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Siamo collettivamente programmati per considerare la California un posto degno di essere sognato. Pochi altri luoghi hanno goduto di una fama altrettanto dorata e hanno saputo capitalizzarla, rendendo spesso possibili ascese sfolgoranti e grandi fortune, più o meno basate sull’innovazione tecnologica. Se ci mettiamo i paesaggioni e la costante influenza sulla cultura globale – dal cinema alla musica – dovremmo aver dipinto un quadro più che idilliaco. Chi non vorrebbe vivere in un posto dove c’è ricchezza, occupazione, fermento e inventiva? Università strabilianti, terreno fertile per far germogliare le proprie idee, la promessa continua del progresso e del benessere? Insomma, chi non vorrebbe vivere in California, sembra domandarci il fin qui incoraggiante curriculum dello stato? I californiani, a quanto pare.

Da che mondo è mondo, la gente si sposta per migliorare le proprie condizioni di vita. Le motivazioni possono essere innumerevoli, ma l’ambizione di base è grossolanamente riassumibile in questo modo. Perché mai, dunque, un posto che sembra avere ogni carta in regola per garantire radiosi futuri sta perdendo “popolazione”, invece di guadagnarne come regolarmente è sempre accaduto?
Francesco Costa prova a rispondere, un pezzettino alla volta, a questa domanda complicata in California – in libreria per Mondadori. Perché sì, per quanto controintuitivo possa risultare, qualcosa si è spezzato e i costi della vita californiana stanno cominciando a sovrastare le opportunità, superando anche la dicotomia tra città e centri più piccoli. Tutto tende all’impraticabile, allo sproporzionato, al dispendioso.

Dalle radici profonde di una crisi immobiliare che sta raggiungendo vette surreali all’emergenza umanitaria (mi pare la definizione più accurata) dei senzatetto, dal costo esorbitante della vita all’incubo del traffico, Costa assembla un puzzle pieno di linee di frattura e tesserine bruciacchiate dal fuoco dei frequentissimi incendi. Il paradosso più grande sta forse nella politica che, nel professarsi estremamente virtuosa, “woke” – come viene bollata con insofferenza – e iper vigile e accogliente in fatto di diritti civili, diversity ed equità, non sembra di fatto avere gli strumenti per affrontare una realtà conflittualissima, iniqua e impari. La California pare un posto dove il privilegio estremo viene riconosciuto a parole – sovente di autodenuncia, perché segnalare sempre la propria rettitudine è fondamentale – ma dove è difficile innescare un cambiamento che non sia soltanto cosmetico. Perché restare, si chiedono molti “nuovi” californiani, in un simile ginepraio di potenziali passi falsi e oggettive asperità pratiche? Perché rinunciare a un presente più “semplice” – anche se magari meno glorioso, per certi standard da SE VUOI PUOI – in nome di una promessa che pare sempre più remota o alla portata ci chi partiva già in vantaggio?
Vedremo come si mette? Vedremo come si mette. O al massimo raccoglieremo firme per l’ennesima petizione in difesa di uno status quo che non conviene quasi più a nessuno.

Nonostante la mia scarsa sistematicità e con la matematica certezza d’aver di sicuro scordato entità valentissime, ecco qua una piccola lista di suggerimenti per i vostri regali di Natale. Sono tutti brand medio-piccolini che ho avuto la fortuna di incrociare e collaudare. No, non mi han chiesto loro di finire qua ma ce li sto mettendo con gioia perché ho speso volentieri i miei soldi dalle loro parti o, col mestiere che faccio, ho utilizzato altrettanto volentieri un regalo – finendo molto spesso per diventare una cliente affezionata. Insomma, spero troverete qualcosa in grado di risolvere eventuali dilemmi doniferi… di materiale mi pare ce ne sia. :3

E la lista dei libri per Natale? Arriva. Giuro.
Per ora, felici regali con questo elencone. 🙂


GIZZI

Berretti e accessori sferruzzati a mano su ordinazione. Tutto in lana merino super sofficiona – si può scegliere l’effettiva cicciosità del filo, oltre al colore da una campionatura di ragguardevole ampiezza – o in cotone organico, per i mesi meno rigidi.
Dove? Qua.

 


TIMIDESSEN feat. WOOD’D

Timidessen è un progetto artistico-disfattista che rivista il patrimonio condiviso di iconografia di marca – dai loghi ai prodotti di più larga diffusione – per raccontare lo scoramento contemporaneo. Fa molto ridere… ma fa anche molto riflettere. :3
Timidessen ha già uno shop “suo” – potete trovarci stampe, tazze, t-shirt, poster… – e pure un libro. Di recente, però, ha fatto squadra con Wood’d per sfornare una piccola collezione di accessori per lo smartphone, dalle cover ai porta Air Pods.
Dove? Qua.


EX LIBRIS ROOM

Bibliofile e bibliofili dall’indole un po’ desueta, gli ex libris vivono e lottano con noi. Clara De Lorenzi, graphic designer e illustratrice, ha in questi anni molto contribuito alla causa, disegnandone di bellissimi e costruendo timbri immuni dalle sbavature e magnificamente scenografici. Si possono ordinare quelli “già pronti” o farsene inventare uno personalizzato, sia per soggetto che per lettering.
Dove? Qua.


TATA BORELLO

Bijoux assemblati estrosamente a mano impiegando tonnellate di pietre variopinte e cristalli sbarluccicanti. Sono solidi, fanno una gran scena e si possono stratificare in mille combinazioni. Troverete collane, anelli, orecchini e bracciali declinati in diverse collezioni di frequente aggiornamento e grande creatività.
Dove? Qua.


WILDEN.HERBALS

Tisane, infusi, cibarie e tutto il necessario per godervi una bevanda alla temperatura che preferite. Mi sono sgarganellata tazzoni su tazzoni e, oltre all’innegabile bontà, adoro l’approccio “mirato”: ogni mix erbaceo risponde a uno scopo – darsi una svegliata, riposare meglio, smaltire l’hangover… Trovate tutto sfuso, in bustine e a sacchettate, che fare scorta è sempre utile.
Dove? Ecco.


