi metto lì cinque secondi. Paf, paf e via”.

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Consegno il telefono ad Amore del Cuore – con la fotocamera già attiva, che così non deve manco sbattersi a pigiare l’icona per aprire l’app – e Amore del Cuore lo afferrerà con un misto di riluttanza e compatimento, come se gli stessi porgendo un paio di pattine da indossare per non rigarmi il parquet, o una sogliola umida, o la carcassa ricoperta di muffa di un gatto con tre zampe. Alla consegna del telefono, devo aggiungerlo per dovere di cronaca, Amore del Cuore reagisce anche alzando gli occhi al cielo e sbuffando con eloquenza.
Io, caparbia, mi vado a piazzare in un angolo – ben conscia del suo travolgente entusiasmo – e provo a pensare a che faccia dovrei fare o a come potrei mettermi per non somigliare a una cretina che sta ferma contro a un muro senza un motivo al mondo. Non posso dedicarmi a questo nobile sforzo intellettivo-plastico, però, perché Amore del Cuore non è visibilmente pronto ad affrontare il GRAVOSO compito a lui affidato con l’adeguata serietà.
Dovete sapere, infatti, che Amore del Cuore non si sposterà di un centimetro dal punto in cui gli avete consegnato il telefono. Potete andare a mettervi in posa a cento metri di distanza o rimanergli appiccicate, non farà la minima differenza. Lui starà lì dov’è, come un albero, cazzo. “Amore del Cuore, vieni qua, però. Cioè, non mi pigli neanche con lo zoom se rimani lì”. Una volta approdato a punto B – e scordatevi un punto C, dal punto B non lo schioderete mai più -, Amore del Cuore si metterà una mano in tasca, tirerà su il telefono e scatterà brutalmente una sequenza di foto. Ma così, a caso. Bam, bam, bam, bam.

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“Amore del Cuore, tralasciamo per un attimo la mia faccia, perché di quello non hai colpa, ma ho delle domande. Perché ho sei metri di spazio vuoto a sinistra e la spalla destra a filo del bordo? Dimmelo che ho una lama di luce che mi decapita, che così mi scanso leggermente. Ma poi non t’accorgi che se non ti abbassi un po’, quando mi fai le foto, somiglio a Tyrion Lannister? Avrò anche la testa grossa e le gambe non lunghissime, ma se non ti pieghi un po’ viene veramente fuori una roba che non ha senso. Le proporzioni di un neonato. E la porta, sto qua in mezzo perché sarebbe bello che si vedesse tutta, ma in una maniera un po’ più simmetrica. Cioè, quello stipite lì è in diagonale. Ma pesantemente. Non è una porta, sembra un triangolo scaleno, l’entrata di una piramide, un incubo geometrico”.
Che rompicoglioni, direte voi. Ottimo, venite a farvi fare una foto da Amore del Cuore e poi ne riparliamo.
Comunque.
Amore del Cuore accoglie benissimo le mie rimostranze. Si lancia, di solito, in una filippica contro i social network nel loro complesso (come se le foto che mi fa fossero pubblicabili), arrivando a denigrare il capitalismo e auspicando il ritorno della censura statale (ma quella delle monarchie illuminate e basta). E io là, appoggiata a una porta a sognare un selfie-stick.

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Il secondo giro di foto è lievemente migliore. O forse così mi pare, perché so benissimo che non ce ne sarà un terzo. Insomma, ho una testa di dimensioni accettabili, sto più o meno in mezzo alla foto, ho i piedi, sembro a fuoco… purtroppo. Perché, una volta risolti i problemi di posizionamento, subentra la disamina della mia faccia e della mia persona in generale. Non mi sento di imputare ad Amore del Cuore anche queste disavventure, ma una cosa devo dichiararla.
Doverosamente.
Se uno ti fotografa malvolentieri – e tu lo sai che ti stanno fotografando malvolentieri -, verrai di merda. Ma merda vera. Il cubismo è una straordinaria corrente artistica, ma quando guardi una tua foto e ci vedi del cubismo non è una bella cosa.
Come il 97% degli esseri umani, vengo meglio in foto se non m’accorgo che mi fotografano o se qualcuno prova insieme a me a farmi venire un po’ meno male. Ma basta poco. Girati un po’ di lì. Muoviti verso di là. Vieni verso di me. Saluta unicorni immaginari. Mangia il gelato. Fermati così.
Con Amore del Cuore è impossibile.
Non esisteranno mai momenti in cui mi fotograferà di sua sponte, mentre galleggio ignara in un istante di serenità. E nemmeno riceverò indicazioni durante questi infrequentissimi “Amore del Cuore, fammi una foto”. Che cosa volete che mi dica? Alzati un po’ te in punta di piedi se non vuoi venire con la testa troppo grossa, che io non ho proprio voglia di chinarmi?

