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Ciao, sono Gallina. Volevo finire di scrivere il mio articolo molto prima, ma ho avuto delle difficoltà con la tastiera. Non capivo bene se dovevo usare le zampe o le ali, per schiacciare i bottoni. Nel dubbio, ho usato il becco, ma è stato complicato e ci ho messo una vita a correggere tutti gli errori. Mi è anche venuto un mal di testa terribile. Forse non sono portata, per questa storia dei reportage. Che ne so io. Sono un animale da cortile. E Tegamini non ha voluto che le dettassi niente. Ti ho già fatto le foto, Gallina, non posso mica scriverti anche il post. Che cos’è un post? Perché si chiama così? Non c’era un nome più ruspante? Mi fa ridere anche REPORTAGE, ma mi hanno spiegato che quando un articolo ha dentro tante immagini conviene dire che è un REPORTAGE. Lo fa diventare più importante. Ci ho messo un’ora a scrivere “reportage” tutto maiuscolo. Poi ho scoperto che bastava tenere schiacciato un bottone grosso che c’è qui a lato. Ero così arrabbiata che ho fatto tre uova. Già sode.
Comunque.
Sono la gallina che vive al negozio Ikea di via Vigevano. Siamo in due. Ma io mi chiamo Gallina. E il negozio non è un negozio. È un temporary store. Mi hanno spiegato che quando un negozio non ha dentro tanta roba ma serve a far vedere che un’azienda è molto creativa e al passo coi tempi bisogna dire che è un temporary store. Io non sono svedese, ma sono stati carini con me. Trasferirmi in città era il mio sogno, anche se adesso tutti dicono che è più bella la campagna e che per essere felici bisogna aprire un agriturismo. Sarà. A me, però, non interessa. Perché sono una gallina.
Un paio di settimane fa, Tegamini è venuta a trovarmi al temporary store di via Vigevano e abbiamo fatto amicizia. C’erano dei bambini svedesi che preparavano da mangiare e delle persone che parlavano di giocattoli. Mi hanno spiegato che, quando succedono queste cose, bisogna anche dire l’hashtag della serata. L’hashtag era #YESTOPLAY. Che cos’è un hashtag? Tegamini non me l’ha detto. In compenso, però, mi ha portata a spasso.
Questo qua è il mio reportage. In foto vengo davvero bene. Tegamini mi ha detto che potevo cambiare un po’ il colore delle immagini. Con i filtri. Ho messo dei filtri molto colorati, perché quando una cosa è molto colorata vuol dire che è anche più allegra delle altre.
Tutta questa introduzione forse non serviva, ma l’ho fatta lo stesso.
Ecco qua le foto che abbiamo fatto io e Tegamini.

 

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Questa sono io con Canino. Canino è arancione e le persone lo usano per metterci dentro la roba da mangiare. Canino non capisce perché, ma ubbidisce perché è un bravo cane. Foto di Tegamini.

 

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Mangiare la frutta è importante, soprattutto nei mesi caldi. Questa sono io con un cesto di frutta svedese. Che bontà. Foto di Tegamini.

 

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Razzolare in un giardino ben curato è molto piacevole. I miei fiori preferiti sono le margherite. Questa sono io con un vaso di margherite. Foto di Tegamini.

 

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Non ho capito tanto bene che cosa c’è nel piatto, ma tutti mi hanno fatto un sacco di complimenti. Questa sono io che ci penso su. Foto di Tegamini.

 

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Andare per funghi è molto divertente. Non so se i funghi sono una verdura, ma immagino di sì. Le cose che crescono per terra sono verdura. Questa sono io con un cestino di porcini. Qualcuno sa come cucinarli? Vorrei conquistare Gallo con una ricetta speciale. Foto di Tegamini.

 

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Questa sono io con Gallo. Credo di amarlo. Faremo dei pulcini stupendi. Spero che diventino alti come lui. Foto di Tegamini.

 

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Questa sono io che mi preparo per fare la doccia. Tenere pulita la cresta e le piume è fondamentale. Voi usate il balsamo? Foto di Tegamini.

