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Sally Rooney, “Normal People”

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Ci illudiamo spesso di poter esistere (e amare) in uno spazio del tutto impermeabile alle influenze esterne. Il nocciolo del nostro sentimento abita quasi certamente su un pianeta lontanissimo e protetto, ma le relazioni sono anche fatte di orbite, collisioni imprevedibili e crateri antichi. E quello che proviamo, a volte, non resiste al richiamo della gravità, perché attorno a noi ci sono forze che non riusciamo (o non vogliamo ancora) contrastare.

BASTA HO FINITO NON LA SFORNO PIÙ UN’ALTRA METAFORA COSÌ.

Elaboriamo meglio, però.

Il secondo romanzo di Sally Rooney – autrice irlandese di freschissima gioventù che ha esordito più che benone con Parlarne tra amici – racconta la storia assai tribolata di Connell e Marianne. Cresciuti nella medesima cittadina irlandese senza particolari attrattive, i due conducono esistenze diametralmente opposte, se vogliamo proprio semplificarla molto. Connell non ha mai conosciuto suo padre ed è figlio di una saggia e piacevolissima donna che l’ha avuto a 17 anni e che ora si guadagna da vivere facendo le pulizie. È sveglio, sensibile, riservato e ansioso di compiacere il suo prossimo. Non naviga nell’oro, ma a scuola è fra i più popolari e milita onorevolmente nella squadra di calcio. Marianne viene da una famiglia ricca e disastrata, non ha amici, non mette praticamente mai il naso fuori dalla magione in cui risiede, è molto intelligente e non ha alcun interesse per le opinioni altrui. I compagni di scuola la percepiscono come una specie di inspiegabile anomalia e la trattano con aperta ostilità.
E dove mai potrà stabilirsi un punto di contatto tra due creature così lontane, che a scuola manco si parlano? Ma nella cucina di Marianne, perché la mamma di Connell fa le pulizie a casa sua. E quando non hai la patente, è tuo figlio che ti passa a prendere.

Quello che capita dopo è complicato, toccante, cervellotico e spezzacuore. La Rooney sceglie di narrare le vicissitudini di Connell e Marianne illuminando di volta in volta un momento nodale del loro rapporto. E se le basi vanno fatte risalire alle poche battute scambiate in cucina, la loro storia si rivela però una lunga matassa che si srotola negli anni, nonostante tutto. All’inizio assistiamo all’edificazione di un piccolo microcosmo, in cui entrambe le parti – solo lì – riescono ad esprimere senza sovrastrutture la propria vera essenza. Ma cosa diranno gli altri? E se qualcuno a scuola lo scoprisse? Ma ne vale la pena? Si tratta pur sempre di Marianne. E Marianne sta sull’anima a tutti. Che figura ci faccio?
Ecco.
Tutte le ferite (più o meno gravi) e i non detti (o i detti male) che Connell e Marianne accumulano con il passare del tempo, mentre cercano di venire a patti con le aspettative degli altri e con la gestione già intricata di suo di un sentimento che muove i primi passi, vengono inevitabilmente a galla. E, nonostante i contesti “sociali” si capovolgano con l’inizio dell’università, quel che azzoppa e separa non sparisce, ma cambia forma, diventando man mano più insidioso. Gli errori che facciamo “da piccoli”, i grandi sbagli che ci sembrano lì per lì irreparabili diventano ricordi ed entrano a far parte del nostro bagaglio. Anche Connell e Marianne li ridimensionano e ne prendono le distanze, ma riescono a liberarsene fino a un certo punto. E portano con loro, di periodo in periodo, quello che sono in quell’istante… ma anche quello che erano. Inseguono felicità forse mai più riproducibili, si lasciano avvicinare da persone nuove – che possono vedere solo il loro lato “presente” -, si accontentano e camminano con le proprie gambe. Ma sono e saranno sempre una rivelazione, l’uno per l’altra. Ed essere stati visti per davvero, almeno una volta, è un evento raro e quasi irripetibile.

