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Dicembre 2015

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Visto che mi agito in presenza di vasti assembramenti di persone e che, come ben sapete, sono molto disorganizzata – almeno per quanto riguarda la mia vita privata -, sono riuscita a vedere Star Wars soltanto domenica. CENT’ANNI DOPO L’USCITA! UNA VITA, È PASSATA. UNA VITA! Che vi devo dire. M’invitano alle anteprime dei film, ma è tutta roba super concettuale con proiezioni stampa alle undici e trenta della mattina. Registi dell’ex-DDR. Dialoghi in assiro. Orfani scalzi. Malati terminali. Flebo, lacrime, minoranze etniche e dialetti dimenticati. Quando esce Star Wars, invece, non c’è un’anima che si ricordi di me.
Ma non è finita.
Perché al cinema ci sono pure andata da sola. Amore del Cuore ha un sacco di straordinarie qualità, ma non c’è modo di fargli tollerare i cavalieri Jedi e C3PO. Di base, anzi, sopporta con rassegnazione i miei entusiasmi cinematografici. Mi accompagna e s’addormenta. O m’accompagna e polemizza. In questo specifico caso, poi, si è rifiutato di assistere al discutibile spettacolo di una persona adulta che si commuove sui titoli di testa di Star Wars. Perché mi sono commossa, va bene? Mi sono venuti i lucciconi. Anzi, si è sicuramente trattato di un bruscolino nell’occhio. Chi siete voi per giudicarmi? Andate a coltivare il riso su Tatooine!

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Comunque.
Tutto quello che dirò avrà ben poco senso, perché mi è bastato vedere lo spadone laser a croce nel primo trailer di Star Wars per decidere che questo film mi sarebbe piaciuto. Il Millennium Falcon che torna a volare… come una grossa pizza arrugginita! Han Solo e le sue rughe! Quell’assurdo robot a forma di palla medica che, non si sa come, riesce pure a fare i gradini! La colonna sonora! La principessa Leia con una nuova pettinatura! La Ribellione!
…gente, ma che altro volete? Date retta a Zerocalcare e non rompete l’anima.
In parecchi, in questi giorni, si sono lamentati a gran voce delle palesi analogie tra Il risveglio della strabenedetta forza Una nuova speranza. Se questo film fosse stato completamente diverso – tipo le tre sonore bestemmie cinematografiche che ci siamo sorbiti nel 1999, nel 2002 e pure nel 2005 -, invece, vi sareste incazzati da matti perché gli eroi della vostra infanzia erano stati mortalmente oltraggiati da J.J. Abrams, sgherro della Disney e mercenario asservito alle industrie di gadget. Va bene, l’uva di Yoda è parsa un tantino eccessiva pure a me, ma se facciamo un bel respiro tutti quanti insieme sono certa che riusciremo a superare anche questo ostacolo, abbandonando il banco della frutta con la coscienza linda e splendente.

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Quello che voglio dire – credo – è che Il risveglio della forza è un film intelligente. Non sputa in faccia a noi che siamo cresciuti con Star Wars e accoglie in una galassia lontana lontana anche la gente che, per ragioni anagrafiche o sacrosanto e legittimo menefreghismo, a Star Wars si avvicina per la prima volta. A me, sinceramente, che si corra dietro a un droide a palla esattamente come si correva dietro a un’unità C1 (ripiena di messaggi principeschi) non causa particolari scompensi tiroidei. Che ci sia una versione bombatissima della Morte Nera – che si distrugge pure allo stesso modo -, un Jedi che non sa di essere un Jedi, un Nuovo Ordine che è come l’Impero, un burattinaio mega-cattivo che fa il Palpatine della situazione – ma più olografico e con qualche evidente complesso legato alla statura – e un pesce bargiglioso che t’illustra dov’è che devi andare a silurare, ecco, a me questa roba non fa arrabbiare. Non è un reato di lesa originalità. È solo un investimento narrativo diversificato. In questo film c’è una base profondamente rassicurante – preziosa per chi, come me, non avrebbe tollerato un’altra paccata di stronzate sui midichlorian -, ma anche tanta roba pronta a lievitare per diventare una nuova storia.
E io voglio vedere che cosa succede.
Ma un sacco.
E i personaggi al debutto? Mi garbano. Va bene, il Comandante Phasma neanche si capisce che è Gwendoline Christie e del povero Finn non potrebbe stracciarmene di meno, ma Domhnall Gleeson è un ottimo generalino nevrastenico e Rey è una ragazza per cui fare il tifo. La principessa Leia – nonostante la sua fastidiosa sicumera – non era precisamente una rincoglionita, ma era ora che dessero una spada laser in mano a una femmina che pilota astronavi, smista rottami e fracassa di bastonate i malintenzionati.
Io, comunque, amo Kylo Ren. Ne ho lette di tutti i colori, ma me ne frego alla grandissima. Ah, si toglie la maschera ed è un babbo. Ma pensa te, ha ucciso Han Solo. Come ha potuto! Come faremo senza Han Solo! Kylo Ren ha le orecchie a sventola!