SAYPAPER

Una mastodontica cartoleria virtuale pronta a soddisfare ogni vostra brama. La selezione è accurata e varia e, oltre ai prodotti “classici”, troverete anche giochi di carta, cornici “alternative”, set pazzeschi da ufficio, carta da lettere e tutto il necessario per scrivere, disegnare e organizzarvi. È proprio un posto felice.
Dove? Qui!


BRILLOCCHY

Un archivio di gioielli vintage pazientemente scovati tra mercatini e antiquari. Sono tutti in oro e pietre preziose – pezzi unici, per forza di cose – e vi arrivano in uno scatolino in velluto rosa degli anni Settanta. Sono esemplari preziosi, ma ogni drop contiene un buon assortimento di prezzi. Un progetto splendido.
Dove? ECCOLY.


SCUPPOZ

Liquori! Amari! Spiriti! Date una qualsiasi radice ritorta a Scuppoz e ci tireranno fuori qualcosa di ottimo da bere. Io devo dichiararmi particolarmente fan della Ratafià, ma non c’è ricetta della tradizione abruzzese che non venga presidiata con onore e sapiente gestione degli ingredienti. Cheers!
Dove? Qui.


SPATÙ DESIGN

La mia fissazione per le ceramichine plasmate e dipinte a mano si esaurirà mai? Spero di no. Uno degli arrivi più recenti sul mio scaffale delle bellezze è uno dei musini fogliolosi di Spatù. Troverete vasi, bricchi, ciotoline, tazze e molta tenerezza.
Dove? Ecco.


LATTE The Label

Intimo minimal ad alto tasso di comodità. Due colori – bianco e nero -, un numero funzionale ma fortunatamente non sconfinato di modelli, tutto prodotto oculatamente in Italia in piccole quantità. Materiale? Fibra di bamboo – confortevole e morbidissima, resiste con inflessibile ardore anche ai miei lavaggi sconsiderati. Mi sto mettendo praticamente solo questi? Sì.
Dove? Qua!


COUCOU SUZETTE

Un piccolo brand francese specializzato in kitsch allegro e accessori strampalati. Troverete calze matte, mollettoni di ogni possibile forma – da quelli geometrici alle papere, dai tulipani ai bulbi oculari – e un assortimento di spillette, gioielli e oggettistica.
Dove? Et voilà!


JIMMY LION

Materiali degnissimi, ottima fattura e ricerca iconografica a dir poco peculiare. Menzione d’onore per i pack tematici e per le capsule cinematografico-pop: calzini di Ritorno al futuro, di Jurassic World e con l’artwork delle locandine di Hitchcock… insomma, vi imbatterete in un vasto orizzonte immaginifico-tessile.
Dove? Qua.


ICCIO

Il laboratorio orafo di Beatrice Pagani è un piccolo scrigno di meraviglie. Pietre dure, coralli, metalli nobili e perle si incontrano in ghirlande di fragoline, pendenti inaspettati e forme perfette. Molti pezzi si possono personalizzare e tutto viene realizzato a mano con certosina maestria.
Dove? Ecco qua.


ADOTTA UNO SCARTO

Che succede quando una storica azienda vicentina di marmi incontra un brillante studio d’architettura? Si trovano nuovi modi per ridare vita agli scarti di lavorazione, tutto quel materiale che quando si taglia una lastra resta “escluso” dal prodotto finale. Che farne? Oggetti di design versatili, pensati per potersi combinare fra loro in una miriade di potenziali geometrie e concepiti con una particolare attenzione alla funzionalità. Dal travertino romano al bardiglio nuvolato – che già è bello da dire, BARDIGLIO NUVOLATO, figuriamoci da vedere -, un magnifico progetto di recupero creativo.
Dove? Qui.


THE GIN WAY

Subscription-box? Eccoci. Uno dei doni credo più riusciti che mi sia mai venuto in mente di escogitare per Cuore: l’abbonamento al gin. Ogni mese vi arriverà uno scatolo con una bottiglia selezionata di produzione italiana (e dimensioni regolamentari, mica le mignon), toniche e bevande per mettere insieme un cocktail, un oggetto “da bar” per assistervi nella preparazione, una ricetta, un magazine e delle cibarie da sgranocchiare.
Dove? Qua.


STUDIO SARTA

Borse fatte a mano a Palermo con materiali d’alta qualità e un felice gusto per la rielaborazione di forme e “componenti” antichi – come la rafia dei secchiellini Pablo. Colori neutri, linee semplici ma di grande impatto e numerose potenzialità per il sereno abbinamento con tutto quello che vi pare.
Dove? Eccoci.


ATELIER HABIBI

Tessuti wax (spesso pezzi unici, rari e non “ripetibili”) provenienti da un archivio personale cresciuto negli anni e confezionati artigianalmente per creare accessori, abbigliamento facile da portare e home decor. Ogni stoffa racconta una storia e risponde a una simbologia ricchissima.
Dove? Qui!


MISSION BAMBINI

Che vi vada di donare una prelibatezza o di fare rifornimento di bigliettini d’auguri, date un occhio alle festose proposte di Mission Bambini. I regali solidali faranno felice un fortunato destinatario ma contribuiranno anche alle attività della Fondazione – come forse già saprete, qua si sostiene con veemenza il progetto Cuore di Bimbi.
Dove? Ecco qua. 

 

Dalla gestione domestica all’organizzazione della famiglia, dai compiti di “cura” alle operazioni basilari e ripetitive che garantiscono il buon funzionamento di una casa, con Ho scritto questo libro invece di divorziare (Feltrinelli) Annalisa Monfreda si interroga sulle corrispondenze generi-ruoli e sugli automatismi che tradizionalmente condizionano il nostro abitare la coppia, la famiglia, il mondo del lavoro e la dimensione collettiva.
Quale imperativo biologico dovrebbe rendermi più qualificata del mio partner a caricare la lavastoviglie?
In base a quali costrutti stratificati ci sono compiti “da donna” e incombenze “da uomo”?
Perché i “ti aiuto, basta che mi dici cosa devo fare” è una trappola, per quanto forse mossa da buone intenzioni?
Quali strutture di potere diamo per buone senza renderci conto dei confini che ci impongono?

