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Ottobre 2012

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Superfelicità, c’è il teaser trailer di Iron Man 3!
Esplosioni, Robert Downey Jr con le zeppe d’ordinanza (ben camuffate dagli astuti pantaloncini a zampa), i meravigliosi capelli di Pepper Potts, seimila armature cromatissime, roba che vola e spara. I supereroi mi strappano continuamente il cuore, soprattutto quando hanno barbette molto geometriche e un’indole sbodenfia.
Comunque, Iron Man 3 uscirà in Italia il 24 aprile 2013 e, se è vero che tutti quanti potremmo anche essere già morti, vale la pena esaminare questo trailer del trailer con grande perizia e scrupolosità. Perché c’è chi ama applicare le proprie doti analitiche a una professione ben remunerata e c’è invece chi le utilizza solo per perder tempo.
Facciamo così, qua c’è il filmatino… e dopo c’è quello che ho capito io.

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A Iron Man, stare disteso nella neve sporca e ghiacciata fa venire la malinconia.
L’immensa intelligenza di Tony Stark è arrivata a padroneggiare il millenario segreto della telecinesi. Vuoi metterti un guanto? Non temere, il guanto verrà a te.
L’insonnia affligge anche i geni-miliardari-playboy-filantropi. E voi che pensavate di essere speciali…
A Pepper non dispiace che Tony dorma con un’intera officina meccanica disseminata per il pavimento della camera da letto. L’importante è che il grasso da motore non insozzi il piumone di raso.
C’è sempre quello là, il militare nero, War Machine. Quello che nell’1 era diverso.
C’è della gente che va ad esplorare uno stanzone con delle brutte infiltrazioni sui muri. Forse sono imbianchini.
Guy Pearce è un viscidone.
Tony Stark ama prodursi in pose drammatiche di fronte ad anfiteatri pieni zeppi di armature ordinate cronologicamente.
L’Ark-cuore. Adesso è un po’ sull’azzurro. E Tony vaga per casa con la testa ricoperta di auricolari Bluetooth.
Le armature sono dispettose e ti vengono sempre a svegliare nel bel mezzo di un bel sogno.
Saranno anche belle belle in modo assurdo ed esposte cronologicamente ad anfiteatro, ma prima o poi le armature scoppiano tutte.
C’è uno con la scabbia che si scappuccia la testa.
C’è una tizia in terra che somiglia un po’ a Naomi Watts. Mora e con le Adidas, però.
Hanno fatto verniciare un’armatura a Steve Rogers.
Quella biscia melliflua di Guy Pearce si struscia alla guancia destra di Pepper Potts. Spero moltissimo che Pepper sia ben conscia di essere già fidanzata con il figo del secolo.
Tony Stark deve operarsi a qualcosa.
Iron Man piglia al volo un sacco di gente che schizza fuori da un aereo squarciato. Tutti quanti però forse non ci riesce a prenderli. Gli squali avranno di che mangiare per molti anni.
La Pepper soffre tantissimo dentro a una specie di struttura di metallo con le bretelle. Soffre e digrigna i denti, ma comunque non si spettina.
C’è un casco guercio di Ironman.
Ci sono le mani molto ingioiellate di quello con la scabbia, uno che ama molto anche i polsini pieni di perline. E dal taglio a pagoda dell’abito, direi che è il Mandarino.
Un’armatura sembra voler fare all’amore con Tony Stark.
Tony Stark le prende anche dalle donne.
Si capisce che il Mandarino non ha la scabbia, ma una treccia un po’ arrotolata sulla sommità del cranio.
Degli elicotteri imbottiti di missili distruggono la sobria villa discovolantesca di Tony e Pepper, paladini dell’understatement architettonico.
Mentre Tony e Pepper vengono sbalzati lontano dall’onda d’urto di un’arrogante esplosione, nel loro soggiorno si scorge un pupazzo gigante che somiglia in modo preoccupante a Jar Jar Binks. E se fosse vero, si meritano alla grandissima di diventare dei senzatetto.
Distruzione, distruzione, detriti bruciacchiati e cemento che rovina giù per la scogliera. Gli squali finiranno schiacciati sul fondo limaccioso del mare.
Iron Man è un po’ sfortunato e viene trascinato nell’abisso insieme al resto dei rottami. Trascinato per il collo, tra le altre cose. Non fa mai piacere.
Tutto è buio, alghe e oscurità senza fine.
E pure il logo è un po’ rugginoso e pessimista.
Però, però, poi c’è Tony Stark che tira una slitta in mezzo alla neve. Che sia Natale? Che sia un segno di meravigliosa circolarità narrativa? La neve all’inizio e la neve alla fine. E a Tony è anche un po’ passata la malinconia, anche se sbuffa come un muflone d’altura.