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Kylo Ren, quanto è vero Yoda, è l’unico alle prese con un dilemma devastante. E ha pure un bruttissimo carattere da gestire. Che devo fare, simpatizzo con i burberi. Tifo per quelli che, di fronte a una notizia non proprio positiva, disintegrano con uno spadone laser crociforme un’intera sala di controllo dall’astronave su cui viaggiano. Ira! Tormento! Problemi! Insicurezza! Rabbia! Aspettative eccessive! Paragoni impossibili con illustri parenti! Il Lato Oscuro vuole il motorino! Kylo Ren somiglierà all’incrocio tra Zlatan Ibrahimović e Severus Snape – riuscendo comunque ad avere un suo gran bel perché –, ma è una creatura super interessante. Ed è perfettamente normale che vada in giro con una maschera complicata e spaventosa. Come è molto ragionevole che sotto la maschera ci sia uno che non sa bene dove sbattere il cranio. Ho letto una fan-theory stupenda – che giustifica le atrocità di Kylo Ren in ottica di astuto doppiogiochismo, sacrificio supremo e bene che trionfa – ma, a dirla tutta, a me Kylo Ren andrebbe bene anche come puro cattivo in-training. Una sola cosa vi chiedo: non cambiategli spada laser. Dategliene una più grossa, al massimo.
Per tutto il resto, scelgo deliberatamente di non ascoltarvi. Non ho intenzione di sorbirmi polemiche, menate complottiste e brontolamenti vari. Sono felice come un coniglietto grasso e non riuscirete a scalfire la mia gioia. Abbiamo di nuovo Star Wars e…

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Sto continuando a numerare il Tegaminario dell’Avvento come se questo fosse veramente il sedicesimo post che ho sfornato. In realtà sono riuscita a proporvi solo un tripudio di taco coi razzi, degli origami da parete a forma di unicorno (più balena e cocorita), dei braccialetti fatti con le teiere rotte, dei cuscini di purissima seta pieni di bestiole e un vagone di gioielli di Sailor Moon. E basta. Non sono sedici, lo ben so. Ma procederò comunque a testa alta, sventolando il vessillo della disorganizzazione e del casualismo più spinto. Perché oggi, caroni tutti, è un giorno importante. Oggi si parla dell’assoluta gloria sprigionata da Sparkle Collective, un minuscolo progetto dall’infinito potenziale di poffosità valorosamente inventato da una ragazza di Toronto – che va continuamente in vacanza impedendoci di ordinare la sua roba su Etsy ogni sette minuti.
Osservate – cercando di non iperventilare violentissimamente.

Una foto pubblicata da Sparkle Collective (@sparkle.collective) in data:

 

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Oltre a disegnare gattini-gelatini, bradipi che se ne infischiano, anguriette felici di vivere e unicorni grassottelli – rischiando ogni volta di farmi venire una crisi polmonare -, l’evanescente Britt ama prendersi delle lunghe (e per noi penosissime) pause. Per capire che cosa sta accadendo, dunque, vi conviene tenere d’occhio il profilo Instagram di Sparkle Collective, dove – di tanto in tanto – Britt si prende la briga di informarci che le spillette con le ciambelle feline sono di nuovo disponibili su Etsy. Da quel che ci ho capito, Britt sforna all’improvviso dei transatlantici pieni di aggeggini, li vende tutti e parte per la Polinesia. Quando finisce i soldi, Britt torna a casa, mette insieme una tonnellata di adesivi a forma di fetta di pizza con le orecchie, li vende tutti un’altra volta e va a fare trekking nella Terra del Fuoco. E via così. Per sempre. Come una maledizione Maya dall’immarcescibile circolarità. Se non bramassi ogni singolo sgorbiolino obeso che Britt ha mai disegnato in vita sua, le avrei probabilmente già augurato ogni male. Ma Britt deve continuare a prosperare. E a diffondere la poffosità nel cosmo. Una testolina di gatto per volta.
Lode e gloria a Britt.
Sempre sia miagolata.
Mettete dei bookmark. E mettetevi il cuore in pace.
…prima o poi dovrà pur riemergere dal cammino di Santiago.

