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Ottobre 2015

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In generale, sono stata una bambina molto fortunata. E Harry Potter, senza ombra di dubbio, fa parte a pieno titolo delle cose felici che mi sono capitate crescendo. Imbattersi in un universo di questo genere è raro, nella vita di un lettore. Che ti capiti mentre stai diventando grande, poi, è piuttosto miracoloso. Le “mie” edizioni di Harry Potter sono un gran casino. I primi due sono in italiano, gli ultimi cinque in inglese – tutti diversi. Ordinavo la mia copia online – su Bol, pensa te – appena usciva il nuovo libro, senza badare troppo al packaging. Alcuni hanno la copertina dell’edizione “da grandi”, altri quella illustrata. Ora, a casa, abbiamo in tutto 21 libri di Harry Potter, compresi i due cofanetti completi – quello blu con il castello di Hogwarts e quello psichedelico con le coste fotoniche e i collage con gli animali pazzi. Si narra che quelle copertine siano, in assoluto, le preferite dalla Rowling, ma continuo a sperare che si tratti di una pura leggenda metropolitana. Comunque. I “miei” Harry Potter sono ancora a Piacenza, esattamente dove li avevo lasciati. Forse, però, è arrivato il momento di portarli qui e di presentarli alla nuova edizione Salani con le illustrazioni di Jim Kay. Perché un libro così è una garanzia di felicità, proprio come la felicità che ho provato da piccola quando ho scoperto che al mondo esisteva la saga di Harry Potter.

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Qualche parruccone potrebbe dire che Harry Potter è un libro che non ha bisogno di illustrazioni. Racconta un mondo così ricco, ramificato e vivo che, chiedendo a qualcuno di rappresentarlo, si finirebbe quasi per rovinarlo. Con i film, tutto sommato, ci è andata bene, ma mettere dei disegni di fianco a una storia – e ritrovarsi tutto quanto in mano, in un libro vero – è un’altra faccenda. La lettura, un po’ come la fantasia ben coltivata, è un lavoro solitario. La puzza di una pozione, il baccano sulle tribune di un campo da Quidditch e l’aspetto di un Dissennatore sono, in fin dei conti, una questione molto privata. Ho visto i Dissennatori al cinema, ma continuo a immaginarmeli a modo mio… e niente, temo, potrà farmi cambiare idea. Quello che posso dire, dopo aver sfogliato La pietra filosofale è che questa nuova edizione è incredibilmente affascinante, ma anche molto “rispettosa” del nostro amore per la saga. Perché quelle di Jim Kay sono illustrazioni da lettore. Sono di una precisione maniacale, ma sono anche diverse da tutto quello che ci è capitato di vedere prima. Non si mangiano la storia, le crescono attorno – come un commento saggio o un approfondimento interessante. Sono i disegni di una persona che, in un modo o nell’altro, adora questa storia quanto la adoriamo noi. E ce ne sono un milione, di questi disegni. Le pagine sono piene di macchioline d’inchiostro, i capitoli cominciano sempre con una cornice “tematica”, ci sono paesaggi a pagina piena, castelli e personaggi che spuntano all’improvviso e, in ogni angolino, si nascondono dettagli inaspettati. Ho trent’anni e un brutto carattere, ma se mi accorgo che un artista si è preso la briga di incidere un microscopico “T RIDDLE” sul portone che fa da sfondo a un ritratto di Hermione, un po’ mi emoziono. E gli sono istintivamente grata.
Adoriamo tutti insieme:

