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fine settimana

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Che cosa abbiamo amato di Lisbona? Parecchie cose. Siamo arrivati giovedì sera e siamo ripartiti domenica verso l’ora di pranzo. Qua c’è molto di quello che è successo in mezzo e che ci ricorderemo volentieri. È una guida alla tentacolare storia della città e contiene OGNI ATTRAZIONE POSSIBILE E OGNI PUNTO D’INTERESSE MAI MAPPATO? No, ma è un affettuoso e rilassatissimo diario di bordo… e spero possa tornare utile per i giretti altrui.


Dove abbiamo dormito?
Il prode Cuore ha prenotato al Ferraria XVI. Pare un set di John Wick? Un po’ sì.
La posizione è estremamente comoda per partire in esplorazione verso i quattro punti cardinali. Se vi piace fare “vita d’albergo” – AKA spaparanzarvi nella hall, bere qualcosa al bar, usufruire di un ristorante interno, oziare in un giardino… – evitate questa sistemazione perché non ha un bar, non ha un ristorante, non ha un giardino. C’è una sala al -1 che ospita le colazioni (ottime, per altro), ma non esistono altri spazi comuni dove sentirvi cittadine/cittadini del mondo. Se siete invece in cerca di un hotel centrale in cui ronfare e lavarvi per poi vagare (preferibilmente a piedi), va benone. La nostra stanza era esattamente questa:


COSE DA VEDERE

Temo che la nostra adesione alla Lista Obbligatoria Delle Attrazioni Turistiche sia stata scarsa. Siamo partiti con l’intento di vagare spensierati e abbiamo vagato spensierati. Lisbona si presta e produce scorci generosi, facciate piastrellate e porticine variopinte. Sedersi ad ammirare il panorama da un miradouro pare faccia parte della vita urbana e noi ci siamo adattati molto volentieri, anche perché ogni punto panoramico è ben attrezzato per rifocillarvi e fornire un sottofondo costante di bravi musicisti girovaghi. Bisogna un po’ abituarsi all’invasione dei tuk-tuk più che disposti a evitare ai turisti le salite più scoscese, ma sono talmente assurdi a livello di “styling” che si tende ad appassionarsi pure a quelli.

Monastero di S. Vicente de Fora
La struttura principale risale al 1100, ma il complesso ha poi assunto una forma più vicina a quella attuale a partire dal 1600 – suppergiù -, tripudio di azulejos compreso. Si possono visitare la chiesa – che credo abbia uno degli absidi con baldacchino più tetri della storia -, il magnifico chiostro e le cappelle che ospitano i regnanti di Portogallo e i notabili della chiesa, più la mostra del tesoro e della ceramica decorata con le fiabe di La Fontaine (così, perché no). Salite assolutamente fino in cima perché il tetto vi offrirà una vista splendida. Biglietto? 5€. Onestissimo.

Miradouros
Il plurale si farà così? Il portoghese per me è impenetrabile.
Comunque, i belvedere più ameni che abbiamo raggiunto – bevendo qualcosa seduti come delle persone civili che volevano ripigliarsi dalla salita: miradouro de São Pedro de Alcântara e miradouro de Santa Luzia (Alfama).

Chiesa di São Roque
San Rocco, per gli amici. Da fuori è una chiesa dimessissima, ma dentro è un tripudio di ori barocchi – che rispondono a diverse stratificazioni temporali – e una quantità quasi allarmante di cranietti di putti.

Lx Factory | R. Rodrigues de Faria 103
Un po’ fuori mano rispetto al centrissimo – che associo a Chiado, Baixa e Barrio Alto – ma luogo matto al punto giusto da meritare un viaggino su uno scooter in sharing. La Lx Factory è un’ex area industriale “riqualificata” che ospita ora una miriade di ristoranti, locali, negozi e spazi pubblici destinati a musica, creatività e arte. Noi ci siamo andati perché volevamo fare un giro alla libreria Ler Devagar e siamo rimasti piacevolmente sorpresi anche dal resto. Data la densità di posticini, può convenire anche pianificarci un pranzo o una cena dopo esservi guardati un po’ attorno. C’è gioventù allegra.