***

Per gioire dell’esiguo – ma bellicosissimo – Tegaminario dell’Avvento, c’è anche un board Pinterest.

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Il GGG è il secondo libro che ho letto. Ho cominciato con Le streghe e, visto che mi ero trovata bene con Roald Dahl, ho deciso di fidarmi della collana. Li avevo letti al mare, nella stessa estate. Avevo sette anni e una libreria di fiducia. Ci passavamo la sera, dopo aver finito il gelato. Coi gelati non ti fanno entrare, in libreria. C’era uno scaffale basso pieno di Istrici. Io sceglievo, MADRE pagava. E tutto funzionava molto bene. Una ventina d’anni dopo, Amore del Cuore mi ha regalato la nuova edizione del GGG. Sempre un Istrice, ma con la copertina rigida. L’avevo letto in mezzo pomeriggio, mentre aspettavo che tornasse dal lavoro. Rileggerlo è stato terapeutico. Mi sono sentita super fiera della piccola me. Con tutto quello che c’era nella libreria del mare, io ero riuscita a pescare i due libri per ragazzi (e per persone grandi) più belli mai scritti. La gente non ha a disposizione un numero illimitato di ottime decisioni, nella vita. Io me ne sono giocate due a sette anni nel budello di Loano, in provincia di Savona. E non credo di averne a disposizione molte altre. Cercheremo di farcele bastare.
Ma perché mai ci troviamo qui?
Siamo qui perché la Disney ha finalmente deciso di sfornare il teaser trailer del GGG, diretto da Steven Spielberg. E il mio cuore trabocca di timori e di vaghe speranze. E pure di una certa ilarità. Che ci devo fare. Il GGG, in inglese, si chiama The BFG. E io, accidenti a me, non riesco a vederci un innocente The Big Friendly Giant. Per me è un tragico THE BIG FUCKING GIANT. Per sempre. E senza rimedio. Addio poesia, addio meraviglia dell’infanzia. E millemila applausi alla delicatezza dell’acronimo italiano. Grande Gigante Gentile. Un titolo che è riuscito a preservare la mia innocenza fino a un’età francamente eccessiva.
Ma com’è questo benedetto trailer?
Beccatevelo qua.

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Trattandosi di un teaser, non è che si capisca un granché. La piccola Sofia ha un greve accento inglese e un taglio di capelli di un’inclemenza rara. L’orfanotrofio è un orfanotrofio regolamentare. E il GGG è sufficientemente grande da suscitare un legittimo timore. Non sappiamo se le sue orecchie saranno della dimensione giusta. Non c’è traccia della sua bizzarra sintassi. Non c’è ombra di cetrionzoli. Il procedimento di soffiaggio dei sogni non è stato ancora affrontato. Non ci sono giganti selvaggi e crudeli. La regina d’Inghilterra non ci ha ancora onorato della sua presenza – con o senza corgi. Insomma, ne sappiamo come prima. Ma possiamo cominciare a crederci. È un trailer incredibilmente cauto e guardingo. Il che, forse, può farci ben sperare. Perché la cautela e la circospezione possono anche essere sintomi di estremo rispetto – per un libro meraviglioso e per noi ex-mini persone che hanno imparato ad amare la lettura grazie a questa storia. Non nutro una fede cieca e assoluta nelle capacità di Steven Spielberg. Certo, mica è il primo cretino che s’incontra dal panettiere… è che, di base, non sono il tipo. Propendo per i presagi di sventura, così poi non ci rimango male. In questo caso, però, vorrei provare a sperarci. Spero che Spielberg non si sia dimenticato di noi. E che, in qualche modo, abbia provato a immaginare tutto quello che ho immaginato io da piccola, in spiaggia, con il mio Istrice in mano e MADRE che m’inseguiva per spalmarmi la crema solare. È un libro incredibilmente conciso, per la vastità di quello che racconta. Lo schermo del cinema sarà grande abbastanza? Vedremo. Intanto, proviamo a metterci un po’ di fiducia. Metti mai che, per una volta, finirà per andarci bene.

