Archive

Settembre 2013

Browsing

Il mio rapporto con gli autoveicoli è pessimo.
In macchina ci stavo bene quand’ero alta un metro e mezzo e potevo dormire comodamente sul sedile posteriore, lunga e distesa a pancia per aria. Poi ho iniziato a dover piegare le ginocchia o a rannicchiarmi di lato, magari umiliando l’illustre pupazzo Coniglio Mabiglio relegandolo al triste ruolo di cuscino, e da lì ciao, le macchine hanno cominciato a indispettirmi. All’esame della patente, su un cavalcavia con riga continua e categorico divieto di sorpassare, mi sono trovata davanti questo camioncino del rudo  – per tutti quelli che ignorano il colorito idioma del Piacenzashire, il RUDO è la spazzatura – che, all’improvviso, si è messo a seminare scatole di cartone per la carreggiata. Visto che non c’era molto altro da fare – morire nella corsia opposta o devastare la macchina della motorizzazione scartavetrando il GUARDRAIL -, ho preso in pieno uno scatolone, trovando anche il modo di inveire orrendamente contro lo sbadato spazzino. In tutta la vita, credo di aver parcheggiato sul serio al massimo tre volte. Con la Uno Hobby ereditata da mia zia, una macchina viola, senza servosterzo, con le ventole dell’aria piene di foglie secche – in qualsiasi stagione – e il riscaldamento finto, fare delle manovre raffinate era impensabile. Un mal di braccia. Una fatica. La roba più bella, però, succedeva nei giorni di pioggia. Perché quando pioveva, la Uno non partiva. Devi andare da qualche parte? Mi vuoi mettere in moto? Fottiti, piove.
Insomma, detesto guidare e mi rompo le balle quando mi trasportano, anzi, mi rompo le balle e, certe volte, mi abbandono a comportamenti folli. A maggio, per dire, abbiamo vagato come delle trottole tra la provincia di Gela e quella di Catania. Del tutto annientata dalla festa di matrimonio della sera precedente, disperatamente bisognosa di dormire e ormai furibonda per il continuo ciondolamento del mio cranio, ho deciso di legarmi la testa al sedile con una sciarpa.

Comunque.
Brummm!

È con questo spirito di totale disinteresse misto a ostilità per l’universo delle automobili e dell’automobilismo competitivo che mi sono presentata al cinema per vedere Rush di Ron Howard. Il film in cui Thor, dopo parecchi problemi col test a crocette, riesce finalmente a prendere la patente. Il film in cui tutti gli italiani, a parte il signor Ferrari che fa lo spocchioso con le sue calzette rosse, sono brava gente. Un film in cui il Giappone somiglia alla Desolazione di Smaug e, se fai l’autostop da qualche parte in provincia di Trento (se ho capito bene), a caricarti sono due indomiti, improbabili e calorosissimi scugnizzi. Io non ho ben capito se Rush mi sia piaciuto, perché somiglia a tantissime rivalità cinematografiche che ci siamo già abbondantemente sciroppati, solo che qui sono rese con ancora meno sottigliezza. E uno scopa il mondo. E l’altro non ha cuore nemmeno di andare a una festa. E uno lo abbracciano tutti. E l’altro lì, nell’angolo, incazzato nero che pensa a mettere il magnesio negli ingranaggi. E uno dentro una limousine piena zeppa di gnocche totali, sbronze come foche leopardo, e l’altro che smanetta con il carrello dell’aereo, tutto ustionato e derelitto ma equilibrato e geniale. È come se ci fossero i sottotitoli, in questo film. Và, qua c’è Lauda che decide così perché ha capito che la sua bella moglie con lo SCIGNOGN, quella signora alta ed elegante che non parla mai per tutto il film, ecco, forse ha capito che la signora silenziosissima è più importante delle infide pozzanghere giapponesi e buonanotte, non vale la pena crepare per dimostrare ancora qualcosa. E lì, toh, c’è Hunt che fa lo spavaldo coi giornalisti ma gli rode un casino che la moglie l’abbia lasciato per andare a farsi regalare tonnellate di diamanti da Richard Burton… e insomma, fuori ride ma dentro piange.
Non l’avrei mai pensato, ma i pezzi che mi sono garbati di più sono proprio quelli con le macchine che sfrecciano e le gomme che si disfano e tutta quella roba meccanica che fa su e giù e s’infuoca. Ed è stata una fortuna non sapere com’era andato a finire, poi, il lunghissimo campionato del mondo che racconta il film. Che se sapevo chi vinceva c’era da spararsi, non mi passava più. Insomma, mi viene da dire che Rush è “fatto bene” (“sai no, quel tuo amico… non è figo, però è un tipo, dai…”, ecco), che è un giocattolone piacevole, è da mi siedo lì e mi faccio imbottire di frasi plateali con una buona disposizione d’animo, ma volentieri. Che sia EPICO, ispirato e geniale no, però. E va già bene che non mi sono addormentata come davanti ai gran premi alla tv, che dopo due curve sono già sotto a una coperta che russo. Una squillante nota di totale entusiasmo, però, vorrei emetterla: ad un certo punto, c’era una macchina da corsa con SEI RUOTE. SEI. Sembrava un millepiedi cromato. Se le avesse avute la mia Uno Hobby, sei ruote, forse la mia vita sarebbe stata diversa. E oggi sarei una di quelle pilotesse Nascar col completo di Victoria’s Secret sotto alla tutona ignifuga. Una persona che si prende bene coi film della Formula 1 e parcheggia senza nemmeno spettinarsi. E invece.