Quindi niente, abbiamo delle difficoltà non particolarmente risolvibili. Sono problemi di indole, proprio. Amore del Cuore non ama immortalare una mazza di niente, ma ce ne faremo una ragione. Il mio profilo Instagram mi vedrà comparire in maniera sporadica – il che, tutto sommato, non credo sia una cattiva idea – e nelle foto di famiglia ci saranno solo lui e Cesare. Bellissimi. Che si stropicciano e si coccolano in ritratti pieni di sentimento e tenerezza.
Io lo accetto, tutto questo. 
Anzi… lo accetterei di buon grado.
Peccato, però, che poi si verifichi il seguente fenomeno.
“Ma Tesoro di Cuccioli, non abbiamo più stampato neanche una foto. Dobbiamo fare gli album di Cesare, dobbiamo riempire le cornici. È bello avere gli album e le foto per casa. Anche delle vacanze, non le abbiamo mai risistemate. Dobbiamo guardarle, anche quelle vecchie. Ti ricordi il nostro primo viaggio a Berlino? Diamo un’occhiata. Scegliamole, che poi le stampiamo”.
Scusa?

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Aspettiamo che la fotografa faccia la post-produzione, ho pensato. Scegliamo un po’ di foto, Amore del Cuore fa qualche prova di impaginazione, gliele ridiamo, lei ce le sistema tutte bene-bene e poi posso sventolarle di qua e di là. Solo che siamo ancora allo step uno, in pratica. Scegliamo le foto, Amore del Cuore? Ma c’è il Milan… di Pippo Inzaghi! Allora le guardiamo domani. Ma domani dobbiamo andare all’anteprima delle Tartarughe Ninja! Insomma, il disagio. Abbiamo una roba tipo seimila foto, in milioni di cartelle. Cartelle in bianco e nero. Cartelle a colori. Cartelle. Dopo numerosi tentennamenti, ci siamo messi lì ad appiccicare dei pallini digitali vicino a quelle che ci piacciono. I miei pallini sono verdi e quelli di Amore del Cuore sono gialli. I pallini sono stati copiosamente distribuiti, ma poi la vita ci ha sopraffatti ancora una volta e non siamo riusciti a cimentarci nell’organizzazione di un ipotetico album. Non ancora, almeno.
Visto che bisognava dare una svolta al processo creativo, qua ci sono un po’ dei nostri pallini colorati delle Matrimoniadi. Le mirabili foto sono opera di Emanuela Balbini, che vorremmo pure ringraziare con tutto il cuore per essere stata pazientissima, disponibile, invisibile, fantasticamente vigile e – tanto per sintetizzare – un casino brava. Ogni volta che passiamo davanti a una siepe o a un muro romanticamente sgarrupato pensiamo a lei che ci grida AMOREGGIATE! (e MENO LINGUA!, anche). Nel mio caso c’è stata anche una lunga serie di SALTA! che un po’ più giù riuscirete ad apprezzare meglio.
Pronti?
Pronti, valà, che sono già passati tre mesi.
Benvenuti al (sommamente frammentario) Fotoromanzo delle Matrimoniadi. Stavo per mettere tutte le foto che possediamo, ma vi ho risparmiato l’omelia di Don Giovanni, Amore del Cuore che si allaccia le scarpe con incredibile perizia, il buffet dei dolci, noi che limoniamo duro con centinaia di metri quadri d’edera alle spalle e tutti quanti i convenevoli. Il buffet dei dolci non l’ho visto nemmeno io, adesso che mi ci fate pensare.

