Diario

Un po’ di tempo per decidere

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Non so se si capirà, ma proviamo.
Il tempo è una gran fregatura, ma ha anche un valore inestimabile. E, a ben 32 anni, faccio molta fatica a ricordare un momento in cui ho effettivamente avuto del tempo.
Di certo sto esagerando, ma mi è sempre sembrato di avere, più che altro, dei pezzi di giornata da amministrare. Dei ritagli un po’ approssimativi da rimediare in mezzo a tutto quello che ci si aspettava che facessi, studiassi o producessi.
È da quando sono piccolissima che mi dicono che non ho costanza, che non sono abbastanza tenace, che non mi impegno a sufficienza. La verità è che l’impegno massimo l’ho sempre buttato tutto nel creare del tempo che mi regalasse la possibilità di scegliere. E di capire che cos’ero, in qualche modo. Che cosa potevo diventare, coltivando quello che pensavo potesse darmi un significato, un posto.
In pratica, però, non ho mai smesso di fare, studiare o produrre quello che ci si aspettava da me.
Molto di quello che mi sembrava importante, molto di me come mi conosco adesso, cominciava semplicemente dopo – quando il tempo “normale” esauriva il suo spazio sull’agenda. Io c’ero, prima o poi. Ma nei margini di quello che bisognava fare. Per parecchio sono riuscita a definirmi solo per differenza. Questo non mi appartiene. Questo non mi piace. Questo non c’entra niente. Questo no. L’epoca dell’università è stata quella dei più o meno. Poi ho respirato. E sono stata fortunata, nei limiti della fortuna che può aspettarsi una persona che comincia a lavorare nel 2009.
Non credo che mi sia successo niente di particolarmente speciale o rivoluzionario. Tutta questa roba si chiama crescere, alla fin fine. E l’aspetto più bello è scoprire che esiste un margine di manovra. Che le cose che detesti o quelle che ti azzoppano si possono modificare. Che gli unici timori che devi prendere in considerazione sono i tuoi. Che il tempo può smettere di procedere su due linee parallele, perché controllarlo diventa più plausibile.

Ho fatto, per anni, un lavoro che mi rendeva orgogliosissima. Poi è arrivato il momento di cambiare e ne ho fatto un altro che mi ha insegnato moltissimo, ma che mi ha quasi rimbambita. E poi è nato Cesare, evento che ha introdotto un paradosso piuttosto interessante. Perché l’epoca che – per eccellenza – determina la fine inevitabile del tuo tempo, per me ha rappresentato una specie di espansione delle possibilità. E un ripensamento della mia concezione di “cos’è importante”. Ma non perché ODDIO I FIGLI CI DANNO UNA RAGIONE PER VIVERE, perché io avevo trovato il modo di sentirmi molto felice e realizzata anche da nullipara, vi dirò – ma perché quando qualcuno dipende completamente da te devi diventare molto coraggiosa. E tutto quello che mi intimoriva ha smesso di farmi paura.

Ho sempre detestato la prospettiva di deludere il prossimo. Di dimostrarmi un cattivo investimento. Di non essere all’altezza delle aspettative.
Ma non sempre.
Perché, sebbene questi dubbi fossero una costante nel mio tempo “normale”, erano anche zavorre che sparivano quando arrivavo finalmente a occupare il mio tempo. Ma non per malriposti deliri di onnipotenza – tutta questa struttura ha una sua patologica razionalità, mi pare -, ma perché chi sa che cosa è meglio per noi siamo noi, ad un certo punto. E a volte ci scopriamo capaci di cose che non avremmo mai immaginato di poter fare.
Con Cesare ho tirato fuori risorse che non credevo di possedere. E non perché abbiamo deciso di riprodurci con la convinzione che la nostra vita non sarebbe cambiata – però, si va meno al cinema e non si va più a ballare. MA VA? -, ma perché capitano gioie, accidenti, disastri e luminosi momenti di felicità che, semplicemente, non è possibile immaginare prima. Non è una scoperta da ridurre all’argomentazione imbecille del TU CHE NON HAI FIGLI NON PUOI CAPIRE. È più una questione di superamento, da parte di una realtà piuttosto enorme e ramificata, delle tue capacità di previsione e di gestione dell’imponderabile.
Puoi sentire quello che ti raccontano gli altri e puoi costruirti accurati scenari, ma è difficile sapere con certezza com’è che la prenderai per davvero. Così come non si immagina bene la fatica. O da dove provenga l’energia che torna a soccorrerti quando pensavi di non starci più dentro. O la fonte misteriosa della pazienza che persevera nel sostenerti anche al quarto cucchiaino di cremina alla tapioca che finisce in terra, in microparticelle vaporizzate.

