Requiem del dodo: intervista ad Arianna Gasbarro
C’è un giovane regista in cerca del colpo di genio che lo consegnerà alla storia del cinema. C’è il ricordo di un amico scomparso che continua a riaffiorare, come un fantasma molto tenace. Ci sono animali impagliati che fanno da figuranti in un documentario per bambini. C’è una ragazza che un po’ lavora come dodo-comparsa e un po’ si prende cura dei defunti. Piange ai funerali, interpreta infermiere in fiction ambientate all’obitorio, si fa pagare dai congiunti sopravvissuti per badare alle tombe dei loro cari. E soprattutto, ha un sacco di teorie apparentemente assurde su quello che diventeremo dopo la morte. E pagina dopo pagina, ci accorgiamo che potrebbe non avere tutti i torti e che, forse, tutta questa saggezza arriva da una conoscenza della materia decisamente fuori dal comune…
Tutti i perché e i percome, però, li trovate dentro al Requiem del dodo di Arianna Gasbarro (Miraggi edizioni)… che è un libro che racconta cose tristi con surreale allegria, paradossi e grandi chiacchierate davanti a delle birre. Ci sono molti vermi, anche. Di solito ai vermi non è bello pensare, ma qua hanno un peso decisamente rilevante per l’ordine del mondo. I vermi servono a Mattia – il regista – e a Mia – la tomba-sitter/dodo-comparsa. E anche a voi saranno utili. Come utile è stato parlare con Arianna per una nuova Tegamini-intervista. Ecco cosa ci siamo raccontate (purtroppo non in un bel pub londinese umido e sgocciolante, ma magari rimedieremo).
***
Per prima cosa, vorrei sapere se il cigno mezzo congelato – quello che spunta verso la fine – poi si è salvato, magari volando là dove le papere vanno d’inverno.
Purtroppo, ha seguito l’estremo volo delle papere. Adesso vermifica.
Il dodo. Ci sono molti altri animali estinti che ti avrebbero volentieri offerto i loro servigi metaforici. Perché proprio il dodo, allora? A me il dodo piace, sia chiaro. Da piccola leggevo Airone, e l’animale-guida della rivista era un dodo. Da anni, dunque, piango i dodo e sono inconsolabile.
Ti capisco, anche perché i poveri dodo si sono estinti persino da morti, nel senso che di loro resta letteralmente ben poco, forse un solo scheletro intero da qualche parte nel mondo. Al Natural History Museum di Londra ce n’è una coppia, credo posticcia.
Ho scelto il dodo perché è un estinto ‘recente’. Esisteva fino a pochi secoli fa ed è più semplice identificarsi con lui, piuttosto che con i preistorici e ingombranti dinosauri.
Inoltre, è un piccolo omaggio a Lewis Carroll.
Succede tutto a Londra. O meglio, tutti i tuoi personaggi sono più o meno in fuga dall’Italia (e più o meno vivi). È una coincidenza del fato o un desiderio inconscio che alla fin fine condividi?
Nessun desiderio inconscio: dall’Italia sono già andata via in passato e potrei farlo di nuovo. Personalmente, ho la sensazione di vivere in una dimensione europea e ci sono altre nazioni in cui mi sento a casa. Il Regno Unito, naturalmente, è una di queste.
Ci vuole più coraggio a scrivere un libro che parla della morte o un libro che parla di sculaccioni?
Vorrei avere il coraggio di scrivere un libro che parla di sculaccioni, perché gioverebbe al mio conto in banca. A parte questo, direi che ci vuole coraggio a ‘pubblicare’ un libro che parla di morte e cimiteri in un paese in cui tutto questo viene vissuto come un tabù. Grazie quindi a Miraggi Edizioni.
Per me scriverlo è stato inevitabile, più che coraggioso.
Mi ricordo benissimo di quando ho capito che la gente moriva. Avevo cinque anni e MADRE era impegnatissima a impastare la pizza. Ad un certo punto mi è venuto in mente che, prima o poi, sarebbe andata molto lontano e non avrebbe mai più impastato un bel niente. Ho pianto per tutta la sera, rifiutandomi fermamente di credere alla storia del “si va in cielo, come il nonno”. Questo libro viene da un posto simile?
Sì, certamente. Nella mia vita ci sono state varie fasi, credo di essermi resa conto gradualmente di cosa comportasse essere mortali. Mi ricordo di una notte di tanto tempo fa, intorno ai sedici anni o giù di lì. Non era avvenuta nessuna catastrofe particolare, avevo solo seguito dei percorsi mentali ed ero giunta a deduzioni inevitabili.
Poi la vita si è fatta più complessa, la morte si è manifestata in altri modi e io ho iniziato a conoscerla meglio, a non temerla, senza l’ausilio di nessuna divinità.
Mi sono divertita molto a leggere le idee di Mattia per i soggetti cinematografici. E secondo me non erano tutte da buttare. Per dire, quelle con la balena che agonizza nel Tamigi mi affascinavano parecchio. Il tuo soggetto preferito qual è?
Il seguito di ‘Romeo e Giulietta’. Non so se Shakespeare sarebbe d’accordo, ma a me piace l’idea che i loro corpi sepolti fianco a fianco possano fondersi insieme per generare vita, sebbene con l’ausilio dei vermi. Mi sembra un’immagine romantica, piena di speranza.
Sono un’implacabile lettrice di quarte di copertina. Dalla tua apprendo che hai abbandonato il “posto fisso” per dedicarti a tempo pieno alla scrittura. Che facevi prima, se è lecito domandare, e come va adesso. Sei libera di quantificare il tuo nuovo livello di felicità o di lamentarti per la bolletta del gas. Vedi tu.
Prima mi occupavo di comunicazione, adesso scrivo e traduco a tempo pieno. Non mi sono mai pentita di aver lasciato il mio lavoro. Diciamo che adesso, estinti i debiti mensili di mutuo e bollette, ho il potere economico di un quindicenne. Però ho anche altro: la libertà di credere nel futuro e di appassionarmi al mio presente. Per il momento, questo mi basta.
Sempre per farmi i fattacci tuoi, ti chiederò un’altra cosa rivoluzionaria. Con che libri sei cresciuta e cosa ami follemente adesso?
Ho amato follemente Oscar Wilde. Poi Italo Calvino. Nel corso degli anni mi sono invaghita di tanti autori, come Hanif Kureishi, Kundera, Chuck Palahniuk, Svevo. Poi magari per anni non li ho più riletti.
In questo momento, per la prima volta nella mia vita leggo prevalentemente saggistica. Mi sono chiesta il motivo e credo di aver trovato una spiegazione plausibile: traduco narrativa, scrivo narrativa e di tanto in tanto ho bisogno di rimettere i piedi per terra.
E ora, cosa stai scrivendo?
Sto scrivendo un libro per ragazzi. È un progetto che ho in mente da anni, sin da quanto ho lasciato il posto fisso.
Ma prima c’è stato ‘Alice in gabbia’ e poi ‘Requiem del dodo’. Perché i libri hanno una vita propria, si impossessano di noi autori indipendentemente dalla nostra volontà.
Almeno a me succede così.
Chissà, forse se scrivessi di sculaccioni sarebbe diverso.
-0 Comment-