Tra fonti autorevoli e cronache di scleri condivisibili, Monfreda esplora le radici del carico mentale – e delle disparità lampanti ma mascherate che il concettone nasconde – per provare a immaginare una prospettiva che affianchi alla basilare idea di ribilanciamento degli sforzi anche una comprensione meno “meccanica” delle fatiche.
Il perno continua ad essere la scelta, secondo me. Si può scegliere se ci sono alternative. Si può scegliere se esiste un margine di manovra e se resta energia da convogliare in una determinata direzione. Si può scegliere quando ci si rende conto che l’orizzonte dovrebbe essere comune – e raggiungibile da entrambe le parti in causa. Una riflessione sincera, utile, liberatoria e pragmatica che sarebbe bello non leggessimo soltanto noi… WINK-WINK.

[Bonus-track: Bastava chiedere di Emma, il fumetto che ha recentemente rianimato il dibattito sul carico mentale.]

 

Ebbene, anche oggi è una giornata magnifica per desiderare delle cose!
Procediamo con baldanza.

Mi sono recentemente resa conto di essere piena di buste, bustine e bustone che dovrebbero aiutarmi a tenere in ordine le borse, contenendo di volta in volta insiemi di oggetti di varia utilità quotidiana. Le mie borse, nonostante questo nobile sforzo classificatorio, restano però un casino e, invece di frugare una volta sola nelle vaste profondità della borsa principale finisco per frugare anche in tutte le bustine, non trovando comunque una mazza. Basta, mi sono rotta i coglioni di frugare. Voglio solo bustine trasparenti. Su Sticker Stack – sito specializzato in cancelleria asiatica (e in tutto quel vasto mondo che può circondare il termine CANCELLERIA) – ce ne sono diverse. Hanno un’aria superbamente funzionale e alcune sono addirittura carine.

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PBteen – sito che per motivi anagrafici non dovrei visitare, lo ben so – ha lanciato da poco una bellissima collezione di aggeggiame domestico disegnata da Anna Sui. È un tripudio di farfalle, cassettiere goticheggianti, specchi arzigogolati e pavoni. E c’è anche un cuscino con un unicorno sciantosissimo.

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Un sabato sono andata a lavorare alla libreria Open – perché sì, capita di lavorare al sabato – e, mentre andavo a sedermi al tavolone dei volenterosi COWORKERS, ho individuato una pregevole scatolina di Parole orrende magnetiche. Da ciaone ad apericena, nulla deve sfuggire all’odio. Sfogatevi sul frigo.

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Mi sto convertendo alle borse a tracolla. Se devi spingere un passeggino o maneggiare un infante sono decisamente più comode. Vado graziosamente in giro con roba che penzola nell’incavo del gomito solo quando sono in solitaria, ormai. E ci sta, ci si riadatta. E la cosa positiva è che puoi dichiarare di aver bisogno di borse nuove offrendo solidissime motivazioni. I miei entusiasmi più recenti si stanno riversando sulle tracolle tondeggianti di ban.do. C’è anche rosa.

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Odio le pagine Facebook con le robe che “fanno ridere”. Ma i Dinosauri Onesti sono la vita. E ho scoperto che ci sono anche le magliette. Le vorrei tutte – come rinunciare a SI SA CHE IL NUOTO È LO SPORT PIÙ COMPLETO – ma, per deformazione professionale, credo che sarebbe bello cominciare da questa.

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Il ritorno dalle vacanze è anche un po’ il ritorno alle nostre solite facce di pietra. Non so voi, ma io divento grigia appena rimetto piede in casa mia. Come una lapide in un cimitero bretone. Visto che amo moltissimo gli scrub e le acquette spruzzette di Caudalie (FANNO EFFETTIVAMENTE QUALCOSA) vorrei provare anche il Fluido Pelle Perfetta della linea Vinoperfect, che promette di resuscitare pure i sassi. Basterà? Spero di scoprirlo presto.

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Sul fronte lettura, invece, vorrei mettere le mani il prima possibile sul nuovo romanzo di Peppe Fiore – da me già molto apprezzato qualche tempo fa, quando uscì Nessuno è indispensabile. Dimenticare mi pare un po’ diverso, come toni – un cupo mistero, una storia di solitudine e di ricordi che riaffiorano per chiedere il conto -, ma sono molto fiduciosa. E curiosona.

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Ho salutato Amore del Cuore, prima di partire, con un sincero “Ti invidio tantissimo”. Stavo per affrontare una settimana al mare in compagnia dei miei genitori – esseri umani con cui non abito più dal 2009 – e di un sempre più irruento Minicuore – creaturona con cui, invece, abito moltissimo da 10 mesi -, mentre Amore del Cuore sarebbe rimasto a Milano per i fatti suoi. Sette giorni SETTE di perfetta solitudine. Giorni lavorativi, va bene, ma pur sempre giorni completamente privi di pannolini, pastine, piantini e passeggini.
“Ti invidio tantissimo”, dunque.
Ma anche “Cosa credi, la vera vacanza te la fai a Milano quando non ci siamo”.
“Ma no, non è vero. Mi mancherete. Tornerò a casa e non ci sarà nessuno”.
“MA MEGLIO PER TE, AMORE DEL CUORE”.
Tralasciando queste nostre divergenze prospettiche sul tema dell’alienazione e delle gioie domestiche, comunque, ho lasciato ad Amore del Cuore un collaudo da sbrigare. Un’incombenza veramente gravosa. Un fardello quasi intollerabile. Un peso sconfinato. Una menata apocalittica.
Insomma, mentre MADRE mi ordinava di stendere fuori le salviette ogni volta che mi asciugavo le mani – perché altrimenti in bagno c’è umidità e si ammuffisce tutto -, Amore del Cuore ha fatto del suo meglio per obbedire a un semplice imperativo: goditi una serata estiva. A casa tua. In pace. Trovi tutto nella scatola. Fai quello che ti pare.

