Intervistini: Stailuan vuole farci trovare la nostra identità su Instagram
Andrea Antoni, in arte Stailuan, è uno dei miei esseri umani preferiti. Mi piace quello che disegna, mi piacciono i suoi graffiti super coccosi, mi piace quello che scrive – soprattutto quando è molto polemico o parla di cotolette giganti – e mi piacciono anche le sue foto su Instagram. Ho capito che potevamo diventare amici quando mi sono imbattuta in un video superbamente surreale, un prezioso filmato postmoderno che documenta un’impresa impossibile: comunicare con un Furby svedese. Quando ho scoperto che aveva scritto un manuale buffo – ma saggissimo – su come usare con criterio il mio nuovo social network preferito, ho subito pensato di andarmelo a comprare… ma non ho fatto in tempo.
Al che, visto che è simpatico e molto paziente, ho deciso di ammorbarlo con una lunga e sconclusionata intervista. Spupazzatevela con gioia… e andatevi a cercare il libro. Anche se pensate di essere già dei fenomeni.
***
Caro Stailuan, bentornato su Tegamini. Come vedi, il tuo mirabile logo non ha mai smesso di abbagliare le folle con la sua sconvolgente bellezza ciambellosa. Me ne vanto ogni venti minuti, ma non sono ancora riuscita a raccontare le tue gesta all’intero pianeta. Per quei quattro stolti che ancora non ti conoscono, dunque, facciamo un mini “chi è Stailuan”. Insomma, presentati. In maniera rocambolesca, magari.
Ave popolo tegaminesco, il mio nome di battesimo è Andrea, ma dal 1997 (quando iniziai a dipingere graffiti) ho scelto la tag Style1. Siccome l’Italia non era pronta a una parola anglofona così potente e nessuno era in grado di scriverla in modo corretto, scelsi di avere come nickname sull’internet @stailuan. In data attuale nessuno riesce a trovarmi come “stailuan” in quanto tutti hanno iniziato a scriverlo correttamente in inglese: insomma mai una gioia.Entrando più nello specifico, sopravvivo lavorando come grafico freelance e, appunto, graffiti-writer. Passo le mie giornate scrivendo post idioti su Pensieri & Caffelatte e condividendo foto sull’instagram che testimoniano le mie continue uscite con la tavola (stand up paddle) in mare, ottenendo tanto odio gratuito da chi è chiuso in ufficio ma pure molti like.

Il tuo libro è un manuale semiserio per un corretto – e gratificante – utilizzo di Instagram. E fin qui, ci siamo. Quello che mi interessa, però, è scoprire motivazioni occulte e mistici retroscena. Perché ti immagino un po’ come un supereroe della fotografia fatta con criterio. Hai deciso di prendere in mano la situazione perché non ne potevi più di vedere ciabatte bruciate dal flash e orizzonti sbilenchi?
In realtà lo scorso anno mi contattò l’editore proponendomi di scrivere un libro sull’instagram, e io gli risposi #ciaoproprio. Addussi come motivazione che non ne so abbastanza per scrivere un libro e che gli instagramers più noti mi avrebbero fatto a brandelli. Ottenni come risposta “e quindi? Scrivilo, tanto di qualche morte si deve morire”. Non è vero, non rispose così, mi disse che gli era piaciuto lo stile delle mie guide semi-serie e che quindi era interessato a collaborare con me. A quel punto, dopo un’investitura simile a Imperatore del Sacro Romano Instagrammico Impero, non potei rifiutare.Il resto è storia nota: ho svariate teste di cavallo nel freezer.
Qual è la tua posizione ufficiale sul selfie-stick? Tu lo usi plasticissimamente per farti le foto mentre ti tuffi in mare… ma l’umanità ne ha davvero bisogno?
Se parliamo di bisogni, secondo me, l’umanità non ha bisogno di quasi niente. Non ci serve facebook, non ci serve instagram, non ci servono molte altre tecnologie. Ma spendere migliaia di euro in minchiate di gadget, perdere ore al computer condividendo gattini, e poi piangere la crisi è una situazione abbastanza bella che accomuna i popoli e riscalda i cuori e quindi si va avanti. Il bastone per farsi quelli che, ai tempi dei dagherrotipi, chiamavano autoscatti secondo me è molto utile: non solo per spararsi questi #selfie maledetti ma anche per scattare foto dall’alto trovando angolature insolite. In alternativa c’è il drone, ma costa un filino di più.

Una cosa che non ho mai capito è come devo comportarmi quando vado da qualche parte. Io, che ho il campo-base a Milano, alle foto che faccio a Milano aggiungo un saggio #igersmilano. Ma cosa succede se fotografo un malinconico tramonto piacentino? Dovrei mettere #igerspiacenza… ma non faccio legittimamente parte della community del ridente territorio piacentino. Insomma, come diamine si fa?