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Saltellini.
Cricetini festanti.
Vulcani che eruttano fenicotteri!
LACRIME GLITTERATE.
Per concludere il tour, parlerei anche del prezzo. Questo libro bellissimo costa 29 euro. Ora, 29 euro possono essere molti o pochi. Il molto o il poco dipendono dalla vostra disponibilità economica, dalla vostra propensione all’investimento o al risparmio e dalle vostre priorità di consumo in un dato momento storico. Qui, però, non stiamo parlando di 29 euro in senso generale. Stiamo parlando del prezzo di questo specifico libro. Bene? Bene. Cortesemente, non venitemi a dire che 29 euro per questo libro sono tanti, perché vi denunzierò ai centauri. E vi consiglierò anche un corso accelerato dal titolo “Come si fa un’edizione illustrata fighissima”, seguito dall’approfondimento “Se non capite perché questo strabiliante volume non costa 5 euro e 90, vi meritate Newton Compton. E pure Geronimo Stilton”. L’affermazione “Mi piacerebbe un casino, ma in questo momento non me lo posso permettere perché ho appena sganciato 160 euro di gas –  ma conto sulla benevolenza di Babbo Natale” è del tutto accettabile e legittima. L’affermazione “Minchia, zia! Costa troppo! Ma che è, d’oro?” scatenerà l’orda di centauri.
Non credo di dover aggiungere altro.
Visto che non posso fotografarvi maldestramente l’intero TOMO – e che, in tutta franchezza, auguro a chiunque di portarsene a casa una copia da spulciare con infinita attenzione -, mi fermo qui. Sfogliatelo quando siete tristi, convertite i miscredenti, allevate basilischi e preparate una carbonara con Peppa Pig.

 

Gatto triste compleanno

Cioè, magari non è una cosa così riprovevole. Magari lo fanno tutti e mi sto flagellando per niente. Probabilmente è un’orrore perpetrato ogni giorno da milioni di persone, che continuano comunque a condurre una vita normale, onesta e felice.
A me, però, un po’ dispiace.
Perché non è una roba carina. E io, di base, faccio del mio meglio per comportarmi con urbanità, cortesia e gentilezza.
Non si fa. E lo capisco benissimo. Solo che è incredibilmente comodo, come metodo.

Niente. Vediamo che cosa ne pensate voi, che siete degli esseri umani come si deve.

Nella vita si accumulano moltissimi amici e conoscenti. Il 97% di questi personaggi, prima o poi, TI AMICA su Facebook. E amicamento dopo amicamento, ti ritrovi con una nutritissima legione di CONNECTIONS. Non tutte queste CONNECTIONS, purtroppo, hanno la stessa rilevanza nel contorto panorama della tua esistenza. Specialmente di fronte al tempo che passa, molte amicizie si sgretolano e molte persone vengono dimenticate o rimosse, lasciando il posto a pezzi nuovi della tua vita. Facebook, però, non ha modo di saperlo. E tu, giorno dopo giorno, continui a portarti a spasso questa varia umanità che, in punti imprecisati del tempo che hai passato su questo pianeta, ha rappresentato qualcosa per te. Amichetti delle elementari che, per un motivo o per l’altro, non vedi da vent’anni. Personaggi che frequentavano la tua spiaggia quand’eri alle medie. Tizie che giocavano a tennis con te. Compagni di università che, dopo un corso frequentato insieme, sono stati inghiottiti dall’impenetrabile vortice dell’universo e si sono volatilizzati. Cugini dei tuoi ex-fidanzati. Amici del calcetto dei tuoi ex-fidanzati. Professoresse dei tuoi ex-fidanzati. Gente con cui uscivi e che, appena hai cambiato città per lavoro, ha smesso di chiamarti – e che tu, comunque, non ti sei particolarmente sforzata di cercare. Uomini che ti hanno incontrata a una festa e ti hanno subito chiesto l’amicizia, nella speranza di insinuarsi nei tuoi anfratti più reconditi. Pazzi incrociati in vacanza. Gondolieri. Trombamici. Fidanzate dei trombamici. Ex-morose dei tuoi amici. Coinquilini che non lavavano mai i piatti. Colleghe dell’ufficio di New York che già sapevi di non poter mai più frequentare. Portinaie. Gente che pensavi potesse trovarti un lavoro. La suora che ti sgridava all’asilo. I figli della tua insegnante di pianoforte.
Riuscire a percepire la superflua vastità di questo carico di esseri umani che costituisce i tuoi amici di Facebook non è assolutamente facile. Alla fine – e com’è giusto – ti interesserai soltanto alle vicissitudini quotidiane di chi ti è realmente più vicino, lasciando che gli altri vadano un po’ a farsi benedire. Ma loro, più o meno vistosamente, rimarranno lì. Certi si prenderanno quotidianamente la briga di partecipare alle tue avventure e di interagire con te – mettendo ancora più in risalto l’asimmetria che contraddistingue il vostro “rapporto” -, mentre altri non faranno che confermare la vostra fondamentale e reciproca estraneità.
Di questa roba, si diceva, non ci accorgiamo con sufficiente incisività. Ci trasciniamo in giro il nostro brodazzo primordiale di conoscenze alla lontana e, alla fin fine, non ne percepiamo neanche troppo il peso. È quando siamo chiamati a celebrare un evento importante per ogni essere vivente, però, che questa tragica indifferenza non può che venire violentemente a galla.
Perché Facebook, all’improvviso, ti dice che Giannone Pescalonza compie gli anni.

