Insensatezza a sprazzi
Ho pagato il canone, amici. Il canone. Ti prendi paura, la prima volta che ti arriva la letterina della RAI con su tutte quelle robe minacciose dell’Agenzia delle Entrate. Ero lì, in mezzo al salotto, con questi fogli incomprensibili in mano. Il gatto mi guardava con apprensione, che è scemo come una ciabatta, ma è estremamente empatico. Poi è arrivato Amore del Cuore e non l’ho neanche salutato. Gli ho solo detto CI HANNO TROVATI.
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MADRE sta scoprendo Facebook. Il disastro è iniziato con il mio papà che ha deciso di aprirsi un account dormiente, tipo cellula terroristica. Si è scoperto che è su Facebook da gennaio. Per circa nove mesi, ha caparbiamente rifiutato ogni richiesta di amicizia e si è ben guardato dall’interagire col suo prossimo. Poi devono averlo trovato i miei vicezii di Treviso e non ha più potuto fingere di non esistere. Ora si diverte a monitorare con incredibile perizia gli spostamenti e le avventure dei suoi lontanissimi parenti che vivono in Florida da ormai tre generazioni. Gente mai vista. Sconosciuti che prosperano nel clima più inospitale degli Stati Uniti tutti. Oh, ma lo sai che ho un nipote che si chiama Marcus e gioca a baseball da professionista? Credo che mia cugina sia diventata nonna. Il suo secondo marito sembra un tipo simpatico, è sempre lì con delle birre. E ha dei baffi molto grossi. Con uno sforzo titanico, ha addirittura fatto LIKE alla pagina di Tegamini e ha pubbicamente dichiarato dove ha fatto il liceo. Il problema è che MADRE – che ama il gossip anche se non è faccenda da persone serie -, ha cominciato a sbirciargli l’iPad e a sviscerare la sua esigua timeline. Da qualche giorno a questa parte, poi, MADRE si impossessa direttamente del DEVAIS per commentare ogni mio singolo movimento, ma sempre dall’account del mio papà, che assiste inerme allo scempio della sua granitica personalità digitale. MADRE commenta TUTTE le foto che vengono fuori su Tegamini, quelle che sparo lì da Instagram per intrattenervi nelle giornate di pioggia. Non so bene che piega prenderà il fenomeno. Per ora, MADRE parla dei pupazzi della mia infanzia – suggerendomi di cucinarli – o si inventa moltissimi complimenti quando salta fuori qualcosa che riguarda le Matrimoniadi. Siete un’inestimabile belluria, ha sentenziato l’altro giorno. Speriamo che continui così. E che il cielo ci protegga sempre dalla sua ira.
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Amore del Cuore è andato dal barbiere – lui lo chiama parrucchiere perché la barba non gli cresce – e ha incontrato Paolo Limiti. Che faceva tagliare i capelli alla sua bambola.
Sono dal parrucchiere e c’è Paolo Limiti che sta facendo tagliare i capelli a una sua bambola, nel retro. Lo giuro. pic.twitter.com/fzennhPvsh
— Marco Figini (@amoredelcuore) 25 Settembre 2014
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Ho visto le Tartarughe Ninja e mi sono sentita vecchia. Ma non perché guardavo il cartone da piccola. Il mio problema sono le scene d’azione. A me piacciono quelle belle cose ordinate e ragionevoli. Thor ti picchia il martello in testa e te puoi prenderne atto con un certo agio. Darth Vader sciabola Obi Wan Kenobi praticamente al rallentatore. Neo gonfia di legnate Morpheus col suo bel kimonino. Trinity fa la spaccata. Ellen Ripley corre in mutande per un’astronave con un gatto sotto al braccio. La Montagna cava gli occhi a Oberyn Martell. I velociraptor aprono le porte. Steve Rogers annienta una ventina di persone in un ascensore, e te non ti perdi niente. Cioè, sono scene d’azione gestibili. Le apprezzi in ogni singolo movimento, perché fai in tempo a vederli, i cavolo di movimenti. LI VEDI, diavolo. Io con le Tartarughe ho avuto dei problemi quasi neurologici. C’erano aggeggi che roteavano, macchine che sbandavano, palle di neve, valanghe, gusci, cosi volanti, catapulte, precipizi, abeti, code di topo, lanci di coltelli, fogne a forma di toboga, strutture pericolanti, Megan Fox in continuo pericolo di vita. Ho capito che sono ninja, queste stramaledette Tartarughe, ma erano dei ninja anche quelli della Setta delle Ombre, e ogni tanto ti facevano la cortesia di rallentare un attimo e di lasciar dire a Batman quello che doveva dire. Qua niente, il panico. Stavo per sviluppare una cataratta difensiva, ma lì al cinema, live. SONO SUPER-CATARATTA, TEGAMINI, TI PROTEGGERO’ DA QUESTO PUTIFERIO, SARO’ UN’INCROLLABILE SARACINESCA!