 

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Ogni tanto mi sento dispettosa. E se bucassi un palloncino? A che cosa servono i palloncini? A noi galline piacciono solo le cose utili. Foto di Tegamini – che mi ha impedito di bucare i palloncini. A lei le cose utili non piacciono mai.

 

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Non sono ancora una cuoca bravissima, ma mi impegno tanto. Cosa non si fa per amore di Gallo? Foto di Tegamini.

 

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Usare il computer è un po’ complicato, ma sto imparando moltissime cose nuove. Questa sono io che progetto un nuovo pollaio. Quando avrò dei pulcini, voglio che vivano in un bel pollaio comodo. Mi hanno anche detto che è importante che sia LUMINOSO. Le persone amano le case LUMINOSE. Anche il mio pollaio sarà così. Foto di Tegamini.

 

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Coltivare da soli le proprie granaglie è molto gratificante. E si risparmiano tanti soldi. Volete mettere la soddisfazione, poi? Questa sono io vicino alle mie piante. Devo ricordarmi di innaffiarle più spesso. Con questo caldo potrebbero seccare. Foto di Tegamini.

 

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Vorrei tanto che un artista mi facesse il ritratto. Ho un proprio un profilo nobile. Foto di Tegamini.

 

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Ho scoperto che cos’è l’aperitivo. È un’usanza simpatica. Purtroppo, però, il vino non mi fa bene. Mi fa perdere l’equilibro e mi confondo. Mi hanno detto che si possono chiedere anche delle bevande alla frutta. Mi sembra una soluzione intelligente. Basta dire ANALCOLICO e ti portano delle cose che non ti fanno rotolare per terra. Foto di Tegamini.

 

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Questa sono io che imparo ad andare in bicicletta. Non è stato molto facile perché ho le zampe un po’ corte, ma è stato un vero spasso. Vorrei un campanello più rumoroso, però. Foto di Tegamini.

 

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Pedalare fa venire molta fame. Questa sono io con del cibo un po’ strano che hanno cucinato dei bambini svedesi. Gli svedesi fanno lavorare i bambini sin da piccoli. Mi sembra una buona idea. Così stanno fuori dai guai e imparano a cavarsela da soli, una volta usciti dal nido. Foto di Tegamini.

 

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Vivo in Via Vigevano da tanto tempo, ma non mi ero mai tuffata nella piscina delle palline. È stato veramente bellissimo. Se anche voi siete delle galline, buttatevi quando c’è poca gente e fate attenzione a non sprofondare. Potreste spezzarvi un’ala. Nessuno lo sa, ma ho fatto anche un uovo. Chissà se riusciranno a trovarlo. Foto di Tegamini.

 

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Visto che siamo state così bene insieme, abbiamo deciso di concludere la serata con una foto ricordo. Questa sono io con Tegamini. Lei non è fotogenica come me, ma non diteglielo. Non voglio che ci rimanga male. Foto di Manuela Rossi. Anzi, foto di @manurossi.

 

Spero tanto di essere stata abbastanza brava.
Coccodè.
W Gallo.
Grazie per aver letto il mio reportage.

Con affetto,

Gallina

 

 

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Succede che, di tanto in tanto, mi scambiano per una fashion blogger e m’invitano ai Press Day
. I Press Day sono quelle cose che te vai, ti mettono in mano un bicchiere di bianco e ti portano in giro per degli spazi allestiti con infinita carineria per farti vedere quello che i più disparati brand – e/o maison, stilisti, sartine di quartiere, designer, scarpari, case cosmetiche, ciabattini o multinazionali del lusso interplanetario – hanno intenzione di proporre per la stagione che verrà. Te vaghi, guardi tutte queste belle cose, fai le fotine artistiche e pensi, più che altro, che non hai i soldi per comprarti manco il tonno – se proprio non è in offerta -, figuriamoci i meravigliosi abitini rosa di Christopher Kane a forma di ventaglio. Quindi cerchi di non infervorarti troppo – si sa, poi, infervorarsi è da plebei, mica da fashion blogger altolocate -, ti rifai gli occhi, ti comporti al meglio delle tue possibilità e non tocchi niente. Io che vengo dalla campagna, però, ho visto degli animalini e mi sono subito invasata. E ho anche scoperto che la carta da parati è ancora di grande attualità, sempre che sia made in London, esosissima e palesemente arrivata su questa terra dal Paese delle Meraviglie.

