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Diciamolo. Gli animali ti guardano è una rubrica bellissima. Anzi, è la rubrica (senza alcun genere di pretesa scientifica) che ha sconvolto il web e la zoologia tutta. Non si sa perché, ma si sta riempiendo di pennuti. Dopo la sconfinata stupidità della sula dai piedi azzurri e la sorprendente espressività del becco a scarpa, oggi ci dedicheremo a una creatura imprevedibile, iraconda e intelligentissima. Parleremo di una bestia che potrebbe sbudellarvi, cavarvi gli occhi e sfondarvi lo sterno in sei secondi netti, lasciandovi orbi ed esanimi sul terreno insanguinato. Oggi narreremo le gesta del casuario, l’unico uccello temuto da Stalin, Boba Fett, Megatron e pure da mia MADRE.

Casuarius casuarius

Il casuario è una bestia in via d’estinzione che abita in Australia – patria di tutti gli animali strambi e potenzialmente letali. Dopo lo struzzo e l’emù, è il terzo uccello più grande del mondo. Le femmine possono arrivare a un metro e ottanta di altezza e sono più voluminose e colorate dei maschi. Grazie al cielo, il casuario non sa volare. Ma è in grado di inghiottire pompelmi interi senza battere ciglio.

casuario mandarino

Oltre alle lacrime dei loro nemici – e ai pompelmi giganti -, i casuari si nutrono di frutta, semi, funghi, invertebrati e piccoli vertebrati. Possono correre a una velocità di cinquanta chilometri orari, sono ottimi nuotatori, saltano come degli ossessi e sono ricoperti di roba affilata. Dove dovrebbero esserci le ali, il casuario ha dei moncherini fatti di scaglie corazzate di cheratina. Sulla testa ha una specie di cresta ossea grossa come una vanga e, sul secondo dito degli zamponi posteriori, un artiglio pugnaliforme lungo cinque centimetri. Data la predisposizione a servirsi in maniera olistica e armoniosa dei suoi numerosi talenti (corsa + salto + astuta malvagità), l’artiglio rende il casuario particolarmente temibile nel combattimento corpo a corpo, disciplina olimpica che l’ha visto più volte salire sul podio – dopo averlo forsennatamente demolito a testate.

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casuario pedate

I casuari sono uccelli estremamente riservati e schivi. I maschi amministrano un territorio di circa sette chilometri quadrati – l’estensione massima di forestina che sono in grado di difendere a zampate -, mentre le femmine (pur prediligendo una precisa area) sono un po’ più mobili. Le femmine di casuario, in realtà, sono avantissimo. Invadono a più riprese i territori dei maschi e li utilizzano come meri toy-boy. Alle femmine di casuario non interessa una fionda secca di tenere in ordine la casa e di preparare i muffin al mirtillo al proprio fidanzato. Dopo essersi accoppiate, le femmine di casuario sganciano le uova – uova BLU, amici, gloriose UOVA BLU – nel nido costruito dal maschio meno pirla del circondario, salutano caramente e se ne vanno – con le Spice Girls in sottofondo.
Stagione degli amori a parte, i casuari restano uccelli solitari, misantropi e scorbutici. Mal tollerano gli sconosciuti e non amano essere avvicinati… specialmente da una truppa di imbecilli armati di rastrello.

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La cosa più bella che so del casuario, comunque, me l’hanno raccontata i miei colleghi al caffè. Lo so, voi bevete il caffè con della gente che vi parla di come si mangia all’Expo, io prendo il caffè con persone splendide, persone che mi spiegano le abitudini del casuario australiano. Cambiate lavoro e non ammorbateci coi vostri problemi – che se volevate mangiare tantissimo e spendere poco dovevate andare alla Bocciofila Caccialanza, mica all’Expo. Comunque, grazie ai miei colleghi, ho scoperto che il casuario è uno dei pochi animali in grado di serbare rancore. Se incontrate un casuario e gli tirate un mango in faccia – o gli dite che il koala è più carino di lui, o gli pestate un uovo, o lo guardate in una maniera che potrebbe non essere di suo gradimento -, il casuario se lo ricorderà. E tramerà vendetta. Anni dopo, quando anche vostro marito avrà dimenticato che, in un’estate particolarmente dissennata, vi siete fatte trombare dal bagnino nella rimessa dei pedalò, il casuario rammenterà che gli avete tirato un mango sul becco e, alla prima occasione utile, vi sventrerà, infierirà sui vostri miserabili resti mortali e getterà il vostro scheletro putrefatto nella bocca ribollente di in un vulcano acceso, nella notte più fosca e tempestosa di ogni tempo. Perché i manghi non si tirano, diamine!
Pensate di cavarvela?
Eh, che sarà mai, il casuario.
Una volta ho acciaccato il porcellino d’India, ma mica mi ha strappato gli occhi. Va bene, il casuario è un po’ più pericoloso, ma quanto vuoi che campi? I criceti stanno al mondo quattro anni. I gatti e i cani, se proprio va bene, schiattano a quindici-diciotto anni. Un casuario quando starà al mondo?
Un casuario, cari tutti, vive cinquant’anni.
E vi seguirà in capo al mondo.
Come il Conte di Montecristo.