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Mentre io e i valorosi nonni percorrevamo per la quindicesima volta il lungomare di Loano (garrula località del savonese) spingendo un euforico Minicuore tra palme, gelaterie, gabbiani, anziani col deambulatore e maldestri mimi di strada, Amore del Cuore faceva del suo meglio per mettere a frutto le sconfinate potenzialità di un kit di intrattenimento domestico in grado di capirlo davvero. I Navigli sono pieni di gente sudata che fa l’aperitivo in una di quelle mangiatoie con le frittatine molli e i tramezzini umidicci? Lascia perdere. Cucinati qualcosa di decente, scandaglia Netflix e goditi il wi-fi in una corroborante nuvola di Autan.
“Mi mancherete tanto”.
Ma figuriamoci.

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Foto di Amore del Cuore, che intendeva dimostrarmi tutto il suo impegno.

Lo scopo dell’operazione affidata al mio consorte, comunque, non era prettamente culinario… anche se devo dire che si è decisamente applicato molto. L’idea di base era di collaudare il Fritz WLAN Repeateruno scatolino in grado di amplificare il segnale wi-fi domestico, rendendo la rete fruibile – in tutta la sua potenza – anche negli angoli più remoti della casa.
Ora, noi non abitiamo in un maniero e nemmeno possediamo dieci ettari di giardino, ma il wi-fi non circola con la medesima baldanza da tutte le parti. In salotto siamo messi bene, ma in camera – dove io, teoricamente, avrei il mio “studio” – va col freno a mano. Idem per la stanza da letto e per il bagnettino limitrofo – e che te ne fai del wi-fi in bagno? Presto lo scopriremo. Mi domando come facciano quelli che abitano in posti tipo il castello della Bestia – LUMIÉRE! PERCHÉ NELL’ALA OVEST NON RIESCO A NAVIGARE? Padrone, l’incantesimo che ci ha maledetti genera drammatiche interferenze, porti pazienza e faccia in modo di trovare l’amore, invece di prendersela con un candelabro. -, ma ho poi compreso che, in effetti, ci sono arguti stratagemmi in grado di sostenerci.
Amore del Cuore, in casa nostra, è senza dubbio il più fervente cultore del bagno nella vasca. Non vede l’ora di tornare a casa in motorino sotto a un temporale devastante per potersi concedere una corroborante mezz’ora di ammollo – “Ho preso freddo, mi faccio un bagnetto”. Di solito legge, quando si ritira nella vasca. Un po’ perché ha già buttato il cellulare nell’acqua e non vuole più correre rischi e un po’ perché col cellulare ci farebbe poco, visto che nel bagnetto il wi-fi è storpio. MA ORA NON PIÙ, a quanto pare.
“Amore del Cuore, sono contenta che tu abbia mangiato bene, ma l’aggeggio l’hai provato? Lo devi fare, è importante. Dobbiamo dire se funziona”.
“Sono in bagno. Adesso metto l’iPad sulla seggiola, attacco il coso e finisco di guardare Netflix”.
Ed è andata così. Dalle frammentarie informazioni ricevute da un uomo nudo che riempie una vasca da bagno ho potuto apprendere che il Fritz funziona in maniera assolutamente elementare – potete piazzarlo dove vi pare, basta che ci sia una presa. Per attivarlo e associarlo alla rete di casa vostra bisogna schiacciare un bottone, punto e stop. Non ci sono fili, mostruosità, ponti intergalattici da costruire e, in generale, l’arnese ha un aspetto poco invasivo e assai lineare. Ci sono delle lucette in grado di comunicarvi la solidità del segnale e, per farla breve, Amore del Cuore è finalmente riuscito a godersi un bagno guardando quello che gli piace. Perché diciamocelo, ci sono cose che su Netflix si guardano insieme e cose che, invece, preferiamo coltivare in solitudine. Amore del Cuore, ad esempio, in mia assenza mangia l’amatriciana (perché non sono fan né degli spaghetti né dei sughi prevalentemente a base di pomodoro CHE VI DEVO DIRE DENUNCIATEMI) e guarda i documentari sulla seconda guerra mondiale.
Ma non possiamo certo farci liquidare così, Amore del Cuore.
Ecco, dunque, la lista dei suoi preferiti.

– Better Call Saul
– Designated Survivor
– Limtless (ebbene sì, c’è anche una serie)
– Master of None
– The Propaganda Game
– Going Clear
– Auschwitz: nascita, storia e segreti di un incubo (ma si può?)
– Missione Anthropoid (questo non so come sia, ma se il tema vi appassiona vi consiglio di leggere HhHH)
– E, teniamoci forte, una pietra miliare che è riuscito a descrivermi solo così: “Hitler in Argentina o una roba del genere”

Mi piacerebbe molto mostrarvi il Fritz che garrisce spavaldo dalla presa del bagno di casa mia, ma non dispongo di documentazione fotografica.
“Amore del Cuore, le foto della cena sono utilissime e saresti un favoloso food-blogger… ma lo scatolino l’hai fotografato?”.
“Ah, quello no. Ma serviva?”.
“…”.
Tutto questo, ovviamente, mi è stato comunicato quando era già in autostrada.

Gli saremo mancati davvero? Chissà. Ma sono certa che il prossimo autunno sarà un tripudio di gite nella vasca da bagno. Il bisogno di relax – sostenuto da una solida rete domestica – non conosce stagioni, dopotutto.
Grazie, Amore del Cuore. E ben arrivato al mare, anche se fotografi solo piatti di pasta.