Non ho idea di come sia capitato, insomma, ma sono diventata molto più forte. E molto meno incline a pensare che il tempo che ho a disposizione possa continuare a dipendere dalle decisioni o dalle influenze di qualcun altro. Perché non tutte le cose hanno la stessa importanza. Non tutte le relazioni riescono a farci somigliare un pochino di più a quello che vorremmo essere. Non tutti i lavori ci rendono fieri di quello che stiamo facendo, o ci garantiscono uno scambio dignitoso tra quello che diamo e quello che riceviamo. Non tutto quello a cui ci dedichiamo o tutti i rapporti che coltiviamo sono tempo nostro.
Non voglio più avere bisogno di distinguerli, i due tempi.
Voglio che rimanga solo il mio.
Non voglio provare quella stanchezza devastante – mista a voglia di mettermi a letto e di rimanerci per cent’anni – che ti schiaccia quando fai malvolentieri e con grande macchinosità qualcosa che non ti appartiene e che, alla fin fine, neanche ti interessa. Voglio avere la possibilità di esserci – senza dover chiedere il permesso a nessuno – se ci sarà bisogno di me. Voglio che Cesare cresca sapendo che ci ha spalancato un vasto e inesploratissimo orizzonte di felicità – e che questa lucina molto brillante mi ha fatto venire voglia di migliorare anche il resto. Mi ha fatto vedere quello che c’era già, forse, ma che avevo paura di fare. Perché cambiare è difficile, è rischioso, ci espone al fallimento e alle cantonate. Ma, certe volte, ci salva. E trasforma tutto il nostro tempo in una specie di regalo, in un contenitore da riempire con quello che conta davvero. 
Andrà bene?
Chissà.
Ma ci proviamo.
Perché il coraggio non manca più.

 

28 Comments

  1. Intanto un imbocca al lupo fantasmagorico, pieno di cuori, unicorni e tantissime bacchette magiche. Poi, massima comprensione per il sentimento di cui parli nel post, i figli ti danno una forza incredibile, o meglio ti tirano fuori quella che certamente già cera, ma da sola non riuscivi a trovare ed hanno anche la capacità di farti vedere dove sta la vera felicità, dove stanno le vere cose importanti, che spesso non sono soldi, non sono gratificazioni professionali, ma sono un sorriso, una maglia tutta schizzata di minestrone o la faccia stupita mentre gli passa di fronte un camion grandissimo. Forza mamma Tegamini. Cuori a profusione

    • Crepi, davvero. Mi viene un po’ di nervoso perché ci è voluto un figlio per farmi decidere a riordinare la priorità. E non è che prima non ce ne fosse bisogno o non fosse importante capirlo. Meglio tardi che mai, però!

  2. Hai decisamente ragione a tutti i livelli. Purtroppo viviamo in un’epoca storica (e in un paese) dove ancora non si è capita l’importanza delle cose che davvero contano per le persone (tipo proliferare con naturalezza e senza impiccare i suoceri con un babysitting h24 a causa dei turni imprescindibili di lavoro, o spendendo cifre astronomiche tra nido e tate). Io sono sempre più propensa al cambiamento radicale che mi attenderà tra qualche mese (stiamo ancora alla settimana 18, quindi calma e gesso) e penso che lo accoglierò con estrema tranquillità, almeno dal punto di vista del lavoro. Una volta mi angosciava: lavoro precario, stipendio basso, incapacità di essere indipendente… Tutto questo mi sfiniva abbastanza, anche solo dover pensare a cosa sarebbe successo alla fine del contratto, alla fine del mese. E non sono nemmeno mai stata studente fuori sede! Ora sono molto più tranquilla (ho anche un contratto migliore, c’è da dire), ma se anche dovessero dirmi che posso accomodarmi fuori, penso che la prenderei in maniera molto filosofica. Si farà quello che si può e quando si può, ci reinventeremo un lavoro diverso, esploreremo un nuovo modo di vivere. Ovviamente tutto grazie alla vita di coppia che consente l’appoggio sul consorte che ha studiato saggiamente materie informatiche. Del resto i figli si fanno in due… Detto questo, smetto di ammorbarti. Quando lo scrivi un libro?

