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Gennaio 2013

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I libri divertenti sono molto necessari. Almeno, a me i libri divertenti servono moltissimo. Mi riposano. Mi fanno delle sorprese. Mi scarrozzano in posti improbabili. Si fanno leggere in fretta e lasciano quella piacevole sensazione di contentezza cicciottella che, di solito, sopraggiunge appena dopo aver mangiato uno di quei cioccolatini giganti al RUM. Dovrei leggerne di più, di libri divertenti, dovrei mettermi in piedi su una bianca scogliera e gridare alla vastità degli elementi una roba tipo “leggetevi un libro divertente, ogni tanto!“.
Ecco.
Vi griderei anche qualcosa sull’Atletico Minaccia Football Club di Marco Marsullo, che è uscito da poco per Einaudi Stile Libero rallegrandomi quasi quanto mille foto di cuccioli molto piccoli. Potevo mettermi qua a far fatica, ma poi ho pensato che magari era più bello per tutti quanti se a dirvi delle cose ci veniva il Marsullo in persona. E allora gli ho fatto un po’ di domande. Qualcuna è seria, qualcuna per niente. Lui però è sempre impeccabile. Insomma, divertitevi qua e divertitevi col libro.

***

Messer Marsullo, direi di procedere con ordine e precisione. Che faceva prima di diventare un giovane scrittore?

Studiavo con scarso profitto all’università, facoltà di giurisprudenza: media del 21.9. Un salasso dell’anima. Poi una mattina Einaudi mi ha chiamato e sono diventato, automaticamente, un giovane scrittore.

Lo sa, vero, che sarà considerato un giovane scrittore fino ai cinquant’anni (indipendentemente da come se li porta)?

Lo so, da queste parti è così. Infatti io mi definisco, talvolta, uno “scrittore liquido amniotico”, a 27 anni giovane è pure troppo.

Il suo libro è pieno zeppo di gente che piglia a calci il pallone. Lei come se la cava?

Sono un difensore centrale senza fronzoli. Per me palla e gamba sono la stessa cosa. Chiaro: non entro mai duro per far male apposta, però può capitare. Diciamo che ho dovuto sopperire con il cuore ciò che madre natura non mi ha dato nei piedi. Ah, e sperdo (quasi) sempre il pallone fuori dal campo quando faccio un tiro al volo.

Scusandomi in anticipo per lo sfoggio di stereotipi, c’è una vicenda che mi stupisce. Che cosa spinge un napoletano a tifare Milan con travolgentissima passione?

Quando ero piccolissimo (5 anni) mio zio mi chiese quale fosse il mio calciatore preferito. La risposta fu Van Basten. La conseguenza fu AC Milan. E per fortuna, amo la mia squadra in modo viscerale. PS: Forza Lotta / Vincerai / Non ti lasceremo mai!

Come devo comportarmi con la mia maglietta di Ibrahimovic, ormai obsoleta?

Be’, io Ibra lo rispetto. Nel senso: lui è un mercenario, lo ammette, lo ha sempre dimostrato. Ma mercenario non in accezione negativa, come tanti calciatorini che si baciano la maglia e il giorno dopo trattano con altre squadre per guadagnare il doppio. Zlatan è così: non fa promesse, non si innamora, in campo dà tutto per i suoi colori del momento. Poi dopo un paio d’anni se ne va, cambia. Devo tanto a lui e ai suoi gol. Gli voglio bene, possiamo dirlo.

Continuo ad essere invaghita di Zvonimir Boban, dovrei preoccuparmi? È bello pure il nome: ZVONIMIR.

Anche io ho un problema con Zvonimir “Zorro” Boban. Era un numero 10 fantastico, un giocatore geniale. Lo amo ancora, infatti quando lo becco a commentare in tivù mi impallo lì davanti a fissarlo. Grazie, Zorro.

Un giorno si è svegliato – magari anche un po’ tardi – e ha deciso che avrebbe scritto un libro. Insomma, da dove viene l’Atletico Minaccia?