 

Per chi si forse perso l’imprevedibile antefatto, c’è addirittura un post di pura esultanza che si chiama Charlie e la fabbrica del Martini. Per gli altri che magari non hanno voglia di risalire alle origini del mondo, sarà sufficiente sapere che il 19 settembre avevo una cena al circolo bocciofilo Caccialanza, ma poi non ci sono andata perché Vanity Fair ha deciso di donarmi un invito per il festone totale dei 150 anni della Martini, a Villa Erba sul lago di Como. Cenerentola può lucidarmi le scarpette quando le pare.

Ebbene, che diamine sarà mai accaduto?
Com’era, chi c’era, cos’è successo?
Che cosa ci abbiamo capito?
Ma soprattutto, saremo riusciti a mimetizzarci con dignità?

Benvenuti alle avventure dei Tegamini del Cuore al SUPREMO party-Martini. Ci tenevo a dirlo subito, che è stato supremo.

***

Il tutto è cominciato con noi che trascinavamo i valigini fino all’albergo. Con nostra grande sorpresa, all’albergo c’era della gente che festeggiava un matrimonio. Alle cinque di un giovedì pomeriggio. Con uno scaldapubblico chiaramente prelevato di peso da un villaggio turistico e portato lì sulle maestose pendici del lago di Como a gridare a squarciagola OLLELLE’-OLLALLA’, FACCELA VEDE’-FACCELA TOCCA’. Io ero là, col mio lapin nella custodia-sacco-da-morto e i riccioli appena fatti che non sapevo bene che cosa dire. Per fortuna, una madamigella ci ha accolti calorosamente, sospingendoci nell’ascensore fino alla nostra cameretta. E nella cameretta c’erano dei doni. E già ti senti spaventosamente figo, se non fai in tempo a levarti le scarpe che già ti hanno regalato qualcosa.

Che poi è incredibile, quanto poco tempo ci vuole a prepararsi se non abiti insieme a un gatto. Alle sette e dieci precise precise eravamo giù, tutti pieni di brillantini (io) e di farfallini (Amore del Cuore). Sulla sbodenfia terrazza dell’albergo faceva già un freddo povero, ma ero troppo contenta per ammetterlo. O meglio, contavo con tutte le mie forze sull’effetto-Capodanno: due bicchieri e tutti fuori in canottiera, anche se infuria la tormenta.
Ora, vorrei ribadire all’universo che non sono una persona fotogenica. Non solo non sono fotogenica, ma non dispongo nemmeno di un fidanzato particolarmente interessato a fotografarmi con un po’ di sensibilità e accortezza. Amore del Cuore ha moltissime ottime qualità, ma di farmi le foto non gliene frega una beata mazza. E quando me le fa è perché lo obbligo, quindi ne sforna sei di fila a caso (piedi tagliati, sfocamenti, luci che inghiottono teste e arti) e ciao. Quindi, insomma, faremo con quello che c’è e con la limitata fotogenicità che la natura mi ha concesso. A me e basta, ovviamente, perché lui è bello anche quando sbatte il mignolino in uno spigolo.


