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Febbraio 2012

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Ci sono delle avversità.
Tipo:
– ho sognato una base spaziale invasa dagli zombie. Tutti avevano fuciloni al plasma, possenti balestre e scimitarre galattiche. Io avevo una forchetta.
– un tizio mi ha inseguita per strada cercando di spegnermi una sigaretta sulla fronte.
– MADRE è affabile.
– la Fornarina mi ha invitata alla sfilata di Milano, ben due ore prima che iniziasse.
– si stanno bruciando tutte le lampadine-farettine di casa. E farò prima a traslocare che a capire come si cambiano.
– ho solo ed esclusivamente vicini interisti.
– c’è un romanzo che si chiama Cristo polverizzato.
– ci sono gonne fatte di cravatte.
Nonostante tutto questo, ho la felicità in pugno, perchè è finalmente arrivata la mia sciarpavolpe. Amorevolmente assemblata da una sconosciuta annodatrice di lana di Cracovia, la sciarpavolpe scalderà il mio collo e rallegrerà le mie giornate per centinaia di anni. Perchè la sciarpavolpe ha tutto quel che di bello esiste al mondo, compresi quattro morbidi piedini e un nome di battesimo: Volpecula.

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borsa-Gallina, mi ciberò dei tuoi pingui cosciotti!

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Reginald, buon Dio, dov’è la mia tisana alla malva?

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sferruzza una volpe, salva un pollaio (?)

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Per chi volesse dare un senso a questa mia opera di fiera pubblicizzazione dell’artigianato polacco – anche se non ho il fidanzato che mi fotografa con la Reflex mentre scavalco con simulata leggiadria i binari del tram a Porta Romana -, le sciarpevolpe sono fabbricate da celapiu. Che Odino la protegga.

 

 

Vorrei dire subito che non ho ancora letto Infinite Jest e Il re pallido.
Di Infinite Jest ho sia l’edizione Fandango che quella Einaudi. Il re pallido sul mio scaffale è un Pale King, ma non giace intonso e sonnacchioso perchè ho paura di lottare con le tasse in inglese. La verità è che sono equipaggiatissima e che sarei anche pronta all’impresa, con tanto di bandana che garrisce al vento e cesti di frutta ammucchiati sul letto, ma non li voglio leggere, non subito. Finchè Infinite Jest sarà estraneo al mio cuore, finchè resterà lì ad aspettarmi con tutte le sue mille pagine – più note -, ecco, fino a quel momento potrò pensare che Wallace deve ancora raccontarmi delle storie. Il che mi autorizza anche a immaginarlo che festeggia il compleanno. E no, non credo di aver abbracciato un qualche tipo di culto dello scrittore-zombie… è solo davvero confortante sapere che una meraviglia sta facendo dei pisoli vicino a te. E che sarà paziente abbastanza da aspettare e tollerare un po’ di polvere che si ammucchia. Così, nonostante l’odio viscerale che nutro per ricorrenze, anniversari, celebrazioni più o meno postume e cerchietti sul calendario, farò gioiosamente gli auguri al genio che ha inseguito invano la cameriera Petra, che ha fatto crepare d’invidia Jonathan Franzen – con tutti gli occhiali – e che ha inventato, tra le altre cose, uno dei personaggi più strabilianti dell’universo tutto: Stonecipher LaVache Beadsman III, detto l’Anticristo.

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Sono molto fortunata perchè ho dei colleghi che si prodigano per ridurre la mia rotondissima ignoranza. Grazie al cielo, ad un certo punto mi hanno messo in mano La scopa del sistema. Come facessi a stare al mondo prima, per me è un mistero. In questo libro, che dovrei rileggere e tatuarmi addosso, si incontrano miracoli come il pappagallo Vlad l’Impalatore, si trovano favole, raganelle che si annidano tra le clavicole di ragazze timide e deserti di sabbia nera, costruiti assemblando il peggio della natura per temprare la volontà della popolazione dell’Ohio, gente piccia come la neve del pomeriggio. L’amico che non avete mai avuto, però, è LaVache.
Arriva così:

Che Stonecipher LaVache Beadsman avesse un aspetto luciferino era cosa innegabile. Aveva la pelle di un rosso cupo e lustro; e i capelli di un nero unto e ravviati all’indietro a liberare la fronte spaziosa su cui aggettava la V dell’attaccatura, e le sopracciglia di spessore brezneviano, che partivano alte quasi dalle tempie per poi piombare torvamente verso gli occhi, e la testa piccola e ovale e non proprio saldamente ancorata al collo e decisamente propensa a ciondolare di lato, come la testa di un calzascarpe snodabile. Felpa OBERLIN e bermuda a coste, e peli sul piede, quest’ultimo situato accanto a un paio di Converse nere modello alto. Aveva una lavagnetta attaccata alla gamba, e dalla lavagnetta pendeva una catenella con una penna, ed era seduto su una sedia a sdraio, e guardava la televisione, di profilo rispetto a Lenore ferma sulla soglia.