Solo che tu, purtroppo, non hai idea di chi diamine sia, questo Giannone Pescalonza.

Nel tentativo di comprendere se valga o meno la pena di fare gli auguri a Giannone, sprechi ben trenta secondi del tuo tempo a fissare come una triglia cotta la sua foto profilo. La sua faccia, malauguratamente, non ti dice niente. Sprechi altri quindici secondi a verificare le amicizie in comune. E non ti capaciti di chi siano questi individui. Cerchi ci capire da dove venga Giannone, ma è un posto che non ti sei mai e poi mai sognata di visitare. Pure la timeline di Giannone sembra la superficie di un pianeta alieno. Ci sono un sacco di quelle foto con le giraffe glitterate che gridano BUONGIORNO con un mazzo di rose in mano. Dei putti che recitano frasi di Osho. Centodue appelli per l’adozione di una nidiata di cocorite sorde, storpie e orbe. Una foto sbilenca del sagrato del tempio di San Giovanni Rotondo. L’oroscopo settimanale di Paolo Fox per il segno dello scorpione. Il risultato dell’accuratissimo quiz CHI ERI IN UNA VITA PRECEDENTE. Una mastodontica scritta in WordArt che recita CHI SI FA I CAZZI SUOI CAMPA CENT’ANNI, seguita da un SOS sulla pericolosità delle scie chimiche e da un volantino delle offerte settimanali del Famila.
Insomma, Giannone è un mistero. Non sai chi è, a prima vista ti sembra un conclamato pirla e non hai idea di come sia finito tra i tuoi amici.
Dopo aver escluso la possibilità che qualcuno ti abbia messo una polverina nel drink – proprio la sera che hai conosciuto il Pescalonza -, ti decidi finalmente ad ammettere che tu non te lo ricordi proprio, il povero Giannone. E, di fronte alla prova inconfutabile della tua assoluta estraneità a questa persona, cominci anche a domandarti che senso abbia tenersi tra gli amici di Facebook un emerito sconosciuto. La sua presenza, all’improvviso, ti risulta intollerabile. Lo percepisci proprio come un fardello. Cinque minuti fa manco ti ricordavi che c’era e ora, pur continuando ad ignorarne la storia, il vissuto e anche la fisionomia, te lo vuoi levare dai piedi.
E che fai, dunque?
Vai sulla pagina di Giannone Pescalonza e, invece di fargli gli auguri di compleanno come stanno facendo tutti gli altri esseri umani che lo conscono per davvero e che magari gli vogliono pure un gran bene, lo elimini dai tuoi amici di Facebook.
Ma così.
Senza fare una piega.
Nel giorno del suo compleanno.
Con l’efficienza di Vasilij Grigor’evic Zajcev, il cecchino più letale della battaglia di Stalingrado.
Con la freddezza di una dilofosauro vendicatore.