Tegamini in Vivienne Westwood Anglomania (Halton dress + Melissa pumps) and vintage MADRE clutch.
Credits: Amore del Cuore for Getty Images.
E questa, tanto per farvi capire, è la foto dell’AUTFIT più chiara che ho.

Poi è arrivato un pullman gigante e siamo partiti. Memori delle gite delle superiori, ci siamo messi in fondo. Anche perché eravamo molto imbarazzati e non ci è venuto da fraternizzare con l’altra gente che era tutta affiatatissima e batti un cinque, ciao grandissimo e col cavolo che alle 9 e mezza domani mattina vado a vedere Blumarine. Ecco, spaventati ma baldanzosi (e con mezzo colletto fuori), abbiamo deciso di immortalare il momento con un video inutile ma dolce. O almeno credo.

[tentblogger-youtube lGxx5m0byl8]

 

Villa Erba è un luogo favolosamente meraviglioso. C’era tutta questa super passerella scarlatta con le macchine da corsa, le luci, dei rampicanti ordinatissimi, la gente che ti rincorreva lateralmente sul lato per capire se eri famoso per davvero o se ti eri soltanto vestito abbastanza bene da suscitare il sospetto, ghiaietta perfettamente calpestabile, il tramonto rosa-pesca, insomma, arrivavi ed eri già contento di stare al mondo.

All’ingresso, sotto a un milione di bolle di cristallo che penzolavano dal soffitto, dei gentili signori ci hanno graziosamente cacciato in mano un bicchiere di RUAIAL e niente, l’abbiamo considerato come un “bene, giovani, andate con Dio. Qui davanti c’è la sala con il pianoforte e le luci interessanti, laggiù c’è il salotto con gli specchi, ai lati ci sono i bar. A destra c’è il bar simil-metropoli-sfarzosa, mentre a sinistra c’è il bar da Don Draper con le poltrone di pelle e il caminetto. Uscite in terrazza, mi raccomando. Vedrete bene il palcoscenico galleggiante, l’orchestra e i giardini. Abbiamo fatto in modo che, da qualunque punto della villa, la distanza tra voi e un barman campione del mondo nella categoria Cocktail Spettacolari sia al massimo di sei metri. Buon divertimento”.
Cheers, buon uomo.

Se volete vedervi delle foto serie della LOCHESCION, c’è anche l’album di Martini, visto che è praticamente impossibile maneggiare un attrezzo in grado di immortalare l’ambiente con una maledetta POSCETT in una mano e un bicchiere nell’altra. Ad un certo punto abbiamo scoperto un sontuoso buffet e non mi sono potuta alimentare degnamente perché avevo finito gli arti. Escludendo categoricamente di potermi privare del bicchiere, avrei anche gettato la borsa nel lago, se solo non fosse stata una borsa appartenuta a MADRE, in un lontano passato di cui poco so e ancor meno voglio sapere. “Amore del Cuore, prendi un po’ di grana, te ne prego, mi farei un piattino, ma con che cosa lo tengo! Il barman di Don Draper ci ha messo dieci minuti a prepararmi questa divina bevanda, non posso mica piantarla lì, sarebbe offensivo, non siamo mica in Colonne!”

 

Grazie al cielo, però, qualche genio del party-planning ha pensato anche alla gente come me. Gente non mangia in piedi, gente che s’impiccia ai buffet e che ha l’atavico bisogno di appoggiare i propri oggetti su altri oggetti. Così, felici come pasticcini, ci siamo seduti sotto a questi alberi giganteschi sopra a dei cubi rossi fosforescenti – che secondo me volevano essere grossi ghiaccetti – e abbiamo atteso fiduciosamente l’arrivo di un gentile signore con dei regali garganelli ai gamberi, noi e il nostro piattino.