Oh, credo di aver finalmente trovato una soluzione alla difficile questione del “mi consigli una storia d’amore”. Non è un libro dal romanticismo travolgente. Non è nemmeno un libro consolatorio. È una riflessione lucida – a due voci, principalmente – sulla spigolosità degli incastri sentimentali. E non si risparmia sul fronte del dolore, sia quello che cerchiamo di non infliggere agli altri – nel tentativo di essere persone decorose – che quello che cerchiamo consapevolmente. E la Rooney è bravissima nel far crescere Marianne e Connell senza privarli di quello che hanno raccolto – o perso – lungo la strada. Ho sempre amato le storie che mi permettono di vedere, quasi in contemporanea, quello che succede nella testa dei personaggi. E come quello che sanno o che credono di aver capito trasformi il resto del mondo. E, per quanto in Normal People il peso delle considerazioni sugli “altri” e sul contesto sia fondamentale a dar forma alla storia, Connell e Marianne non ne escono sopraffatti. Fanno quello che facciamo tutti, credo. Provano a capire come districarsi. Provano a tornare sul loro pianeta, anche dopo una fitta tempesta di asteroidi.

*

9 Comments

  1. Ma la bellezza della copertina di Henn Kim? Quel che ho più apprezzato di Sally Rooney è il suo saper raccontare dei cliché con una voce nuova: l’attore bellissimo e ricco che conquista la ragazzina, il capovolgimento dei ruoli tra Marianne e Connell quando iniziano l’università, sono spunti narrativi secondo me estremamente banali, ma lei li sa raccontare senza farti infuriare. Amati entrambi e non vedevo l’ora di sentir parlare di Normal People.

    • Concordo. Se ci pensi Conversations era molto più “moderno” nei temi. Questa è una storia d’amore assai più classica e lineare, pur nei suoi aggrovigliamenti. Ma lei trova comunque il modo di metterti di fronte a dei dilemmi e di far saltare fuori dei grandi dolori che forse coviamo o abbiamo covato un po’ tutti. Insomma, ho amato.

  2. Sally Rooney è uno dei miei amori del 2018, e questa recensione mi sta fomentando non poco! Conversation mi ha coinvolto e incuriosito come non mi succedeva da molto, e l’età dell’autrice rende tutto più affascinante. Grazie di averne parlato!

  3. Ciao Francesca, ti seguo sempre su Instagram, sei troppo simpatica!

    Ho finito da poco questo libro e finalmente sono tornata indietro a leggere la tua recensione (ho il terrore – patologico – degli spoiler).
    Sono davvero molto indecisa su quale sia la mia opinione su Normal People: mi e’ piaciuto molto come e’ scritto, l’ho anche finito in relativamente poco tempo, e ho apprezzato le modalita’ del racconto.
    Pero’, non so, c’e’ qualcosa che non mi ha convinto fino in fondo. Sara’ che ho aspettato di leggerlo fino a che non e’ uscito in paperback, e ultimamente con l’uscita della traduzione italiana se ne e’ parlato tantissimo, ma diciamo che mi ero fatta chissa’ quale idea, quasi come se mi aspettassi di essere travolta da cio’ che avrei letto. E devo confessare che purtroppo cosi’ non e’ stato.

    In primis ho fatto molta fatica a immedesimarmi o in Connell o in Marianne (forse un po’ di piu’ nel primo, a tratti, ma proprio in maniera risicata) e quasi quasi li ho trovati antipatici. Non ho capito il senso di molte cose, molti spunti che a mio avviso non sono stati spiegati a dovere o approfonditi, come per esempio il rapporto di Marianne con la sottomissione e la sessualita’, il suo rapporto conflittuale con la famiglia, i tanti fraintendimenti tra lei e Connell, la figura di Lorraine cosi’ perfetta, senza mai una sbavatura – solo per citarne alcuni.

    Insomma, forse l’hype generato attorno a questo libro non gli ha giovato (a mio parere) o forse sono solo diventata una di quelle persone fastidiose che vogliono sempre essere “blown away” da tutto cio’ che leggono/ascoltano/guardano.

    E niente, ne ho scritto qui perche’ mi sembrava il posto piu’ adatto, chissa’ mai che magari trovo qualcuno che la pensa come me (o mi fa cambiare idea) 🙂

    Un saluto!

  4. Ciao Francesca, bellissima recensione! Vorrei provare a leggere la Rooney ma il mio dilemma è: leggo prima questo o prima Parlarne tra amici? Grazie!

    • Io ho amato di più questo, ma secondo me sono da leggere tutti e due. 🙂

  5. TheYellowBishop Reply

    Buongiorno Francesca,

    ho letto “Persone normali” dietro tuo – indiretto – suggerimento.