L’hashtag #igersNOMELUOGO si lega al territorio in cui ti trovi, quindi attenta a quando condividi una foto! Io ad esempio abito in Friuli Venezia Giulia e ho a un un tiro di schioppo l’Austria e la Slovenia: ho la IgersPoliziaDiConfine che sta attenta continuamente che non sbagli il tag o il geotag. Scherzi a parte, che l’hashtag usato sia #igersQualcosa, #IGqualcosa o #AltraCommunityQualcosa (perché ricordiamo che Instagramers Italia è una community enorme ma ne esistono comunque delle altre) devi legarlo al territorio. Quindi se sei a Napoli userai #NomeCommunityNAPOLI, se il giorno dopo sarai a Torino userai #NomeCommunityTORINO. Nel caso il tuo cuore appartenga a una community ben precisa, nel caso degli igers esiste un hashtag abbastanza brutto (ed estremamente lungo) che è strutturato in #igersNOMECOMMUNITYintrasferta. Tipo #igersMILANOintrasferta per entrare nel tuo caso specifico. Questo va ad etichettare in un unico stream le foto degli igers milanesi scattate altrove.
Hai mai conosciuto un’autentica Persona-Sutro?
Sì, e ne ho una paura bestia. È un circa social-coso (non so esattamente che lavoro faccia), tra l’altro della mia città (mica facile data la scarsità di popolazione) emigrato a Milano. Credo che quindi sia entrato nel mood di pioggia e nebbia della city e si sia insutrito. Lui mi ha pure insegnato l’esistenza dell’hashtag #thinkSutro che vorrei dire… pensare Sutro son problemi seri, eh. Oddio, meglio che pensare Lord Kelvin… però insomma, non possiamo fare sempre la rincorsa a chi sta peggio.
Ci piacerebbe vedere la foto di cui vai più fiero. Perché siamo curiosoni.
Non saprei sceglierne una in particolare, trovo divertente riportarvi questa che è l’immagine con cui ho annunciato ai miei followers su Instagram l’uscita del libro. È una composizione divertente in cui metto assieme, e volendo anche mi prendo gioco, di alcuni punti di forza delle foto di instagram:• in primo piano c’è il mio libro che segue il trend dell’hashtag #inmyhand• l’ambientazione è un pontile (i pontili vanno di brutto!): fotografa un pontile e conquisterai il mondo• in fondo al pontile c’è un gatto, disegnato in Illustrator• il tutto è scattato durante il tramonto (#epicsunset) e chiaramente modificato “il giusto” tramite un poco di post produzione.Il risultato finale è un casino compositivo di grande interesse.

Qual è il trend imbecille che detesti di più?
Io vado matto per le foto delle tipe che si fotografono le tette e come didascalia, per giustificare il loro ego da zoccole, scrivono cose tipo “bored” oppure “pausa studio” o ancora “vi piace la mia maglietta?”. Secondo me è spettacolo puro: ignoranza a livelli estremi. Però non è che le detesti, in fondo in fondo un poco anche le stimo: odio et amo direi. Peccato però, perchè non diverranno presidentesse degli Stati Uniti d’America. O forse sì.Lo scopriremo assieme nei prossimi anni.
Ho letto con grande trasporto il saggio capitolo sui video, ma temo di aver bisogno di qualche consiglio in più. Dovrò presto dedicarmi a un impervio montaggio e sono, come sempre, incapace. Hai qualche prezioso suggerimento da dispensare? Ci sarà un’app, perbacco!
Gli instagramers solitamente ragionano solo per app. Io a pensare solo tramite app sbarello parecchio perché avendo una formazione da grafico sono abituato ad usare il computer con uno schermo da 50 milioni di pollici, non uno smartphone formato grande puffo. Di conseguenza i – pochi – video che monto per la pubblicazione su instagram sono fatti con software dedicati come Premiere o anche l’ignorante programma fornito da GoPro (già completo di template e musiche eroiche).App ce ne sono ma non sono la persona più adatta ad elencarle.
Il profilo privato. Ma perché.
È un’ottima domanda e non so dare una risposta: forse pubblicano solo foto riguardanti le prove assolute dell’esistenza degli alieni o l’esatta locazione dell’Arca dell’Alleanza. Se una cosa è privata va da sé che non la pubblichi, se non è privata sblocca quel lucchetto e condividila con il mondo.