E mentre lottavamo con la borsetta e ci divertivamo sotto agli alberi tutti illuminati, c’era l’Orchestra Italiana del Cinema che suonava le colonnone sonore arroganti e, dentro la villa, c’era anche un uomo dietro a una tenda (contrassegnata da un cartello con un grosso “?”) che preparava bastoncioni di zucchero filato ai coraggiosi che osavano avventurarsi nell’ignoto. Il perché fosse dietro a una tenda non mi è chiaro, ma credo si sia fatto delle gran risate.

TEGAMINI – Zucchero Filato Man, are you ok? Here, all alone…
ZFM – I’m good, I’m good. Don’t worry.
TEGAMINI – Ok, then. We’ll be back, so you don’t get lonely.
ZFM – Thanks guys, see you later!

Ma il dialogo definitivo l’ha prodotto Amore del Cuore. Prima, però, c’è stato l’adorabile LAIV di Lily Allen, che ha fatto qualche canzone fluttuando su un assurdo palco galleggiante delle meraviglie scusandosi moltissimo perché “I’ve got a chest infection and tonight my voice is horrible”. Mica vero, madamigella Lily, io ero contentissima. E nei pressi del divanone-terrazzato dove avevo preso la residenza cantavo solo io. O forse non bisogna cantare, quando si è ricchi e famosi e si va a una festa? Temo non lo scopriremo mai. Comunque, poi è successo tutto un brindisi generale con Federico Russo che incitava ad agitare per aria i calici insieme ad amministratori delegati e fondatori della Bacardi. Voi non lo sapete, ma Mr Bacardi esiste davvero. E’ un pacioso signore di nome Facundo Bacardi, uno che al lavoro credo abbia la seguente mail: MRBACARDI@BACARDI.WORLD.
Ma cosa stavamo dicendo… il dialogo vincitore della serata è stato quello tra Amore del Cuore e Joseph Fiennes.

TEGAMINI – Amore del Cuore! Guarda che quello lì che hai davanti, seduto sul tavolino, quello lì secondo me è Joseph Fiennes.
AMORE DEL CUORE – Ma va là.
TEGAMINI – E’ lui, è lui! Quello del Nemico alle porte! Quello mega geloso di Vasilij Zajcev perché Zajcev si trombava Rachel Weisz, quella della Mummia, e lui no. Ha fatto anche Shakespeare in Love! E’ più bello adesso, però… sì, sì, è lui.
AMORE DEL CUORE – E chiediglielo, no?
TEGAMINI – L’ultima volta che ho parlato con una celebrity è stato terribile. Ho chiesto a Jonathan Franzen se gli potevo fare una foto, così la twittavamo con l’account della casa editrice. Ho parlato di Twitter. A Franzen.
AMORE DEL CUORE – Cristo!
(Tegamini si volta un secondo per soffiarsi rumorosamente il naso in un volgare fazzoletto di carta. Quando si ricompone, la scena è la seguente):
AMORE DEL CUORE – Excuse me, are you an actor?
JOSEPH FIENNES – Yes.
AMORE DEL CUORE – You played against Jude Law in The Enemy At the Gates, right?
JOSEPH FIENNES – Yes.
AMORE DEL CUORE – Because I didn’t think it was you, but my girlfriend was sure.
JOSEPH FIENNES – She won.
TEGAMINI – Awesome! …sorry if we bothered you, have a good night.
AMORE DEL CUORE – Sono stato bravissimo!
TEGAMINI – Grazie al cielo. Ora possiamo dire di non aver visto soltanto Melissa Satta, di famosi.

Ecco, questo qui vestito come un pistacchio gigante è Mark Ronson. Che io scusate molto ma non sapevo chi era (e anche adesso non ho proprio le idee chiarissime). Comunque, Mark Ronson ci ha fatto ballare. E noi abbiamo danzato al meglio delle nostre capacità, in mezzo a gioconi di luce super strabilianti e lampeggiosi. Per la contentezza mi sono scelleratamente tolta le mollette dai capelli trasformandomi in un incrocio tra Jem e Chewbacca.

