Vacanza da infanzia
Perché andare a fare i mendicanti su un qualche isolotto estero, con un mezzo all-inclusive che a cena ti puoi bere solo un bicchiere di vino ma che poi se vuoi un gin-tonic ti toccano sei ore di coda in mezzo a grossissimi padri di famiglia esasperati, e pure quando riesci a pigliarlo ti accorgi che t’hanno dato uno di quei bicchieri alti e stretti che in pratica ci sta dentro meno roba che in un bussolotto di plastica per l’analisi della pipì, ecco, dunque, perché condannarsi a balli di gruppo, stressanti cene a buffet e all’impossibilità fisica di scappare per, che ne so, andare a vedere qualche altro posto che non sia l’albergo-resort o anche solo un paese a caso, perché spendere milioni per far fatica, indispettirsi e trasformarsi in criceti pazzi quando si può andare a casa propria e tanti saluti?
Ecco.
Ad un certo punto ci siamo accorti di questa cosa. Non abbiamo prenotato niente, non si sa perché ma zero, non ci siamo preoccupati dell’estate. E allora? E allora guarda, c’è casa mia al mare. Riviera di Ponente, con tutti gli scempi architettonici anni Sessanta sulla via Aurelia ma tanta comodità. Tuo padre poi s’è scordato l’aggeggino del Telepass sulla macchina che ci presta, siamo a posto. Si va in spiaggia da uno che mi ha visto quand’ero neonata e per i diciotto anni successivi e ciao, ristorante tutte le sere. Poi ci facciamo i giretti sul lungomare, chiacchieriamo sul terrazzo – anche se affaccia su un giardino pieno di sterpaglie (più una palma gigante di cui si parlerà in seguito) – e facciamo i trichechi paralitici con tanto di ombrellone e lettini, bar, cesso e doccia. Chi ci ammazza. Ma neanche la marchesa di Montespan.
Ma andiamo con ordine. Che prima di partire mi hanno dato un nuoverrimo tablet Acer Iconia W3 e me lo sono portato in giro per scrivere delle cose sulle mie ferie, che poi è meglio che farvi vedere le diapositive – anche se vi toccano pure quelle, sia chiaro. Non ho mai fotografato tanto cibo come quest’estate.
Grazie anche per il MOITO. Non c’è #estateideale senza MOITO.
“Parrebbe proprio trattarsi del retro del manufatto tecnologico. Ohibò, dovremo tosto capovolgerlo e apicciarlo! Alla pugna!”
Prima di partire, abbiamo anche portato Ottone von Asgard – sommamente indispettito dal caldo ma rapitissimo dalle stolte falene giganti di Milano – in villeggiatura campagnola dai nonni. MADRE, che ambisce segretamente a rubarmi il gatto, non vedeva l’ora di ospitarlo… ma non perché poverino se no sta solo e al mare è un casino, no. MADRE è mossa da intenti ben più biechi, riassumubili in “Ottone, vieni dalla nonna, povero micetto, che quei due lì non ti vogliono mica bene come te ne voglio io”. La prima notte, dopo essersi trovata Ottone abbarbicato al cranio, l’ha chiuso fuori dalla camera da letto.
Cioè, non si può viaggiare senza giochi. Nel ciotolino sopraelevato c’è Mollone – regalo di MADRE sempre disdegnato da Ottone, che però vuoi andare a trovare MADRE senza portarlo? Non sia mai -, in formazione da battaglia troviamo invece Topino – un tempo garriva in cima a un tiragraffi -, Squaletto – amore imperituro di Ottone, un tempo faceva bella mostra di sé dal mio zaino della scuola -, Paperetta – un tempo vibrava e si agitava tutta – e Criceto – amore imperituro 2, ridotto ormai a un pallido relitto dell’antico splendore.
Abbasso Mollone! Vota Criceto!
Dicevo, dopo aver condannato Ottone a una decina di giorni di sevizie nel feudo campestre dei nonni ed esserci sorbiti una quantità di raccomandazioni e gufate (“Mi raccomando, mettete bene la freccia prima di girare in garage, che è appena dopo una rotonda e se non state attenti vi vengono nel culo”, tipo) che avrebbero terrorizzato anche Asdrubale il cartaginese, siamo partiti.
Le cose, poi, si sono svolte più o meno così.
Sbagagliamento.
Luce SU, gas ACCESO, acqua APERTA.
Telefonata a MADRE per confermare il buon esito delle tre impervie operazioni.
Tennis.
Incredibili e lancinanti dolori post-tennis con annessa manifestazione di sdegno antisportivo del mio organismo. Tra gli slogan più battaglieri ricorderei “Criminale, non corri da tre anni, ma ti pare il modo”, “Sciopero, sciopero” e un intero rosario recitato a beneficio della spalla sinistra.
Tagliolini al ragù di cernia e fritto misto.
Fondamentale scoperta del baretto sul lungomare che fa cose a 4 euro.
Spiaggia.
Focaccetta e birra (ricordate, mai comprare la birra al bar della spiaggia, è come chiedere dei soldi a un goblin. Un goblin ligure).
Mezzo Libro di José Luís Peixoto, che bisognava finirlo. Bello e bizzarro.
Cocktail di gamberi e pesce spada alla livornese.
Carrugio. O caruggio? O carruggio? Carugio, magari? Budello.
Panchina da vecchi. Fresco e passanti sciatti da infamare.