 

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Il mondo è difficile, complesso, irto di sbattimenti e di fenomeni nefasti. Qua e là, in questa comatosa distesa di pessimismo, fastidio e disagio, possono però manifestarsi eventi meravigliosi. Tipo un taco coi razzi che solca maestosamente i cieli. O un omino barbuto che cerca di teletrasportarsi da un water all’altro. O un gattino-navigatore che fluttua sul pelo dell’acqua in groppa a un pingue narvalo volante. Per lungo tempo ho vissuto ignorando l’esistenza di 100% Soft e sono fermamente intenzionata a non lasciarvi brancolare nelle infelici e colpevoli tenebre dell’inconsapevolezza.
Tanto per cominciare, andate a farvi un giro sull’account Instagram. E godetevi il tripudio di nonsense, Star Wars, gattini-Godzilla, riferimenti pop e mini-astronauti.

Una foto pubblicata da Truck Torrence / 100% Soft (@100soft) in data:

Grazie al cielo, non tutte queste adorabili scempiaggini sono destinate a rimanere confinate nell’angusto spettro della bidimensionalità. Parecchi capolavori senza tempo di 100% Soft, infatti, si possono comprare, pasticciare e coccolare. Il catalogo completo delle creaturine acquistabili lo trovate qui. Ci sono stampe, pupazzi, spillette, adesivini e millemila cretinate che potrebbero rendere la vostra esistenza finalmente degna d’essere vissuta.
Personalmente, chiederò a Babbo Natale le seguenti cose.

Un edificante momento di romanticismo, con Robocop-innamorato.

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Boomu, il micino-Kaiju nato dalla fatale unione tra un gatto, un unicorno e un drago.

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Lo Space Taco, indomito vascello stellare (commestibile).

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E il corroborante poster dei Predatori dell’arca perduta, con tanto di fantasmi e nazisti arrosto.

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Non so voi, ma sono pronta a traslocare in queste illustrazioni.
Certa d’avervi fatto un favore, vi saluto caramente.

***

Seppur azzoppato da un timing approssimativo, il Tegaminario dell’Avvento è comunque molto bello. Vi siete persi le puntate precedenti? Lasciatevi soccorrere da un servizievole board Pinterest!

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Il Tegaminario dell’Avvento sta già andando a farsi benedire. Niente. Venerdì, tanto per spiegarvi, ho avuto il grande onore di trascorrere l’intera giornata a uno SCIÚTING, in un capannone gelido e sperduto. Ho riacquistato la mobilità degli arti superiori solo a notte inoltrata, quando era ormai troppo tardi per deliziarvi con suggerimenti arguti ed illuminanti per rimpinguare la vostra wishlist festiva. Ieri, invece, in preda al deliquio per questi quattro insperati e benedetti giorni di ferie, sono rimasta sul divano per tutto il pomeriggio – avvolta in una coperta coi pon-pon e assolutamente impossibilitata ad esercitare le mie facoltà intellettive. Mi sono trasformata in un cuscino, in pratica. Ed è stato bellissimo.
Ma ora basta. Non possiamo sempre fingere di essere dei cuscini. È il momento di tirarci insieme.
Mentre Amore del Cuore combatte per due pomodori e un vasetto di ragù di cinghiale all’Esselunga di Viale Papiniano, dunque, mi sento finalmente in grado di informarvi dell’esistenza di PAPA – Play Art / Polygon Art -, un folle brand coreano specializzato in poetici e fiabeschi origami da parete. La prima collezione è composta da una fantastica triade. Teste di unicorno. Code di balena. Pappagalli volanti. Tutti disponibili in bianco, rosa e oro. La vita.

papa balena

papa unipink
papa bird
papa whalefloor

Ne avete bisogno, ammettetelo.
I gloriosi pezzi di animale vi arriveranno in una pratica confezione piatta, piena di istruzioni e cartoncini pazzi che dovrete meticolosamente piegare fino ad ottenere il vostro mirabile accessorio da parete di superdesign. Perché, diciamocelo francamente, ormai l’alce di legno e la casetta per i passerotti hanno anche un po’ rotto i coglioni.
Felici origami sognanti a tutti.

Vi siete persi qualche imprescindibile puntata del Tegaminario COLABRODO dell’Avvento? Andate su Pinterest. C’è addirittura un board!