Viene da un’intuizione. Una sera guardavo Mourinho in televisione e in venti secondi si è materializzato Vanni Cascione (il mister sfigato dell’Atletico Minaccia). Il resto è venuto fuori in tre mesi, una storia che si è davvero scritta da sola. E poi l’Atletico è la squadra che tutti vorrebbero vedere in campo: non ortodossa ma piena d’onore, un’accozzaglia di pazzoidi con i tacchetti ai piedi.

Giocatore preferito dell’Atletico Minaccia. (Io adoro il quarantenne che in carriera ha superato la metà campo solo tre volte).

Voglio bene a tutti, però ne ho due. Peppe Sogliola, il centravanti, perché lui è il vero trascinatore, quello che più di tutti salva la panchina di Cascione in più riprese. E Sasi Mocciardi: il numero 10 arrogante e presuntuoso, col suo tatuaggio del “Pocho Lavezzi che si ammocca (bacia, per i non napoletani, ndr) con la Madonna” che gli ricopre la schiena. Ecco, lui mi è piaciuto proprio scriverlo, quando lo rileggo rido io per primo di gusto.

Tifoso preferito dell’Atletico Minaccia. (Io voto Renetta. E deve anche sapere che ero in treno, quando mi sono imbattuta nella meravigliosa storia del soprannome del Renetta. Ero in treno e ho riso da Asti a Milano Centrale, suscitando la curiosità di tutti i consulenti incravattati che mi circondavano e facendole così vendere almeno dieci copie, controllore compreso).

Michele Caputo: l’ex ultrà del Benevento che, senza nessun motivo, comincia a diventare folle dell’Atletico Minaccia Football Club. Però a Renetta e Caracas voglio proprio bene, come due amici.

Mourinho l’ha ricevuto, un Atletico Minaccia?

Gliene abbiamo mandata una copia, sì. Sono quasi sicuro che quando l’ha ricevuto, ha detto: “Marsullo? Non lo cunosco. Io cunosco Marzulo, presentatore tivù, marsupio, borza per purtare ojetti, ma Marsullo non lo cunosco”.

Consigli un bel libro alle nuove generazioni.

“I frutti dimenticati”, di Cristiano Cavina. Commovente e sincero ritratto del rapporto padre-figlio, e delle sue difficoltà. Oh, anche io riesco a essere serio, ogni tanto.

Lei da cucciolo che cosa leggeva?

Ho letto poco, e questo, seriamente, è il più grande rimpianto della mia vita. Ho iniziato con Paulo Coelho a 17 anni (!!!), poi ho incontrato (il primo) Ammaniti. Non proprio due cose accostabili. Da lì ho capito cosa mi piaceva.

Ma i calciatori, scrivono e basta o leggono anche qualcosa?

Non saprei, credo qualcuno legga, non sono così capre come sembra. Mi piace immaginare che qualcuno prenda (o gli venga regalato, va’) il mio Atletico Minaccia. Si farebbero un sacco di risate.

Fifa o PES? Ma soprattutto, che ci trovate in quelle robe lì?

Fifa, rigorosamente Fifa. Da più piccolo ero un accanito giocatore di PES (l’allora: Winning Eleven), ma da un paio d’anni (da quando, in pratica, ho preso l’Xbox) Fifa ha divorato il suo concorrente. Non c’è più partita. In “quelle robe lì” ci troviamo la cosa più sacra e forte che fa di noi uomini, Uomini: la Sfida. È tutto lì.

Fornisca alla popolazione italica qualche buon motivo per leggere il suo romanzo.

Fa ridere, fa pensare, fa appassionare alla vicenda, umana e non solo calcistica (le migliori recensioni le ho avute da donne, ad ora!), di questo allenatore scalcagnato, Vanni Cascione, un po’ canaglia e un po’ sognatore. E poi c’è il rapporto con sua figlia 14enne, che in tutto il romanzo è una specie di filo di Arianna che condurrà alla fine con una soluzione. Ma soprattutto, e vi parlo col cuore: l’ho scritto con tutta l’onestà e la sincerità del mondo. Volevo solo raccontare una storia, ho provato a farlo nel modo più vero possibile.