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Vorrei essere immune al sogno della “casa-Pinterest”, ma la mia esistenza è un susseguirsi di fallimenti. Qualche anno fa mi sarei accontentata di avere la lavastoviglie. Ora, invece, sono diventata ambiziosa. Faccio incorniciare i quadri. Ho due stendini. Ho dei vasi con dentro delle piante non completamente decomposte. Possiedo almeno tre tovaglie diverse e un mollettone. Usare il mollettone è un rito di passaggio. Usare il mollettone ti trasforma automaticamente in una persona che ci tiene a casa sua. Visto che, in realtà, mi vergogno moltissimo di tutti questi incomprensibili afflati domestici, cerco di auto-sabotarmi con una certa regolarità. Mi rifiuto di imparare a stirare, semino il disordine, butto i calzini in lavatrice senza spallottolarli e dedico scaffali interi della libreria numero tre a dinosauri di plastica, tazze con i dinosauri, dinosauri di legno, artigli di dinosauro, libri pop-up con i dinosauri. Il colpo d’occhio è agghiacciante e io mi sento al sicuro da me stessa. Non so, però, quanto durerà. Perché – grazie al diabolico potere di Instagram, ormai ancor più temibile di Pinterest – ho scoperto che esiste un brand londinese che produce ogni genere di assurdità… con un’execution straordinaria. Perché il problema è quello, alla fine della fiera. Vorrei una casa piena di unicorni, ma i pupazzi che si trovano in giro fanno regolarmente schifo. Vorrei una lampada a forma di aragosta, ma so benissimo di non potermi aspettare un capolavoro del design. Ebbene, Silken Favours (qui il sitone/shoppone e qui il profilo Instagram che vi strapperà l’anima) riesce a coniugare l’immaginario francamente improponibile che popola la mia multiforme fantasia con la capacità di sfornare oggetti indiscutibilmente belli. Tanto per cominciare, usano solo seta. Vuoi un cuscino a forma d’ananas? Vuoi un cuscino a forma di cavolfiore? Vuoi un cuscino a forma di Grumpy Cat? Che problema c’è. Il disegno lo sappiamo fare. E il cuscino lo foderiamo di seta al 100%. Che cosa potrebbe mai andare storto? Niente di niente, diamine.
Teniamoci per mano e sbaviamo copiosamente.

E niente.
Divani pieni di animalini – un po’ mitologici e un po’ no. FÚLAR tempestati di gattini, corgi, coniglietti e puffin. Top ricoperti di piccolissimi cactus. Silken Favours mi capisce. Sopravvaluta le mie possibilità economiche, ma mi capisce. Seppellitemi sotto a una montagna di setosi melograni. E tanti auguri di buon Natale.

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Per seguire al meglio il glorioso Tegaminario dell’Avvento – e continuare a soccombere sotto il peso della bellezza delle altrui case di design -, ora c’è anche un versatile e funzionalissimo board Pinterest

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Tra i numerosi dilemmi esistenziali che m’affliggono – tipo, i coltelli in lavastoviglie si mettono di punta o di manico? -, sto cominciando a domandarmi che cosa devo fare per non rovinarmi regolarmente i weekend. Il fine settimana, in teoria, dovrebbe essere un momento di gioia, pace, felicità e relax. Un momento che, da che mondo è mondo, dovrebbe riservarti piacevolezze a non finire, ricompensandoti gloriosamente dei patimenti accumulati durante la settimana lavorativa. Il weekend ti rigenera, ti intrattiene, ti permette di fare tutto quello che rimandi da secoli e ti riconcilia con l’immane meraviglia del creato. Il weekend, in sintesi, è il BENE.
E invece.
Partendo da queste solide premesse, l’umanità riversa sui weekend aspettative del tutto sproporzionate. L’amara verità, cari tutti, è che il weekend ci fa diventare insensatamente ambiziosi. Facciamo un esperimento. Come dovrebbe essere il mio weekend ideale? Mettiamo che si resta in città e non si fanno escursioni, scampagnate o robe che richiedono più un’ora di viaggio – ma così, tanto per semplificare questo straordinario progetto d’astrazione.
Benissimo.
A me piacerebbe svegliarmi il sabato mattina e godermi una bella colazione. Vorrei svegliarmi con calma, ma non troppo. Toh, alle 10. Vorrei infilarmi rapidamente una tuta di ciniglia rosa, scendere da Gattullo e comprare un cabaret di pasticcini da mangiarmi a letto con mio marito. Vorrei anche una tazza di caffè e una spremuta d’arancia ipervitaminica. Ma una spremuta di arance vere, fatta con lo spremiagrumi. Successivamente, mi garberebbe leggere l’inserto del Corriere della Sera dedicato ai libri e alla CULTURA e innaffiare i vegetali che ho sul balcone, sfoggiando la magnifica vestaglia vintage che ho rubato a mia MADRE. Al che, mi garberebbe uscire a fare la piega. E pure la manicure – ma non dalle cinesi. Corroborata dalla splendente sicurezza che solo dei capelli fantastici possono conferirti, ADOREREI pranzare in compagnia di un bel libro e di una gigantesca insalata col pollo grigliato e le olive taggiasche. In una piazzetta. Con la gente che vaga in bici e i cagnolini carini. Dopo una gradevole passeggiata per negozi, potrei incontrarmi con Amore del Cuore in qualche posto che non abbiamo mai visitato – che ne so, una di quelle ville strane che ai milanesi piacciono tanto… o uno di quei mercatini disperatamente bizzarri, pieni zeppi di tacconate stupende – per proseguire il pomeriggio all’insegna del sapere, dell’arte, dell’erudizione e della beltà. Di ritorno a casa, potrei accomodarmi sul divano per scrivere due paginette ed, eventualmente, schiacciare un rapido pisolino prima degli impegni serali. Al che, vestita come una principessa preraffaelita e truccata in maniera impeccabile, sarei pronta ad affrontare la cena, in compagnia delle persone che al mondo mi sono più care. Se proprio me la sento un sacco, potrei addirittura andare al Plastic. Coi tacchi.
E del sabato ci siamo brillantemente occupati.
La domenica, dopo un sonno ristoratore – ricco di piacevoli visioni oniriche, tipo una cometa fatta di cuccioli bianchi -, vorrei fare una torta e usare la tovaglia di pizzo che mi ha regalato mia suocera. Ma anche solo per me e Amore del Cuore. Dopo aver sistemato il letto e riordinato con rapidità ed efficienza i tre stracci che possiedo, sarei finalmente pronta a dedicarmi con produttività e scoppiettanti energie alla stesura di post geniali per il mio blog – post che, visto che sono una persona molto organizzata e previdente, SCHEDULEREI con saggezza, spalmandoli su tutta la settimana – e alla prosecuzione delle robe casuali che m’è venuto in mente di scrivere, nella speranza che l’intero pianeta, un giorno, abbia voglia di leggerle. Coccole al gatto. Fare l’amore. Giocare a tennis. Appendere quadri. Vasca da bagno. Scrub. Crema idratante. Pelle magnifica. Ordinare una pizza. Film sotto la copertina. Puntare la sveglia con rinnovato ottimismo.