“Mettermi a fotografare gatti solo per avere dei like in più non fa per me”. Che cos’hai contro i gatti? Non li ritieni forse abbastanza degni? Ti hanno graffiato da piccolo? O tenti, con questa controversa affermazione, di differenziarti dal becero mainstream?
Ho un’allergia devastante ai gatti e quindi essendo un poco la mia kriptonite li odio. È stato epico quando, lo scorso anno, mi invitarono in svizzera a dipingere un graffito per un Salone di Bellezza per gatti. Quando mi mandarono la foto della parete da decorare, nell’inquadratura vidi un muro bianco e davanti a questo un felino cumulonembo con il pelo bianco-totat-white dalla lunghezza di 10 cm. “Boh, speriamo bene” pensai mentre in treno viaggiavo verso il mondo di Heidi. Arrivato li, in giardino, venni accolto da TRE gatti uguali a quello della foto e la padrona mi disse “Sei allergico ai gatti?” io risposi falsamente “Mah, un pochino, ma vedo che ne hai tre, pensavo uno”. La risposta fu uno shock :”No, non ne ho tre, ne ho DIECI”.*________*Mi vidi morto, ma pensai che morire in Svizzera era comunque meglio che in Friuli Venezia Giulia e quindi accettai il mio destino. Poi clamorosamente non ebbi nessun attacco asmatico e ora sono qui a raccontarvela.

Ora che hai scritto un libro, sei consapevole che potresti finire in qualche tesi di laurea? Sei pronto a un passo del genere?
Sì, io sono nato pronto e, onestamente, mi sento offeso per non esserci già finito. In realtà ci sono già atterrato in alcuni casi, ma in tesi di laurea riguardanti i graffiti. Sì perché taluni fanno tesi sui graffiti. Tutti pensano che anche io abbia fatto una tesi sui graffiti o in casa abbia dipinto ovunque: in realtà li lascio alla strada e le mie pareti son sempre bianche. Altrimenti noia a palate.Ad ogni modo la mia presenza in una tesi di laurea sarebbe l’ideale per essere bocciati in sede di discussione.
Il tuo libro è una guida per personcine vere. Ma su Instagram ci sono anche innumerevoli brand. Alcuni provano a sviluppare una strategia specifica per il canale, altri riciclano e ci badano poco. C’è un brand che, secondo te, sta facendo qualcosa di davvero nuovo e interessante?
Sì, ma non vado a fargli pubblicità se non mi pagano, di conseguenza non riporterò il loro verbo gratuitamente. Va bene essere scemi, non ho nulla contro le social-markette, però devono essere pagate.
Nel libro parli di alcuni fenomeni assoluti che noi tutti dovremmo seguire. Ma quali sono davvero i tuoi super preferiti? Io, per dire, sto sviluppando un feticismo irrecuperabile per @NatGeo e per i fotografi che rincorrono foche in capo al mondo… e sono anche assolutamente ipnotizzata da @barbiestyle. Ognuno ha i suoi problemi, insomma.
Escludendo le foto di paesaggi clamorosi di luoghi che non vedrò mai, vado matto per @osnuflaz e il suo T-Rex giramondo e per le gallery dei fan della GoPro che pubblicano selfie astrusi di gente che si lancia con la tuta alare da una mongolfiera indossando una maschera da tigre (per farne un esempio). Poi seguo le Suicide Girls che vincono a palate. Il mondo sembra essere pieno di Suicide Girl, poi per strada non ne ho mai vista neanche una. Secondo me si annidano in qualche spelonca segreta e bisogna stanarle con il fuoco. Prima, però, bisogna capire dove si trovi questa grotta e – onestamente – non ne ho idea.Il problema sui fenomeni del web, comunque, è che nascono spesso dei trend super interessanti, ma si diffondono istantaneamente a macchia d’olio, li trovi ovunque e te ne stufi rapidamente. Ad esempio le foto degli omini Lego ambientati in contesti reali sono molto carine, ma ormai sono così mainstream che hanno rotto le balle.
Ti abbiamo tediato a sufficienza. Salutiamoci con il un consiglio semplice e sincero per fare meno schifo su Instagram. E che gli alpaca ti proteggano come meriti. Grazie :3
Cerchiamo la nostra identità su Instagram, ma anche nella vita. Facciamo le cose con stile sempre, non in un solo ambito specifico. Non andiamo a copiare gli altri, ma studiamo il loro stile, metabolizziamolo e partoriamo qualcosa di unico e personale, possibilmente migliore… ma ricordiamoci che non è una gara. Avere tanti like è bello, ma spesso è particolarmente inutile: non vendiamo l’anima per qualche falso apprezzamento in più, rimaniamo coerenti con noi stessi.
-0 Comment-