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***

Questo adorabile ebook-reportage dovrebbe essere più lungo. Dovrebbe essere più lungo anche solo per darci modo di invidiare Alice Avallone in maniera ancor più estensiva e virulenta. Perché non so voi, ma io una ragazza che saluta tutti e parte per l’Australia al solo scopo di cullare dei koala non posso che apprezzarla. Tre mesi in una riserva naturale a tirare polpette di topo ai rapaci, a mani nude. Ragni mai visti, diavoletti della Tasmania iperattivi e dingo che si rotolano al sole. E ci sono anche mille notizie super istruttive. Per dire, io non lo sapevo che il koala ha il pene biforcuto. E non sapevo nemmeno che se un poliziotto australiano vi sorprende con un koala in braccio può pure arrestarvi. I koala li potete coccolare solo nelle riserve del Queensland… e ogni koala non può essere aggeggiato per più di mezz’ora al giorno. Ma è inutile che vi racconti tutto, leggetevi piuttosto I dolori della giovane koala keeper – eccovi la scheda sul sito di Zandegùe la graziosa intervista tegaminica ad Alice. In fondo trovate anche delle foto… Alice me ne ha mandate 127, e io ve ne faccio vedere un po’ (se non vi bastano, però, fatevi un giro anche qui).

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Per comodità, potremmo dire che è cominciato tutto da un koala di nome Ralph. Perché proprio un koala, con tutte le bestiole che ci sono al mondo?

Mi affascinava l’idea di un animale così pacifico. Chiaramente prima di partire mi avevano spiegato che non si trattava di un gran coccolone. Ha una cassa toracica molto piccola, e questo lo fa sentire indifeso se si cerca di abbracciarlo. Ma ecco, ero pronta a rispettare la sua naturale dignità. Può essere stato anche un pizzico di invidia: come non esserlo davanti ad un animale che dorme venti ore al giorno, e le restanti quattro le passa a mangiare? Infine, c’è un dettaglio che nessuno conosce, ma che mi ha conquistata definitivamente, ovvero il fatto che i koala sono gli unici – oltre ai primati, ovviamente – ad avere le impronte digitali, identiche alle nostre. Non potete distinguerle nemmeno sotto un microscopio. Non è forse un essere eccezionale?

“Gente, vado per tre mesi in Australia… a fare la keeper in una riserva naturale, animali, piante e quella roba lì. Metto l’out-of-office, va bene? E non contatemi per l’aperitivo, ne parliamo quando torno”. Ecco, non è proprio un annuncio da tutti i giorni. Com’è che l’hanno presa gli altri?

Chi mi conosce è abituato a queste stravaganze, soprattutto il mio ragazzo. Mia mamma e mia sorella odiano i koala, li trovano flemmatici e inutilmente pigri, ma hanno accettato in silenzio. La grande curiosità era più che altro intorno al lavoro in sè: che cosa fa esattamente la koala keeper? In soldoni, consiste nel fare da baby sitter a questi marsupiali, rispettando le loro regole. Per esempio, mai guardarli negli occhi: si stressano. Sono cose che si imparano con l’esperienza e fare la koala keeper è stato più difficile del previsto!

Che diamine hai messo in valigia?

Il kit della giovane koala keeper, quello che dalla riserva mi avevano chiesto di portare: cappellino, crema solare, scarpe comode, macchina fotografica. E poi un lucchetto per il mio armadietto. Mi sono presentata con pantaloni lunghi senza tasche: una sfigata. Per fortuna dopo poche ore mi hanno trasformata in una vera ranger, con maglietta viola di dubbio gusto e quei pantaloncini da caccia e pesca, per intenderci. Un’altra persona.

Hai sminuzzato carne di topo, spalato cacca, dribblato serpenti e nutrito l’ispido echidna. Raccontaci un momento di puro terrore. E poi uno di limpidissima gioia.

C’è un episodio che mi ha davvero segnata, e che racconto anche nel libro. Un giorno mi hanno chiesto di sistemare del fish dentro quattro vasche. Dentro di me, ho pensato: che problema c’è? Non fosse che, una volta aperte le scatole di polistirolo appena scaricate da un camion frigo, ho trovato insidiosi crostacei australiani sguscianti, gli yabbies. In una manciata di secondi hanno iniziato a scappare ovunque per la stanza, con questi orrendi baffi e queste chele durissime. Santo cielo. Io avevo in mano una di quelle pinze da cucina, e dovevo tirarli su uno per uno, e sistemarli dentro le vasche, dal più piccolo al più grande. Già, perchè mi è stato detto che se non li avessi divisi per bene, si sarebbero mangiati tra loro. Che terrore. Passiamo alla limpidissima gioia: ho avuto il grande privilegio di vedere un piccolo di koala uscire dal marsupio della mamma e vedere per la prima volta la luce del sole. I suoi occhi, così vispi e stupiti, non li posso dimenticare.