    L’ho trovato deplorevole. Contenuto superficiale, vacuo, personaggi insulsi; ancora peggio la forma.

    Argomento il mio giudizio. La trama è di una banalità sconcertante: è la storia travagliata di A e B che, opposti, si attraggono. Il cattivo C si mette di mezzo e impedisce loro di stare insieme. Naturalmente A è Marianne, B è Connell, C è il generico “altri” (le convenzioni e i rapporti sociali, gli amici, i conoscenti, le proprie aspirazioni personali, la lontananza geografica di questi tempi, dove il mondo è sempre più piccolo, ma noi siamo sempre più lontani).
    Be’, mutatis mutandis, se chiamiamo A Lucia, B Renzo e C Don Rodrigo (e magari facciamo pure il griso, i bravi, la Peste e la rivolta del pane), direi che poco cambia dalla trama della Rooney; ma quella è roba che ha solo due secoli (almeno). Il punto è che nel 1827 quella trama così banale era incastrata magistralmente su uno sfondo storico complicatissimo e l’intreccio era semplicemente magistrale (quanti flashback? Quante anticipazioni? Quante ellissi?).
    Qui l’intreccio è lineare, pochissimi flashback, solo un continuo, lungo, monotono borbottio di pensieri (o parole?) dei personaggi. E sui personaggi non mi dilungo – si salva solo la madre di Connell, gli altri sono stereotipi di romanzi del quart’ordine (curioso come le 50 sfumature di bianco, nero, giallo e lilla abbiano in realtà appiattito la sfera affettiva di praticamente ogni personaggio letterario contemporaneo…).

    La forma? Io sono un purista, amo per mestiere l’eleganza e il rigore, ma so di non poterlo pretendere ovunque, è anche questo il fascino della letteratura. Ma il discorso indiretto libero, santo cielo… Se ad usarlo sono Flaubert o Pirandello, nulla da obiettare. Non perché sono “loro”, ma perché ha un senso, perché percepisci vivamente la forza di quella scelta stilistica (consapevole o inconsapevole da parte dell’autore). Leggendo la Rooney a me invece è parsa soltanto sciatteria sintattica, ignoranza delle più elementari convenzioni ortografiche – “duepuntiapertelevirgoletteletteramaiuscola!”. Non ne colgo alcuna vis comunicativa, anzi ne emerge per me solo la fretta con cui il romanzo è stato pensato e scritto.

    Insomma, io questa “riflessione lucida” proprio non la trovo. Vedo solo una di quelle storielle rosa che, ormai più di dieci anni fa (sono quasi coetaneo con la Rooney), si scrivevano sottobanco le mie compagne di liceo.

    E rimango con una domanda finale: dimmi, Tegamini, sono io che indosso degli occhiali sbagliati e non capisco questo nuovo fenomeno letterario? Che cosa dovrei capire, che invece non vedo? Che cosa dovrebbe lasciarmi un romanzo come Persone normali? Io leggo per capire, per conoscere, per riflettere e per imparare – ma qui mi pare di non riuscirci.

    Sarei felice di leggere un tuo pensiero in merito.
    Grazie anticipatamente e buon lavoro,

    TheYellowBishop

  6. Di solito non leggo recensioni, un pó perchè potrebbero rovinarmi una storia che conosco o perchè non voglio sapere il parere su una storia che ancora non conosco. Sono capitata per caso su questa e ne sono molto grata. Sono giorni che penso a questo libro e alla serie bellissima che hanno creato, penso a quanto è stata brava Sally Rooney a smuovere quel qualcosa di addormentato in me e a quanto siano stato bravi gli attori a far vivere Marianne e Connell. Sono grata di questa recensione non solo perchè è davvero bellissima, ma perchè hai amato la storia tanto quanto me e mi piace quando le conosce che amo vengono amate anche dagli altri. Mi fa sentire meno sola. ❤️

  7. Non è la storia d’amore più strappalacrime di sempre, anzi non mi ha strappato nemmeno una lacrima anche se alcuni passaggi e riflessioni dei personaggi fatte a cuore aperto, mi hanno commossa. Ma sento il cuore spezzato!
    La Rooney ha dato vita a due esseri umani meravigliosi e fragili e per questo ancor più belli.

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