LIBRERIE

Visto che ho già estratto dal cilindro Ler Devagar piazzo qua i cenni editoriali, pur riconoscendo che entrare in una libreria senza essere in grado di leggere la lingua del 98% dei testi esposti è una delle grandi frustrazioni della vita. Prendiamolo però come un esercizio, come un’esplorazione del mercato estero, come un’analisi visivo-compositiva del gusto grafico portoghese, come pellegrinaggio e felicità.

Ler Devagar
Ospitata in uno degli ambienti della Lx Factory, Ler Devagar raccoglie il testimone di una tipografia dismessa – con rotativa ancora piazzata al secondo piano… +9000 Punti Steampunk – e si schiera con vigore fra le Librerie Instagram del mondo grazie alla ciclista di cartone (?) che pedala sospesa a mezz’aria e alle immani pareti scaffalate – +2838 Punti Scenografia. Non so quanto la vivano bene, perché qua e là ci sono cartelli scritti col pennarello grosso che vietano categoricamente di incasinare i libri a scopi fotografici.
Bonus track: un signore delizioso che allestisce micro-narrazioni con le marionette per uno spettatore alla volta – è difficile da spiegare, ma è lui.

Livraria Bertrand | R. Garrett 73
Il Guinness World Records riconosce alla Bertrand il primato di libreria più antica del mondo ancora in attività. Ha aperto i battenti nel 1732 ed è stata un punto di riferimento prezioso per pensatori, scrittori e intellettuali di ogni latitudine – i grandi autori portoghesi, da Pessoa a Saramago, sono abbondantemente omaggiati e celebrati in numerosi angolini a tema. Gli antichi fasti mi son sembrati un cicinin appannati, ma resta un pezzo di storia del libro.
[Noi ci siamo passati di sabato e nella viuzza adiacente c’era un mercatino d’antiquariato editoriale e stampe artistiche. Non so se sia un appuntamento fisso, ma lo segnalo comunque].

Livraria Sá Da Costa | R. Garrett 100
A cinque passi dalla Bertrand e cinquemila volte più fascinosa, la libreria Sá Da Costa è una specie di folle antro del libro usato. Ci troverete anche oggetti insoliti di ogni tipo, dai ninnoli preziosi alle antichità. Curiosate, impolveratevi, meravigliatevene.

Livraria Da Travessa | R. da Escola Politécnica 46
Il mio genere di libreria. Tante proposte eclettiche, illustrati, libri d’arte, un calendario di eventi che pare fitto – ma che per forza di cose non abbiamo collaudato – e numerosi spunti che solleticano la curiosità o incoraggiano la scoperta.


MANGIARE & BERE

Príncipe do Calhariz | Calçada do Combro 28
Abbiamo esordito con una trattoria di pochissime pretese e discreto valore folkloristico – concetto che qua a Milano sembriamo aver riassunto con la locuzione “POSTO SINCERO”. In questo specifico Posto Sincero dovete mettere piede solo se vi appassiona la roba grigliata e tollerate bene l’aglio, altrimenti passate proprio sull’altro marciapiede perché l’aglio appare anche dove sarebbe difficile immaginarlo e con la buccina bianca che fodera gli spicchi ci producono le tovaglie. Pare carta, ma forse è aglio. Nonostante l’aglio – o grazie all’aglio – abbiamo mangiato bene, tantissimo e spendendo una somma relativamente risibile. La fetta di carne con sopra un uovo al tegamino è, inspiegabilmente, una specialità locale… e funziona. Sul menu è stampato a caratteri cubitali che non si può pagare col POS ma se vi presentate alla cassa con la carta in mano vi dicono che il POS quel giorno lì non sta funzionando, ma domani dovrebbe arrivare un tecnico per ripararlo. Servizio mendace ma gentilissimo. Insomma, ci siamo anche divertiti perché il surreale ci intrattiene sempre. O forse eravamo sfatti noi per il viaggio e per aver ingerito con entusiasmo un litro di rosso della casa. Chi può dirlo.