E ora, che cosa accadrà? Il tour promozionale le spezzerà per sempre le gambe o ha già in mente delle nuove storie?

Dopo i primi giorni in libreria posso dire solo una cosa: non ci sto capendo niente, e non me lo aspettavo. Ricevo ogni giorno messaggi via mail, su Twitter, su Facebook, dove tantissimi sconosciuti (gli amici l’hanno già preso, eh) mi fanno i complimenti e dicono di aver letto/preso il romanzo. Uau. È tutto stupendo. Poi sono stato a “Quelli che il calcio” e mi sono divertito un sacco. Diciamo che è una lavatrice, per ora. Ma detto questo: sto scrivendo il romanzo di dopo, sono a un ottimo punto, non dimentico mai una cosa: io sono uno che racconta storie. È la cosa che più mi piace fare. Non smetterò facilmente.

Per concludere, vorrei ricordarle che una volta, su Twitter, mi ha mandato un DM che così recitava: FIDANZIAMOCI IA’! Così, senza nemmeno un ciao.

Ti risponderò con una citazione finale di uno dei miei film (e romanzi) preferiti: “Mi hai conosciuto in un momento molto strano della mia vita”. E in ogni caso, Francesca: “Fidanziamoci, ià!”. E il “Ciao” lo aggiungo ora. A te e ai tuoi lettori. Stare su Tegamini è il mio sogno fin da quando non ero ancora un giovane scrittore einaudiano. Adelante! E grazie.

***

Tegamini qua e Tegamini là! E prima che possiate dire “Tegamini anche basta”, vi informerò di una nuova collaborazione che mi rallegra immensamente e che, per osmosi e umana solidarietà, dovrebbe far saltellare anche voi. Perché da oggi potrete leggere delle Tegaminate anche su Gazduna!
Và che gioia, mi hanno anche fatto un foto-trailer:

Questo felice ritratto – che ha anche il pregio di nascondere le occhiaie – viene dal pratino verde dei TweetAwards 2012, luogo che ha sancito e benedetto l’incontro tra me+borsagallina – qui in veste di agente – e le adorabili fondatrici di Gazduna, che mi hanno pure donato quel magnete lì. Poco tempo dopo, le protettrici dei colibrì hanno segnalato Tegamini tra i blog indispensabili alle vostre esistenze, esortandomi a prendere parte all’ultimo blitz dell’anno. I blitz – momento tutorial – sono gli argomenti mensili di Gazduna, gli allegri contenitori tematici che ospitano, di volta in volta, i contributi dei fortunati postatori di articoli. Ecco, io a quell’ultimo blitz dell’anno non ho fatto in tempo a partecipare… ma poi ho comprato un quaderno per segnarmi le cose da fare e sono finalmente riuscita a saltare sull’allegro carrozzone.

Ecco il blitz di questo mese:

Cari gazduni, con questo Blitz! vi sveleremo alcuni dettagli della biografia del Buon Gaz che vi lasceranno con la boccuccia a O.
Ora, voi dovete sapere che quando gli uomini primitivi, dopo una notte di tempesta, trovarono un legno in modalità “tizzone arroventato” e inizarono a cuocersi costolette di pterodattilo, Gaz c’era. E che dire diquando l’uomo si accorse che le cose tonde corrono in discesa che è una meraviglia e inventò la ruota? Ebbene, Gaz aveva già la sua bicicletta. Si dice poi che all’altro capo del telefono senza fili di Marconi ci fosse un tal MacGaz.

Questi scintillanti e finora misconosciuti accenni biografici servano per rendervi noto che il prossimo argomento sarà: l’invenzione.

Saccheggeremi gli uffici brevetti, ci spremeremo le mengingi assieme ad Etabeta, ci faremo chiamare Genius (soprattutto in intimità), disegneremo macchine volanti che useranno l’Estathe come carburante, saremo un pacchetto di neuroni in preda alla follia creativa.