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Sono sconvolta.
Ma posso provare a razionalizzare la situazione.
Ho la sventura di dover gestire un’immaginazione ipertrofica. Questa faccenda ha degli indubbi vantaggi – non ho bisogno di drogarmi (anzi, partendo da un livello altissimo di follia, ho il sacro terrore delle sostanze stupefacenti dal potenziale psicotropo), ho sempre qualcosa da dire ai brainstorming e sono bravissima a inventare menzogne davvero credibili -, ma anche dei preoccupanti effetti collaterali. Ho difficoltà ad interagire con le persone in maniera razionale, mi convinco di essere capace di comunicare verbalmente con il mio gatto, ho paura del citofono e m’interesso al movimento circolare del cestello della lavatrice. Il primo problema, però, è che mi faccio i film. Non riesco a trattenermi. Succede qualcosa di assolutamente infinitesimale? Fantastico. Il mio cervello si impossesserà del particolare più insignificante del cosmo e lo trasformerà nella Cappella Sistina. Anzi, in una riproduzione della Cappella Sistina fatta di GIF animate fluo. A forma di labirinto. In un setting subacqueo. Con meduse veggenti che giocano a rubamazzo. E le Sibille che cantano le figlie noi siam di Tritone, i nostri bei nomi li ha scelti lui. E il Papa che percuote il kraken brandendo la carcassa di uno squalo bianco.
Ormai faccio anche fatica a dormire.
Perché il problema vero è che ad ogni moto ascendente della mia immaginazione corrisponde anche un corredo di aspettative irrealistiche nei confronti della vita, degli eventi, degli esseri umani e del mio tempo libero. E potrete ben capire che l’universo faccia una certa fatica a non deludermi, quando m’è venuto in mente il Papa che picchia il kraken con uno squalo. Indossando una muta da sub di un bianco abbagliante. E bombole dell’ossigeno a forma di tabernacolo.
Sono certa che la psichiatria sia già riuscita a spiegare il fenomeno, ma non ho abbastanza soldi per andare da una persona a farmi diagnosticare della roba.
Comunque.
I film, ovviamente, rientrano nella complicata infrastruttura del mio meccanismo di aspettativa e delusione. Soprattutto se mi prendo bene dopo il primo trailer e devo aspettare un paio d’anni prima di vedere il film.
Arlo prometteva benissimo. Il meteorite ha mancato la Terra! I dinosauri non si sono mai estinti! Che diamine, è il più grande WHAT IF dell’universo. Un gigantesco WHAT IF in mano alla Pixar, poi… mica al tipo che mi porta la pizza una volta la settimana e continua a sbagliare scala.
Sono andata a vedere Arlo appena è uscito al cinema. Ero felice. Ero un tripudio di gridolini e battimani.
E sono uscita con la morte nel cuore. E con la chiara sensazione di essere un mostro senza cuore. Perché le leggo, le critiche e le recensioni della gente che capisce davvero qualcosa di cinema. E tutti ci avevano visto del buono e del bello, in questo film. Chiaro, non è che si gridasse al capolavoro in maniera unanime, ma ogni singolo articolo è riuscito a mettere in luce qualcosa di poetico, struggente e apprezzabile.
E io là, a darmi in testa una padella antiaderente.
Ma analizziamo il mio scoramento.

CI SONO GLI SPOILER.
IO VE LO DICO.
CI SONO GLI SPOILER.

Anche se, capirai, che spoiler mai saranno.

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I dinosauri sono scampati al meteorite per trasformarsi in nuclei isolati di servi della gleba – gli erbivori -, allevatori di mammiferi lobotomizzati – i carnivori di grossa taglia -, sciacalli di dubbia moralità – i carnivori di piccola taglia –  e criminali sciroccati – gli onnivori volanti. I piccoli mammiferi popolano prati e boschi conducendo una vita priva di significato. Gli umani, pur avendo afferrato l’importanza dei legami affettivi che solo una famiglia può donare, sono ancora indietrissimo. Ululano alla luna, fanno la cacca nei cespugli e, con ogni evidenza, non sono ancora approdati al decisivo stadio della fabbricazione di utensili.
E fin qua, posso anche sentirmi in pace. È il tuo mondo, Pixar. Sei tu che stabilisci le regole. Fai quello che ti pare, basta che quello che decidi di creare sia un mondo ricco, vasto e interessante.
In quanto a vastità, il mondo di Arlo è vasto.
Solo che non succede una mazza.
Ho letto praticamente ovunque che questo film andrebbe amato anche solo per la minuziosa e magnifica ricostruzione dell’ambiente naturale. L’acqua che sembra vera. Il cielo che sembra più cielo del cielo. Il cielo che si riflette nell’acqua, creando miliardi di sfumature cangianti. Le foglie iridescenti. I raggi del sole che filtrano fra le fronde. E le foglie iridescenti che precipitano nell’acqua baciata dal sole producendo altre incredibili sfumature magiche un po’ ondulate e splendenti e ipnotiche.
Però.