Vi servirà anche sapere che LaVache non possiede ufficialmente un telefono – ma un linfonodo – e che barcolla su un’astuta gamba di legno:

LaVache sollevò la lavagnetta, aprì un cassetto di plastica ricavato nella gamba artificiale, e ne cavò una canna già rollata, che lanciò a Heat.
– Un cassetto? – disse Lenore.
– Ce l’ho sin dai tempi del liceo,  – disse LaVache . – Solo che a casa metto quasi sempre i pantaloni lunghi. Dài, non dirmi che non sapevi del cassetto.

Il cassetto della gamba serve a raccogliere i tributi. LaVache è, infatti, un accorto benefattore e si prodiga affinchè schiere di studenti riescano a passare con dignità gli esami. Che si tratti di Hegel, Darwin o calcolo combinatorio, tutto quello che devono fare, per accedere alla sconfinata conoscenza di LaVache, è adagiare un obolo nel prezioso scomparto segreto. La magia del sapere è, nel suo caso, del tutto indipendente dalle lezioni:

– Io ho lezione, – disse LaVache. – Lo so per certo perchè così dice la mia agenda -. Si pulì un’unghia col fermaglio della lavagnetta.
– A me ha detto che in questo semestre seguirà almeno una lezione, – disse Heat a Lenore mentre si esibiva in una verticale sul pavimento, con la camicia che gli spioveva sulla faccia. – Ha deciso che almeno a una ci andrà.
– Bè, sono pur sempre un
disabile, – disse LaVache. – Non si può pretendere che un disabile arranchi fin lassù ogni santo giorno per seguire tutte le lezioni del semestre.

La magia del sapere è anche del tutto immune a Ciao Bob. Ciao Bob è un gioco di raffinatissimo sadismo, una cosa da Primo Testamento. LaVache e i suoi sventurati coinquilini guardano il “Bob Newhart Show” passandosi una bottiglia di vodka. Ogni volta che qualcuno dice “Ciao Bob”, chi ha la bottiglia in mano deve bere un sorso. Se “Ciao Bob” lo dice Bill Daley, chi ha la bottiglia deve berla tutta, in cinque minuti al massimo. Sopravvivere sembrerebbe impossibile, ma c’è una soluzione a qualsiasi disgrazia:

– Ormai non si vomita più, – disse LaVache. – Qui all’Amherst qualche anno fa c’è stato un tizio, un tizio veramente mitico, che ha introdotto l’usanza per cui invece di vomitare ci si mette a picchiare la testa contro il muro.
– A picchiare la testa?

– Molto forte.

Stupidaggini a parte, LaVache è un vero Beadsman, anche se gli piacerebbe dimenticarlo. Come chiunque nella sua famiglia, il linguaggio non serve solo a trovare un nome alle cose, ma esiste per trasformarle in quello che dovrebbero essere. Ecco perchè non sopporta di sentirsi chiamare Stoney.

– Stoney mi rammenta di aspettative irritanti. Stoney mi rammenta Papà. Come Stoney sono più o meno dedotto…
– Cosa?
– …mentre come l’Anticristo semplicemente
sono, – disse l’Anticristo, puntando enfaticamente la canna verso l’orizzonte rosso e nero. – Come l’Anticristo ho una cosa, ed è eroicamente chiaro dove finisca io e inizino gli altri, e nessuno si aspetta che io sia altro da ciò che sono, cioè una vita sprecata, uno che si fa in quattro per gli altri allo scopo di sostentare la propria gamba.

La gamba sarà anche la super-metafora di una mente brillante che si manda a far benedire da sola, ma serve anche a far giocare i bambini.

La bambina fissava un versante del lustro e scuro viso dell’Anticristo, notò Lenore. La bambina lo tirò per un lembo della felpa.
– Tu sei il diavolo? – gli chiese, a voce alta. I genitori parvero non sentire.
– Non in questo momento, – disse l’Anticristo alla bambina, affidandole del tutto la gamba, per un po’.

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Si potrebbe andare avanti per dei mesi, lunghissimi mesi d’insolita bellezza. E a leggervi/rileggervi La scopa del sistema ci mettereste di meno, quindi desisto, senza nemmeno dover ricorrere al pappagallo più vanitoso e blasfemo della letteratura. E visto che sono qua apposta, tanti begli auguri a David Foster Wallace, perchè oggi compie cinquant’anni. E andrà avanti a compierli, finchè non avrò letto Infinite Jest.