Ed ecco il mio post:

Il reggipetto di Neil Armstrong
Le tute spaziali della missione Apollo e i loro 21 strati di fashion


 

Agili e scattanti consigli di lettura. Perché è così che siamo: agili e scattanti. E anche non proprio super tempestivi, ma comunque molto volenterosi.
Bene, procederò senza indugi a dire bene del Seggio vacante (Salani editore, viva Salani).

Non ci saranno maghi con gli occhiali tondi, dissennatori e licantropi, non ci faranno un parco a tema né un esercito di pupazzetti con le sciarpette a righe, ma Il seggio vacante è un bel libro.
Nessun protagonista vi starà simpatico: l’unico essere umano degno di stima è Barry Fairbrother che, crepando a pagina tre nel parcheggio di un ristorante, darà involontariamente il via a una catena di catastrofici sconvolgimenti amministrativi, etici e sentimentali che devasteranno la quiete di Pagford, cittadina inglese di finto marzapane. Al centro della contesa ci sono i Fields, quartiere periferico e degradato di cui Pagford tenta di liberarsi da anni, appioppandone la giurisdizione alla vicina Yarvil. Il consiglio comunale – col seggio lasciato vuoto da Barry – è spaccato a metà e la dipartita del più strenuo sostenitore dei Fields non farà che peggiorare le cose. Bisogna decidere sui Fields, e alla svelta, non se ne può più di quei drogati che disturbano la pubblica quiete, corrompono i nostri figli e gettano le cartacce in terra. Chi prenderà il posto di Barry? Tutti quelli che si candidano per rimpiazzare il povero Fairbrother hanno molto da nascondere… e determinatissimi nemici pronti al sabotaggio.
Tutto questo per dire che la trama è ben costruita, piacevolmente intricata e va dove deve andare, concitazione finale compresa (Voldemort non arriva mai, ma l’idea è quella)… insomma, la Rowling ci aveva abituato bene e non si è dimenticata come si fa, anche se ogni tanto inciampa in qualche piccola noioseria e situazione stereotipata. C’è anche un mezzo martirio con annessa simbologia salvifica per la collettività pagfordiana, ma se la prendete come dei veri sportivi vi sembrerà un buon finale, coerente con quello che è capitato prima e adatto a chiudere la faccenda.
I personaggi sono dei gran bastardi e, ancora meglio, sono dei bastardi che sembrano veri. Aggrappati a patetiche ambizioni, pregiudizi ed egoismi, andrebbero tutti buttati in un pentolone pieno di lava. Pagina dopo pagina, Rowling ci fa fare un tour guidato nelle loro teste: paure, scheletri nell’armadio, invidie, gelosia… è il festival del “lo penso ma non lo dico”.  Ed è bellissimo, perché il lettore che sa come stanno davvero le cose si sentirà un po’ come una portinaia onnipotente. Il lettore si troverà anche a fare il tifo (giustamente) per i ragazzini che, più che parteggiare per un generale senso di giustizia e rettitudine, scateneranno agghiaccianti vendette sul capo di chi se lo merita… o quasi sempre. Insomma, vi verrà da schierarvi e da partecipare alle elezioni, vi preoccuperete per i personaggi di cui nessuno si preoccupa e cercherete di non sputare sul libro ogni volta che i vostri più acerrimi nemici apriranno bocca.

In conclusione, Rowling approvata e consigliata ad amici e parenti. Ci ritroverete tutto quello che sa fare meglio (gestire moltitudini di personaggi – con identità, vite interiori e obiettivi perfettamente delineati – dentro a una cornice/trama con tutte le necessarie complicazioni) e, anche se Pagford somiglia molto di più a Privet Drive che a Hogwarts, constaterete con piacere che gli orfani di Barry Fairbrother non hanno bisogno di una scopa volante per farvi saltare dentro alle loro storie.

