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Luglio 2011

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Gli animali ti guardano.
Senza preavviso, senza motivo e sempre e comunque senza senso, torna l’acclamata rubrica di Tegamini dedicata ai più sconvolgenti fenomeni dell’etologia terrestre, perchè ci sono bestie che era meglio se evitavano di esserci… ma visto che ci sono, tanto vale prenderle in giro.

Oggi, ci occuperemo di una creatura che confligge col concetto stesso di realtà, una bestia anacronistica, di quelle che se si rompono non possono essere aggiustate perchè nessuno fabbrica più i pezzi di ricambio. Un animale intrappolato in un’eterna candid-camera, tra strane protuberanze, risate finte e una generale e persistente sensazione di scomodità.
Insomma, il costernato e discretissimo babirussa è tutto questo.
Ma ovviamente, non lo sa.

Oggi è il compleanno di Cormac McCarthy e io, per fortuna, sono ancora indietro. Devo leggere la Trilogia della frontiera, vedermi Sunset Limited recitato da Samuel L. Jackson e Tommy Lee Jones, sedermi su una bella duna, mentre il mondo si sbriciola e diventa di cenere, magari con i piedi dentro a un paio di stivali seri. Rossi, se ci sono.
Probabilmente, dovrei spicciarmi a fare tutte queste cose… nel frattempo, però, è il caso di attaccare eventuali cavalli stanchi a qualche albero scheletrico in mezzo a desertoni gialli e fare gli auguri. Non ce lo vedo tanto, a saltellare con un cappellino di carta e cantare le canzoncine. Mi sembra più plausibile una serata a base di brodo di tartaruga. In ogni caso, è comunque una festa.

***

L’uomo si era portato dietro il libro del bambino, ma il bambino era troppo stanco per ascoltarlo leggere. Possiamo lasciare la lampada accesa finché non mi addormento?, disse. Sí. Certo che possiamo.

Prima di prendere sonno rimase sveglio a lungo. Dopo un po’ si girò a guardare l’uomo. Il suo volto rigato di nero dalla pioggia alla debole luce della lampada, come certi teatranti del vecchio mondo.
Ti posso chiedere una cosa?, disse.
Sí. Certo.
Noi moriremo?
Prima o poi sí. Ma non adesso.
E stiamo sempre andando a sud.
Sí.
Per stare piú caldi.
Sí.
Ok.
Ok cosa?
Niente. Cosí.
Adesso dormi.
Ok.
Ora spengo la lampada. Va bene?
Sí. Va bene.
E dopo un altro po’, nel buio: Ti posso chiedere una cosa?
Sí, certo che puoi.
Tu cosa faresti se io morissi?
Se tu morissi vorrei morire anch’io.
Per poter stare con me?
Sí. Per poter stare con te.
Ok.

Cormac McCarthy, La strada

***

Il giudice sedeva da solo nella cantina. Guardava anche lui la pioggia, con gli occhi piccoli nella grande faccia nuda. Si era riempito le tasche di dolcetti a testa di morto e se ne stava vicino alla porta e li offriva ai bambini che passavano sul marciapiede sotto il portico, ma i piccoli si allontanavano scartando come puledrini.

Cormac McCarthy, Meridiano di sangue

***

Suttree si alzò a sedere nella sua cuccetta e guardò fuori.
Vide una mano che sporgeva dal fiume ad aggrapparsi al ponte di casa sua. Rotolò giù dal letto e andò alla porta, girò l’angolo e rimase lì in mutande con gli occhi sul ratto di città.
Fico, eh?, disse Harrogate.
Sai nuotare?
Domani a quest’ora starai parlando con un uomo ricco.
O annegato. Dove diavolo hai trovato quell’affare?
L’ho costruito. Io e quel vecchio ubriacone di Harvey.
Cristo santo, disse Suttree.
Che te ne pare?
Mi pare che sei completamente fuori di testa.
Vuoi farti un giro?
No.
Eddài, ti porto io.
Gene, non salirei su quell’affare neanche sulla terraferma.

Cormac McCarthy, Suttree

***

Continuo ad imbattermi in assurdità. Vago serena per strada e all’improvviso, tanto per citare uno degli ultimi mirabili avvistamenti, mi passa davanti uno con una moka da sei tatuata sul polpaccio. Due volte, l’ho incontrato, il tizio con la moka tatuata, e non abito in un villaggio di pescatori in Papuasia.
Ora, i casi sono due. Potrebbe essere colpa mia, perchè magari sono io, in qualche modo non chiaro, a calamitare le cazzate urbane. Vado in un posto e tutto quello che di scemo sta esistendo nel raggio di un chilometro si sposta sul mio percorso. Oppure, siete voi che non vi accorgete di niente e, imperturbabili come giumente, andate dove dovete andare, mentre un’idra sventra a craniate il palazzo che avete di fronte.
Onestamente, non so. Ma non lo sa neanche il tizio del furgoncino. Non lo sa e nemmeno gli interessa, perchè lui ha una missione.