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Certo, è un bellissimo mondo. Ma se avevo voglia di guardare il paesaggio andavo a farmi una gita sulla Pietra Parcellara. Che dopo un po’ di temporali, acqua che scorre e vento che soffia mi sono anche già rotta i coglioni. Perdonatemi, ma non ce la faccio. Il paesaggio deve aiutare. Il paesaggio è un attore non-protagonista. Ma non venitemi a dire che devo rimanere a bocca aperta per un ruscello. Ammiro il gesto tecnico e me ne rallegro, ma continuerò a domandarmi CHE ALTRO C’È.
Comunque. Nell’impossibilità di trovare conforto nello splendore dello scenario naturalistico, ho cercato di concentrarmi sulla trama e sugli avvenimenti. Non succede una mazza, si diceva. Ed è proprio così. Mi rendo conto che questo film non sia assolutamente rivolto a me. Questo film è per teneri frugoletti di otto anni che probabilmente non hanno ancora accumulato una significativa dose di cinismo. Il fatto che io mi sia posta questa domanda – “Ma Arlo è per me?” – è già un chiaro segnale di fallimento. Ho trent’anni. E me ne frego solennemente del pubblico potenziale di quello che guardo e leggo. Il mio libro preferito è Il GGG e sono fermamente convinta che se una cosa “per bambini” è bella davvero non potrà che piacere anche a gente di centomila anni. Ci sono storie che parlano a tutti. E, di solito, sono le storie che funzionano e che sopravviveranno al tempo. Arlo è una roba che se me lo facevi vedere da piccola ti tiravo dietro i Trudi. Gli stessi che mi metterei a lanciare dal balcone adesso, se solo non fossero i miei più cari ricordi d’infanzia. Arlo, in fin dei conti, è questa roba qui:
1. Ciao, ecco il nostro protagonista. È un giovane dinosauro inetto, insicuro, antipatico, codardo e scoordinato. Arlo, in pratica, è Bella di Twilight.
2. Ciao, ecco il papà di Arlo. È il classico papà benevolo. Lo uccidiamo con un pretesto, donando ad Arlo un bel senso di colpa. Lo facciamo anche morire come Mufasa, tanto la gente guarderà quanto abbiamo fatto bene il fiume in piena e non s’accorgerà di niente.
3. Ciao, Arlo ha bisogno di crescere e di riscattarsi. Il protagonista di una storia lo fa, di solito. Cambia, si evolve. Facciamogli fare un viaggio formativo. Il tema del viaggio funziona sempre. Specialmente se innescato da una causa completamente idiota – tipo Arlo che s’inciampa, casca nel fiume e si risveglia a un triliardo di anni luce di distanza da casa sua.
4. Ciao, al protagonista serve anche un amico. L’amico deve far ridere e, possibilmente, deve aiutarlo nel suo percorso di maturazione. Ovviamente non sono mica amici, all’inizio. Anzi, è colpa del comprimario se il nostro protagonista è orfano. Che se la sbrighino loro.
5. Ciao, dobbiamo allungare la minestra. Dobbiamo far finta che i due personaggi siano complessi. Ai personaggi complessi serve tempo per risolvere i loro problemi. Facciamoli smarrire, mettiamoli in pericolo, ispiriamoli grazie ad incontri edificanti, buttiamoci un paio di gag coi criceti e qualche momento-nostalgia con delle lucciole molto coreografiche.
6. Ciao, ora sono amici per davvero. Arlo sarà cresciuto, finalmente? Mettiamolo alla prova. Prendiamo il piccolo umano e piazziamolo in un tronco cavo al limitare di una cascata. In mezzo a uno stormo di pterodattili cocainomani.
7. Ciao, l’ordine del mondo va ripristinato. Facciamo tornare tutti a casa loro.
E vi giuro, mi sono emozionata di più a scrivere questo riassunto colmo di disprezzo e delusione che a sorbirmi quasi due ore di dinosauri che galoppano per i prati. Arlo non m’è diventato più simpatico di una virgola, nonostante gli sbattimenti e le prove di grande valore spirituale che riesce a superare. La sua crescita interiore, così caparbiamente guadagnata, non è riuscita ad accrescere la mia stima nei suoi confronti. Anzi. Mi sono anche incazzata. Quando torna a casa, dopo aver mollato la sua vecchia madre con l’intero raccolto sulla groppa, gli fanno pure mettere la sua impronta sul silos di pietroni. Ma vi pare che se lo sia meritato? Che è. Pensavamo che fossi morto! Ma non sei morto! METTI LA TUA IMPRONTA. Ma perché? Andate tutti ad arare la terra col naso, brontoscemi.
Sono diventata arida e senza cuore?
Mi aspetto troppo dai film?
Non riesco più ad apprezzare la semplicità e le buone intenzioni di una fiaba senza troppe pretese?
Che cos’ho che non va.
Come posso detestare anche le increspature dell’acqua.
Ho paura.
Ma ho il sospetto che la Pixar la pensi come me.
8. Ciao, ci siamo accorti che questo film è una loffa… ma ve lo facciamo uscire due mesi dopo Inside Out. Vediamo chi avrà il coraggio di lamentarsi. Che cavolo, quest’anno ne avete già visto uno bello. Che altro volete da noi?
Vorremmo la Pixar, cortesemente. Sempre e comunque.