Sono vecchia. Sono slow-motion.
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Sono andata al Plastic il 27 settembre. E ho ancora questo complesso e stratificato raffreddore che non capisco bene che cosa voglia da me. In compenso, però, sono spuntate delle gran tette alla ragazza-comitato-di-benvenuto, quella che stava lì all’ingresso dentro la vetrinetta e poi andava a sgambettare sul palco quando la gente s’era stufata di arrivare. Ecco, non c’è più nemmeno la vetrinetta. È tutto un Club Domani. E la Stryxia l’hanno cacciata nella saletta degli specchi, dove mette su impunemente Marco Masini. E io là, a soffiarmi il naso e a sudare come un pilone della nazionale di rugby.
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A Milano c’è chi abbandona per strada le bambole gonfiabili. Senza manco metterle nella plastica.
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Ho comprato delle scarpe incompatibili coi miei piedi. Bellissime. Di vernice. Di Paloma Barceló. Con la zeppina. Visto che nel negozio non avevano il mio numero, ho provato un modello-gemello e, presa più che bene, ho espressamente richiesto che mi facessero arrivare il 39 da un altro glorioso punto vendita. Poi sono andata a prenderle, me le sono provate e chissà perché ho pensato che potessero andar bene. Dentro sono morbidissime, la suola è leggera, sono finite meravigliosamente, con queste frangettine simpatiche e i fiocchettini e balle varie. Solo che io ho i piedi larghi una spanna, non le reggo le scarpe con la pianta stretta. Cioè, magari posso reggerle per i cinque minuti che te le tieni su al negozio, ma poi finisce lì. Le ho comprate un po’ perché mi piacevano così tanto che ho creduto nel famoso mito del “si lasciano andare” e un po’ perché dopo averli fatti brigare tanto – ho telefonato circa 4 volte e lasciato addirittura un lauto accounto di euro 35 – mi sembrava scortese sbattergliele in faccia. Solo che non ce la faccio a metterle. Le ho tenute su due ore e stavo per morire. Ma proprio quel mal di piedi che ti sale fino al cuore, che ti impedisce di apprezzare le gioie più elementari della vita. Tagliole. Tritarifiuti. Terminator nella pressa idraulica. Ecco. Quindi non so che fare. Non ho il coraggio di riprovarle. E mi vergogno a riportarle indietro, dopo aver creato un tale scompiglio. E CHE NE SAREBBE DEL MIO ORGOGLIO! Mi sento comunque una cogliona, sia per i soldi che per i sogni infranti. Una scarpina alternativa agli stivali! Una scarpa comoda e affabile, da tutti i giorni, che non è una ballerina, che non è una SNICHER! Col cazzo, carissimi. Dovrei farmi piallare i mignolini. Ma perché non mi hanno fatto fare nuoto, perché non vivo al mare, dov’è il mio reggiseno a forma di conchiglia. Proviamo così, visto che non ho pace. Se qualcuno con i piedi affusolati – o con dei piedi vagamente normali – e il numero 39 volesse acquistarle a un onesto prezzo, me lo dica. Sono nuove. Un po’ bagnate di lacrime, ma perfette e fantasmagoriche. Pigliatevele, che odio usare Depop, è pieno di rompicoglioni.
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Questo post è stato offerto dalla bestiola dell’insensatezza per eccellenza: il fenicottero contorsionista di San Diego.
-9 Comments-
La mia vita è cambiata da quando ho scoperto le scarpe Naturalista. Niente più male al cuore 😀
Chissà perché io continuo a pensare al “miracolo di proporzioni cosmiche”, e mi viene da sorridere tanto e spero sia quello che penso io, ma tanto c’è da sorridere a prescindere per un miracolo di proporzioni cosmiche, qualsiasi cosa sia. Tanto amore.
È molto meglio la mia vita sull’internet, da quando comprende quella pazza della Tegamini-del Cuore.
Prova a sentire da un calzolaro se c’è qualcosa che puoi fare prima di rinunziare! 😉
Mi terrorizzano, le ho rimesse nella scatola perché ho paura!
scusa, ma te con che scarpe ti sei sposata, approposito?
Con le Kuki di Jimmy Choo.
E sono stata bravissima.
:3
Fai mettere per un po’ di tempo le tue scarpe ad un’amica, così che le ammorbidisca. Poi metile tu… già comode.
Avrò le scarpe… ma perderò un’amica!
L’ho visto accadere. I genitori iniziano con Facebook e prima che tu possa fare qualcosa passano all’abuso di emoticon e punteggiaura.