Con la suprema indifferenza di un monarca assoluto.
Ciao, Giannone. Stammi bene. Ma un po’ più lontano da qui.
Lì per lì, ti senti in pace. Hai fatto un passo avanti verso l’affermazione di una simmetria più realistica tra la tua vita “reale” e la tua esistenza “virtuale”. Eliminando una variabile inspiegabile, hai contribuito ad aumentare il livello medio di ordine del tuo microcosmo. Arrivi a convincerti che neanche Giannone Pescalonza si ricorda chi sei e che, quindi, questa brutale separazione non avrà alcun genere di ripercussione sulla sua autostima e sulle sue condizioni psicofisiche. E ti sentirai pure scaltra come Napoleone Bonaparte. Eliminare qualcuno dagli amici proprio nel giorno del compleanno, infatti, è una mossa tatticamente astutissima. Con tutti gli auguri che gli saranno arrivati, il Giannone non avrà mai e poi mai modo di capacitarsi della tua repentina e vigliacchissima scomparsa.
Se ben ci pensate, è un ragionamento di terrificante ed egoistica modestia.
Purtroppo – e nostante gli sforzi che dedicherete alla costruzione di un solidissimo impianto logico in grado di giustificare le vostre riprovevoli azioni – il risultato è che, dopo aver eliminato Giannone Pescalonza dai vostri amici di Facebook nel giorno del suo compleanno, vi sentirete comunque delle merde terrificanti. Perché è una roba da brutte persone. È palesemente sbagliato. Anche il peggior sociopatico omicida mai vissuto riuscirebbe a capire che non si fa. È qualcosa da condannare, come condanniamo i bracconieri che bastonano in testa le foche monache o i vicini di casa che fanno baccano alle 9 della domenica mattina. Di punto in bianco, vi renderete conto dell’enormità delle vostre azioni e vi sentirete i più stronzi dell’universo. Vi domanderete anche, in preda ad atroci rimorsi, se ne sia valsa la pena. Avete un profilo Facebook più ordinato. Ma la vostra anima è diventata nera come un cormorano che sguazza in una macchia di nafta putrefatta. Avete sbagliato, ma non potete tornare indietro. Se aggiungerete di nuovo Giannone agli amici, infatti, lui se ne accorgerà… e la vostra arguta copertura andrà ufficialmente a farsi fottere. Non c’è rimedio, non ci sarà consolazione e nessuna religione sarà pronta a gestire il vostro caso e ad offrirvi un po’ di consolazione – non in tempi ragionevoli, almeno. Non vi resterà, dunque, che vagare per le strade della Terra, con la sola compagnia della vostra riprovevole malvagità e con l’assillo di un’unico, immenso quesito: ma… alla fin fine, chi stracazzo era Giannone Pescalonza?