Incredibile ma vero, il Tegaminario dell’Avvento non è ancora naufragato! Commozione massima! Nell’attesissima e imperdibile puntata di oggi, faremo finta di essere molto nobili, molto inglesi e molto educate. Perché solo una signora con queste determinanti caratteristiche – e una vasta collezione di copricapi con la veletta – può legittimamente trovare il tempo e la volontà di sedersi in salotto alle cinque spaccate per prendere il tè – dopo aver dato istruzioni alla servitù.
Non ce la vedete dentro?
Poco male. L’occorrente per il tè potete sempre mettervelo addosso.
Nel nome del cielo, come?
In un momento di acuto fanatismo per Downton Abbey, ho scoperto su Etsy un negozio decisamente bizzarroAbigail MaryRose Clark, designer megabritish di accessori, ha improvvisamente deciso di resuscitare le porcellane sbeccate destinandole a un nuovo utilizzo. Perché – se sai dove mettere le mani – le tazze rotte, le teiere frantumate, i piattini scassati e le ciotole incrinate possono diventare dei gioielli di raro romanticismo. Il risultato, in tutta franchezza, mi commuove più di Mr Darcy.

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Viva il riciclo creativo!
Cuorosità infinite per i motivi floreali!
Amore imperituro per le stoviglie vintage finemente decorate!
God save the Queen!
E anche Lady Violet!
…andate e porcellanatevi!

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Per seguire al meglio il glorioso Tegaminario dell’Avvento – e continuare a soccombere sotto il peso della bellezza delle altrui case di design -, ora c’è anche un versatile e funzionalissimo board Pinterest

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Vorrei essere immune al sogno della “casa-Pinterest”, ma la mia esistenza è un susseguirsi di fallimenti. Qualche anno fa mi sarei accontentata di avere la lavastoviglie. Ora, invece, sono diventata ambiziosa. Faccio incorniciare i quadri. Ho due stendini. Ho dei vasi con dentro delle piante non completamente decomposte. Possiedo almeno tre tovaglie diverse e un mollettone. Usare il mollettone è un rito di passaggio. Usare il mollettone ti trasforma automaticamente in una persona che ci tiene a casa sua. Visto che, in realtà, mi vergogno moltissimo di tutti questi incomprensibili afflati domestici, cerco di auto-sabotarmi con una certa regolarità. Mi rifiuto di imparare a stirare, semino il disordine, butto i calzini in lavatrice senza spallottolarli e dedico scaffali interi della libreria numero tre a dinosauri di plastica, tazze con i dinosauri, dinosauri di legno, artigli di dinosauro, libri pop-up con i dinosauri. Il colpo d’occhio è agghiacciante e io mi sento al sicuro da me stessa. Non so, però, quanto durerà. Perché – grazie al diabolico potere di Instagram, ormai ancor più temibile di Pinterest – ho scoperto che esiste un brand londinese che produce ogni genere di assurdità… con un’execution straordinaria. Perché il problema è quello, alla fine della fiera. Vorrei una casa piena di unicorni, ma i pupazzi che si trovano in giro fanno regolarmente schifo. Vorrei una lampada a forma di aragosta, ma so benissimo di non potermi aspettare un capolavoro del design. Ebbene, Silken Favours (qui il sitone/shoppone e qui il profilo Instagram che vi strapperà l’anima) riesce a coniugare l’immaginario francamente improponibile che popola la mia multiforme fantasia con la capacità di sfornare oggetti indiscutibilmente belli. Tanto per cominciare, usano solo seta. Vuoi un cuscino a forma d’ananas? Vuoi un cuscino a forma di cavolfiore? Vuoi un cuscino a forma di Grumpy Cat? Che problema c’è. Il disegno lo sappiamo fare. E il cuscino lo foderiamo di seta al 100%. Che cosa potrebbe mai andare storto? Niente di niente, diamine.
Teniamoci per mano e sbaviamo copiosamente.