E poi?
E poi è arrivata la carrozza per portarci a nanna, prima che ci trasformassimo in zucche lì davanti a tutti. Io il red carpet l’ho fatto alla fine, con le luci un po’ spente e manco più un cane a dirmi dove dovevo andare. Mi sembrava più appropriato. Avessi avuto un panino con la coppa l’avrei incluso nello storico ritratto. E’ stato mirabile, e anche davvero surreale. Gente che ti apre la porta quando vai in bagno e rimane lì fuori per sincerarsi che nulla di male ti stia capitando. Cubetti di ghiaccio che non sono cubetti di ghiaccio, sono ICEBERG picconati via da blocchi di ghiaccio ancora più grossi, tutti accatastati in giro. Bicchieri che, ve lo giuro, pesano sette etti. Gente con lo strascico. Gente che si scusa perché il UISCHI che sta per versare nel tuo cocktail è invecchiato solo 14 anni e non 18 perché quello da 18 è finito. Persone incapaci di avere male ai piedi. Io non ci sono mica abituata, ai comitati di benvenuto che mi salutano con calore ogni volta che entro in una stanza. E quando chiedevo un ROYALE mi veniva voglia di dire “un RUAIAL CON FROMASG, grazie”. Però, dalla faccia fluttuante e felicemente smarrita che sono riuscita a fare qua sotto (un’altra grande prova fotografica per Amore del Cuore), secondo me mi sono divertita sul serio.

Grazie, allora.
Grazie a Martini per l’ospitalità e per il corso accelerato di sfarzo. E grazie a Vanity Fair per avermici mandato senza un perché.
Ma soprattutto, gloria e onore allo Zucchero Filato Man! Solitario e indomito! Brinderemo a te coi bicchierazzi che ci hanno regalato… e non ti dimenticheremo mai.

***

Bonus-track
Tegamini feat.MADRE

TEGAMINI – Eh, stasera vado alla festa.
MADRE – Mi raccomando, NON BERE!
TEGAMINI – MADRE, ma di cosa stiamo parlando. Vado alla festa del Martini, non vado mica a un compleanno di quinta elementare! Mi cacciano fuori, se non bevo niente.
MADRE – NON BERE!
TEGAMINI – Berrò responsabilmente. Per onorare l’ospitalità che mi verrà dimostrata. Perché sono educata. Perché sei tu che mi hai cresciuta così, posata e a modo.
MADRE – …smettila di prendermi per il culo. E stai attenta, con la mia borsetta.

 

L’altro giorno ero in ufficio con la muffa che mi cresceva da tutte le parti. Muffa, con contorno di licheni e disperata stanchezza. Occhiaie a forma di amaca, a grandezza naturale. Smalto sbeccato. Nostalgia del gatto. E male a un mignolino del piede. Insomma, una giornata triste e inutile.
Poi niente, guardo un attimo su Twitter e mi casca l’occhio su questa cosa di Vanity Fair. Ohilà, vuoi venire al glorioso party per i 150 anni di Martini, sul lago di Como? Molto bene, cari lettori, mandateci una mail e spiegateci perché vi ci dovremmo mandare… e doneremo l’ambito biglietto a della gente a nostra scelta (o almeno credo).
Fondamentalmente, alla redazione online di Vanity Fair ho detto che agli open bar mi comporto con la grazia di una dama pietroburghese e che, all’occorrenza, sapevo già cosa mettermi (si ipotizzava un virtuoso riciclo di quanto faticosamente acquistato durante le Vestitiadi), che mi sembrava una roba carina da dire. È come quando chiedi a qualcuno di poter portare un amico a una festa e poi questo qua arriva con una felpa fatta con la fodera di un divano della DDR, le ciabatte dell’Adidas con le rigone bianche e blu e un pacco di quelle diafane patatine a nuvoletta, quelle che nessuno mangia perché sanno di polistirolo e anemia. Cioè, lo scemo è comunque lui, ma anche te che te lo sei tirato dietro non è che ci fai la figura dell’anno.
Comunque. Ho mandato la mia mail e ciao, sono tornata alle emozioni travolgenti della mia giornata.
Il giorno dopo, però, è accaduto qualcosa di sconvolgente e inaspettato, uno sfavillante prodigio, un rocambolesco colpo di scena, un miracolo scaturito per direttissima dagli zoccoli rosa della Pony Madonnina.