 

 Perché esistono delle Puma assurdamente ricoperte di bestiole del bosco e di creaturine fiabesche piene di piume, codine poffose e pellicciotte dai colori pastello. Le nobilissime calzature, la Puma se le è fatte foderare da House of Hackney, che è questo brand britannico che produce arredamento superposh-artistico. Stampe meravigliose. Paralumi. Divani. Lampade a forma di pappagallo. Cuscini con le felci.
Ammazzatemi.

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E niente.
Gli animalini di House of Hackney, oltre a decorare milioni di cuscini che inonderei volentieri di lacrime e tazze che userei ogni secondo della mia vita – anche per mangiarci dentro la pastasciutta -, sono andati a finire anche sulle Puma più Puma. Me sono anche scritta i modelli: le Puma con i piccoli tassi, i pennuti inglesi e il gessato bianco e nero da splendidi squilibrati sono le Basket, le Slipstram e le R698. Usciranno con la collezione autunno/inverno – perdonatemi: FW14 -, quindi avrò ancora un po’ di tempo per gettare delle monetine di rame dentro a un secchio, nella vana speranza di accumularne a sufficienza.
E lo so, sono assurde.
Ma sono gloriose.
E quelle nere sono pure pelusciose-cinigliose!

 
 
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Le collaborerie di Tegamini con variegate entità che mi mandano dei sorprendenti Pasqualoni proseguono con avventure salottiere. A questo giro, Doimo ha deciso di farmi sporcare un divano… e non ci sono riuscita, nonostante anni e anni di sfolgoranti successi.


Che cosa mai conterrà, questo conturbante scatolone?
Confesso che all’inizio speravo fosse un POUF, ma poi mi sono divertita lo stesso.

Il Paccozzo del Mistero di Doimo, pieno zeppo di altri Paccozzi del Mistero. Quel tessuto lì, sotto al fascicoletto nero, è probabilmente già utilizzato dalla NASA per foderare l’interno delle stazioni spaziali.

Bene. Sommamente intrigata dall’esperimento, ho letto ben bene le istruzioni della “sfida antimacchia” e mi sono messa a scartocciare i pacchetti con grande trepidazione. Ho anche bevuto un po’ della Coca Cola in dotazione, che per fare i vandali c’è bisogno di energia. Poi, però, ho deciso che il succo di frutta poteva essere più dannoso e mi sono allegramente preparata a produrre uno scempio senza precedenti.

Il tessutone magico e salvadivani inventato dal team di alchimisti di Doimo, pronto per essere devastato dall’arancia rossa. E vi dirò, mi sono improvvisamente sentita vicina a MADRE, sempiterna nemica delle macchie. Ogni volta che mi avvicinavo al divano con in mano qualcosa da bere o da mangiare, MADRE appariva da nulla per scaraventarmi lontano, manco fossi un Balrog fiammeggiante. Ecco, MADRE e papà hanno lo stesso divano da trent’anni, solo che abbiamo vissuto male.

Ho comunque scelto di mettere da parte i miei ricordi e ho obbedito alle istruzioni. Qua c’è il supertessutomagico pieno zeppo di succo di frutta. Solo che il succo di frutta, non chiedetemi per quale prodigio, non si è malignamente infiltrato, ma è rimasto a galleggiare in felici pozzangherine sulla superficie. Non a caso, le mie pozzanghere si sono distribuite in modo tale da produrre una chiarissima espressione di sconvolta sorpresa.

Và, che storia. Un’impermeabilità quasi inquietante… e molto ludica. Visto che non sono riuscita a produrre macchie definitive, son stata per un quarto d’ora carponi sul pavimento a spostare le pozzanghere di qua e di là. Insomma, ho capito che è un tessuto che va bene per salvarvi il divano ma anche per affascinarvi con effetti ipnotici di raro intrattenimento.

E poi niente, ho preso un fazzoletto – pure quello parte di un Paccozzo veramente ben assemblato – e ho risucchiato le multiformi pozzanghere di succo. Così, come se fosse una roba normale che mezzo litro di arancia rossa non riesca a sfigurare per sempre un divano. Un po’ speravo che ci rimanesse qualche schifoso alone, ma niente, basta ricordarsi di rincorrere anche le goccioline più piccole e tutti amici come prima.