***

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Qua c’è la mia adorata cognata Alice-Fenice che veste Amore del Cuore in una bizzarra camera d’albergo eletta a campo base della famiglia dello sposone. Si vocifera che Fenice sia la persona più brava della Lombardia ad abbottonare le camicie.
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Qua c’è Beatrice che cerca di capire come farmi somigliare a una persona.
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Un pregevole ricciolo-cannellone, forgiato dalle prodigiose mani di Elena.
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Ottone von Accidenti si è rifiutato di portarci le fedi, così ci siamo rassegnati al tradizionale cuscinetto.
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Vogue Piacenza – Luglio 2014.
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Qua è un po’ il momento in cui ci si domanda se i tacchi sono troppo alti. Certo che sono troppo alti, ma produrrete una tale quantità di endorfine da dimenticarvi delle vostre estremità. E anche di fare la pipì per un’irragionevole quantità di ore.
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Se ce l’ho fatta io, possiamo farcela tutte.
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Là sotto ci siete voi, ma prima o poi vi tireranno fuori.
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Le ragazze di Poesie Sposa non solo vi vestiranno, ma vi allieteranno anche con stupefacenti numeri di magia. Qui, per dire, un aggeggio di seta rosa scaturisce direttamente dalla mia generosa scollatura.
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EVVAI. Ci state ancora dentro. Non siete ingrassate all’improvviso come dei leoni marini!
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Questo, invece, è un po’ il momento in cui vi domanderete se vostro marito sarà in grado di slacciarvi il vestito, in un momento imprecisato della notte. E sarà anche l’ultima volta nell’arco della luminosa giornata del vostro sposalizio in cui sarete in grado di fare un respiro profondo, di quelli che coinvolgono l’intera cassa toracica, con spostamenti di costole e tutto il resto.
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Lì ero un po’ angustiata perché temevo di rossettarmi accidentalmente qualcosa di bianchissimo. Terrore che ha continuato ad accompagnarmi per il resto delle Matrimoniadi.
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Nel frattempo, all’accampamento dei Del Cuore si pensava alle cose importanti.
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Il perché al mondo esistano le occhiaie continua ad essere un mistero.
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Ma guarda. Siete addirittura arrivate.
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A livello di difficoltà, ho patito molto di più a scendere da quella macchina lì che a laurearmi. Anche perché ci sono arrivati tutti dopo a decidere di fare in là la stramaledetta portiera. Quella signora lì con la capoccia bionda è MADRE, Terrore delle Galassie. Ho avuto il divieto di pubblicare primi piani ravvicinati perché ha detto che è rugosa. Quindi ci si accontenterà di inquadrature vaghe e truffaldine.
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Il mio papà che tenta invano di comprendere come camminare di fianco a una persona avvolta in una tonnellata abbondante di organza di seta multistratificata senza causarle un danno permanente.
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Qua eravamo al “vai, papà. Conto fino a tre e vediamo cosa succede”. Nonostante le raccomandazioni, poi, ho continuato a impugnare il BUCHE’ come una Babolat.
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Questa è più o meno l’unica foto in cui non guardiamo entrambi per terra con un’espressione sommamente preoccupata. Si vede che a metà strada ci eravamo ormai convinti di essere capaci. Adesso posso anche chiudere la sfilata di Chanel, ma mangiando un panino con la salamella.
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FIGATA SPAZIALE! Siamo riusciti ad arrivare in fondo alla navata! Questo matrimonio sarà un successo!
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Attacco al Regno dei Cieli. Con due carrarmatini.
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Caspiterina, un anello!
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Amore del Cuore, lì fuori ci sono le persone che ci vogliono tirare il riso.
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Volée di dritto matrimoniale!
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Preparatevi all’irreparabile. Vi ritroverete chicchi di riso anche nelle mutande.
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Ricordate, amici. Tirate il riso pilaf, che non sporca lo sposo. E non scuoce.
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E usate il BUCHE’ per proteggere i vostri momenti di intimità.
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Fate anche un po’ le timide.
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E masticate con la bocca chiusa.
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Numerosi TVB.