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Qualche mese fa, ci siamo tutti presi molto bene con lo spazio. C’era Samantha Cristoforetti in orbita, c’era Fazio che la intervistava con domande stupidissime ogni venti minuti e c’era lei, idola incontrastata, che postava forsennatamente foto dalla stazione spaziale. Nel 95% del casi, aveva in mano la Guida galattica per gli autostoppisti, manovrava attrezzature del tutto incomprensibili ai comuni mortali, leggeva filastrocche di Rodari, calcolava a mente l’orbita di Nettuno o indossava un’uniforme di Star Trek. Non so voi, ma io la amo.

Quando Samantha Cristoforetti è tornata sulla Terra, però, il nostro entusiasmo per l’esplorazione dell’universo si è un pochino ammosciato. Eh, signora mia, con tutti i problemi che abbiamo in Italia. Ah, Renzi vuole metterci il canone RAI in bolletta. A Roma c’è l’asfalto pieno di buche. D’autunno bisogna vestirsi a cipolla. La verità, però, è che lo spazio continua ad essere incredibilmente interessante.  Va bene, sulla Luna non ci andiamo da un pezzo e chissà se – Matt Damon a parte – arriveremo mai su Marte, ma stanno comunque capitando faccende spettacolari. E la NASA non ha alcuna intenzione di mollarci. Anzi, è qui per raccontarci tutto con un insospettabile senso dell’umorismo.
Non tutti sanno, ad esempio, che il glorioso ente spaziale americano gestisce qualcosa come un centinaio di profili social. Volevo contarli, ma mi sono rotta le balle dopo i primi 24. Sono tanti, sono ovunque. Ogni missione, ambito di studi, astronauta o centro di ricerca è attivo su un canale dedicato. Twitter è obbligatorio per tutti, ma parecchie divisioni si divertono follemente anche su Facebook, Instagram, YouTube, Flickr e Vine, con risultati spesso adorabili o – alla peggio – super istruttivi e affascinanti.
Visto che orientarsi non è sempre immediato – e che, francamente, non so quanto vi garbino i pipponi di astrofisica applicata – mi sono permessa di spulciare un po’. E ho scoperto che c’è tantissima roba che possiamo seguire anche noi, senza che ci esploda il cervello. Non siamo mai stati abbastanza bravi in matematica per fare gli astronauti, ma i film di fantascienza e i tweet della NASA possiamo sempre goderceli, maledizione.
Che c’è sul menu?  

Asteroid Watch

Temete per la vostra incolumità o non vedete l’ora che Bruce Willis salvi il mondo con una trivella petrolifera? Molto bene, c’è Asteroid Watch – il profilo Twitter che informa i terrestri – con ragionevole anticipo – del passaggio più o meno ravvicinato di sassi e asteroidi, specificando il grado di minaccia per il nostro pianeta e smentendo (con doverosa sicumera) ogni genere di fandonia catastrofista. Utilissimo e rassicurante.  

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Mars Curiosity

Curiosity passeggia su Marte dal 5 agosto 2012. Più grande e “sofisticato” dei cuginetti Spirit e Opportunity, Curiosity scala montagne, scava buche, sminuzza rocce, analizza composti inorganici, fotografa formazioni geologiche e manda cartoline.

Curiosity, a quanto pare, è anche un grande fan di Star Wars – “Carbonite encased Han Solo, but carbonates didn’t trap enough atmosphere to account for ending Mars’ warm/wet era” – e del primo Matrix. Che poi era anche l’unico che valeva la pena guardare.

Nel tentativo – pienamente riuscito, per quanto mi riguarda – di diventare il primo Gianni Morandi a lasciare l’orbita terrestre, Curiosity ha anche cominciato a spararsi dei rispettabilissimi selfie (rispondendo con un pacato video dimostrativo a tutti gli HATERS che non riuscivano a spiegarsi dove diamine fosse il braccio meccanico con sopra la macchina fotografica).

Da un robot geologo col pallino del reportage non potevamo aspettarci nulla di meno. Per chi fosse interessato al rullino completo delle esplorazioni dell’adorabile robot, poi, la NASA aggiorna una pagina specifica con tutti gli scatti raw che Curiosity spedisce a casa al termine di ogni Sol (= giorno marziano). Prima o poi, ne sono certa, ne troveremo uno in cui abbraccia Marte. Tutto intero.

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Mars Rovers

Spirit e Opportunity erano stati costruiti per funzionare sulla superficie di Marte per 90 giorni. Erano atterrati grazie a un folle sistema di cuscini gonfiabili nel gennaio del 2004. Spirit si è arenato nel 2011, senza più dare segni di vita. Opportunity, in barba al buonsenso e ai bookmakers, continua a funzionare e ha da poco festeggiato il traguardo dei 42 chilometri percorsi sulla superficie marziana. La NASA, per l’occasione, ha organizzato una maratona aziendale.

Anche se Spirit e Opportunity rimarranno per sempre i miei rover preferiti, devo ammettere che Curiosity ci sa fare di più. Diciamo che i tweet di Spirit e Opportunity finiscono con [staff], mentre quelli di Curiosity sono tutta roba sua. La cosa veramente stupenda, comunque, è assistere alle conversazioni tra robottini esploratori. Tifano per il trionfo della scienza, danno il benvenuto ai nuovi orbiter e usano anche le GIF.