Temporalone apocalittico con miliardi di tuoni molto spaventosi e fulmine gigante che si abbatte sulla centralina elettrica del palazzo, con tanto di esplosiva fiammata visibile a occhio nudo (anche se un po’ addormentato).
Negoziazioni con l’ENEL per il ripristino dell’energia elettrica.
Esultanza con bandierone di Nikola Tesla e aurore boreali fatte in casa.
Conversazione con MADRE:
TEGAMINI – No, no, il fulmine è cascato sulla centralina dell’elettricità. Pensavamo fosse finito sulla palma, ma è salva.
MADRE – Guarda che quella palma lì è piena di piccioni. Tiraci dentro una sassata, di tanto in tanto.
TEGAMINI – MADRE, ma ti pare che mi metto a prendere a sassate la palma dei vicini, dal terrazzo? Ma pensa se mi vede qualcuno. Mi arrestano! Mi portano all’ospedale dei matti…
MADRE – Fanno schifo i piccioni. Se non riesci con la palma, prendili a sassate quando sono a piedi.
La cosa interessante è che, sulle prime, non ho pensato “MADRE, ma che cazzo dici”, ho pensato “ma i sassi, sul balcone, dove li vado a prendere?”
In seconda serata su Rete4, poi, c’era un film con Robert Redford che giocava a domino con Ben Kingsley, ma alla fine non l’abbiamo guardato.
Mare!
Inestimabile maxi tost dei goblin liguri del bar (mi raccomando, svegliatevi in tempo per correre alla panetteria, che poi A PRANZO chiude e voi che pensate ancora di stare a Milano rimanete in mezzo a una strada).
Primo giorno di lettura di Infinite Jest, un libro che per portarlo in giro serve il cestino della bici ma che promette spaventosi bagliori di felicità e stupore.
Foto celebrativa, che il giorno in cui si inizia Infinite Jest va ricordato nei secoli.
Tennis, con interruzione dopo quindici minuti per dolori inquietanti e feroci alla spalla sinistra.
Incredibili difficoltà nella complessa operazione di allacciamento-reggiseno per paralisi quasi completa dell’arto superiore sinistro.
Sformatino di merluzzo con pinoli e riso venere con gamberoni e salsa magica al pomodoro nano di non mi ricordo dove.
Sollievo mattiniero dai dolori articolari causati da un incauto approccio al tennis grazie a un avanzo dei medicinali per il mal di testa acquistati a Praga, Repubblica Ceca, in un assolato pomeriggio funestato dall’emicrania. Dodici compresse d’inaudita potenza, 2 euro e 80.
Nostalgie varie per Ottone von Asgard e i suoi malefici dentini aguzzi.
Maaaaare.
Nuotata circumnavigatoria del molo, impresa che non tentavo dall’età di diciassette anni.
Il capo della spiaggia annuncia l’imminente esibizione dei campioni del mondo di biglie.
Serata domestica con Arma Letale 3, quello con l’ambasciatore del Sud Africa, la bomba nel water e Joe Pesci che riesce ad essere più fastidioso e invadente di Jar Jar.
Spiaaaaaggia.
Tartare scottata di spada – cito testualmente – su letto di insalatina del territorio con crumble di pangrattato, capperi, acciughe, pistacchi di Bronte – Emily? – e brunoise di cuori di bue, seguito da trancio di ombrina al forno con olive, pomodorini e zucchine trombetta.
Amore del Cuore, invece, aveva questo piatto di pesci crudi di una bontà struggente. Poi ha mangiato un’ostrica e ho avuto paura. Il mio spavento per l’ostrica ha addirittura provocato un temporale devastante, costringendo la variopinta signora del ristorante a sollevarci di peso per metterci in salvo nella nauticissima saletta interna.
Tennis!
Sfottò-grafia alla fine dell’ora. Devo precisare che Amore del Cuore non ha zoomato fino all’inverosimile, ero proprio così. L’assoluta stanchezza mi ha impedito di mantenere un contorno definito e stabile, stanchezza che poi, con tutto il suo potere di disgregazione della materia, non contenta di avermi ingobbita e spixxellata, si è poi propagata anche alla realtà a me immediatamente contigua.
Alla volta successiva è andata meglio, però. Ho addirittura avuto la forza di immortalare Infinite Jest in uno dei luoghi più consoni che potevo trovare.
Perbacco, c’è anche il backstage!
Dopo una spericolata visita ai luoghi della mia infanzia (tra cui l’immarcescibile trenino che va solo in tondo), una gloriosa pizza ai Bagni Sirena (che hanno questa terrazza in cemento armato, va bene, ma ingentilita a tal punto da addobbi, legno, corde e nodi da somigliare al ponte di un veliero turchese), una fallimentare spedizione a una sagra paesana (alla quale non abbiamo mai partecipato perché non c’era modo di parcheggiare, ma nemmeno a quattro chilometri dal centro abitato), approfonditi studi antropologici sui frequentatori della spiaggia e della passeggiata (roba che credo si meriterà un post indipendente), l’avvistamento vago e indistinto di un solo volpino di Pomerania, zero gelati e nessun incontro con le meduse, siamo andati a riprenderci il gatto. Con un’aria molto più serafica e riposata e un pizzicotto di preoccupazione per tutta la roba Matrimoniadi-centrica da fare.
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Se può essere di consolazione, la mia di MADRE scaglia patate germogliate sui passerotti che continuano a cinguettare mentre lei prepara la cena.
Animalisti accorrete!