E niente.
Divani pieni di animalini – un po’ mitologici e un po’ no. FÚLAR tempestati di gattini, corgi, coniglietti e puffin. Top ricoperti di piccolissimi cactus. Silken Favours mi capisce. Sopravvaluta le mie possibilità economiche, ma mi capisce. Seppellitemi sotto a una montagna di setosi melograni. E tanti auguri di buon Natale.

SF pomegrante

Per seguire al meglio il glorioso Tegaminario dell’Avvento – e continuare a soccombere sotto il peso della bellezza delle altrui case di design -, ora c’è anche un versatile e funzionalissimo board Pinterest

Sto per imbarcarmi in un’impresa a dir poco titanica. Un’impresa che, con ogni probabilità, non riuscirò mai a portare a termine. Perché, di base, sono una creatura imprevedibile, scorbutica, incostante e pigra. E mai, prima di questo momento, ho avuto l’ardire di imbarcarmi in un progetto del genere. Sfornare un post al giorno. Ma quando mai. Insomma, mi conosco, chi voglio prendere in giro. Mi dimentico il bucato nella lavatrice per settimane. Dormo per pomeriggi interi. Ho uno scarso autocontrollo e sono due mesi che devo restituire a Tennis Warehouse una gonna troppo grossa per il mio sedere. Incredibile, amici. Ho ordinato una gonna e mi va larga. Chi l’avrebbe mai detto. Comunque. Quello che cercherò di fare – invocando il vostro sostegno e il vostro incoraggiamento – è un calendario dell’avvento pieno di meravigliose assurdità da comprare. Un Tegaminario, pieno di aggeggi improbabili, inutili, futilissimi e socialmente inaccettabili. Perché la vera libertà dell’essere grandi non ha niente a che vedere col non dover più chiamare la mamma alle tre del mattino dal fondo di un fosso limaccioso per avvisarla che farete tardi. La vera libertà sta nel poter spendere ogni vostro centesimo in collane a forma di scettro di Sailor Moon. Perché sì. Nessuno vi darà un mutuo, ma la collana di Sailor Moon ve la potete permettere. La collana di Sailor Moon è un vostro diritto. E questo Natale, se qualcuno vi verrà a dire dove trovarla, ve la comprerete.
Porca puttana.
Le voglio tutte.

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Il primo miracolo del consumismo moderno che il Tegaminario dell’Avvento intende propinarvi è l’incomparabile catalogo di Kuma Crafts. Questa gente, di cui ignoro la provenienza e anche un po’ le motivazioni, ha deciso di donare al mondo uno sterminato assortimento di spettacolari patacconi ispirati al multiforme e indimenticabile universo di Sailor Moon. Roba che dovrebbe far impallidire Anna Sui e le sue scalognate limited-edition di borsette coi loghini dei pianeti delle Inner Senshi. Vergognati, Anna Sui. Queste cose qua, dovevi fare. Diademi! Glitter! Braccialetti-gattino! FIOCCHI.

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Sailor Moon, ovviamente, è la guerriera più rappresentata. Ci sono anche le mollettine bianche da mettervi sul cranio. Con mia grande felicità, però, ho scoperto che l’adorabile e tormentatissima Sailor Saturn – che il cielo ci preservi dalla sua devastante collera – è una delle poche ad avere una gamma quasi completa di aggeggi da appendervi addosso. Mentre noialtri siamo qui a poltrire in vestaglia, là fuori c’è chi produce il corredino di monili di Sailor Saturn. Non so se mi spiego. Mai nella vita avrei pensato di trovarmi di fronte a una tale magnificenza. Grazie al cielo ho trent’anni e una tredicesima imminente.

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Ormai decisa a lasciarmi travolgere da quest’ondata di entusiasmo senza precedenti, saluto calorosamente le vostre carte di credito con un perentorio SILENCE GLAIVE, SURPRISE!
Ci vediamo domani con le prossime cretinate da aggiungere alla vostra letterina di Babbo Natale – e no, anche se mi piacerebbe, non saranno le cuffie di Sailor Moon. Insomma, perché accontentarsi di un iPhone, quando potete chiedere una falce galattica?