Tiè, zero. E vi giuro che mi sono impegnata tantissimo.

Bene. Ringrazio Doimo per avermi fatto divertire e per le donerie d’accompagnamento al kit del piccolo chimico sporcadivani. L’aggeggio arancione lo devo ancora gonfiare… o meglio, lo deve gonfiare Amore del Cuore, se mai si riprenderà dal materassino di quest’estate. Divani fatati, chi l’avrebbe mai detto.

Come tutte le persone dall’irrisorio potere d’acquisto, mi affeziono con caparbia costanza alle stupidaggini più costose mai partorite dal design. Finte mensole a forma di libro, squali che diventano sacchi a pelo, coralli di plastica incastrabili tra loro fino a produrre muri prensili, alzatine barocche in plexiglass fluo, canguri a dondolo, librerie fatte a slitta, amplificatori a forma di corno tonante da paladino della prima Crociata, vasellame di ceramica fatto per somigliare alla volgare carta, vasi di marmellata che diventano lampade, gabbiette per uccelli smaltate di bianco, cuscini che sembrano cioppi di legno da ardere.
Non ho giustificazioni plausibili. Dai due ai ventitrè anni ho dormito in un letto a barchettone del diciottesimo secolo – costruito per gente che mai si sarebbe sognata di arrivare al metro e settanta – e convissuto con un lampadario Barovier & Toso che MADRE spolverava pezzo per pezzo, scusandosi per averlo villanamente disturbato. Quand’ero alle elementari ci ho tirato dentro una pallonata, nel Barovier, rischiando la deportazione coatta all’orfanotrofio. Insomma, non dovrebbero piacermi gli sgabelli zoomorfi, ma le mie simpatie galoppano su praterie di spontaneità sconfinata. Soprattutto perchè lavoro di fronte al più improponibile ed esoso negozio d’arredamento della città, un posto che vende letti sormontati da capsule spaziali rosa confetto e accetta solo carte di credito – senza però nascondere una marcata predilezione per i gruppi sanguigni rari, tipo AB negativo. Per nulla toccata dall’entusiasmo-saldi e fierissima del mio intatto bilancio – dopo aver camminato per sette ore e visitato gli esercizi commerciali più disparati, sono riuscita a comprare solo un pezzo di focaccia -, ho finalmente deciso di suonare il campanello e andare a chiedere lumi sui sublimi seggiolini a pecora che mi affascinano da mesi… potessero bruciare loro e chi se li è inventati.

Gli ovini ci allietano in ben tre formati: pecorone, pecora, agnellino. Il più economico, l’agnellino, costa la gran bellezza di 330 euro.
E va bene, è fatto di pregiato legno. Va bene, è rivestito di lana vera e guarnito d’orecchie di pelle. E  posso comprendere che l’abbiano esposto al MoMA e che sia ormai cavalcato da ogni genere di celebrity fresca di disintossicazione da lecca-lecca psichedelici e pronta a tuffarsi nel quinto divorzio. Posso capire, ma non riesco a condividere. Perchè una pecora viva – adulta, vaccinata, pasciuta e sgambettante – costa sui 150 euro, se proprio si vuole una bestia col full-optional. Con 330 euro si compra un piccolo gregge o un pecorone più consorte gravida. O la pecora più il falegname che le costruisce la casetta. 330 euro sono una somma fantastiliardica e offensiva, che mi trasformerebbe in una palla d’astio rotante: continuerei a fissare l’ovino finto in attesa di un belato, aspettandomi come minimo un prodigio, dopo averci investito tutti quei soldi. Perchè non beli, agnellino finto? Perchè non vuoi pascolare? Perchè non ti s’infoltisce la lana? Voglio tosarti e tramutarti in maglione! Voglio vederti zompettare su una maledetta collina baciata da un tiepido sole. Che diamine, 330 euro per un mesto simulacro d’agnello? Datemi un collie, un declivio e un paio di scarponi… e tenetevi i vostri mobili.