…e guardate che su Jar Jar non stavo mica scherzando:

 

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Là fuori capitano cose belle. Mentre siamo tutti a buttar via le nostre vite sul divano, quattro personaggi (Eli Horowitz, Russell Quinn, Matthew Derby e Kevin Moffett) si inventano The Silent History, un’app-romanzo che oltre ad essere di piacevole lettura è anche sommamente interessante.
L’antefatto è semplice: all’improvviso iniziano a nascere bambini che non emettono suoni e non sono in grado (o non vogliono?) comunicare verbalmente. Bambini perfettamente in salute, capaci di interagire emotivamente e di comprendere quello che capita intorno a loro, ma che, semplicemente, non fanno nemmeno BA. E diventano sempre di più, sparpagliandosi in una sorta di epidemia silenziosa che la scienza medica non sa spiegare e la società fatica a digerire. Questi bambini vanno a scuola, crescono, camminano per strada… e con questo loro impenetrabile silenzio cambiano per sempre il mondo che conosciamo.
L’app – per tutti quelli che come me stanno pagando un iCoso in trenta mesi -, è un super puzzle di testimonianze, dal 2011 al 2043. Sono capitoletti che si leggono in cinque minuti, rilasciati giorno per giorno. Ci sono i ricordi dei papà che portano la moglie in ospedale per il parto, le babysitter dei primi bambini silenziosi, le vicine di casa impiccione, i dottori che gettano le basi per gli studi all’inizio del fenomeno, maestre turbate, sorelline affettuose. Voci diverse da posti diversi, per scoprire che cosa sta davvero accadendo insieme al lettore.

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Oltre alle testimonianze, l’app prevede anche un secondo livello di lettura, con i field reports geolocalizzati. Si va in punto ben preciso e solo da quel punto, sventolando il proprio DEVAIS davanti a non so bene cosa, è possibile accedere a una testimonianza aggiuntiva, specificamente pensata per quel punto. I field reports non sono indispensabili alla comprensione generale della storia, ma sono una sorta di bonus interattivo, perchè oltre ad andarteli a leggere, se hai voglia puoi pure crearne uno. In Italia, per ora, non c’è granchè, ma sarebbe davvero bellissimo poterne trovare di più.

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Tutto il baraccone costa 6,99€. Si può anche decidere di scaricare il primo periodo a 1,99€ e poi vedere che succede ma, come per gli album, conviene davvero investire l’inestimabile somma e iniziare subito a leggere.
E’ bello perchè è una storia (una bella storia, tra le altre cose) che si adatta, finalmente, al supporto destinato a convogliarla. Gli iPhone e gli iPad non sono fatti per leggere libri come può molto meglio fare su un Kindle, su un Kobo o sugli altri fratellini della famiglia degli inchiostrini magici… e ben vengano, allora, i capitoli da cinque minuti. E ben vengano, soprattutto, i capitoli da cinque minuti che raccontano una storia gigantesca, combinando prospettive, mescolando registri differenti e invitandoti a fare dei chilometri a piedi, magari, tanto per andarti a vedere che è capitato. E come ogni app degna di questo nome, crea dipendenza.
Insomma, per chi può, The Silent History è una bella faccenda. Una storia che funziona e un meccanismo antico come il mondo (ah, il romanzone a puntate!) che si trasforma. Evviva.

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– Michele?
– Dimmi.
– Ti chiami Michele, giusto?
– Sì. Scusa. Otto anni.
– Sono otto anni che lavori qui?
– Otto anni e sette mesi.
– E ti trovi bene?
– Abbastanza.
– A me qui piace tantissimo.
Gervasini grattò con la punta della forchetta la base della collina giallognola. Niente da fare. Persino il purè era più forte di lui.
– Senti Adele, io non ti conosco. Ma…
– Facciamo finta che ci conosciamo. Così è più semplice.
– Ok. Allora, posso chiederti una cosa?
– Certo.
– Sicura?
– Sicura.
– Come fa a piacerti tantissimo un posto dove la gente si ammazza?

