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Gian Piero Piretto | La vita privata degli oggetti sovietici

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Volevo fare un’introduzione seria, ma poi mi sono accorta che non so niente. Non è colpa mia, funziono così. Il laureato in storia è Amore del Cuore, mentre io sono quella che legge Le benevole in spiaggia. Lui si ricorda esattamente che cosa è successo al Congresso di Vienna, io mi entusiasmo per la macchinosa procedura di lavaggio-capelli della principessa Sissi. Lui ricostruisce agilmente fatti, cause, conseguenze (di breve e lungo periodo) e ripercussioni socio-economiche, io mi prendo bene coi problemi esistenziali delle favorite del Re Sole, voglio sapere che cosa mangiavano i Maya e iperventilo se becco Alberto Angela che spiega alla gente com’è che gli antichi romani fabbricavano le scarpe.
Che vi devo dire.
Mi piacciono le cose – e tutto quello che possono raccontarci sul mondo che le conteneva. Datemi una montagna di usanze, rituali, suppellettili, manifesti propagandistici, uniformi, galatei, feste comandate e superstizioni… e sarò felice – anche di fronte allo sconcertante universo della Russia sovietica.

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Qual è il valore simbolico del samovar?
Com’è che si campa senza carta igienica?
Perché a nessuno viene in mente di rubare il bicchiere “collettivo” di un distributore pubblico d’acqua?
Qual è la velocità accettabile per una scala mobile della metropolitana di Mosca?
Conviene diffidare delle kotlety?
Non esistono le sporte di plastica. E manco quelle di carta. Com’è che fate la spesa (sempre che ci sia qualcosa da comprare)?
Che cos’ha il rosso di così speciale?
Perché uno dovrebbe mettersi in casa una lampadina a forma di cranio di Stalin?
Volete richiudere una bottiglia di vodka e metterla via per la prossima volta? Non si può. E siete gente che non ci sta dentro.
Come si fa a pulire correttamente un pesce essiccato?
Perché c’è coda davanti a un ristorante vuoto?
Non lasciare il cappotto al guardaroba è da villanzoni. Ma perché al cinema si può serenamente tenere?

Dalle famigerate calze di nylon all’acqua di colonia Chypre (la preferita degli alcolizzati), in questo libro troverete l’ideologia e la propaganda, l’onnipresente conflitto tra spazio privato e spazio pubblico, una molecola di nostalgia, svariate badilate di brutale franchezza, numerosi tritacarne, un satellite (il primo) e un cadavere mummificato. La vita privata degli oggetti sovietici (Sironi) è un saggio super curioso, imprevedibile e godibilissimo. Anzi, molto meglio. È una specie di romanzo distopico di storia materiale.
Grazie ai 25 oggetti emblematici individuati da Gian Piero Piretto guadagnerete un punto di vista incredibilmente preciso e “pratico” sulla quotidianità sovietica, ritroverete il fascino per il surreale, imparerete qualcosa – anche se vi pare di saperne già abbastanza – e vi verrà da pensare che, in qualche meandro della lingua russa, debba per forza esistere un equivalente dell’espressione stranger than fiction – applicabile, però, a svariati decenni di vita di un’intera società.
Mentre ci pensate su, vi auguro buona lettura e vi lascio in eredità la formula corretta per un brindisi russo: Za vaše zdorov’e, caroni!

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