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Non è un programma stupendo? Non piacerebbe pure a voi? Non vi sentite già pieni d’entusiasmo e voglia di vivere?
Macché.
Tipicamente, una buona metà del mio weekend se ne va in ronfate di recupero. L’altra metà, invece, scompare in un vortice di rimorsi. Ogni santa settimana, infatti, immagino di poter usare il weekend per rivoluzionare la mia vita. Architetto attività, spulcio eventi interessanti, studio itinerari, mi appiccico cento post-it nell’agenda, faccio liste di progetti domestici e post da sfornare. Certo, prevedo anche dei momenti-pisolino. Anzi, a volte contemplo la possibilità di dormire e basta come una conquista strabiliante e meritatissima. Solo che, quando mi accascio su divano alle tre del pomeriggio, non sprigiono alcun genere di felicità. Intorno a me, infatti, ci sono persone che montano mobili, che attraversano laghi, che visitano parchi naturali, che vanno all’opera e stappano bottiglie di SCIAMPA per festeggiare la tanto agognata conclusione di progetti personali più o meno rilevanti per le sorti del cosmo. Tutto si muove, si trasforma e scoppietta. E io ho solo un gran mal di testa. Ma di quelli da due Moment Act in un colpo solo, accompagnati da una solerte Macina del Mulino Bianco, da un bicchiere d’acqua e dagli incoraggiamenti di Amore del Cuore. Mentre mi sotterro in un mucchio di cuscini e faccio pace col mio cranio, però, mi rendo anche conto che la mia settimana è stata fitta e avvincente e che, alla fin fine, mi merito un po’ di pace. Che sarà mai. Stai tranquilla cinque minuti. Ancora un’oretta di coccole. Le coccole ci piacciono. Le coccole sono la gioia. È dall’alba di lunedì che t’immagini delle sessioni di coccole di mezza giornata. E il cinema, e l’evento, e gli amici a cena, e la festa del tacchino ripieno, e il post da finire, e la traduzione da chiudere, e le mail che ho lasciato indietro, e la presentazione della nuova linea di caffettiere glitterate, e l’HAPPY HOUR con la lezione di ikebana. Mille cose. Perennemente – e fortunatamente, anche. La consapevolezza, quindi, di avere il “diritto” di ripigliarmi un attimo – nonostante sia una roba assolutamente razionale e legittima – mi fa imbestialire ancora di più. Mi sembra sempre di non avere davvero il controllo del tempo. Perché, quando finalmente posso usare il mio tempo come mi pare, io m’addormento come un sacco di cemento.
Parliamone, ve ne prego.
Voi che andate ogni santa domenica a scalare i monti. Voi che v’alzate all’alba per andare a pescare gli storioni. Voi che perlustrate con gioia ogni centimetro quadrato di Maison Du Monde. Voi che soccorrete gatti randagi e frequentate corsi accelerati di sartoria. Voi che andate a cavallo, che fate l’uncinetto, che visitate outlet, città d’arte, parchi di divertimenti e sagre di provincia. Voi che finite quattro libri o cucinate cene da otto portate. Voi che, per hobby, visitate appartamenti da acquistare – anche se non avete i soldi. Voi che tollerate Corso Vittorio Emanuele. Voi che non trascorrete i vostri sabati con un mollettone in testa, ma svolazzate spensierati sui ciottoli di Brera. Spiegatemi come si fa. Rivelatemi da dove v’arriva tutta questa energia. Raccontatemi com’è che convincete i vostri piedi a varcare l’uscio di casa. Istruitemi. Rendetemi partecipe dei vostri vittoriosi weekend. Trasformatemi in una creatura produttiva. Fatemi riconciliare, una volta per tutte, con gli unici due giorni miei.

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Dunque. Siete andati a vivere da soli, finalmente. Ed è tutto bellissimo. Mangiate tonno in scatola cinque giorni a settimana (ricavando le vitamine necessarie al vostro sostentamento dal pomodoro che c’è sulle molteplici pizze che ingurgitate nel weekend insieme ai vostri amichetti), sperate che non vi caschi un bottone perché non ve lo sapete riattaccare e tornate a casa quando vi pare, senza dover fronteggiare vostra madre che, alle quattro e cinquanta del mattino, vi aspetta in camicia da notte al tavolo della cucina. Con una falce in mano.

Ma che cos’è che voglio dire.

I giovani virgulti che si levano dai piedi, tipicamente, sono costretti a lasciare a casa buona parte dei libri con cui sono cresciuti. In certi casi è meglio così. Spesso, però, è un gran peccato. Ma che ci volete fare. Col vostro stipendio vi potete permettere uno sgabuzzino per le scope, che libri volete portarvi. Pace, andrete all’Ikea, comprerete una di quelle mini-librerie da 22 euro e 90 e la ficcherete nell’unico angolo libero. E ci metterete i libri nuovi, quelli che vi accompagneranno trionfalmente in questa fase super avventurosa della vostra esistenza. I libri nuovi, dopo qualche mese, cominceranno ad invadere il pavimento. Si ammucchieranno sul comodino. Si impossesseranno di una porzione piuttosto rilevante del tavolo dove consumate frugalmente le vostre Spinacine. Vi sveglierete di notte per fare la pipì e, nonostante iTorcia, ne butterete in terra una pila. Ma sarete contenti, perché tutti quei nuovi libri li avete letti voi. E pazienza se non avete un posto decente dove immagazzinarli. Nel vostro disordine c’è comunque del criterio. Voi lo sapete. E che gli altri si attacchino al tram.