Peppe Fiore, Nessuno è indispensabile
Einaudi (i Coralli)

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Non si lavora. Si lavora troppo. Si lavora bene ma nessuno se ne accorge. Si fa finta di lavorare, tanto c’è sempre un pirla che si prende la colpa. Si timbra il cartellino quattro volte al giorno. Non si timbra perchè col progetto non c’è da timbrare. Ad agosto non si può accendere l’aria perchè la tua collega ha i bronchi di cristallo. Ad agosto devi stare a meno sei perchè la tua collega in menopausa deve tenere a bada le scalmane. Ci sono quelli che hanno la firma in fondo alla mail, quelli che scrivono mail come se fossero verbali dei carabinieri, quelli che si personalizzano il carattere perchè l’Arial 10 è da impiegato senz’anima. Scrivanie con foto di cani. Scrivanie con foto di bambini. Tutti hanno una tazza, te hai un portamatite di plastica. Il temperino non ce l’ha mai nessuno. Tutti attaccano qualcosa di straordinariamente originale alla chiavetta del caffè. La macchina del caffè non caccia latte neanche a pedate. Se c’è il latte, non vengono giù le palettine per mescolare la roba. La chiavetta del caffè le distribuisce sempre una persona importante, che non è mai quella che custodisce i buoni pasto. I buoni pasto li hanno gli stagisti e quelli col contratto. In ogni caso, sono sempre di almeno un euro sotto a quanto mangi effettivamente. Si scorgono tupperware pieni di pasta vecchia, i salamini Beretta nella pratica confezione con lo scompartino per i taralli, le piade del bar che ti fanno venire sonno, i cous-cous organico che non si capisce se vada mangiato caldo o freddo. La mensa c’è se lavori in uno di quei posti scomodissimi fuori città. Se lavori al confine tra la città e la non-città sei fregato, non c’è la mensa e l’unico bar dei dintorni è in mezzo a un deserto nucleare, punteggiato dalle ossa dei grandi rettili del passato. E la benzina costa. E i mezzi non funzionano. La metro è comoda, ma poi arrivi in ritardo perchè ci sono quelli che si gettano sulle rotaie. Leggi il Leggo. E in Metro leggi Metro. Alle fermate all’aperto leggi City. L’unica differenza è l’oroscopo. Passano sempre dei piccioni, poi volano via e te devi andare in ufficio e allora li guardi e ti ritrovi su un marciapiede a domandarti come sei riuscito a produrre un sentimento d’invidia per dei piccioni. E allora entri e passi il resto della giornata a cercare di capire perchè sei lì.

Non credevo che venisse così lungo, il benedetto preambolo. Sarà perchè l’ufficio confonde. E debilita anche un po’. Il fatto è che l’ufficio produce anche una girandola di emozioni e sentimenti assolutamente non richiesti. Sarà che ci si passa troppo tempo per far finta che non stia davvero capitando a te, alle tue variopinte occhiaie e alle tue lauree. Allora ti adatti, ti arrabbi, ti stanchi, qualche volta ti diverti e immancabilmente inveisci come un vichingo contro le trattenute. Ma poi capisci che ti è andata bene, perchè alla Montefoschi, nobile azienda a ex-conduzione familiare per la produzione di latte e derivati, c’è chi decide di darsi fuoco nell’armadio delle scope.

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Raggiunse lo schedario di alluminio verde alle spalle di Gervasini, infilò il faldone nel cassetto della lettera C. Tornò a sedersi, e concluse: – La paura, Gervasini. La nostra cara, umana, preziosa paura. L’unica forma di democrazia che resiste al tempo. Altrimenti perchè crede che la gente si uccida?
– Lucia Frangipani non aveva paura di niente.
– E lei cosa ne sa? I colleghi sono persone fino a un certo punto. Per questo si chiamano risorse umane.

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Nessuno è indispensabile è un libro pieno zeppo d’intelligentissimo e malvagio divertimento. Imperscrutabili mucche in vetroresina, gente che s’ammazza in ufficio, agghiaccianti siti per cuori solitari, stagiste col nasone che però se le guardi bene non sono poi così degli scaldabagni, integratori alimentari che spazzano via i risparmi di una vita, code sul raccordo, silos pieni di latte che luccica al chiaro di luna, case con dentro solo un’iguana, grezzoni col gessato che fanno i brillanti alla macchinetta del caffè e amministratori del personale con la katana appesa in ufficio… personaggi inespressivi e insensibili, che mandano mail direttamente dal cimitero dei tuoi sogni.

from: segreteria.hr@montefoschicorporate.it
to: m.gervasini@montefoschicorporate.it
subject: CONVOCAZIONE

Alla c.a. del sig. Michele Gervasini
La SV è invitata a presentarsi il giorno lunedì sg. corrente mese alle ore 17.00 presso l’Ufficio del personale, piano V, stanza 127 all’attenzione del dott. Stefano Bigazzi.