Ma i koala, che tipi sono?

La verità è che sono dei cafoni. E non scherzo. Forse avevano ragione mia mamma e mia sorella. In riserva gli portavamo tre volte al giorno foglie di eucalipto fresche. Si svegliavano in un attimo al fruscio dei rami. Mangiavano guardandoti con aria di estrema sufficienza, come se tu avessi fatto solo il tuo dovere, e si riaddormentavano poco dopo. Quando entravamo nelle loro zone a pulire la loro cacca, loro te ne facevano tanta altra sulla testa. E poi questa cosa che, con la scusa della cassa toracica, non puoi prenderli in braccio, è assurdo. Infine, puzzano tantissimo: non è una leggenda metropolitana.

E il wombat? Avevo tutta un’idea romantica, del rubicondo wombat… e poi hai devastato ogni mia certezza.

Che forza il wombat! Sembra goffo e pacifico, ma corre velocissimo e morde così forte da staccarti quasi una mano. Era tra i pochissimi animali ai quali non potevamo avvicinarsi senza un keeper profesionista. C’è una curiosità legata a loro. Ogni mattina gli lanciavamo dentro il recinto un grande orsacchiotto per bambini e giocavano tra loro come se fossero all’asilo, senza minimamente danneggiarlo. Hanno un loro lato tenero in realtà, per lo meno più tenero di quello dei koala.

Come fai, adesso che non ci sono più dingo da portare a spasso?

Porto a spasso i miei due bassotti neri, Amalia e Antonio. Come tutti i bassotti, hanno un temperamento terribilmente autoritario. Quasi rimpiango i miei tre dingo.

Intanto che siamo in vena di rimembranze, ci fai vedere la tua foto del cuore? E magari ci racconti anche perché, così diventa anche la nostra foto preferita?


Ecco la foto del cuore. Non so se potrà diventare anche la vostra preferita, ma sicuramente è la mia. Erano passate già tre settimane in riserva: nessun contatto esterno, internet giusto per vedere velocemente le mail e salutare su Skype, lontana un’ora di bus dal primo vero centro abitato. Ero letteralmente fuori dal mondo. Una mattina stavo rassettando una gabbia di un dingo, quando sento parlare per la prima volta italiano, dopo quasi un mese. Ho salutato questa coppia di signori con un Buongiorno. Era molto presto, e loro erano i primi visitatori della giornata. Stupiti anche loro, iniziano a farmi domande, chiedermi che cosa stavamo facendo, e così via. Prima di andarsene e continuare la passeggiata, la signora mi chiede: ma come ti chiami? Ho risposto, e lei ha proseguito con suo marito per il sentiero. Dopo pochi minuti, torna da me, con una copia di Glamour di gennaio in mano e mi dice: ma tu allora sei l’Alice di questo giornale. E lo apre fino alla pagina di un articolo che avevano fatto su di me. La mia compagna di lavoro, australiana, è scoppiata a ridere. Fino a quel momento mi aveva visto arruffata, goffa, puzzolente, piena di cacca fino alle caviglie e ora mi scopre su un tacco 12 e truccata come una vamp! Allora, potete capire il mio profondo imbarazzo, ma anche la mia grande felicità. Mi ha raccontato che aspettavano il loro aereo a Milano, e hanno comprato il giornale per ingannare l’attesa. Hanno letto la mia storia, e hanno deciso di raggiungere la riserva per venire a conoscermi. Per me. Ero così entusiasta. Questa è la foto che ci ha fatto il marito di lei. E’ davvero la mia foto del cuore: due estranei che prendono e vengono a trovarti dall’altra parte del mondo. Da quel giorno ci sentiamo spesso, e spero di andarli a trovare presto qui in Italia.

Progetti dell’era post-Ralph. Che stai combinando? E soprattutto, ci tornerai?

Certo che ci tornerò: la prossima meta è il South Australia, partendo da Adelaide. Intanto, oltre al mio lavoro ordinario, sto portando avanti due progetti. Uno a ampio respiro – http://www.wowanderlust.it – dove raccolgo storie di viaggiatori nel mondo come me; e uno a livello locale, per la mia città di Asti – http://www.toju.it – dove cerco di portare la mia esperienza con Nuok anche nella mia provincia. Sono entrambi progetti di storytelling legati a luoghi su una mappa, e che sto cercando di portare avanti anche come una vera e propria palestra di idee, per sperimentare le possibilità comunicative sul web.

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Alice Avallone per Open SevenDays ed.
Alice Avallone per Open SevenDays ed.
Alice Avallone per Open SevenDays ed.
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