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Voyager

Il Voyager è pacato perché, di mestiere, fa l’ambasciatore. È stato lanciato nel 1977 e, al momento, è l’aggeggio umano più avventuroso dell’universo. In realtà, la missione Voyager comprendeva due navicelle, partite per esplorare il sistema di satelliti di Giove e gli anelli di Saturno. Il Voyager 1, dopo aver portato a termine la sua missione principale, è stato “riprogrammato” per partire alla scoperta dello spazio interstellare, approfittando del magico effetto-fionda dei pianeti giganti che era andato inizialmente a visitare. Il Voyager 1 – cosa mirabile – è equipaggiato con il famoserrimo Golden Record, un disco che racconta la provenienza della navicella e trasporta immagini e suoni del nostro pianeta. Lo scopo del Golden Record – curato da Carl Sagan in persona – è di farci fare bella figura con gli extraterrestri. Se mai accadrà, ne verremo prontamente informati su Twitter. E, per ingannare il tempo, possiamo sempre ascoltarci il Golden Record

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Robonaut

Come ci insegna Sandra Bullock, lo spazio è oscuro e insidioso. Per tenere al sicuro i suoi astronauti e sollevarli dai compiti potenzialmente letali, la NASA ha sviluppato un servizievole robot vagamente antropomorfo e l’ha spedito sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove tutti sembrano ormai considerarlo una persona vera. Robonaut, dal canto suo, è un tipo molto diligente. Attende con pazienza gli aggiornamenti del software, si esercita per migliorare coordinazione e destrezza, si sciroppa con grande sportività lezioni chirurgiche di ogni genere e non si offende quando lo trattano come un giocattolo gigante.

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Nasa History

Perché qualcuno dovrà pur darvi una mano a vincere a Trivial Pursuit. Questo account è un vulcano di fatti, ricordi ed eventi memorabili del programma spaziale. Dal lancio del primo satellite canadese (l’hanno chiamato ALOUETTE… Maria, io esco) al compleanno di Luca Parmitano, Nasa History non se ne perde una. Un posto stupendo per i nostalgici, una gioia per i curiosoni e una miniera d’oro per i veri invasati – tipo il mio papà.

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Messenger

Lanciato nel 2004 e giunto a destinazione nel 2011, Messenger è stato il primo velivolo spaziale a orbitare intorno a Mercurio. In tutta franchezza, non ho idea di che cosa abbia scoperto laggiù, ma mi piacerebbe comunque assegnare a questo piccolo e coraggioso eroe l’ambito Premio Lacrime del programma spaziale americano. Dopo dieci anni di onorato servizio, infatti, Messenger è andato in pensione… schiantandosi sulla superficie di Mercurio. Tipo la MIR, no? Non ci servi più, stazione spaziale. Aggiusteremo la tua orbita e ti faremo precipitare senza tante cerimonie. Ecco, la medesima sorte è toccata al povero Messenger. Il problema è che Messenger ha avuto tutto il tempo per rendersene conto. I suoi Tweet di addio sono più tragici dell’inizio di Up. Più struggenti della morte lenta e inesorabile di Hal9000. Ben più devastanti e sbudellosi di Non lasciarmi. Rendiamo onore alla sua memoria.

 

Non ti dimenticheremo, piccolo Messenger. Ci rivedremo… là dove nessun cosino orbitante è mai giunto prima.
E basta. Ho finito. Felice spazio a tutti.

…cioè, speriamo che Alberto Angela legga questa roba. Ti voglio bene, Alberto Angela. Portami con te in una catacomba interstellare! Anche tu, signora Cristoforetti. Vieni a bere una cioccolata con me. Ci scambieremo le magliette dell’Ipnorospo e declameremo poesie Vogon! Guarderemo Alien! Ci lamenteremo di Prometheus! Inventeremo un progetto per lanciare Magalli nello spazio! CUORI A TE, SAMANTHA!
Già. Fangirlare con gli astronauti è possibile.