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Amore del Cuore, mi si sono afflosciati tutti i capelli, ma è la prima volta che mangiamo insieme da sposati e sono molto contenta.
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L’unico giorno caldo dell’estate 2014. Il cielo ci protegge.
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Radiose giovani donne che non hanno paura di inciamparmi nello strascico. Amore del Cuore, al terzo UISCHI SAUAR, comincia a dare segni di cedimento. La provenienza delle rose giganti è ignota.
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Per rallegrarci come si deve della magnificenza del mio pizzo.
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La foto ufficiale con i CupidoS. A loro dobbiamo la nostra felicità. Manuela, per farmi una cortesia, è diventata all’improvviso poco fotogenica.
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Compito della sposa è vagare incessantemente per i tavoli, tipo ape operaia.
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MADRE, Flagello dei Mondi, spupazza Amore del Cuore con evidente soddisfazione. E Amore del Cuore sembra anche che ci stia.
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Una roba a metà tra uno SCIO’ PUSSA VIA e un saluto dalla carrozza. L’assurdità del gesto è sicuramente imputabile alla signorina a pois, l’iperattiva madamigella Gabbianella.
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Andrea Gentile non avrà fatto in tempo a leggere in chiesa perché si è dimenticato a casa i pantaloni, ma il discorso gli è venuto benissimo e ci siamo assai commossi.
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Cielo, la squadra di tennis di mio marito!
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SALTA!
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SALTA, MALEDIZIONE, SALTA!
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Ecco, andava bene anche se saltavo un po’ meno. Su TMZ titolerebbero “Bride flashes flancy embroidered thong”. Credo sia la mia foto preferita.
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Le due eroiche signore che hanno avuto la pazienza di spiegare ad Amore del Cuore com’è fatto un ufficio. Amore del Cuore, al tempo, aveva moltissimi capelli.
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Ecco, quell’energumeno col boccione di rosso è Cippo, l’artefice del nostro viaggio di nozze. Fatevi organizzare i viaggi dalla gente che è capace di divertirsi, che vengono meglio. Grazie Cippone! (Il giorno dopo si è scoperto che, per tornare a casa, Cippo ha attraversato in macchina un campo di mais).
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Può accadere che ad un certo punto qualcuno decida di issarvi su una seggiola. Se non c’era il papà di Amore del Cuore, però, col cavolo che ci salivo.
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Un assembramento di ovaie selvaggiamente felici. Ve le noleggio, se avete delle amiche un po’ menose.
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Può anche capitare che vostro marito venga sollevato da terra da un uomo che si fa chiamare Andres Diamond. Il medesimo uomo, poi, vi metterà della musica bella.
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La scandalosa avvenenza dei giovani Del Cuore.
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Le incomprensibili scapole appuntite della sposa.
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La torta alla fine era così. In cima ci sono i dinosauri acquistati da MADRE – Devastatrice di Orizzonti – chissà dove. Probabilmente è andata fino in Mongolia a scavarli via dalle pendici di un crepaccio. Lì, nel frattempo, ci siamo noi che accoltelliamo la torta. Più che un taglio è venuta fuori una pugnalata. Perché non sembra, ma non è facile capire come affrontare una torta nuziale. Quale sarà la consistenza? A che altezza bisogna intervenire? Che faccia c’è da fare? Un casino. I petali erano lì di default. Non avevo idea che avremmo avuto dei petali.
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Tiè, torta. Noi ci abbiamo provato. E adesso che ci pensino dei professionisti.
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In realtà facciamo così anche a casa. Ogni volta che apriamo una bottiglia la alziamo al cielo ed esultiamo.
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La torta era un po’ storta, secondo me. L’importante, però, è ridersela.
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Quel topo morto che ho lì davanti è il papillon di Amore del Cuore. Non mi ricordo perché fosse lì, ma mi sentivo molto importante. Quella roba bianca e tondeggiante a circa tre metri dal suolo, invece, è il mio bouquet da lancio. Ne avevo inspiegabilmente DUE. Uno per me – che MADRE (Valchiria Fiammeggiante) ha fatto essiccare come una reliquia benedetta di Santa Rita – e uno da scagliare alle le giovani donne in età da marito presenti alla cerimonia. Se vedete una cravatta, là in mezzo, è perché un conto è l’identità di genere e un conto è l’orientamento sessuale.
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E fatevi raccontare com’è andata la festa, perché voi avrete troppi parenti da salutare.