Ramiro | Av. Alm. Reis 1 H
Mi sento di corroborare il consiglio ricevuto dal tassista che ci ha portato dall’aeroporto all’albergo – tratta che si fa in una ventina di minuti e pagando QUINDICI EURO (tariffa diurna). Andate assolutamente da Ramiro! Andate da Ramiro! E noi ci siamo andati. Bisogna capire come funziona. Arrivi, un signore ti consegna un numerino come alle poste e ti ordina di attendere in una sala d’aspetto altrettanto postale, solo che c’è un distributore automatico di birre alla spina e la gente è fondamentalmente serena. Uno schermo segnala a chi tocca sedersi – o torna il signore a sbraitare i numeri – e si accede finalmente alla sala. I tavoli sono lunghi e vi piazzano dove c’è spazio con grande efficienza e spirito di ottimizzazione. Si mangiano crostacei. Niente primi, niente “pesce”, quasi zero contorni, CROSTACEI. Vi verrà dato un martello ma nessuno vi spiegherà come usarlo quindi siate prudenti – e mettete un tovagliolo sul crostaceo che volete martellare per evitare di proiettare polpe e gusci in ogni direzione. Buonissimo. Servizio sollecito e ridanciano. Prezzi che riassumerei con “a Milano una roba del genere la pagavamo il triplo”. Bravo tassista.

A Brasileira | R. Garrett 122
Caffè storico di Lisbona che fa del suo meglio per conservare l’antico spirito, tra una comitiva di americani che chiedono cappuccini e l’altra. Fondato nel 1905 e frequentatissimo da Pessoa – che ci andava così poco che lì fuori c’è addirittura una statua che lo ritrae seduto al tavolino -, nasce come spaccio di spezie, farine, tè e ovviamente caffè 100% made in Brasile. Ora ci si può mangiare, bere qualcosa o gustare dolcetti notevoli. Noi ci siamo fermati per fagocitare pastel de nata e sorseggiare porto. Non so se e quanto l’abbinamento possa risultare disdicevole, ma noi eravamo contenti.


SPENDERE DEI SOLDI

D’Aquino | Rua da Fonte 20B
In vacanza tendo a comprare cappelli che poi non so come gestire quando riprendo l’aereo MA IO LI COMPRO LO STESSO. Prima di arrampicarmi verso S. Vicente mi son fermata da D’Aquino e ho trovato il panama perfetto, scampando un’insolazione quasi certa.

A vida portuguesa | Rua Anchieta 11
Noi abbiamo visitato il negozio del quartiere Chiado, ma ne trovate altri in giro per la città. Sono “contenitori” di prodotti portoghesi di ogni genere, dal cibo gourmet alla carta da lettere, dalle coperte fatte a mano ai saponi. Atmosfera da bottega d’altri tempi e miniera di curiosità – perfetto anche per scovare regalini, se siete belle persone che tornano dai viaggi coi regalini.

Burel | Rua Serpa Pinto 15 > 17
Un brand di cose di lana. La materia prima arriva da pecore gagliarde allevate in Portogallo e tutto viene realizzato localmente. C’è una selezione di abbigliamento coloratissimo – accessori compresi – e uno spin-off nel negozio vicino dedicato ai tessili per la casa e al mobilio. Mi sono ripromessa di ordinare cuscini e copertine soffici, mentre Cuore ha deciso di dare un senso alla valigia mezza vuota che ho imbarcato comprandosi seduta stante un giubbotto assai variopinto.

Cerâmicas Na Linha | Rua Capelo 16
Che vogliate sbavare sulle collezioni ortaggiomorfe di Bordallo Pinheiro o su rivisitazioni moderne degli azulejos, senza scordarci di ottimo vasellame/piattame dipinto a mano, qui la selezione è nutrita e notevole, senza patacconate per turisti.

Bernardo Atelier Lisboa | R. Dom Pedro V 74
Un altro contenitore di brand indipendenti – non necessariamente autoctoni -, articoli per doni pazzi, accessori per esseri umani e per abitazioni, con una sezione anche per bambini. Delizioso.

EmbaiXada | Praça do Príncipe Real 26
Dunque, è una galleria commerciale popolata da brand emergenti e/o di “ricerca” ospitata dal palazzo Ribeiro da Cunha, un complesso neo-moresco estremamente suggestivo e recuperato per far posto a un corner o a un negozio diverso in ogni stanza. Ci troverete scarpe, gioielli, moda, arte e artigianato e si può anche mangiare – se vi piace la carne c’è Atalho (che ha anche uno splendido giardino esterno) – o bere un gin tonic nel bar specializzatissimo in gin.