All’improvviso, se vi andrà particolarmente di culo, potreste innamorarvi a tal punto da decidere di traslocare, scegliendo consapevolmente di vivere con un altro essere umano. Una persona importante, la persona che potrebbe stare al vostro fianco per tutta la vita… o almeno così vi sembra. Farete il bucato, per questa persona. Mangerete negli stessi piatti. Vi scambierete fluidi corporei, a più riprese – e con una certa veemenza. Condividerete un bagno, delle lenzuola, la bottiglia d’acqua che sta vicino al letto per quando vi svegliate col mal di gola e non avete voglia di trascinarvi fino in cucina. Con questa persona programmerete delle vacanze, acquisterete un gatto anallergico e addobberete l’albero di Natale. Proprio voi, che immaginavate di invecchiare da sole – in una cantina buia piena di ratti scontrosissimi -, con questa persona riuscirete ad immaginare un futuro. Siete così felici e in pace che non litigate neanche. Vi verrà voglia di preparare delle torte. Maneggerete il terribile contenuto di una borsa del tennis piena di calzini sudati senza fare una piega. Per sbaglio, poi, una sera vi laverete i denti con lo spazzolino del vostro consorte. E, con vostra grande sorpresa, non verrete assaliti dall’irrefrenabile necessità di strapparvi la faccia.
Accadrà tutto questo. E anche qualcosa in più. La vostra gioia sarà così potente da condensarsi in una forma solida, sfaccettata e scintillante, che sventolerete con grande soddisfazione – e una certa tracotanza – in faccia alle vostre amiche. Ma nemmeno dopo aver ricevuto un anello di fidanzamento riuscirete a fare qualcosa di apparentemente semplicissimo. Nemmeno dopo aver tagliato una torta multistrato con sopra due improbabili dinosauri di ceramica riuscirete ad accettare l’idea mostruosa di disperdere e incasinare i vostri libri. Quelli vecchi, quelli nuovi, quelli che ancora dovete leggere. Sono vostri. Vi appartengono. Li avete portati in giro, vi hanno fatto compagnia, ci avete trovato dentro una quantità sterminata di cose. Vi piace girarvi e dire “Insomma, ho letto tutti questi libri. Vuol dire che qualcosa di buono l’ho combinato, alla fin fine”. E vi dispiacerà molto, ma non ce la farete proprio. Alla domanda “Gallina, ma nella casa nuova le possiamo unire le librerie?” risponderete ancora una volta con un risolutissimo NO. Le librerie no. Le librerie non si toccano, non si uniscono, non si ingarbugliano. Zero. Né ora, né mai.

 

Il regno è in festa! Abbiamo la libreria, finalmente! Vittoria! Saltini! Pioggia di cuccioli!

Una foto pubblicata da Francesca Crescentini (@tegamini) in data:

 

 

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Ottone von Testimonial, lo Zoolander del mondo felino.

 

Il sogno di una vita.
Un’utopia che diventa realtà.
Un miracolo.
Un evento di portata interplanetaria.
Giuro, sono commossa. E vorrei anche un po’ piangere. Vorrei piangere tantissimo perché il mio gatto – lo stesso felino che mi ha squartato innumerevoli carichini del telefono, che ha devastato ogni pianta mai entrata in casa, che ha abbattuto alberi di Natale e sfondato vasi di vetro giganti, sconvolgendo la mia esistenza con potentissimi tifoni a base di palle di pelo -, il mio gatto – Ottone von Accidenti, flagello poffoso delle costellazioni – è diventato testimonial Gourmet.

MA VI RENDETE CONTO.

Dopo aver passato quasi tre anni a nutrirlo con considerevoli quantità di Gourmet Perle – avvincente ammasso di proteiniche ciccionate tritate, che lui ama con tutta l’anima (anche più di quanto mai amerà noialtri) -, la Gourmet si è accorta di Ottone von Accidenti. Proprio loro. Quelli che fanno le pubblicità con questi gatti bianchi pettinatissimi, gonfi come nuvole, eleganti ed estremamente garbati. Gatti leggiadri, che non si trascinano i pezzi di tonno in soggiorno e che hanno capito come si usa la porticina per uscire sul balcone. Gatti che sanno leggere in latino e attraversano con la massima serenità immense distese – minate – ricoperte di soprammobili in fine porcellana dipinta a mano. Gatti che suonano l’arpa e declamano versi di Catullo al sorgere del sole. Ottone, al sorgere del sole, ci corre fortissimo sulla pancia, svegliandoci di soprassalto in preda ai terrori più imprevedibili. E pesa sette chili.
Nonostante questi inconvenienti comportamentali – in fondo è ancora un felino adolescente… e temiamo che presto ci chiederà il motorino, oltre al permesso di tatuarsi le gattine nude sul petto -, Ottone è una creatura quasi celestiale. E proprio perché è un irrecuperabile e tenerissimo imbecille. Date le premesse, ho affrontato l’unboxing dello scatolozzo di Gourmet Soup – il nuovo cibino per gatti che ci hanno adorabilmente chiesto di collaudare – con una certa apprensione. E se gli fa schifo? Se si ritrae terrorizzato? E se non dimostra un sufficiente entusiasmo?
Mille paranoie. Per niente.

 

Un luminoso successo. Una voracità senza pari. Mille linguine rosa che guizzano felici. Fortissime miagolate di apprezzamento – volevo trovare il modo di aggiungere dell’audio (una di quelle musichette felici tutte trillose), ma un po’ non sono in grado e un po’ mi spiaceva coprire i versi di Ottone. È come vivere con uno di quei giocattoli che fanno SQUIK quando li schiacci. Solo che lui si schiaccia da solo. Ogni tre minuti. Insomma, Gourmet Soup è Ottone-approved. E, a quanto pare, è in ottima compagnia. Gourmet – ho scoperto – ha una sezione sul sito piena zeppa di gatti che si abbioccano felici dopo aver assaltato una ciotola dei loro mangiarini. Noi, ho già deciso, contribuiremo con questo impagabile ritratto. Ottone von Testimonial, in modalità FOCA MONACA.

 

Ottone von Testimonial paciosamente adagiato – come una foca monaca – in mezzo agli amatissimi #GourmetSoup. Una foto pubblicata da Francesca Crescentini (@tegamini) in data:

 

Perché un gatto a pancia all’aria vale più di mille parole.