    • In bocca al lupo anche a voi, allora. Comprendo bene i dubbi e il tarlo perenne del “ma se non mi rinnovano? Ma se poi non riusciamo a pagare l’affitto? Ma se…”. Ce ne sono mille di MA SE, anche quando non dobbiamo preoccuparci di un figlio. A volte mi sembrava già tanto riuscire a prendermi cura di me stessa, date le circostanze. Eppure si fa tutto. E si trova il modo. E ci si riaggiusta. Magari non funziona tutto perfettamente al primo colpo, ma posso accettare benissimo anche i miglioramenti incrementali. Cuori a te!

  3. Mi sono commossa. Aspetto anche io con ansia l’epoca per respirare in libertà. Ti abbraccio e ti mando un grosso in bocca al lupo 😉

  4. Oddei, che bel post che hai scritto. Quasi quasi mi commuovo.
    Mi rivedo moltissimo in quello che dici: praticamente dai 14 ai 25 anni credo di non essermi fermata un attimo dal fare quello che, in fondo sì amavo abbastanza, ma che soprattutto il mondo si aspettava da me. Ho studiato come un mulo, senza fermarmi mai: non mi ha fermato la morte di mio padre (un mese dopo ero all’università a dare un esame), non mi ha fermato nemmeno la fisiologica fine di un percorso (all’incirca 15 giorni dopo essermi laureata alla triennale ho dato il primo esame della magistrale), e non mi ha fermato neanche il fatto che nel frattempo a tutto ciò facessi anche un lavoro part-time.
    E sai che c’è? Che ad oggi, che di anni ne ho quasi 28, tutto questo non è servito a molto. Praticamente sto nelle stesse condizioni economiche di quando lavoravo part-time durante gli studi. All’inzio è stato motivo di ansia e depressione indicibile, ora pur consapevole che le cose prima o poi cambieranno o miglioreranno e che sto facendo tutto ciò che è umanamente in mio potere perché accada, nel mezzo di una precarietà e l’altra, mi rilasso, faccio progetti, scopro cose e lati di me che non avrei saputo esprimere, realizzo qualcosa di VERAMENTE mio. E mi addormento grata ogni giorno accanto al mio compagno che ha sopportato la macchina da guerra di prima, la ragazza con gli attacchi di panico del dopo, e la fricchettona di adesso 🙂

    • Qui ho parlato tanto di Cesare… e sembra quasi che sia solo merito suo. Ma come dici giustamente anche tu, senza un compagno (o una compagna o quel che ci pare) capace di darci fiducia non si va lontano. Dipende da noi, ma un sostegno vero è prezioso. Sono cresciuta con la convinzione che, se non avessi fatto tutto quello che ci si aspettava da me (e pure bene), non sarei stata meritevole d’amore. È confortante rendersi conto che non solo non è vero, ma che chi continua a caricarti di aspettative e a cercare di farti diventare qualcosa di controllabile e “appropriato” secondo certi standard non ti sta facendo un favore. Ma si può imparare a volersi bene da soli e ad accettare i propri limiti, coltivando quello che sai di poter fare bene – e felicemente. E, se proprio siamo fortunati, si può anche incontrare qualcuno che ti prende così come sei, anche quando provi a diventare qualcosa che non sai bene nemmeno tu.
      Cuoretti, davvero.

  5. “La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.” Jep Gambardella.
    Io di anni ne ho 34, ma sono giunta, con il tempo, alla stessa consapevolezza. Lavoravo a Milano in una grande multinazionale, avevo un posto sicuro che però si era preso tutto: tempo, energie, vitalità e mi ha portato sul ciglio dell’esaurimento nervoso. Mi svegliavo il lunedì mattina sperando che arrivasse il venerdì e il week end lo passavo sul divano o a letto. Mi sono svegliata una mattina e ho realizzato che basta, stavo vivendo una vita che non era quella che desideravo, vittima di mille condizionamenti, di cui ero io in primis responsabile. E l’ho lasciato, combattendo con tutti coloro che mi dicevano che era una gravissimo errore, che c’era gente che si sarebbe fatta in quattro per avere il mio posto. Tant è l’ho fatto. Certo, ho avuto un compagno straordinario accanto che mi ha consentito e aiutato in questo processo, ma ce l’ho fatta. Ora sto attraversando la fase di ricostruzione, in cui sto gettando le basi per quello che davvero mi piace fare. E si, sono convinta che si accettano i sacrifici e gli scoraggiamenti iniziali, c’è sempre un margine di cambiamento nelle nostre vite, di cui, purtroppo o per fortuna, siamo gli unici a poter cambiare le cose.