 

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Perbacco, dopo tutto questo tempo chissà che cosa vi aspettavate. Io vorrei comunque ringraziarvi un’altra volta per averci accompagnati in questi mesi di scleri e felicità. Organizzare delle Matrimoniadi è un po’ come mandare della gente su Marte, ma con qualcuno che ha voglia di riderci un po’ su insieme a te si fa molto meglio.
Grazie, insomma. Qua ci si ama sempre molto.

 

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A Venezia c’ero stata con MADRE e il mio papà quando avevo 7 anni. Visto che, come tutti i bambini regolamentari, la mia statura si aggirava attorno al metro e quaranta, di Venezia mi erano rimasti ben impressi solo i culoni degli altri turisti, un casino di scale e il Ponte di Rialto. E un ciondolo bellissimo che mi aveva comprato MADRE. Era un sacchettino di vetro con dentro un pesce rosso… che, per carità, va bene, ma è un po’ poco: c’è gente che scrive libri su Venezia da secoli, e nella mia memoria c’erano soltanto dei culi, dei sandali brutti e MADRE che si scandalizza per il prezzo dei giri in gondola. Avevo anche il marsupio, adesso che mi ci fate pensare.
Quando mi hanno chiesto se volevo andare a Venezia per la giornatona Bombay Sapphire – che se avete voglia c’è anche un post, allora, mi sono subito emozionata molto. Finalmente ci tornerò, da grande! E ho anche tutti questi consigli su dove andare a mangiare delle cose nei posti frequentati da AUTOCTONI-col-Pedigree che mi ha scritto @martinaemme, dedicandomi ore della sua vita. E solo perché è una persona gentile! E niente, sono partita con grande gioia. Il Carnevale! L’acqua! Un giorno di ferie! Assassin’s Creed!

Solo che io non ho il senso dell’orientamento.
E le folle oceaniche un po’ mi agitano.
E mi sentivo un po’ in colpa a vedere tutta quella bellezza senza potermi girare e dire delle cose ad Amore del Cuore.

Ma poi ho trovato il modo di prenderla bene.
Volevo andare alla famigerata libreria Acqua Alta – libri usati, umidità devastante e gatti da tutte le parti – ma non ci sono mai arrivata. Secondo le mappe di Google era da qualche parte lungo il muro di cinta dell’Ospedale, quello a picco sulla laguna. Tutti palombari, i frequentatori della libreria Acqua Alta. Una persona perbene ci sarebbe arrivata, però, con o senza indicazioni fuorvianti e 3G che funziona a intermittenza. Io no, sembravo un cincillà gigante che fa la spesa al supermercato. Ad un certo punto, un anziano cittadino – visibilmente impietosito – mi ha pure aiutata a capire vagamente dov’ero, ma poi s’è accorto che manco lui si ricordava più tanto bene dove abitava e mi ha abbandonata, farfugliando qualcosa sulla distribuzione dei numeri civici veneziani. I numeri civici veneziani sono esagerati e messi giù a caso. 5436, 2344, 1798. Che è. L’anziano cittadino mi ha detto che lì le cose funzionano diversamente: non c’è la strada coi suoi numeri che cominciano dall’1 e arrivano dove devono arrivare. Lì sono progressivi, per “quartiere”, tipo. Io mi sono immaginata Casanova con un jetpack che sorvola la città tirando i bussolotti della tombola sui tetti, gridando OSTREGHETTA di tanto in tanto. E niente, mi sono rassegnata. Visto che non sarei mai stata capace di raggiungere una meta qualsiasi, ho cominciato ad andare dove mi portavano i piedi e tante care gondole a tutti. Trattandosi di Venezia, è stato un successo.

Ma vi mostro le diapositive commentate delle ferie, che facciamo prima. È un misto del primo giorno (è per quello che il pranzo è così sfarzoso) e del secondo giorno (è per quello che non c’è roba da mangiare… ero così atterrita dalla possibilità di perdermi per sempre che mi sono scordata di alimentarmi. C’era il sole, però).

Ho scoperto che Venezia è una città interamente composta da scorci memorabili. Giri un angolo e c’è sempre qualcosa che cade a pezzi con una grazia struggente. Cammini, ti guardi attorno e non ti spieghi come sia possibile che esista un posto del genere. Non ci sono nemmeno i negozi che vendono cibo. I veneziani vivono di intonaco fradicio, probabilmente. Mangiano le persiane. Hanno le radici aeree.

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I fabbricanti di costumi sfarzosi mi hanno fatto venire in mente che, con la mia corporatura, ho proprio scelto il secolo sbagliato per nascere. Diciamo basta agli hipsterici vestitini rettangolari, io voglio un corsetto che sembra una Viennetta.

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Questa calle è una tappa obbligata per ogni turista disorientato. Dopo averla invocata ad ogni svolta sbagliata, ad ogni ponte che non è dove te lo immaginavi, ad ogni incomprensibile deviazione, la Madonna appare a modo suo.