Grazie, valorosi produttori di cibo felino. Ci siamo divertiti un sacco, abbiamo imparato come si montano i video – Steven Spielberg, stiamo arrivando – e abbiamo anche scoperto che, quando si tratta di buttarla sulla telegenia, Ottone è molto più efficace di me. Ottone è nato per essere scandalosamente avvenente, adorabile e tondeggiante. Beato lui. E anche buon per me. Con tutti i brodini-mangiarini che c’erano nella scatola, non dovrò più frequentare la corsia del cibo per animali per almeno un mese. Dopo, però, sarò per sempre condannata a tornare a casa con tonnellate di Gourmet Soup. Tonnellate. Montagne. Cordigliere. Continenti.
Per sempre.

 

Ora ho capito perché le pubblicità le fanno coi gatti bianchi. #GourmetSoup

Un video pubblicato da Francesca Crescentini (@tegamini) in data:

 

 

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Una cosa buona dell’essere abitudinari è la faccenda delle economie di apprendimento. Prendi bene le misure, sai già come si fanno le cose, trovi tutto quello che ti serve e veleggi felice nel tuo stagnetto, come una grassa papera contenta. Ci vuole un po’ di tempo, ma una volta che impari sei potenzialmente a posto per l’eternità. Anzi, diventi così efficiente che riesci quasi ad allungare le giornate… e senza Flusso Canalizzatore. Non è proprio che crei delle mezz’ore dal nulla, è più un effetto di ottimizzazione perfetta di risorse scarsissime. Tipo deframmentazione del disco fisso. Magiche finestre che si spalancano tra l’acqua che deve bollire, il libro che vuoi finire di leggere e il gioioso limbo che precede l’arrivo – direttamente sul tuo zerbino – di una quantità francamente imbarazzante di uramaki Tiger Roll. Sono quelli col pesce arrotolato attorno, grossi come dei pulcini. Io riesco a malapena a masticarli, ma sono meravigliosi. Ecco, negli interstizi tra la lavatrice da svuotare, i giochi di prestigio da fare in ufficio e il treno da prendere, sono sempre riuscita a far prosperare parecchi progetti collaterali – Un blog! Disegni! Traduzioni spassose! Capelli da far crescere! – e attività immensamente utili – pagare le bollette dal tabacchino, far divertire il gatto, lavare le tende, spinzettare le sopracciglia, sposare qualcuno.
E quindi?
E quindi è un disastro. Perché un sistema del genere funziona solo se non ti viene mai voglia di cambiare niente. Se non ti accorgi, all’improvviso, che vivi da due anni in una casa da campioni galattici di Tetris.
Francesca, ti ho preso questa bella copertina piena di pon-pon. E ho anche questa teglia qua di panzerotti, che ve li mangiate domenica a pranzo. Tò, la teglia te la metto qua nella borsa frigo… ma la mattonella riportamela, che non ne ho più.
MADRE, ti ringrazio, ma il mio freezer è grosso come un scatola da scarpe. Quella teglia lì non ci entra. E la coperta è meglio se la tieni qua a casa te, che nell’armadio non mi ci sta. Non vedo l’ora che la scienza trovi il modo di liofilizzare i maglioni, così caccio tutto nello sportellino in alto della credenza, che c’è ancora del volume vacante che potremmo sfruttare. Per le mattonelle, invece, non accetterò nessun genere di insinuazione. Io non te le ho prese, le diamine di mattonelle gelate.
Insomma, si può tirare avanti col sistema del supereroe abitudinario se si decide che, in fondo, ci possiamo anche adattare a circostanze che non troviamo ideali. Pazienza, non è proprio tutta questa meraviglia, ma ce lo faremo andar bene. Eh, che sarà mai, si può sopravvivere anche senza un balcone. Non è mica mai morto nessuno, prendendo una capocciata nella putrella del soppalco. Insomma, in ufficio sono sempre lì ed è da qualche secolo che non imparo più niente. Ma sono comunque molto fortunata… cioè, vuoi mettere? Di questi tempi.
Di questi tempi, francamente, c’è anche da rompersi un po’ i coglioni.
C’è anche da pensare che il tempo che ti ritagli per cercare di ricordarti che sei un mammifero curioso, è tempo che passa comunque. E passa mentre rimani nello stesso posto. E sai che non funziona. E ti arrabbi un casino perché – a parte essere contenta nei tuoi angolini – non riesci a farci niente. E’ più economico, sul breve periodo, tenere insieme la struttura. Dipende anche un po’ dal vostro stile. C’è chi si raggomitola – che uno si stanca, a furia di imbestialirsi – e chi annoda lenzuola – sempre tra una lavastoviglie e tre giorni di mail arretrate da leggere. Io ho scoperto di essere una paziente annodatrice di lenzuola. E, finalmente, ho un milione di abitudini da ricostruire. Ho un lavoro nuovo. Ho una casa nuova. Sono sopravvissuta a un trasloco, a uno shock culturale di ragguardevoli proporzioni e a svariate missioni a bordo di un’auto Enjoy. Sappiamo a malapena dove sta il supermercato, gli universitari dell’altro appartamento ci dicono BUONASERA e stiamo scroccando Internet da un wi-fi aperto. Per campare m’è toccato imparare a calcolare l’Engagement Rate, la libreria ci arriva fra un mese, non abbiamo ancora trovato un bar che fa i cocktail a 4 euro, ho il terrore che il portinaio ci prenda in antipatia, devo ancora fare amicizia con tutti, c’è quello di sopra che suona il piano fino alle 2 del mattino e non sappiamo se Ottone imparerà mai a usare la gattaiola… ma abbiamo fatto un passettino in più.
Ci sono disorientanti novità da gestire e milioni di detriti da chiudere in cantina.
Siamo stanchi morti. E sbatto la testa negli sportelli perché appaiono in posti assolutamente inaspettati.
Ci servono delle sedie. Ma è un mese che non vedo una stazione ferroviaria. E in ufficio sono ammessi i cuccioli di cane.
La verità, se proprio vogliamo sintetizzare, è che è tutto un gran casino.
E ci voleva.