Si prega cortesemente di dare conferma di avvenuta ricezione della presente.

Cordiali saluti,

La Segreteria Direzione Human Resources

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E l’eroe? C’è, l’eroe?
Peppe Fiore ha deciso di scrivere un libro sul più sfortunato e goffo dei vostri colleghi. Quello che se anche si cambia vi sembra sempre vestito allo stesso modo e che la gente si tira dietro sul balcone perchè non c’è neanche un ficus su cui indirizzare il fumo della sigaretta. Una faccia che mai riuscirete ad associare a un nome… e non perchè siete rincoglioniti, ma perchè proprio non v’interessa.
E Michele Gervasini è lì, che fa il suo, sperando fortissimo che non gli capiti più niente di male.
Lo devono promuovere da quattro anni, ma non è mai il momento giusto. E quella totale assenza di eventi che contraddistingue la sua giornata lavorativa finisce pian piano per invadere anche il resto del tempo. Fa il contabile per mozzarelle e yogurt e, non pago, campa a mozzarelle e yogurt. Tollera orribili spostamenti mattutini nell’incubo del traffico di Roma, ma solo per andare in ufficio, che se lo invitano da qualche parte a farsi due risate non ci va perchè pigliare la macchina è troppo faticoso. Gervasini viene rimbalzato, ignorato, maltrattato e lasciato a marcire come un delfino disorientato sul bagnasciuga dell’ufficio contabilità. Zero carriera, mai una gioia… e i suoi conti sono un casino perchè l’unico che doveva dargli una risposta urgente s’è buttato dalla finestra. Gervasini un po’ ti fa tenerezza e un po’ lo prenderesti a sganassoni. E gli sganassoni sono per quelle innumerevoli piccole cose della sua personalità che ti fanno venire in mente anche la tua, di giornata lavorativa.

Insomma, panico, scrivanie, contabilità, cattiverie burocratiche ed estrema disperazione impiegatizia… sembrerebbe una roba che non potrebbe mai e poi mai far ridere (sia forte e allegramente che con amara pensosità), ma probabilmente Peppe Fiore è cascato in un ruscello magico da piccolo.

Insomma, è con passione e scompigliatissimo trasporto che vi consiglio questo libro. Ci sono pure dei piccoli lavoratori che si gettano ordinatamente nel vuoto dal codice a barre. Parliamone!

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Ai piedi delle due immagini c’era scritto cubitale LAVORARE UCCIDE! e più sotto ancora la convocazione di un’assemblea sindacale straordinaria per il martedì successivo. Gervasini, come tutti gli altri, si appallottolò il volantino in tasca, e si avviò a passo deciso verso l’ingresso degli uffici. Doveva lavorare, lui.
Anche il sindacalista, ovvio, doveva lavorare. Ma questo non gli impedì di presidiare il piazzale finchè non fu sicuro che il grosso dei dipendenti avesse avuto almeno un volantino. Avrebbe timbrato il cartellino in ritardo, ma amen: la rivoluzione non ha orari d’ufficio.

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E ricordate. Chi non legge Nessuno è indispensabile è un Michele Gervasini!

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Quel che è chiaro a molti è che non conviene offrirmi da bere. Offrirmi da bere è un investimento – ovviamente ripagato da momenti di straordinario spasso -, ma è pur sempre una mossa coraggiosa e intrepida. Non tutti possono ambire a un tale impegno di risorse e tempo, giorni feriali inclusi, non tutti scelgono consapevolmente di rompere il porcellino coi risparmi di una vita e invitarmi all’aperitivo. Ma poi, magicamente, succede che qualcuno tenti l’impresa. Ieri, per dire, i prodi di Fernandito hanno deciso che se la sentivano… e mi hanno mandato un pacco-dono per collaudare una bevanda festosa. E, visto che MADRE mi ha ben educata, non posso di certo non ringraziare, anche perchè abbiamo allegramente gradito.
Valà, che paccozzo:

Non so bene che cosa sia, la benedetta mezcla, ma non ci siamo formalizzati. Anzi, Amore del Cuore – altro noto astemio -, ha quasi rovinato la coreografia.

AMORE DEL CUORE – …ma l’hai già fatta la foto? No, perchè, insomma, l’ho bevuto praticamente tutto… lascia un bel freschino in gola.

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Ecco, grazie del regalo, cari Fernanditi. E cin-cin-pepperepé. E la bottiglina, attenzione, l’abbiamo messa nel vaso dei tappi che ci piace ricordare con affetto. Le mignon sono tanto carine.