    • Un abbraccio dalla vocina nella mia testa che per mesi ha gridato MA HAI IL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO CHE COSA VUOI FARE MA DOVE VUOI ANDARE PAZZA SCELLERATA SCEMA HANNO LA FILA FUORI DALLA PORTA MA SECONDO TE VERGOGNATI ANCHE SOLO PER AVERCI PENSATO AD ANDARTENE.
      Ho fatto bene, diamine. Povertà all’orizzonte? Speriamo di no. Ma provarci mi sembrava ormai doveroso. Anzi, vitale.
      Tanti cuori a te.

  6. Quevedista Reply

    Ciao Tegamini, ti seguo da un po’ con molto entusiasmo, sia su Snapchat che sul tuo blog, invidiando la tua ironia ma soprattutto il tuo linguaggio. Io sono una dottoranda che a pochi mesi dal matrimonio è rimasta incinta, con un po’ di preoccupazione perchè è il primo figlio ed io e il padre del futuro erede siamo un po’ sconclusionati. Tra l’altro, in teoria dovevo depositare la tesi a dicembre, ma con questa sorprendente notizia può darsi che tutto debba slittare. Ad ogni modo, la cosa che più ci spaventa è l’annuncio ai nonni paterni, ovvero ai genitori stessi del marito, dato che i miei genitori di nipoti già ne hanno tre. Temiamo che la madre possa avere una crisi di identità riconoscendo improvvisamente l’età che ha, lasciando da parte giubbotti di pelle, mentre del padre ci spaventa l’essere contabile, ovvero chiedendosi come potremo sfamare questa povera creatura dato che io sono precaria (mentre mio marito lavora come un mulo ed ha uno stipendio più che dignitoso). Da questa paura è natura una riflessione: è la generazione dei nostri genitori che ci ha messo in testa questa cosa del fare di continuo, di avere un posto fisso, di lavorare in continuazione, come se fosse l’unica soddisfazione della vita. I nostri nonni lavoravano ma avevano molto più entusiasmo nei riguardi della vita e soprattutto lo spauracchio del posto fisso non ce l’avevano eppure figliavano con nonchalance. Certo, erano altri tempi, ma mi sembra che tutto ciò ci sia stato imposto dall’unica generazione che dopo migliaia di anni di incertezza ha vissuto il mito della sicurezza, sia sociale che politica che economica, ovvero i nostri genitori. A me francamente questa cosa non va affatto bene. Perchè devo vivere male per una cosa che mi è stata imposta dal di fuori e ripeto, dall’unica generazione che ha avuto questo privilegio, tra l’altro quasi buttato alle ortiche?
    Spero che il mio ragionamento non sia sconclusionato, ma che serva per dare coraggio a tutti quelli che si sentono da meno, perchè fanno scelte lavorative non in linea con quello che si aspettano i propri genitori o i propri amici.

    • Intanto congratulazioni a voi. Sarà un casino, ma lo è in ogni caso. Riuscirai a fare cose incredibili, non saprai come… ma succederà. E capiteranno anche disastri imprevedibili, su cui non avresti alcun controllo pur avendo pianificato ogni istante del tuo futuro. Prendi il buono. Perché ce ne sarà in abbondanza.
      E ora perdonami ma vado ad incorniciare questa frase: “mi sembra che tutto ciò ci sia stato imposto dall’unica generazione che dopo migliaia di anni di incertezza ha vissuto il mito della sicurezza, sia sociale che politica che economica, ovvero i nostri genitori. A me francamente questa cosa non va affatto bene. Perchè devo vivere male per una cosa che mi è stata imposta dal di fuori e ripeto, dall’unica generazione che ha avuto questo privilegio, tra l’altro quasi buttato alle ortiche?”.
      Applausi, maledizione. Applausi.

  7. Hai scritto questo post proprio in un periodo in cui sto riflettendo parecchio sul concetto di tempo e di aspettative, che fino ad un anno fa mi hanno tenuta impegnata senza capire fino a fondo come volevo usare il mio tempo. Il mio è un processo ancora in divenire, ma che si sta muovendo, purtroppo ancora per sottrazione ma conto che nei prossimi mesi diventi più propositivo. Tutto per dire che mi ritrovo molto nelle tue riflessioni e che sono di ispirazione!

    • Prima si demolisce e poi si va avanti. Cuoretti a te. Sono felice che il post possa aver aiutato, nel suo piccolo.