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Per fare questa foto ho tagliato la gola a undici cinesi (tutti con il gilet da pesca, quello con tantissime tasche), sei romani che pensavano che il ponte fosse il loro e quattro ragazzine che avevano riciclato i costumi di Halloween. I gondolieri, nel frattempo, sembrano in coda al casello.

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Uno ormai associa i cigni a Natalie Portman che danza sulle punte con un tutù di Rodarte.  Poi ti ritrovi a passeggio lungo un ameno canale e ti imbatti in una persona di 120 chili vestita da cigno, con tanto di scarpetta-zampetta e piume. Dalla foto non si capisce bene, ma la gonna bianca (diametro metri 3) era tempestata di cignetti neonati. E il cigno-copricapo sfiorava le finestre delle abitazioni del primo piano.
I veneziani che vanno in maschera devono avere delle case molto grandi. Un costume del genere ha bisogno di un armadio solo per lui, non può convivere con gli altri indumenti, è troppo grosso, troppo piumato, troppo voluminoso. Veneziani in maschera, come diavolo li riponete i vostri costumi?

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Pausa-pranzo

Quello che posso dirvi è che non è lontano da Piazza San Marco. Ma è meglio se provate ad arrivarci da soli. Ristorante Al Covo, l’unico posto al mondo dove ti portano uno sgabellino imbottito dove appoggiare la borsetta e continuano a ripeterti di stare attenta ai gradini perché c’è chi è cascato in terra rischiando seriamente la vita. Dislivelli letali a parte, c’erano numerose porcellanine adorabili e ho mangiato delle bontà. Visto che nessuno si vergognava di fare le foto al cibo, è stato tutto rigorosamente documentato. La polpa di granchio dentro a un vero guscio di granchio placcato in argento, però, non ho fatto in tempo a immortalarla perché era troppo buona ed è scomparsa all’istante.

tegamini baccalà al covo veneziaL’Unesco dovrebbe proteggere il baccalà mantecato con ogni mezzo.

Questo qua non è un Gesù in croce ma è una coda di rospo. Ogni volta che pulisco un pesce mi viene in mente che ho delle mani d’oro e che dovevo fare il cardiochirurgo.

Questo qua, invece, è uno di quei gloriosi tortini con il cioccolato caldo dentro. Poi ci hanno anche portato gli sgonfiottini zuccherosi di carnevale, che erano ancora più buoni e magicamente leggeri. Ho cercato di calcolare quanti sgonfiottini sarebbero serviti per riempire una stanza, ma ho fallito. E ne ho inghiottiti altri tre, per sentirmi meno inadeguata.

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Guai a te se ormeggi. Ti percuoteranno a colpi di remo, ma di taglio.
Cioè, non è manco un cartello: è un blocco di granito con un’iscrizione viabilistica… per delle imbarcazioni che non esistono in nessun altro posto al mondo. Ci dovevano scolpire sopra un divieto di sosta, col cerchio sbarrato. E delle pietruzze colorate per il rosso e il blu. Basta, Venezia è una città assolutamente strabiliante e inverosimile.

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Una volpe rossa che truffa una signora, ipnotizzandola coi merletti.

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canale tegamini supersegreto

Per fare questa foto ho rischiato di annegare. C’era un vicolino piccolino, con in fondo un portone bellissimo e tutta questa magica luce coi riflessini da piscina. E andiamoci a vedere. Il vicolino finiva nell’acqua, in questo canale silenziosissimo e proprio meraviglioso. Non c’era un’anima, e io volevo vedere bene di qua e di là. Solo che avevo paura a sporgermi, visto che non c’era niente a cui attaccarsi. Allora mi sono appiattita al muro come una bavosa di scoglio e ho allungato un braccio e ho fatto una foto tutta storta, perché anche il resto del mondo doveva scoprire che esiste un posto del genere. Non rende la magia della LOCHESCION, ma ancora non deambulo sull’acqua.

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L’uomo-pavone in pausa sigaretta. Perché anche le maschere si affaticano e sudano sotto al primo sole di primavera.
…è anche vero che te la sei andata a cercare, uomo-pavone.

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Comuni cittadini che vanno in giro sulla loro barchetta, superando senza fare una piega anche gli angoli più disagevoli. Bisognerebbe tornare a Venezia per vedere come funzionano le scuole guida. Ci sono solo quelle che distribuiscono patenti nautiche? E se uno vuole guidare una macchina vera dove va? A Mestre? Le donne veneziane le prendono in giro perché non sanno ormeggiare, o anche lì esistono le battutone sul parcheggio?