My Little Mary (SoasigChamaillard, Apparitions)

Insomma, mi ha telefonato questa gentile madamigella della Martini e mi ha detto che Vanity Fair aveva avuto il coraggio di invitarmi alla festa. Giovedì 19 settembre a villa Erba, a Cernobbio-Naboo, il luogo in cui la principessa Amidala e un Anakin Skywalker non ancora malvagio, mutilato e afono si giurarono eterno amore, arrossendo moltissimo.
Che storia.
Che storia!
In pratica sono stata benedetta con un Golden Ticket. E al posto del cioccolato c’è il Martini. Una cascata di Martini, magari, che se ce l’aveva Willy Wonka, la cascata, vuoi che non ce l’abbiano loro, gente che abbevera James Bond da tempo immemore?
Grande Giove!
Anzi, EPIC WIN!
Apple-tini!
Olive galleggianti!
E pensare che quella sera lì dovevo andare a cena alla Bocciofila Caccialanza!

L’euforia ha lasciato ben presto il posto all’atavico terrore della nudità.
E va bene, nessuno dei personaggi in cui mi imbatterò su Naboo mi avrà mai vista col vestito delle Vestitiadi – sono una strenua sostenitrice del principio “se non ti toccherà incontrare la medesima gente, vestirsi allo stesso modo per due giorni di fila è cosa buona e giusta” – ma cosa vogliamo fare, vogliamo rinunciare a sogni, ambizioni e unicorni elegantissimi senza combattere nemmeno un po’? Per tutti i samovar, non sia mai!, come direbbe ogni dama pietroburghese che si rispetti.
E così, contenta ma atterrita, ho camminato come un’imbecille da Porta Genova a Piazza San Babila – la mia tradizionale via crucis – senza trovare una beata My Little Mary di niente. Anzi, mi sono pure imbattuta in una manifestazione di ragazzine che vagavano per Corso Vittorio Emanuele gridando in coro il nome di Justin Bieber. Erano tantissime. Vedi quelle ragazzine lì e ti viene voglia di non riprodurti mai, altroché guerre, carestie e mondo cattivo, difficile e oscuro. Poi niente, per tornare a casa mia c’è da fare Corso Venezia e che sarà mai, davanti a Vivienne Westwood ci devo passare comunque, vuoi non andare dentro per un corroborante giro turistico?
Solo che poi è finita così.


Mi manca la borsetta, ma sono quasi pronta. Quel che posso dire, prima di sommergervi di foterie della festa – voglio fare anche un casino di video felici – è che tutto l’AUTFIT sarà più o meno in tinta con questa magnifica gallina:

(gallina fotografata da Tamara Staples per il suo The Magnificent Chicken)

Ora ho l’ansia perché mi è arrivato il programma – e tra gli altri, suonerà una delle mie cantanti del super cuore, emozionona! -, so dove mi ospiteranno per la nanna e i preparativi – perbacco! – ma l’invito di carta non è ancora giunto. Ho detto, pubblichiamo il post dopo che mi è arrivato l’invito di carta, che non si sa mai, metti che ho immaginato tutto o che si sono sbagliati, che è una gigantesca candid-camera o un complesso scherzone tipo quello dei film americani coi ragazzini del liceo, la tipica situazione del giocatore di football figherrimo che va dalla più deforme della scuola e la invita al ballo di fine anno, solo che quando lei esce di casa, pronta per farsi portare al ballo dal ragazzo dei sogni, il ragazzo dei sogni passa in limousine limonando con la capo-cheerleader e, visto che è uno sportivo dotato di strabilianti qualità di coordinazione, riesce a colpire la povera ragazza deforme con un gavettone di sangue di maiale senza mai smettere di limonare la capo-cheerleader.
Ecco, io questo lo vorrei evitare, ma sono proprio troppo contenta per stare lì zitta zitta. E poi mi sembrava bello ringraziare Vanity Fair. Grazie, Vanity Fair. E grazie pure a Martini. E saluti anche all’adorabile Cesare, che mi ha vestita da Dame Vivienne con estrema pazienza e dedizione.

Diamine, sono contenta come una crostatina.

Cheers!