TEGAMINI – Cosa dite allora, apriamo i regali?
PAPA’ – Ma che regali? Guarda che noi non te ne abbiamo mica fatti.
TEGAMINI – Eh, fa niente. Ve li ho portati io. Guarda che roba. Tò papino.
PAPA’ – Oh vacca, che bello. Ma che bello. La biografia di Newton!
TEGAMINI – Lo sapevo che ti piaceva. Volevo prenderti l’ultimo di Stephen Hawking ma poi ho pensato che ami comunque di più Newton. Poi hai visto il sottotitolo? Cos’è, “genio, alchimista o psicopatico?”
PAPA’ – Grazie, guarda, hai proprio fatto bene.
TEGAMINI – MADRE, vieni qua che c’è il tuo regalo.
MADRE – Ecco, ecco. Cosa lascio, tutti i piatti nel lavandino?
TEGAMINI – Ma se non abbiamo ancora finito di mangiare, DIOSANTO. Tò, tieni, eccoti un dono.
MADRE – Chiara Frugoni. La voce delle immagini.
TEGAMINI – Lei è bravissima. In questo libro qua ci sono tutte le storie sull’iconografia medioevale, con le illustrazioni belle, i santi e compagnia. E scrive così bene che vedrai che ti diverti, non è mica un mattone.
MADRE – Oh, ma pensa. Ma mi piace già.
TEGAMINI – Hai sentito, papà? Le piace!
PAPA’ – Incredibile.
MADRE – Te taci, che hai due regali. C’è anche il mio. Tieni, tieni.

Padre apre il suo regalo. È inequivocabilmente un pigiama. Di quelli beige, felpatini ma comunque leggeri, con la casacca a righe BORDO’ e blu. Tre bottoncini e taschino. È un bel pigiama. Niente da eccepire.

PADRE – Oh, ma che bello, grazie!
MADRE – È una tuta da casa.
PADRE – Bellissima. Ne avevo proprio bisogno.
TEGAMINI – Una tuta da casa? Ma cosa stai dicendo. Ci vedete? Ma è un pigiama, cazzo.
MADRE – Ma come ti esprimi!
TEGAMINI – Ma MADRE, come fai a dire che è una tuta da casa? È un pigiama!
MADRE – Non è vero. Guarda che bei colori da giovane.
TEGAMINI – MADRE, potrebbe anche essere a fiori hawaiani, ma quello lì è un pigiama, santo il Dio! Ma non lo vedi? È sottile, non è mica di felpa. È così un pigiama che non riesco nemmeno a spiegarti perché è un pigiama!
MADRE – Mimmo, ma la senti?
TEGAMINI – Papà, anche tu, è un pigiama! Vi prego, accettiamolo!
PADRE – Io non lo so. Mi piace.
TEGAMINI – Non ho detto che è brutto. Ho detto che è un pigiama! È un bel pigiama.
MADRE – Sà Mimmo, provatelo.

Mio padre si denuda in mezzo al salotto e indossa il suo nuovo pigiama. Poi torna comodamente a tavola per il panettone.

TEGAMINI – Senti, adesso che ce l’ha su è inequivocabile! Siamo tutti qua, e il papà è in pigiama!
MADRE – Gli sta benissimo, la sua tuta.
TEGAMINI – AAAAAAAHHHHHHH!!! Dov’è il gatto? Solo lui mi capisce!
MADRE – Lascialo stare, mio nipote, che stava dormendo.
TEGAMINI – …aspetta, però. Forse ho capito, MADRE. La tua astuzia non conosce confini!
MADRE – È una tutaaaaaa.
TEGAMINI – È una mistificazione! Sappiamo benissimo che il papà odia i pigiami e creperebbe piuttosto di dormirci dentro.
PADRE – Solo all’ospedale me lo sono dovuto mettere.
TEGAMINI – Ecco. Quindi tu, MADRE, subdola e scaltra, gli hai rifilato un pigiama spacciandolo per tuta da casa, sperando che un giorno si converta! Papà, fuggi, è una trappola!
PADRE – …
MADRE – Oca.
TEGAMINI – Quando mi insulti vuol dire che ho ragione.