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Ma giustamente. E spero che abbiano già pensato a una qualche forma di convenzione turistica: compra un’ampolla di vetro di Murano e usala per berci dentro uno spritz all’enoteca, col 50% di sconto.

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Intanto che siamo in tema affissioni, vorrei anche segnalare la bellicosa presenza degli stencil, dei posteroni e degli appiccichini di Venezia Land. Da quel che ho capito, è un movimento-streetartistico di DENUNZIA contro il degrado prodotto dal turismo becero e incontrollato. Venezia non è un Luna Park! Per dirlo (e accrescere grandemente l’avvenenza della laguna), tempesteremo i palazzi di ciccione in pantaloncini!

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I gondolieri sono molto vanitosi. Alcuni cantano anche. E fanno il limbo per passare sotto ai ponti più bassi.

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E qua ci sono io con un tricorno in testa. Per attenuare la sensazione di smarrimento e labirintite, mista a nostalgia per Amore del Cuore e mal di piedi, ho acquistato un tricorno fatto a mano da un vero artigiano/mascheraio veneziano. Si sa, i tricorni fanno bene all’anima. E si sa anche che smarrirsi con in testa un tricorno è comunque meglio che smarrirsi a capo scoperto. Erano anni che volevo un tricorno. Chiederò al futuro istruttore di equitazione se posso usare il tricorno invece del cap. Non che il cap sia brutto o inutile, chiaro, ma ci vuole anche un po’ di senso del teatro. “Guarda il lampo che laggiù attraversa il cielo blu”, quelle robe lì. Pirati, pugnali, nobiltà e rondate sui cornicioni. E la missione dei prossimi mesi sarà trasformare il tricorno in un copricapo accettabile per l’uso quotidiano in una città come Milano.
Tié.

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E adesso sono rimasta fregata. Perché la foto più bella l’ho usata all’inizio. E tutte quelle che ho di Piazza San Marco sono piene di gente che mi smanaccia nell’inquadratura. O di bambini seduti su sgabellini pericolanti che si fanno impiastricciare la faccia da scoordinatissimi truccatori di strada. Poltiglie di coriandoli da tutte le parti. Momenti di acutissima misantropia e sciabordio di onde. Nonostante il delirio carnevalesco e i vaporetti con la gente abbarbicata alle ringhiere, però, sono molto contenta che esista Venezia. Mi sono smarrita in ogni modo possibile, ho fatto tantissime scale e mi sentivo un po’ sola, ma quel che avevo attorno – chissà dove, poi – era sempre una specie di meraviglia fluttuante. Venezia è proprio la città degli stuporoni… e ci voglio tornare con qualcuno che amo. E che non si perde.

Non saprò far fare i salti ai sassi sul pelo dell’acqua, ma sono bravissima ad andare in giro.
C’è della gente che torna da qualsiasi tipo di esperienza gitesca con bagagli pieni di traumi, polemiche, recriminazioni e rimpianti… ma io no, zampetto felice mangiando ghiaccioli fotonici e mi guardo ben bene dal lamentarmi, anche se non mi porto mai i vestiti che davvero servirebbero e le giornate finiscono nel disagio della cecità, con le lenti a contatto croccanti e piene di polvere.
Ma chi se ne importa, vagare è un talento, c’è da essere capaci e ci vuole tutta un’indole.
Visto però che vantarsi a vanvera è poco elegante, vi delizierò con roba di lago ed edificanti prove fotografiche. Anche perchè va di moda guardare le figure, in questo periodo.

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Questo è l’asino Ugo. L’asino Ugo è dipendente dalle carotine e vive in un recinto un po’ in salita con un altro asino – dal nome fru–fru e impossibile da memorizzare – e un’asina gravida, larga come lo stato del Maine. Ugo è molto ospitale, anche se frequentemente frainteso: se decidete di avvicinarvi al suo recinto, Ugo vi darà il benvenuto con cinque minuti di rantoli e ragliate. Una cosa strana a vedersi, oltre che spiacevole per le orecchie. Perchè noi non ci si pensa, ma l’asino ci mette l’anima quando deve ragliare. C’è tutta un fase di riscaldamento, respiri profondi e nitriti casuali, prima che arrivi il celeberrimo I-OOOH-I-OOOH. Sarà sempre utile, dunque, avvicinarsi al recinto di Ugo in compagnia del coraggioso Amore del Cuore, perchè un’asino che raglia fa paura. E di sicuro non si capisce se stia ragliando perchè è contento o perchè si prepara a sferrare un combo-attacco calcio in faccia/morsi alle mani.