  8. Ciao francesca, questo tuo post me lo sento mio più che mai. E’ da sempre che sogno quello che avrei fatto PER ME se avessi avuto tempo. Da quando è nato il mio bimbo, alcuni giorni dopo il tuo, il desiderio di fare ciò che realmente mi piace e mi rende felice è cresciuto (e non mi faccia tornare a casa triste, arrabbiata e col mal di stomaco perenne). Purtroppo per motivi economici non posso al momento permettermi di mandare a cagare chi vorrei ed invece sono costretta a vedere 8 ore al giorno (ovvero più della mia famiglia/amici/ecc). Spero di riuscire a trovare qualcosa di meglio, ma avere un part-time e come vincere alla lotteria in questo Paese. In bocca al lupo a noi!

    • Davvero. Ma nel frattempo possiamo incoraggiarci molto a vicenda. Un cuorino a te e uno al tuo piccolone.

  9. Ciao Francesca, questo è il tuo primo articolo che leggo (passaparola di una tua lettrice) e sono colpita da quanto sono d’accordo con te! Potermi godere il mio bambino solo dalle 19 alle 22 (a volte 21) è assurdo. Eppure è socialmente impensabile lasciar andare un tempo indeterminato “solo per questo”, anche se di bambino ne sta arrivando un altro.
    Grazie per le tue parole, forti e coraggiose.
    E hai tutta la mia stima per l’immagine in alto: da ossessionata di HP la trovo un’ottima scelta, che ben esprime il concetto dell’articolo.
    Tantissimi auguri a tutte

    • Ciao Roberta, ben arrivata! 🙂
      Ti capisco perfettamente. È proprio per quello che ci ho messo così tanto a decidere. Certo, tanto tempo mi è servito anche a costruire una base più solida di competenze e un minimo di “bene, la Francesca è brava”. Ma avrei potuto cominciare a stare in piedi da sola già qualche anno fa. Ma che fai, però, molli l’indeterminato? Non sia mai! Si continua, a testa bassa. Ah, signora mia, coi tempi che corrono! Ecco. Ora, incrociando tutte le dita che si possono incrociare, mi rimprovero anche un po’ da sola. Perché potevo arrivarci prima.
      In bocca al lupo anche a te e molti abbracci!

  10. Credo che tu sia riuscita a parlarmi – proprio a me, proprio in questo momento della mia vita – come finora nessuno è riuscito.
    Grazie, rileggerò ancora questo post per provare a farlo mio.
    Continua così Francesca!

    • Il tempismo è assolutamente involontario, ma sono felicissima che in questo post ci fosse qualcosa anche per te. Mille cuori e grazie per essere passata a leggere!

  11. ma posso chiederti sfacciatamente se farai la traduttrice freelance?

  12. Grazie, Francesca.
    Questo post è ciò di cui avevo bisogno. E grazie anche a chi ha commentato prima di me; mi sono sentita compresa e più leggera.
    Cose belle a tutti

  13. Grazie Francesca per questo post. Io sono una di quelle che il coraggio non ce l’ha avuto e non ce l’ha tuttora, e ho pure qualche anno più di te. Non parlo solo di mettere al mondo dei figli, ma anche di avere il coraggio di vivere secondo quello che sceglieremmo noi stessi, anzichè fare ciò che gli altri si aspettano da noi. Sei la prima madre che sento non sbandierare entusiasta che “i figli fanno la felicità” , ma dire che tu stessa diventi la tua felicità per come ti trasformi in una persona capace di affrontare tutto. Magari non si superano sempre gli ostacoli, ma di sicuro non li si superano se non li si affrontano. Un caro saluto!

    • Grazie a te per essere passata a leggere, davvero. Hai interpretato perfettamente quello che cercavo goffamente di dire. 🙂

  14. Ti seguo da poco, cara (permettimi) Francesca, e solo ora ho letto questo post che mi ha….commossa. Ho 52 anni e ho passato la maggior parte della vita col terrore di deludere gli altri. Ho sempre fatto prima di tutto il mio dovere e tutt’ ora, pur essendomi ammorbidita, il dovere rimane una parte importante della mia vita ma, anzi “MA”, adesso che ho superato gli anta ho finalmente imparato a mettere davanti al resto me stessa. Non sempre ma con una frequenza maggiore e…..che benessere, come diresti tu. Io ci sono arrivata per l’ età…..le caselle più importanti ormai le ho spuntate (scuola, lavoro, matrimonio, figlio…) e quindi ho il sacrosanto diritto di prendermi del tempo per me (pur ancora in mezzo a mille impegni tra cui un lavoro, seppur part time, perché qui in pensione non andremo mai!) ma a te auguro di arrivarci prima, continuando a percorrere la strada di coraggio che hai intrapreso perché, come hai perfettamente inteso, solo ed esclusivamente noi sappiamo quale sia il bene per noi stessi. Buona vita e tanti cuorini

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