 


MADRE s’inerpica col fido bob

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Ormai ho capito: senza di me, i miei genitori si divertono pazzamente.
Danzano di fronte al fornello mentre aspettano di buttare la pasta, passeggiano in cerca di animalini del bosco, vanno in mezzo a un campo per veder passare la stazione spaziale, mangiano gelati e approdano al mare solo in settembre, quando il turismo diventa leggermente più civilizzato.
Ecco. Se la ridono, alla faccia mia… e col frigo pieno di culatello.
Ho anche capito che a voi MADRE piace tantissimo, ma che dico, preferite MADRE a me. E non vi biasimo. Anzi, per non farvi sentire in colpa per questa disdicevole faziosità, vi dimostrerò, una volta e per sempre, che MADRE merita ogni vostro sentimento.
Che sportività. Ho un cuore grande così.
È con orgoglio, dunque, che vi regalo qualcosa di epico, roba da proiettare al cinema e sulle facciate dei principali monumenti del nostro bel paese. Vi dono MADRE che va sul bob, con tutti e sessantaquattro i suoi anni. Grazie al coraggio di Padre – che all’inizio vi allieterà con le dita sull’obiettivo, cosa bizzarra per un mago dell’audiovideo ma giustificabile dato il principio di assideramento che probabilmente l’attanagliava -, la festosa discesa di MADRE è ora a disposizione del mondo. E vi prego di notare la toccante esortazione di Padre alla prudenza, con quel “VAI PIANO” allegramente ignorato dalla mia genitrice, che anzi, affronta l’insidia delle curve con la baldanza di una nobile zarina in slitta a cavalli.
Amate MADRE – senza smettere di aver paura -, perchè se lo merita.

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E se vi sembra che MADRE vada piano, siete degli stolti. Non solo è più veloce della vostra Clio, ma anche immensamente più contenta.

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MADRE umilia i veicoli motorizzati

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È con grande gioia e orgoglio che arrivo fin qui a strombazzare la nuovissima collaborazione di Tegamini con SettePerUno, che ha avuto l’ardire di affidarmi una rubrica. Di che si parlerà? Di creature fantastiche, perbacco. E visto che ho diligentemente prodotto una descrizione delle Miticherie, non vedo perchè non dovrei rifilarvela:

«La manticora soffia dalle narici lo spavento delle solitudini. Il baldanders cambia continuamente forma… e capita che diventi una salsiccia. Il gillygaloo depone uova quadrate sulle pendici delle montagne più scoscese. Il basilisco crea il deserto. La fenice campa mille anni, e poi prende fuoco. La remora è capace di rallentare le imbarcazioni e di trasformarsi in metafora, tutte le volte che vuole. Il drago occidentale è sempre malvagio, il drago cinese è sapiente, ma perde ogni forza se gli si toglie la perla che custodisce in bocca. L’idra ha molte teste, ma una sola è immortale.

Gli animali fantastici ci tengono occupatissimi da millenni, dato che “i mostri – c’insegna Borges – nascono per combinazione d’elementi d’esseri reali, e che le possibilità dell’arte combinatoria sono quasi infinite”. Miticherie va a disturbare creature inesistenti, bestie leggendarie e demoni dimenticati, un po’ perché è molto divertente, e un po’ perché conviene tenere in allenamento l’immaginazione».

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Insomma, ringrazio con un’esplosione di pubblica gioia SettePerUno per l’ospitalità: farei anche delle crostatine, ma non ho l’attrezzatura necessaria.
Ed ecco dove leggere tutto.

Il benvenuto di SettePerUno

Il primo post delle Miticherie > Sleipnir: il cavallo più veloce del Valhalla

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Io comunque sono una figura stupefacente, anche se non mi piace molto parlarne.

Daniil Charms
Disastri
marcos y marcos

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Poi ce l’ho fatta, a trovare qualcosa di Charms.
Questo libro l’avremo letto in quattro in Italia. Ci siamo io, la mia collega che ha sempre buongusto, Paolo Nori e il mio amico slavista, quello che ha i baffi belli e la sicura possibilità di stare bene vestito con l’uniforme. A dire la verità, il mio amico vale almeno per dieci, visto che con Charms ci si è laureato. Ritoccando la stima, quindi, ad aver letto questo libro saremo più o meno in tredici, più i baffi di Simone. Fa tredici e mezzo – visto che sono baffi serissimi – ma è comunque un po’ poco. Perchè in questo libro c’è confusione. Ci sono zuffe, percosse, sputi e ingiurie. Ci sono strani commerci col burro e pavimenti pieni di polvere. Arrivano personaggi armati di minestra da rovesciare addosso ai principi, ci s’imbatte in onesti cittadini che escono di casa per comprare la colla e finiscono per perdere la memoria – troppi mattoni che cadono – o per rincorrere indumenti smarriti – è sufficiente che sparisca l’orologio, poi è tutta un’inesorabile reazione a catena. C’è autentica passione per le donne rotonde, c’è furioso ribrezzo per i bambini – e per i pastori tedeschi. Ci si tramortisce con cetrioli giganti – perchè è l’articolo che va per la maggiore nei negozi – e si passeggia con una cornacchia sfortunata, zavorrata dal caffè e dal risentimento. S’incontrano i grandi della letteratura russa e si comincia a parlare di gente che non ha nulla di speciale… e giustamente si comincia e basta, perchè per finire un discorso ci vuole sempre qualcosa da dire.
Questo libro è pieno di scarpate in faccia, stivali che feriscono e tacchi che si conficcano nelle costole.
E non sembra, ma ogni scarpata è assestata con immenso giudizio.