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Può capitare che animali che vivono in recinti limitrofi decidano di farsi fotografare nella medesima posa da teenager. Nel caso della capretta, l’adolescente è anche vicino al satanismo amatoriale.

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Perchè i turbo-ciliegi d’incredibile beltà non ci sono solo in Giappone. E quella montagna là dietro, che non so come si chiama ma è comunque illuminata benissimo dalla luce tramontina, non sarà il monte Fuji, ma fa comunque la sua figura.
Come variante del ciliegio sbruffone abbiamo anche il ciliegio sbruffone con piccola luna. E siamo subito tutti fotografi.

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Amici. Stimati lettori. Compagni di mille battaglie. Questo qua seduto è Amore del Cuore. Per cortesia, che qualcuno si commuova.

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Idee bizzarre, inopportune ed esteticamente orribili che ti vengono prima di dormire.

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L’applique di vimini è la nuova frontiera del design. Hai un’orrenda lampada a risparmio energetico – quelle che fanno davvero luce solo dopo trenta minuti e comunque emanano quello sgradevole bagliore freddo, da neon di macelleria di periferia – e vuoi renderla più amichevole e temperata senza ricorrere ad ingenti investimenti? Schiaffaci su un cestino di vimini, l’interior-design ti sorriderà!

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“Ciao, sono una persona su un cioppo di legno”.

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“Ciao, sono una persona incredibilmente allegra che fluttua via dalla limitante staticità dell’imbronciato cioppo di legno”.
E sì, le mie scarpe son fatte di filettini di salmone.

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Questo posto bucolicissimo e stipato di incredibili cibarie è la trattoria Robustello. Ci si arriva solo dopo dialoghi viabilistici di questo tenore:

TOMMASO: Buongiorno signore! Senta, l’agriturismo Robustello… è qua vicino?
ANZIANO SU SEGGIOLA DI PAGLIA: Sì.
TOMMASO: Ma… da che parte?
ANZIANO SU SEGGIOLA DI PAGLIA:  Su di là, poi a destra. Dovete guadare il torrente.
TOMMASO: …con la macchina?!

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Non si capisce niente, ma sono tortelli di castagne con sugo funghettoso, sommersi di formaggio grattato e copiose erbette sconosciute.

Questi altri cosi qua sono crostini e verdure grigliate con mirabili bocconcini di cervo. I bocconcini di cervo sono pezzi di cervo avvolti in un qualche tipo di salume obeso e croccante.

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E basta, mi sono divertita tanto.
Che c’è, è un post casuale… non ci sarà nessun tipo di sconvolgente rivelazione conclusiva. Asini, capre, fiorellini e lampade a cestino, che vi aspettavate?

Anche la meno immaginativa delle persone riuscirà a farsi venire in mente almeno un migliaio di cose più allegre di quest’edicola. Un pozzo senza fondo è più allegro dell’Edicola Allegra. I manichini di Zara che somigliano a Hitler sono più allegri dell’Edicola Allegra. Ma pure una torbiera falciata dal maestrale o un gatto con tredici chili di petardi legati alla coda.  Soffitte infestate da spettri e tarantole grosse come palette. Mucche zoppe che allattano vitellini orbi. Intossicazioni da muffa e parrucchini spazzati via dal vento. Sacchetti dell’aspirapolvere che scoppiano e cordate di alpinisti che precipitano giù per un crinale ghiacciato. Lo schiocco di una tibia che si spezza. Una capra legata a un palo in mezzo a una pianura deserta. La sabbia negli occhi. Un’epidemia virulentissima che sbarca sul continente coi ratti di una nave. I cani che escono dal veterinario con quell’imbuto parabolico al collo. I piedi tutti attorcigliati delle vecchiette coi capelli blu. Il singhiozzo perenne. Gambe ingessate e morbillo, in contemporanea. Il Natale quando si odia il Natale. Insomma, a questo mondo tutto è più allegro dell’Edicola Allegra. E anche un bel po’ più sincero.