Dovrei aver finito.
Cuori per Lisbona e per chi deve ancora andarci. 🙂

 

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Tra i numerosi dilemmi esistenziali che m’affliggono – tipo, i coltelli in lavastoviglie si mettono di punta o di manico? -, sto cominciando a domandarmi che cosa devo fare per non rovinarmi regolarmente i weekend. Il fine settimana, in teoria, dovrebbe essere un momento di gioia, pace, felicità e relax. Un momento che, da che mondo è mondo, dovrebbe riservarti piacevolezze a non finire, ricompensandoti gloriosamente dei patimenti accumulati durante la settimana lavorativa. Il weekend ti rigenera, ti intrattiene, ti permette di fare tutto quello che rimandi da secoli e ti riconcilia con l’immane meraviglia del creato. Il weekend, in sintesi, è il BENE.
E invece.
Partendo da queste solide premesse, l’umanità riversa sui weekend aspettative del tutto sproporzionate. L’amara verità, cari tutti, è che il weekend ci fa diventare insensatamente ambiziosi. Facciamo un esperimento. Come dovrebbe essere il mio weekend ideale? Mettiamo che si resta in città e non si fanno escursioni, scampagnate o robe che richiedono più un’ora di viaggio – ma così, tanto per semplificare questo straordinario progetto d’astrazione.
Benissimo.
A me piacerebbe svegliarmi il sabato mattina e godermi una bella colazione. Vorrei svegliarmi con calma, ma non troppo. Toh, alle 10. Vorrei infilarmi rapidamente una tuta di ciniglia rosa, scendere da Gattullo e comprare un cabaret di pasticcini da mangiarmi a letto con mio marito. Vorrei anche una tazza di caffè e una spremuta d’arancia ipervitaminica. Ma una spremuta di arance vere, fatta con lo spremiagrumi. Successivamente, mi garberebbe leggere l’inserto del Corriere della Sera dedicato ai libri e alla CULTURA e innaffiare i vegetali che ho sul balcone, sfoggiando la magnifica vestaglia vintage che ho rubato a mia MADRE. Al che, mi garberebbe uscire a fare la piega. E pure la manicure – ma non dalle cinesi. Corroborata dalla splendente sicurezza che solo dei capelli fantastici possono conferirti, ADOREREI pranzare in compagnia di un bel libro e di una gigantesca insalata col pollo grigliato e le olive taggiasche. In una piazzetta. Con la gente che vaga in bici e i cagnolini carini. Dopo una gradevole passeggiata per negozi, potrei incontrarmi con Amore del Cuore in qualche posto che non abbiamo mai visitato – che ne so, una di quelle ville strane che ai milanesi piacciono tanto… o uno di quei mercatini disperatamente bizzarri, pieni zeppi di tacconate stupende – per proseguire il pomeriggio all’insegna del sapere, dell’arte, dell’erudizione e della beltà. Di ritorno a casa, potrei accomodarmi sul divano per scrivere due paginette ed, eventualmente, schiacciare un rapido pisolino prima degli impegni serali. Al che, vestita come una principessa preraffaelita e truccata in maniera impeccabile, sarei pronta ad affrontare la cena, in compagnia delle persone che al mondo mi sono più care. Se proprio me la sento un sacco, potrei addirittura andare al Plastic. Coi tacchi.
E del sabato ci siamo brillantemente occupati.
La domenica, dopo un sonno ristoratore – ricco di piacevoli visioni oniriche, tipo una cometa fatta di cuccioli bianchi -, vorrei fare una torta e usare la tovaglia di pizzo che mi ha regalato mia suocera. Ma anche solo per me e Amore del Cuore. Dopo aver sistemato il letto e riordinato con rapidità ed efficienza i tre stracci che possiedo, sarei finalmente pronta a dedicarmi con produttività e scoppiettanti energie alla stesura di post geniali per il mio blog – post che, visto che sono una persona molto organizzata e previdente, SCHEDULEREI con saggezza, spalmandoli su tutta la settimana – e alla prosecuzione delle robe casuali che m’è venuto in mente di scrivere, nella speranza che l’intero pianeta, un giorno, abbia voglia di leggerle. Coccole al gatto. Fare l’amore. Giocare a tennis. Appendere quadri. Vasca da bagno. Scrub. Crema idratante. Pelle magnifica. Ordinare una pizza. Film sotto la copertina. Puntare la sveglia con rinnovato ottimismo.