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Sono le 8.30 del mattino, a casa Tegamini. Visto che quattro mesi fa ha traslocato praticamente nell’ufficio, alle 8.30 Tegamini ancora se la dorme con una certa pesantezza, facendo pappappero.
Ma questa mattina no, questa mattina il campanello suona…

DRINNNNN
TEGAMINI – ….aaaaachecos’è.
DRINNNNNNN
T – Vattene!
DRINNNNNNNN
T – AAAAAAAA.
DRINNNNNNNNN
T – Si buongiorno.
UFFICIALE GIUDIZIARIO (con distintivo in mano) – Buongiorno signorina, sono l’ufficiale giudiziario, mi sa dire se “Leopardi Giacomo” abita qui?
T – Scusi?
UG – “Leopardi Giacomo”. Abita qui?
T – …eh, no?
UG – …ne è sicura?
T – Guardi, sono trentacinque metri quadri, se “Leopardi Giacomo” abitasse qui penso che me ne sarei accorta.
UG – Grazie.
T – Grazie a lei.
UG – Buona giornata.
T – Arrivederci.

TEGAMINI – …ma passami la mamma, che la saluto.
PADRE – Eh, è sul terrazzo.
T – Un luogo notorimente impervio ed irraggiungibile…
P – Ma no, è sul terrazzo che guarda l’upupa!
T – …ah. Ma poi avete capito che uccello era, quello dell’altro giorno?
P – Quello grosso come un piccione, blu, marrone e turchese?
T – Eh.
P – No. Infatti tua madre è molto agitata.
T – Secondo me, è una dendroica cerulea.
P – …che roba?
T – Una dendroica. Cerulea.
P – …
T – Papà?
P – Và và… c’è l’upupa davvero! Era passata anche ieri… e allora sono andato su internet e ho scoperto delle cose.
T – È carina l’upupa.
P – In realtà, la leggenda vuole che l’upupa sia l’uccello del malaugurio. Tradizionalmente è l’uccello del malaugurio. C’è su Wikipedia. E poi, ha una ghiandola che secerne delle sostanze di odore sgradevole, per difendersi.
T – Puzza e porta sfiga, insomma.
P – …si, forse è meglio se dico a tua madre di non darle da mangiare.

I miei genitori si stanno appassionando alla vita bucolica.
Mia madre – flagello dei mondi – si arrampica sulle piante per raccogliere le amarene per la marmellata e fa cataste perfette di legna. Mio padre brama un barbecue sotto il portico e ha scarciato ventisei applicazioni per l’iPhone – tutte uguali – che gli mappano il cielo notturno e, col buio pesto della campagna, si diverte come una Pasqua a vagare declamando i nomi latini delle stelle del firmamento.
Poi uno si chiede perchè sono venuta fuori così.

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Parliamo di Transformers. Perchè sono solo fittiziamente adulta e perchè sono andata a vedere il terzo film, Dio mi perdoni.
C’è un mio amico che ha tatuato sul collo del piede destro il simbolo degli Autobot e sul collo del piede sinistro quello dei Decepticon. Ma tatuaggi belli, con un sacco di dettagli, colori brillanti, cromature ed effetti speciali. Nonostante la validità artistica dei piedi del mio amico, credo che dovrebbe inizare a valutare una rimozione… perchè odio ammetterlo, ma gli esuli di Cybertron stanno diventando dei rugginosi rompiballe.
Mi ricordo che al primo film dei Transformers ero andata con a dir poco tutti i miei compagni di classe. Eravamo animati da uno stupore autentico, presi benissimo: ogni volta che qualcosa si trasformava – vuoi anche una caffettiera – finivamo per emettere sonori Ooooh e Aaaaah, ma proprio col cuore. Gli uomini poi erano perennemente a bocca aperta, perchè se l’OooooAaaaaah non era per una trasformazione, era per Megan Fox piegata a novanta su un cofano, baciata da un sole iper-contrastato e accarezzata dal vento.
Comunque. Se, a livello gnocca, l’appeal del franchise-Transformers resta pressochè inalterato – Shia LaBeouf riesce, sovvertendo ogni legge della natura e del buonsenso, a trombarsi un’altra creatura palesemente fuori dalla sua portata, la fidanzata di Jason Statham poi -, sul fronte robotico si procede spediti verso un baratro senza fondo. Sintomo evidente dello sfacelo, è il deterioramento dell’eroe della saga, il coraggioso paladino della concordia uomo-macchina, il piú grosso degli Autobot, quello col vocione piú tonante, quello da temere e riverire. Optimus Prime era tutto questo… E pure con qualche parafango in piú. Mi sarei buttata nel fuoco, se me l’avesse chiesto Optimus Prime. Avrei sfidato Megatron armata di minipimer, se me l’avesse chiesto Optimus Prime.
Ecco. In Transformers 3, Optimus Prime diventa un camion da trasporto pomodori.

Piazzale Loreto è un posto molto trafficato. È un gran casino a più corsie concentriche, dove la gente strombazza, cerca di insinuarsi a destra e a sinistra e si rende amaramente conto di non poter in alcun modo arrivare in orario dove dovrebbe arrivare. Quel che non sapevamo, almeno fino alla rivoluzionaria scoperta di oggi, è che non solo a Loreto una volta c’era il mare ma che, in qualche piano dimensionale normalmente celato all’occhio umano, il mare a Loreto c’è ancora.

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