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Non è un programma stupendo? Non piacerebbe pure a voi? Non vi sentite già pieni d’entusiasmo e voglia di vivere?
Macché.
Tipicamente, una buona metà del mio weekend se ne va in ronfate di recupero. L’altra metà, invece, scompare in un vortice di rimorsi. Ogni santa settimana, infatti, immagino di poter usare il weekend per rivoluzionare la mia vita. Architetto attività, spulcio eventi interessanti, studio itinerari, mi appiccico cento post-it nell’agenda, faccio liste di progetti domestici e post da sfornare. Certo, prevedo anche dei momenti-pisolino. Anzi, a volte contemplo la possibilità di dormire e basta come una conquista strabiliante e meritatissima. Solo che, quando mi accascio su divano alle tre del pomeriggio, non sprigiono alcun genere di felicità. Intorno a me, infatti, ci sono persone che montano mobili, che attraversano laghi, che visitano parchi naturali, che vanno all’opera e stappano bottiglie di SCIAMPA per festeggiare la tanto agognata conclusione di progetti personali più o meno rilevanti per le sorti del cosmo. Tutto si muove, si trasforma e scoppietta. E io ho solo un gran mal di testa. Ma di quelli da due Moment Act in un colpo solo, accompagnati da una solerte Macina del Mulino Bianco, da un bicchiere d’acqua e dagli incoraggiamenti di Amore del Cuore. Mentre mi sotterro in un mucchio di cuscini e faccio pace col mio cranio, però, mi rendo anche conto che la mia settimana è stata fitta e avvincente e che, alla fin fine, mi merito un po’ di pace. Che sarà mai. Stai tranquilla cinque minuti. Ancora un’oretta di coccole. Le coccole ci piacciono. Le coccole sono la gioia. È dall’alba di lunedì che t’immagini delle sessioni di coccole di mezza giornata. E il cinema, e l’evento, e gli amici a cena, e la festa del tacchino ripieno, e il post da finire, e la traduzione da chiudere, e le mail che ho lasciato indietro, e la presentazione della nuova linea di caffettiere glitterate, e l’HAPPY HOUR con la lezione di ikebana. Mille cose. Perennemente – e fortunatamente, anche. La consapevolezza, quindi, di avere il “diritto” di ripigliarmi un attimo – nonostante sia una roba assolutamente razionale e legittima – mi fa imbestialire ancora di più. Mi sembra sempre di non avere davvero il controllo del tempo. Perché, quando finalmente posso usare il mio tempo come mi pare, io m’addormento come un sacco di cemento.
Parliamone, ve ne prego.
Voi che andate ogni santa domenica a scalare i monti. Voi che v’alzate all’alba per andare a pescare gli storioni. Voi che perlustrate con gioia ogni centimetro quadrato di Maison Du Monde. Voi che soccorrete gatti randagi e frequentate corsi accelerati di sartoria. Voi che andate a cavallo, che fate l’uncinetto, che visitate outlet, città d’arte, parchi di divertimenti e sagre di provincia. Voi che finite quattro libri o cucinate cene da otto portate. Voi che, per hobby, visitate appartamenti da acquistare – anche se non avete i soldi. Voi che tollerate Corso Vittorio Emanuele. Voi che non trascorrete i vostri sabati con un mollettone in testa, ma svolazzate spensierati sui ciottoli di Brera. Spiegatemi come si fa. Rivelatemi da dove v’arriva tutta questa energia. Raccontatemi com’è che convincete i vostri piedi a varcare l’uscio di casa. Istruitemi. Rendetemi partecipe dei vostri vittoriosi weekend. Trasformatemi in una creatura produttiva. Fatemi riconciliare, una volta per tutte, con gli unici due giorni miei.